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Vito Lattanzi, Musei e Antropologia. Storia, esperienze, prospettive

Carocci, Roma, 2021
Costanza Fusi
Notizia bibliografica:

VITO LATTANZI, Musei e Antropologia. Storia, esperienze, prospettive, Carocci, Roma, 2021.
ISBN 978-88-290-0451-5

Testo integrale

1Vito Lattanzi ha toccato con mano nel suo percorso il cambiamento di postura e di progettualità che da anni è in corso nell’istituzione museale. Ha vissuto le evoluzioni delle questioni terminologiche e lessicali che affliggono i musei di etnografia, portatori di “eredità problematiche”. Ha potuto analizzare dall’interno le fitte e intricate maglie che tessono le dinamiche di rappresentazione e narrazione negli – e degli – spazi del museo. Nello sguardo di Lattanzi, antropologo riflessivo e attento ai meccanismi del presente, il museo acquista interesse per la disciplina antropologica come “oggetto sociale”, come «speciale spazio di iscrizione e di interazione di culture, di relazioni sociali, di storie umane e istituzionali» (p. 13). Se si considera l’istituzione un luogo aperto alla costruzione e produzione di nuova cultura, allora i nessi tra antropologia e museografia risultano più evidenti e le pagine di Musei e antropologia, che ben esprimono il pensiero dell’autore, si delineano come possibili soluzioni alle molte e complesse domande che affannano i dibattiti attuali.

2L’Autore non ha bisogno di grandi presentazioni. Nella sua lunga esperienza professionale nel campo dei beni culturali ha curato mostre e allestimenti e ha coordinato alcuni importanti progetti a livello europeo per il Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma (oggi sezione del recentemente rinnovato Museo delle Civiltà), che è stato il suo campo d’azione dal 1987. Presso la Direzione Generale Musei si occupa oggi di gestione e valorizzazione dei luoghi della cultura. Ma la figura di Vito Lattanzi rappresenta anche molto di più. Ricercatore in ambito storico-antropologico, con un interesse particolare per l’antropologia religiosa e dei patrimoni culturali, è autore di numerosi contributi scientifici, che analizzano l’antropologia museale come cornice riflessiva (si veda ad esempio la voce Antropologia museale in Enciclopedia Treccani, IX Appendice, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani del 2015), fornendo chiavi di lettura critiche e spunti teorici innovativi utili per comprendere la museologia contemporanea.

3La vivacità della sua produzione fa emergere diverse prospettive, diverse pratiche, diversi linguaggi di sperimentazione all’interno dei principali terreni di ricerca battuti: la museografia partecipativa e la mediazione interculturale, la didattica museale, i rapporti tra territori e comunità locali e globali. L’eterogeneità dei suoi interessi, che può risultare frammentaria, sembra quasi scontrarsi con la volontà di condensare in un piccolo volume lo sviluppo ultimo e più concreto della sua analisi museologica. Ma la ricchezza di un testo come Musei e Antropologia risiede, invece, proprio in questa varietà. Il volume è frutto di un percorso che si snoda per più di 20 anni; vi traspaiono la passione per la ricerca e la profondità di sguardo sulla realtà dei musei demoetnoantropologici che da sempre sono il fondamento del lavoro di Lattanzi. Ai vari nuclei di ricerca teorica si affiancano, inseriti nella trama del testo e così ben misurati da non disturbarne minimamente la fluidità, riferimenti alle normative e alle più recenti statistiche in campo di patrimonio culturale, che arricchiscono la prospettiva già ampia e completa scelta dall’autore per trattare la materia.

4Fin dalle prime pagine emergono gli assi tematici principali sui quali si costruisce il volume, che si possono collocare in quella «linea d’ombra che separa musei e antropologia» (p. 11). Il punto di vista dell’autore, che discende da esperienze personali in entrambi i campi, gli permette di valutare con facilità metodi e strumenti del ‘dialogo’ esistente tra mondo museale e mondo antropologico. Partendo dall’analisi delle forme di contaminazione tra questi, Vito Lattanzi accompagna il lettore, nel primo capitolo (1. Crisi del visualismo e modi della rappresentazione), a riflettere sui modi della rappresentazione in etnografia e sulle capacità e i limiti dell’antropologia come disciplina, portandolo alla comprensione di come, grazie a una «ridefinizione della retorica dello sguardo antropologico» (p. 29) la disciplina si sia trasformata in una ‘conoscenza dialogica’. L’antropologo è quella figura che ha la capacità di favorire il dialogo tra le culture e si può collocare proprio in questa prospettiva l’unica opzione ‘ragionevole’ che, per l’autore, abbiamo in questo momento storico: tornare a comunicare l’uno con l’altro (come ha espresso in un dialogo con Giulia Grechi nell’ambito dell’iniziativa Depositi Aperti, “Eredità problematiche: Musei etnografici tra mediazione del patrimonio e decolonizzazione”, tenutasi il 15 gennaio 2022 al Museo delle Civiltà). L’istituzione museale sta attraversando da qualche anno, infatti, secondo il parere di molti, una fase di passaggio dall’epoca della conservazione a quella della comunicazione, e questa comunicazione si esplica con modalità sempre più sofisticate e seduttive di rappresentazione, delle quali sono un chiaro esempio il racconto multimediale e l’uso del digitale nelle sale.

5Ma sarebbe impossibile indagare le problematiche che emergono al giorno d’oggi in campo museografico – specialmente etnografico – senza aver compreso quanto la scrittura stessa del museo sia la rappresentazione non neutrale di un viaggio antropologico, mediatrice di un discorso che rinvia a significati più profondi e nascosti. Per questo Vito Lattanzi invita in queste pagine a tornare ad approfondire anche la funzione stessa del museo e le responsabilità che esso deve assumersi nei confronti della società in quanto istituzione pubblica. Lo fa riprendendo abilmente in mano tematiche che aveva già affrontato in alcuni saggi precedenti (cfr. il suo illuminante contributo Towards a museum of possible worlds, pubblicato negli atti del colloquio internazionale “Beyond Modernity. Do Ethnography Museums Need Ethnography?” curato da Sandra Ferracuti, Elisabetta Frasca e Vito Lattanzi per Espera, 2013) e arricchendole di riflessioni inedite, riferimenti al lavoro concreto di istituzioni specifiche, spunti e domande nuove. L’antropologo prende qui in considerazione l’urgenza di valorizzare «l’etnografia del museo come fenomeno sociale e culturale contemporaneo», necessaria e utile, spiega, per fare della «buona museografia» (p. 14); porta dunque alla luce una serie di riflessioni teoriche, di sguardi e strumenti di applicazione che nelle pratiche curatoriali contemporanee dovrebbero avere la funzione – prioritaria – di far emergere i processi attualmente in corso di mediazione e decolonizzazione dei patrimoni etnografici.

6Le ragioni della recente evoluzione dell’istituzione museale e dell’importanza assunta dalla sua comunicazione sono collocate dall’autore nella loro dimensione sociale, che è divenuta anche quella della memoria culturale. Con spunti che richiamano Pier Paolo Pasolini e che sembrano strizzare l’occhio al pensiero del filosofo Jacques Derrida, le analisi di Vito Lattanzi chiamano in causa il ‘tempo del museo’ (protagonista del capitolo 2. Memoria culturale e usi del passato), e la temporalità così come viene ri-creata e fruita all’interno della partitura museale. Il museo è descritto come «monumento estetico alla memoria» (p. 59); una memoria culturale che, come tendenza sociale ad appropriarsi del passato, attraverso l’atto del ‘patrimonializzare’ finisce per essere in grado persino di controllare il tempo.

7Riaprendo la porta alla critica di Jean Clair, secondo la quale la trasformazione contemporanea più profonda è quella che vede i musei avvicinarsi al concetto di luoghi di consumo, ‘imprese’ a tutti gli effetti, Lattanzi riflette sui musei come strumenti delle politiche culturali, ragionando sulla loro funzione come servizi pubblici, in costante, necessario – quasi morboso – rapporto con il loro pubblico. Ai musei è richiesta una partecipazione sempre più ampia di pubblici provenienti da ogni contesto culturale, di soggetti diversi e con diverse necessità: una sfida costante per un’istituzione (ricordiamolo, storica e di matrice europea) che deve adattarsi a sempre nuove politiche di rappresentazione e nuove metodologie di fruizione partecipata del patrimonio che conserva.

8Spostando l’attenzione su un altro fondamentale protagonista del cambiamento attuale delle pratiche museali, risulta chiaro da queste pagine che, così come “partecipazione”, anche “sostenibilità” è ormai un termine ‘pervasivo’. Il tema della sostenibilità ci traghetta negli anni che stiamo vivendo e a partire dagli anni ’90 invade anche il campo museale facendo del museo un atelier del futuro, un laboratorio, e il luogo nel quale si interpreta il patrimonio con valenza antropologica e globalizzante. Ecco allora che non poteva mancare in questo volume un capitolo che esplora gli ecomusei e il loro ruolo nella promozione di progetti di sviluppo territoriale (3. Patrimoni, (eco)musei e sviluppo locale): essi sono un tassello necessario nella parabola del discorso di Lattanzi, attori dei paradigmi forniti della nouvelle muséologie. Lo scrittore ne racconta le origini e le dinamiche, non limitandosi a cercarne una definizione, ma proponendo dei veri e propri schemi fluidi per la comprensione di questa classe museale così lontana da quella tradizionale. Posti in relazione con la ricerca di antropologi come Alberto Mario Cirese e con le ultime sperimentazioni “diffuse” di mediazione tra paesaggio e comunità, gli ecomusei si legano a tutte quelle tendenze – in Italia sempre più evidenti – che lavorano sulle connessioni tra «valorizzazione partecipata del territorio, sviluppo sostenibile e strategie di promozione del turismo culturale» (p. 69).

9Introducendo grazie a queste premesse i concetti di pratica partecipativa di gestione e salvaguardia del patrimonio e di “comunità locali patrimoniali” il testo si avvia così verso la parte dedicata più nello specifico al ruolo del museo che conosciamo come etnologico o demoetnoantropologico. Negli ultimi capitoli è percepibile ed evidente il ricercato dialogo di questo testo con il dibattito che è in corso oggi nel panorama della museologia/museografia etnografica. Non è un caso, infatti, che nel 2021 siano usciti vari volumi che si pongono l’obiettivo di indagare approfonditamente le pratiche di decolonizzazione del patrimonio museale (cfr., per esempio, G. Grechi, Decolonizzare il museo. Mostrazioni, pratiche artistiche, sguardi incarnati, Mimesis Edizioni, Milano 2021 e M. P. Guermandi, Decolonizzare il patrimonio. L’Europa, L’Italia e un passato che non passa, Castelvecchi Editore, Roma 2021).

10L’autore ritorna un po’ indietro, quindi, in questa ultima parte del volume, per spiegare le ragioni del museo etnografico come lo conosciamo oggi, approfondendo le vicende dei musei nati nel periodo del positivismo alla fine del XIX secolo, all’estero e in Italia (qui per volontà di Paolo Mantegazza a Firenze e Luigi Pigorini a Roma) e, ripercorrendo queste storie, tocca i concetti chiave di ‘arte primitiva’, di museo come zona di contatto, di intercultura e didattica delle differenze; su progetti dedicati a quest’ultimo tema nello specifico, Vito Lattanzi, che ha diretto i servizi educativi del Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini”, aveva personalmente lavorato; ne riporta i risultati in un saggio pubblicato nel 2003 sulla rivista Antropologia Museale dal titolo Dieci anni di didattica delle differenze al museo preistorico etnografico.

11Nel capitolo quinto (Il museo collaborativo) trova espressione anche il tema della museologia collaborativa. Vi emergono, assieme alle esperienze nordamericane raccontate da studiosi come James Clifford e Ruth Phillips, i riferimenti a progetti europei internazionali e italiani (di questi ultimi è capofila la nota mostra [S]oggetti Migranti tenutasi nel 2012 al Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini”) che si sono mossi in questa direzione oltre che a singole vicende nel panorama del nostro paese, che l’autore si augura possano costituire modalità di lavoro da prendere ad esempio per il futuro. In opposizione alle voci che danno ormai per spacciato il museo etnografico, e che vedrebbero come possibile soluzione il ‘suicidio assistito’ per questa tipologia di musei, retaggio del periodo coloniale, secondo Vito Lattanzi l’istituzione può continuare a rappresentare – insieme alla scuola – una grande opportunità dal punto di vista sia politico che etico. Capire il ‘come’ sarà compito delle nuove generazioni.

12Per riassumere tutte queste istanze in un unico volume conciso, ci voleva sensibilità, coraggio di ribaltare il punto di vista e la volontà di assimilare sia le lezioni del passato che quelle del futuro. In Musei e antropologia Lattanzi ha dimostrato la sua grande capacità di ascolto, grazie alla quale ha saputo mettere al centro anche di questo testo la sperimentazione e il dialogo. Siamo tutti allievi di Vito Lattanzi: la sua forza espressiva traghetta il pensiero di un’epoca e l’autorità indiscussa di cui gode fa risuonare forte la sua voce oggi sia in Italia che all’estero.

13Dalla penna di un autore così poetico e ‘romantico’, non potevamo aspettarci niente di meno di un testo che può essere letto sia come un manuale – una storia del contatto tra mondo antropologico e museale, ancora oggi controverso – che come un vero e proprio stimolo a porsi nuove domande, interpretando il presente e leggendo il museo come un manoscritto complesso e articolato, una stratificata «macchina delle meraviglie» (p. 24), dice Lattanzi, che può e deve ancora essere interrogata.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica digitale

Costanza Fusi, «Vito Lattanzi, Musei e Antropologia. Storia, esperienze, prospettive»Archivio antropologico mediterraneo [Online], Anno XXVI, n. 25 (1) | 2023, online dal 24 juin 2023, consultato il 22 mai 2025. URL: http://journals.openedition.org/aam/7121; DOI: https://doi.org/10.4000/aam.7121

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