- 1 Il termine tardo industrialismo secondo l’elaborazione di Kim Fortun (2012) descrive le condizioni (...)
1Il rapporto tra industria e città ha prodotto espansione e ricchezza, ma anche crisi, abbandono, povertà e devastazione. Le forme di ristrutturazione neoliberale, con particolare rilevanza per la fase definita di tardo industrialismo1 (Fortun 2012; Benadusi et al. 2021) stanno generando significativi cambiamenti economici e sociali nella configurazione dei programmi di transizione e riconversione degli assetti produttivi e di organizzazione dei territori. Condividendo il punto di vista dell’antropologia urbana sulla necessità di considerare gli spazi non solo come contenitori di attività sociali e culturali, ma soprattutto come risultato di processi di costruzione e di elaborazione di significati, appartenenze, pratiche e relazioni (Agier 2015; Jaffe, De Koning 2016; Low 2017; Pardo, Prato 2018), ho intenso approfondire in che modo attivisti, abitanti, organizzazioni sociali e istituzioni agiscono, producendo frizioni e contese rispetto ai tentativi di proporre nuove configurazioni che si basano sulla sostenibilità, sulla conduzione di differenti economie (Gibson-Graham 2008), sulla rigenerazione delle città. L’interesse per l’analisi delle implicazioni spaziali nei processi di trasformazione economica e sociale, entra in connessione con le diverse forme di patrimonializzazione sia materiale sia immateriale. Il patrimonio costituisce uno degli aspetti centrali su cui si fondano gli interessi delle imprenditorialità urbana verso un’ampia transizione dai sistemi di produzione fordisti dell’imprenditorialità e dello stato keynesiano ad un sistema di accumulazione flessibile, geograficamente più aperto e a beneficio di particolari frazioni della classe capitalista (Harvey 2010).
2La centralità dello spazio urbano e dei suoi patrimoni, che in questa sede proveremo ad analizzare criticamente, è sia di natura politica sia analitica con particolare attenzione alle ripercussioni delle trasformazioni economiche e industriali. Se nelle grandi metropoli industriali italiane il modello della città-fabbrica novecentesca è stato ribaltato attraverso una serie di interventi che rimettono il centro storico al “centro” (Capello, Semi 2018), le vicende della provincia industriale italiana, descritte da Ravenda e Pusceddu (2022) si presentano come laboratori di espressione di un conflitto politico-economico, variamente declinato rispetto alle retoriche di un passato segnato dallo sviluppo industriale e dalle valutazioni di un presente di crisi economico-occupazionale. In questo scenario la progettazione delle politiche pubbliche appare orientata da una visione di un futuro ispirato ai valori della sostenibilità e della conservazione dei patrimoni naturali e culturali (Ravenda, Pusceddu 2022). Con riferimento alla costruzione degli immaginari di futuro e di trasformazione nei contesti di tardo industrialismo, lo studio condotto da Benadusi (2018) evidenzia due aspetti connessi che ci aiutano ad analizzare il contesto di Taranto. Le forme quotidiane della catastrofe con la loro natura diffusa, a lungo termine e quasi invisibile possono generare effetti che a volte sono più insidiosi di un grande disastro. Il secondo aspetto riguarda la relazione tra produzione industriale e distruzione ambientale, da considerare come relazione necessaria per comprendere i processi di industrializzazione e le forme attuali di crisi e conflitto, in cui le ristrutturazioni dei processi economici sono inestricabili dagli aspetti materiali, simbolici, ideologici della città (Low 1999).
- 2 L’articolo è il risultato del percorso di ricerca etnografica condotta dal 2019 e il 2021 nel conte (...)
3Questo contributo2 rappresenta il tentativo di rispondere alle seguenti domande di ricerca: cosa accade in una città, quando abitanti e associazioni si organizzano per ricordare e recuperare esperienze, oggetti e luoghi del passato che sono stati rimossi o abbandonati? In che modo il passato viene recuperato, ricordato e rievocato da persone che vivono in un contesto compromesso dall’abbandono? Come definire politicamente e socialmente questi processi di recupero rispetto alle situazioni di crisi ambientale ed economica? A queste domande il saggio prova a rispondere raccogliendo la consapevolezza che il passato è un paese straniero (Lowenthal 1985) e con particolare attenzione ai contesti urbani, costituisce oggetto di contese e manipolazioni che si riflettono nella costruzione della località (Appadurai 1996; Gupta, Ferguson 1997) e nella dimensione politica ed epistemologica del “fare città” (Agier 2015). Questo “paese straniero” si rivela attraverso i legami che abitanti, organizzazioni e istituzioni cercano di mantenere tra la dimensione del passato, le sfide determinanti del presente e le capacità di elaborare le idee di futuro. I gruppi sociali articolano e costruiscono forme transazionali e competitive di racconto e rappresentazione del passato, attraverso la lotta per il controllo e la gestione di un vasto stratificato universo simbolico (Herzfeld 2016), attraverso una dialettica costante con i processi di patrimonializzazione (Palumbo 2009). Questi universi simbolici diventano spazio di negoziazione e di legittimazione politica per riconoscere i valori che orientano i processi di recupero del passato nella città.
- 3 Per un approfondimento dei riflessi politici e sociali legati al termine 'squascio', mi permetto di (...)
- 4 La città vecchia di Taranto costituisce il contesto analizzato nel corso della ricerca etnografica (...)
4Nella città di Taranto, localizzata nel Sud dell’Italia nella regione Puglia, la parola dialettale squascio3 viene utilizzata per definire gli effetti che un evento devastante ha prodotto in uno spazio. La parola esprime non solo l’effetto di un evento disastroso, ma evidenzia la costanza della devastazione che produce rovine e abbandono senza alcuna via d’uscita. Nel corso della ricerca etnografica nella Città vecchia4, abitanti e attivisti di associazioni hanno utilizzato il termine squascio per qualificare e descrivere gli spazi con riferimento alle difficoltà legate al suo recupero, dopo la profonda frattura generata dai processi storici legati all’industrializzazione che ha distrutto il precedente ordine spaziale e simbolico nella sua completezza. Lo squascio pur acquisendo la fisicità delle macerie e dei palazzi chiusi e semi-crollati, che è possibile osservare sia nei vicoli e sia nelle grande vie di attraversamento della Città vecchia, diventa uno strumento di rappresentazione dei complessi processi di politici di recupero, delle frammentazioni sociali e delle difficoltà economiche degli abitanti. Le cose del passato in quanto scarti della modernizzazione, si trovano oggi al centro di politiche e dibattiti, ma allo stesso tempo costituiscono gli elementi di una manipolazione quotidiana per definire uno spettro di proposte alternative al modello industriale. La possibilità di vivere in modo diverso lo spazio scartato e in rovina, costituisce una risposta sociale e culturale alla marginalizzazione e all’abbandono.
5Nella prima parte del saggio analizzerò in che modo gruppi di abitanti e associazioni hanno organizzato specifiche pratiche di recupero del passato nella Città vecchia. Questo lavoro di riparazione delle rovine, offre uno scenario di analisi per comprendere le sfide attuali della transizione e della riconversione economica del tardo industrialismo nel contesto di Taranto. Se da un lato le macerie presenti nei palazzi abbandonati e crollati a causa dell’assenza di manutenzioni, rappresentano il simbolo delle devastazioni economiche e culturali provocate dal modello di sviluppo industriale, un’altra prospettiva emerge, in questo caso legata alle relazioni tra possibilità e limiti che le stesse macerie consentono nelle diverse forme di valorizzazione patrimoniale degli elementi del passato. Nella seconda parte concentrando l’attenzione sulle forme pubbliche di narrazione della storia e delle memorie, ho scelto di comprendere perché e come le rovine sono cancellate, commemorate, vissute, mercificate e riciclate. Secondo Benjamin (1982), attraverso le narrazioni le rovine diventano delle "immagini dialettiche" che rivelano dei colpi di scena del tempo e che mascherano le contraddizioni della vita sociale.
6Infine analizzando le pratiche di manipolazione del passato promossa dalle associazioni che scelgono di rievocare e performare specifiche attività rituali negli spazi della Città vecchia, intendo mettere in evidenza come l’obbiettivo non riguarda la formulazione di una temporalità alternativa, piuttosto la necessità dei soggetti di partecipare e di essere riconosciuti all’interno dei complessi processi di cambiamento spaziale in corso in un contesto come Taranto. La rivendicazione del recupero della Città vecchia è quella di essere parte della sua storia, di conoscere il passato e di avere gli strumenti adeguati per scegliere le priorità e i bisogni a cui una politica del recupero dovrebbe rispondere. Il recupero del passato viene quindi analizzato come costrutto socioculturale, con la necessità di essere storicizzato e posto in relazione con gli apparati normativi-valoriali, le costruzioni simboliche e le conoscenze materiali e immateriali.
7L’analisi delle trasformazioni e soprattutto delle fratture che hanno segnato la storia della Città vecchia rende esplicita l’importanza che l’interpretazione del passato assume nella configurazione dei rapporti sociali e nelle prospettive di intervento urbano. Il termine “Città vecchia” con cui si identifica l’area in questione, riflette l’esigenza di differenziare le diverse parti della città di Taranto. La Città vecchia costituisce il luogo originario della città, il sito sul quale si sviluppa la città nel corso della sua storia (Giummo 1986). Il dibattito che riguarda la storia dei monumenti e delle strutture fisiche della Città vecchia (De Luca 1998; Caputo 2001) ha posto in risalto la necessità di comprendere in che modo la città costituisca l’esito di un lungo percorso di costruzione e di una sovrapposizione di epoche diverse. Questi elementi fondano nel dibattito la rappresentazione della Città vecchia come un luogo talmente antico da essere originario: «Una delle più antiche città del mediterraneo attraversata verticalmente dal flusso della storia raccoglie i residui di questo flusso nella sua parte vecchia, nella sua antica rocca, l’isola» (Leogrande 2018: 113)
- 5 La Città vecchia non è sempre stata rappresentata come un’isola. Nel corso degli interventi di dife (...)
8L’isola5 ha una superficie di 419.040 mq, collegata con la terraferma attraverso due ponti: il Ponte di Pietra, precedentemente denominato Ponte di Napoli, in quanto in corrispondenza spaziale con l’omonima porta di ingresso della città, e il secondo noto come Ponte della porta di Lecce, successivamente diventato Ponte girevole a causa dell’ampliamento del canale navigabile per permettere il passaggio delle grandi imbarcazioni verso l’Arsenale militare. Fino al 1865 la città si riconosceva nell’isola a causa del divieto di costruire abitazioni extramoenia, con 27.000 abitanti nel 1860. La città sotto il controllo della monarchia borbonica veniva considerata città fortificata, e per questo sottostava al divieto di costruire all’esterno dello spazio insulare. Secondo alcune ricostruzioni storiche (Peluso 2008; Stea 2017) questa costrizione della città nell’isola avrebbe obbligato gli abitanti a vivere in spazi angusti agevolando la costruzione di numerose sopraelevazioni.
9L’avvento dell’Unità d’Italia determinò l’avvio di una transizione determinante, inaugurando una stagione di sviluppo della città, con la decisione di costruire e ampliare la superficie urbana, edificando oltre l’isola. Da quel periodo l’isola viene identificata con il termine Città vecchia e nel discorso istituzionale e politico è rappresentata come un luogo angusto, degradato e pericoloso. L’espansione urbana e le nuove costruzioni contribuirono all’avvio di un graduale movimento di popolazione che abbandonò la Città vecchia per andare ad abitare i nuovi insediamenti. Alla città di Taranto venne assegnato un ruolo strategico dal punto di vista militare e industriale, proclamando alla fine dell’Ottocento la fondazione dell’Arsenale militare e l’installazione delle basi navali della Marina Militare. Questo evento viene rappresentato come l’ingresso della città nella modernità, che dilata il suo spazio urbano ben oltre i confini della vecchia Isola, ricostituendosi di attorno alla grande industria militare dello Stato italiano (Nistri 2009). La costruzione dell’Arsenale produsse da un lato un aumento della popolazione tarantina attraendo forza lavoro dall’esterno e anche una nuova distribuzione sociale nella città. L’influenza della produzione industriale si presentava come prodotto di un modello di sviluppo trainato da un soggetto esterno rappresentato dal neonato Regno d’Italia (Nistri, Sardi 1980).
- 6 Il 12 maggio 1975 il crollo di una palazzina in Vico Reale nella Città vecchia, provocò la morte di (...)
10Dopo la Seconda guerra mondiale l’economia della città entrò in crisi, favorendo la possibilità di costruire a Taranto un centro siderurgico, come soluzione per i problemi occupazionali ed economici del territorio. La scelta statale di collocare a Taranto il IV centro siderurgico nazionale risponde alla programmazione politica dei poli di sviluppo, volta all’insediamento in aree meridionali di grandi industrie al fine di promuovere la soluzione del problema del minore sviluppo economico e occupazionale (Cerrito 2010). Dagli anni Sessanta del Novecento la produzione dell’acciaio e la presenza dello stabilimento industriale sul territorio di Taranto costituirono un fattore importante sia dal punto di vista economico ma anche spaziale. L’investimento dello Stato italiano per la costruzione dell’Italsider (1960) ha rappresentato un elemento di rafforzamento del progressivo abbandono della Città vecchia. Il crollo di una palazzina in Vico Reale nel 19756 costituisce il punto temporale di riferimento che nel racconto della storia dell’abbandono e dello spopolamento viene indentificato come l’evento che ha testimoniato l’assenza di politiche e risorse destinate alla ristrutturazione degli edifici e la volontà di spostamento della popolazione abitante. Questi eventi si sviluppano in modo parallelo al percorso di consapevolezza e azione sul monitoraggio ambientale e sui danni causati dall’industria, che costituiscono l’esito di un multiforme e composito processo di indagine, dibattiti e riflessioni tra istituzioni, abitanti, lavoratori e industria (Alliegro 2020).
- 7 Il progetto del Centro di documentazione e ricerca Le Sciaje rappresenta una delle esperienze dal c (...)
11La relazione tra città e sviluppo industriale si snoda all’interno di un meccanismo di causa ed effetto. Le politiche statali di sviluppo industriale e i danni ambientali legate allo stabilimento Ilva (nel 1995 la gestione dello stabilimento siderurgico passa dalla gestione statale alla gestione privata cambiando denominazione da Italsider a ILVA), rappresentano le cause del profondo stravolgimento spaziale e sociale della città. L’abbandono e lo spostamento di popolazione come conseguenze dei processi di sviluppo e di investimento industriale sono da associare ad altri elementi che compongono il quadro complesso dei problemi e delle sfide della Città vecchia. Il progressivo abbandono degli immobili ha riguardato sia i grandi palazzi nobiliari che si trovano lungo Via Duomo e Corso Vittorio Emanuele, sia i caseggiati modesti sino alle zone basse che nel corso del tempo in assenza di abitanti e interventi di ristrutturazioni sono andati incontro a crolli e cedimenti. Palazzi, chiese e siti archeologici soffrono evidenti condizioni di degrado strutturale. L’industrializzazione siderurgica con maggiore forza rispetto alla produzione cantieristica dell’Arsenale ha determinato il declino delle attività di pesca e mitilicoltura nelle aree amarine del Mar Piccolo e del Mar Grande di Taranto. Le pratiche di coltivazione e trasformazione delle cozze e di altri molluschi e crostacei continuano ad essere colpite dalla contaminazione industriale delle acque. L’area del primo seno del Mar Piccolo è interdetta alle attività di mitilicoltura. Il lavoro di ricerca storica e indagine dell’associazione Le Sciaje7 ha posto la questione del recupero delle attività tradizionali legate alla pesca rispetto alla scelta di difendere l’indifendibile, assicurando la continuità degli investimenti industriali. I limiti nell’utilizzo delle acque e le scarse opportunità economiche delle lavorazioni, spingono gli operatori a condurre le attività di pesca e mitilicoltura in modo illegale, agevolando le pratiche informali con impianti di produzione non registrati, vendita e forniture irregolari e con la conseguente esposizione agli interventi repressivi da parte dell’autorità giudiziaria.
- 8 26 luglio 2012. Su provvedimento del Gip, chiesto dalla Procura, viene sequestrata l'area a caldo d (...)
12Nel corso del 2012 in seguito alle manifestazioni promosse dai sindacati per scongiurare una possibile chiusura dell’Ilva legata alle vicende giudiziarie8, il Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti affermò l’esigenza di un nuovo soggetto politico in grado di promuovere una mobilitazione cittadina con l’obbiettivo di chiudere la fabbrica e chiedere un programma di sviluppo alternativo per Taranto e i suoi abitanti. La relazione tra questione ambientale e la questione lavorativa si caratterizza come campo di opposizione e di causazione (Ravenda 2018), tra due necessità e visioni: da un lato la necessità di preservare la produzione dell’acciaio e il futuro occupazionale dei lavoratori, dall’altro le vicende giudiziarie e le vertenze ambientali che ponevano in evidenza le ripercussioni della presenza dell’Ilva sul territorio Tarantino. Da quel momento le parole d’ordine della riconversione economica, dell’insostenibilità degli impianti industriali inquinanti e della necessità di una rigenerazione per la città hanno rappresentato gli argomenti centrali del confronto e dello scontro tra visioni diverse.
- 9 Legge 4 marzo 2015, n. 20 recante "Disposizioni urgenti per l'esercizio di imprese di interesse str (...)
13Nel 2015 con l’emanazione della legge statale speciale9 sulla città di Taranto gli aspetti riguardanti la riconversione ecologica, economica e urbana della città rappresentarono materia di un quadro più ampio di politiche che intrecciava le scale: internazionale, nazionale, regionale e locale. La legge emanando disposizioni per l'attuazione di interventi di bonifica, sembrava interpretare l’istanza di un capovolgimento della relazione città-industria. La questione dell’impatto ambientale e della riconversione economica diventano nel decreto le motivazioni che sottendono all’intervento statale e urgente sulla riqualificazione di Taranto e in modo specifico della Città vecchia. La costituzione del Contratto Istituzionale di Sviluppo (2015) e del bando di progettazione Open Taranto (2016) promosso da Invitalia, seguono la logica del doppio legame: definire le priorità del risanamento e della compensazione ambientale, ma assicurare la continuità produttiva dello stabilimento giudicato di interesse strategico nazionale. Ritroviamo da un lato la priorità assegnata al Piano per il recupero della Città vecchia, come cambiamento possibile per l’intera area di Taranto, dall’altro promuovere una riconversione economica in cui la presenza della fabbrica non viene posta in discussione. All’interno di questo quadro di interventi statali, viene coniato il termine “Isola madre”, utilizzato per qualificare il carattere trasformativo e di rinnovamento che la Città vecchia assumerà con la progettazione e l’attuazione degli interventi finanziati e previsti dal CIS. Il termine, associato alla rivitalizzazione e allo sviluppo dell’isola, esprime la necessità di cambiare la percezione della Città vecchia da quartiere isolato a luogo di rinascita.
- 10 Un tema centrale di rivendicazione è la mancata applicazione del Piano per il recupero e il restaur (...)
14La Città vecchia dopo decenni di abbandono e di marginalità sociale e spaziale, ritorna ad essere un “centro” dove sperimentare i nuovi modelli economici e di sviluppo urbano. Questa centralità basata sugli interessi verso i progetti finanziati di rigenerazione urbana, si inserisce in un quadro di posizioni conflittuali che riguardano le pratiche quotidiane di recupero degli abitanti, i significati che vengono associati agli spazi da recuperare e le rivendicazioni delle organizzazioni che dal basso denunciano l’immobilità istituzionale nei confronti del recupero della Città vecchia10 e la tutela gli interessi della fabbrica e della sua continuità produttiva.
15Il recupero del passato costituisce un’azione sociale che intreccia costantemente due livelli di costruzione e rappresentazione della memoria storica della Città vecchia. Le azioni di recupero vengono portate avanti sia attraverso interventi di pianificazione urbana e di politica industriale, esprimendo il doppio legame dello sviluppo e della sostenibilità (Eriksen 2016), sia attraverso azioni basate su forme di appartenenza sociale, di resistenza e di riappropriazione spaziale in cui si manifestano quelle tensioni e inedite alternative di cui parla Povinelli (2011). Da un lato i paesaggi tardo industriali vengono travolti da nuove narrazioni che riguardano le trasformazioni energetiche, le retoriche della smart city e le idee di sviluppo economico sostenibile (Rimoldi, D’Orsi 2021). Dall’altro gli stessi contesti sono al centro di pratiche di adattamento, critica sociale e contestazione che emergono come risposta alla progressiva erosione delle visioni legate alla modernità industriale e al costante impatto degli effetti ambientali da questa prodotte.
16Il processo di ri-centralizzazione istituzionale ha previsto la ricostruzione di una memoria ufficiale dei processi storici che hanno riguardato gli spazi urbani, la loro trasformazione e quindi la possibilità di un loro recupero. La stessa proposta di una nuova nomenclatura per la Città vecchia, come nel caso del termine Isola Madre, può essere interpretato come effetto perverso del lavoro di rappresentazione che le istituzioni comunali tentano di mettere in atto per dare ufficialità ai progetti di rigenerazione urbana. Queste forme di recupero istituzionale entrano in un gioco competitivo con le diverse forme di ricordo, narrazione e custodia del passato che le associazioni promuovono per recuperare la Città vecchia. Le ricerche e l’organizzazione delle attività di racconto della storia cercano un dialogo competitivo con le istituzioni comunali e soprattutto hanno come obbiettivo quello di far conoscere “agli altri” la Città vecchia. Gli altri sono coloro che non conoscono il proprio passato di cittadini e abitanti di Taranto, non oltrepassano il Ponte girevole per raggiungere la Città vecchia. Il secondo livello è rappresentato dalla presenza di memorie e rappresentazioni del passato, che provengono da modi diversi di vivere nella Città vecchia, come abitanti, come ex abitanti e come operatori sociali. In questo caso la memoria e il riconoscimento del loro passato diventa uno strumento di rivendicazione di un sapere diverso, informato e basato sull’esperienza del luogo. Il livello di narrazione delle memorie offre uno spazio di riconoscimento e di diversificazione delle storie e degli spazi che vengono raccontati, in cui l’obbiettivo risponde all’esigenza di affermare la presenza e il radicamento degli abitanti della Città vecchia.
17Questi aspetti riflettono da un lato gli esiti di specifici processi di ruination come definiti da Stoler (2013) e dall’altro esprimono l’articolazione degli “eccessi di patrimonio” come processi sociali e politici di interpretazione del passato in una rilettura delle condizioni del presente (Harrison 2013). Le rovine rappresentano sia lo specifico stato di una cosa, sia i processi che esercitano una forza materiale e sociale nel presente (Stoler 2013). Il processo di ruination in quanto espressione della continuità e della discontinuità delle politiche di controllo territoriale e culturale, si ritrova nelle forme di descrizione della Città vecchia: "degrado urbano", "degrado ambientale", "inquinamento industriale". In questi contesti parlare di rovina significa rintracciare la sostanza e i segni fragili e durevoli, gli aspetti visibili e viscerali in cui gli effetti di una politica o di un intervento di devastazione e abbandono si riattivano e permangono. La rovina rappresenta il risultato di un progetto politico che ha impattato specifiche popolazioni e luoghi, relazioni e cose.
18Gli esempi di riutilizzo adattivo di uno spazio o di una ritualità storica costituiscono aspetti ricorrenti nella città contemporanea, quasi come una risposta sociale al senso di declino emerso dalle conseguenze della crisi del settore industriale. L’esperienza fisica di essere, lavorare e abitare tra il vecchio e il nuovo con la patina lucida del passato è divenuta familiare (Harrison 2020). L’eterogeneo accumularsi delle tracce del passato nel presente è dimostrato dall’attenzione e anche dalla conflittualità che suscitano i monumenti, i memoriali, gli edifici e le zone di conservazione. Il patrimonio costituisce quindi un aspetto pervasivo della vita all’interno di un contesto urbano. L’eccesso di patrimonio che è possibile riscontrare nelle attività condotte in Città vecchia riflette l’esplosione dei fenomeni e delle tecnologie di categorizzazione del patrimonio che sembra ormai riguardare qualunque aspetto della nostra vita e della nostra relazione con il passato. L’articolazione delle attività che andremo ad analizzare esprime come la patrimonializzazione non possa essere considerata come un processo passivo di semplice conservazione delle cose che rimangono dal passato, ma un processo attivo di assemblaggio di oggetti, luoghi e pratiche che scegliamo di utilizzare come uno specchio del presente associato a un particolare insieme di valori che desideriamo portare con noi nel futuro (Harrison 2020). Le differenti forme di riconoscimento e manipolazione del passato esprimono un certo ordine del tempo di cui il presente valorizza le tracce (D’Agostino 2020) attraverso una selezione che vedremo essere declinata rispetto a specifiche pratiche di riapertura degli spazi, narrazione territoriale e rievocazione cerimoniale.
19All’interno del dibattito di antropologia critica del patrimonio (Jeudy 2008; Palumbo 2003; Pizza 2015) i beni culturali o paesaggistici, con i relativi processi di costruzione, classificazione e uso costituiscono prodotti storico-politico-intellettuali di specifiche e complesse pratiche e politiche di patrimonializzazione. I soggetti impegnati nel recupero delle cose del passato nel contesto della Città vecchia producono visioni o processi declinati sullo sfondo sia di una protesta contro la potenziale perdita, cessazione o cancellazione di qualcosa che viene percepito come di valore, sia di una modalità di assemblaggio sociale (Latour 2022) che cerca di ricostruire le connessioni tra spazi, oggetti, persone e significati.
20Come ricorda Pino, operatore e socio fondatore dell’associazione Nobilissima Taranto: «la storia della Città vecchia è una storia di rimozione». L’incontro con Pino avviene davanti il monumento più fotografato e più rappresentativo di Taranto e della Città vecchia: le Colonne Doriche che si trovano lungo Via Duomo e che risalgono ad un antico tempio greco. Pino guidandomi per le strade della Città vecchia si sofferma sulle denominazioni che spesso si associano oggi ad essa, cioè “Borgo vecchio” o “Isola madre”, che pongono in evidenza le conseguenze di una rimozione. La vera città è la Città vecchia in quanto risultato evidente di testimonianze storiche e archeologiche che rendono visibile la lunga storia della città di Taranto. La parte nuova della città è chiamata Borgo nuovo, perché prima delle edificazioni avvenute alla fine dell’Ottocento era soltanto campagna. Dal punto di vista di Pino la rimozione della storia, dell’importanza del significato che questa parte della città riveste per tutta Taranto, passa in primo luogo da un modo sbagliato di denominare la Città vecchia. La rimozione del significato storico risiede secondo Pino nelle forme di gestione e di cura dei reperti presenti nella Città vecchia. Quasi una volontà di occultare tutto ciò che la storia prepotentemente fa emergere. Una storia negata, tanti siti chiusi e cancellati. Nei confronti di questa situazione Nobilissima Taranto decise dal 2014 di avviare un lavoro di riapertura dei siti ipogei presenti nella città vecchia. Un’azione provocatoria ma consapevole rispetto alle conoscenze, e alla possibilità di rendere fruibili questi spazi: «abbiamo abbattuto questi muri e ci siamo ripresi la storia!». Questi ambienti a causa dell’abbandono degli abitanti dei palazzi e anche della marginalizzazione spaziale e sociale che ha subito nel corso del tempo la Città vecchia, sono stati utilizzati come deposito di materiale di scarto e contenitori per i rifiuti. Gli ipogei, secondo la descrizione prodotta dall’Associazione, rappresentano una testimonianza importante del passato perché permettono di osservare le stratificazioni storiche dei palazzi e delle costruzioni anche se in stato di abbandono, le tecniche utilizzate per le costruzioni e le trasformazioni che hanno subito sulla base delle varie forme di utilizzo a cui gli ambienti sono stati sottoposti durante le varie epoche. Gli ipogei raccontano dal sottosuolo la storia di Taranto. L’abbandono dei palazzi e il degrado fisico hanno reso questi spazi sempre più inaccessibili e sconosciuti, ostacolando l’accessibilità pubblica e favorendo il deposito di materiali di scarto e di rifiuti. Pino spiega l’interesse dell’associazione verso gli ipogei, affermando che questi siti rimangono ancora chiusi e privi di personale impiegato per guidare i visitatori, nonostante i tentativi del Comune di Taranto di costruire una rete degli ipogei presenti nei palazzi di proprietà pubblica. Il recupero degli ipogei ha costituito una leva fondamentale di rivendicazione spaziale e culturale, basata sulla necessità di associazioni, volontari e attivisti di rendere fruibile questi spazi per una progressiva tutela e promozione del patrimonio. Pino descrive la scelta dell’associazione di riaprire i siti ipogei che si trovano nei palazzi nobiliari di proprietà privata. Alle stesse condizioni di abbandono degli edifici pubblici, i palazzi di proprietà privata offrono maggiori opportunità di accessibilità, sfruttando i contatti con i proprietari o la loro totale assenza. Questa attività si sviluppa in un percorso composto da varie azioni: l’individuazione del sito, il lavoro di ricerca e documentazione della storia dello spazio e delle tipologie di utilizzo, organizzazione della pulizia dell’ipogeo, contrattazione per la gestione del sito rivolta a consentire la fruibilità pubblica e l’organizzazione di eventi. Dal punto di vista dell’associazione l’accesso agli spazi ripuliti non è finalizzato direttamente alla fruizione turistica che proviene dall’esterno, in quanto la riscoperta della storia “millenaria di Taranto” deve essere rivolta agli stessi cittadini e abitanti della città. Secondo Carmine fondatore e presidente di Nobilissima Taranto:
Il recupero e sulla valorizzazione dei nostri beni culturali, sono soprattutto importanti per la ricostruzione della nostra identità, abbiamo sempre detto quanto strategicamente e assolutamente necessario fosse puntare forte, perchè finalmente sulla nostra ultramillenaria Storia si potesse – e ancora si può – disegnare un futuro differente, oltre che tramandarla alle generazioni del domani (Carmine, aprile 2019).
21Per questi motivi Nobilissima Taranto nasce come gruppo di volontariato in difesa dei beni culturali della città di Taranto tra il 2012 e il 2013, e oggi ha sede in una bottega in Città vecchia, e gestisce l’ipogeo del palazzo storico in cui risiede sito in Via Duomo. Il gruppo è composto da volontari abitanti di Taranto, e da attivisti coinvolti nelle mobilitazioni contro l’inquinamento della fabbrica siderurgica e per la sua chiusura. Come emerso nel corso delle interviste con soggetti che hanno collaborato con l’associazione, il lavoro di Nobilissima Taranto ha rappresentato un punto di riferimento per la riscoperta del centro storico di Taranto. L’associazione è il risultato di un progressivo interesse per la cura e il recupero delle evidenze archeologiche presenti nella Città vecchia, per stimolare le istituzioni alla redazione del nuovo piano regolatore per il recupero della storia. In una città in totale abbandono, in cui non si ha una conoscenza dei luoghi, il recupero dell’identità storica dei luoghi deve essere realizzato organizzando momenti di aggregazione in cui accompagnare le persone nei diversi siti recuperati, coinvolgendo ragazzi e studenti delle scuole.
Questa città nonostante abbia compiuto 3000 anni dalla sua fondazione, purtroppo aldilà della presenza dei reperti bene conservati e bene esposti presso il Museo archeologico di Taranto (Marta), non corrisponde un’altrettanta fruizione di quelli che sono gli altri resti… C’è quasi una volontà di occultare tutto ciò che la storia invece prepotentemente e giornalmente ti mostra, anche quando si fa stupidamente una traccia elettrica in città trovi sempre qualcosa (Pino, aprile 2019).
- 11 Il territorio di Taranto dal 1986 (con la legge n. 349) fu ufficialmente inserito unitamente ad alt (...)
22Per Pino si tratta di una storia negata e cancellata, in una città che negli anni Sessanta si è dedicata interamente all’idea di diventare industriale. Un’idea che dal suo punto di vista non si è riusciti a compiere pienamente. Pino è stato responsabile dell’area tecnica in una società che forniva servizi di assistenza negli impianti dell’Ilva. La sua descrizione pone in relazione la crisi sociale e ambientale di Taranto con la necessità di trovare un’alternativa alla produzione industriale. Le vicende giudiziarie legate alla gestione degli impianti industriali e le scelte statali rivolte a garantire la continuità produttiva nonostante il riconoscimento della crisi complessa dell’area11 e dei danni ambientali e sulla salute, definiscono la cornice dentro cui collocare le parole di Pino:
Questa città è stata svuotata, sacrificata alla grande industria per poi produrre che cosa? Delle materie prime che poi vengono lavorate in maniera pulita da un’altra parte? Io personalmente ho la rabbia in corpo per questo motivo e non posso sputare nel piatto dove ho mangiato, adesso ho una piccola ditta di impianti con questo non voglio rinnegare il passato, ma non era così che andava affrontato (Pino, aprile 2019).
23Questo punto di vista affronta la criticità della relazione con l’Ilva sia dal punto di vista personale sia della città nei confronti con l’industria, e viene legittimato da un elenco delle alternative economiche che la città di Taranto ha ereditato dal passato e che continua ad avere: il porto, il mare, il suo patrimonio storico e culturale. Nel tentativo di spiegare in modo chiaro il tipo di lavoro che l’associazione ha condotto nel corso del tempo, Pino conducendomi presso Largo San Martino nella Città vecchia, indica un cancello in ferro chiuso con un catenaccio. Quella porta oggi chiusa è stata aperta da Nobilissima Taranto con l’obbiettivo di riaprire un importante sito archeologico e permettere la fruizione delle persone. L’obbiettivo fu quello di rendere fruibili gli spazi pubblici e offrire la possibilità di vedere e visitare le testimonianze storiche e archeologiche, che in questo caso riguardano le mura greche della città e i successivi interventi di fortificazione di età bizantina. Pino evidenzia come durante quegli interventi furono ristrutturate molte case che si trovano in Via Cava, proprio nelle vicinanze di Largo San Martino.
Qui abitano persone che non hanno una relazione storica con i luoghi. Ma per fortuna qualcuno le abita. Il problema di questo sito è la cattiva gestione dei rapporti con gli abitanti. Noi abbiamo coinvolto gli abitanti e abbiamo spiegato a loro cosa stavamo facendo. Qui a Taranto non puoi fare soltanto il museo (Pino aprile 2019).
24All’interno di questo quadro l’esperienza e il lavoro di Pino pongono in rilievo come la scelta di recupero esprime una trasformazione nelle scelte di allocazione di risorse e di posizionamento spaziale nel contesto urbano di Taranto. Il ruolo assunto da questi attori sociali che stanno riscoprendo e riutilizzando gli spazi abbandonati presenti nella Città vecchia, riguarda la necessità di un ancoraggio territoriale al passato di Taranto e al palinsesto che rappresenta, all’interno di una situazione di disordine, di conflittualità, di insicurezza. Le operazioni di riapertura, pulizia e fruizione, oltre a permettere la riscoperta di siti archeologici e monumentali, hanno consentito ad altre organizzazioni di poter avere accesso alle conoscenze per organizzare tour della Città vecchia, progetti di ricerca e esperimentare iniziative di riutilizzo dei siti.
- 12 L’iniziativa del manifesto e del coinvolgimento degli esponenti della cultura italiana è da inserir (...)
25Il posizionamento del passato negli spazi riflette la necessità del riconoscimento della Città vecchia come monumento. Riprendendo la citazione del Manifesto per la salvaguardia della Città vecchia firmato da scrittori e intellettuali nel 196812, che descriveva questa parte di città come un monumento da salvare, Nobilissima Taranto ha inteso ricoprire un ruolo specifico di controllo e di contrasto alle politiche e alle attività della Sopraintendenza ai beni culturali e delle istituzioni comunali. Il passato viene letto, curato e analizzato nelle diverse gradazioni di colore di un palazzo che rappresentano i diversi materiali utilizzati e i vari strati sovrapposti: gli ipogei, i resti archeologici di età greca e romana, i palazzi nobiliari costituiscono delle evidenze storiche che pur essendo sotto gli occhi di tutti non hanno valore. La Città vecchia rappresenta un palinsesto della storia della città di Taranto. La storia di un passato che non viene riconosciuto dalle istituzioni come risorsa alternativa per la città. Il dibattito sulle alternative non riguarda esclusivamente le grandi agenzie e le istituzioni pubbliche (globali, statali e locali), ma è alimentato da una costante elaborazione culturale sul significato del benessere, sul rapporto con gli spazi e sulla storia dei luoghi. Per questi motivi è importante ribadire che il dibattito sulle politiche di rigenerazione urbana con esplicito riferimento al dibattito in corso sulla Città vecchia, ha la necessità di prendere in considerazione se non addirittura in carico queste tensioni e frizioni che si esprimono nelle dinamiche sociali che riguardano il recupero. Questo perché sebbene i processi culturali nella città possano anticipare o rappresentare le sue trasformazioni fisiche, la loro programmazione non valuta la complessità e le contraddizioni che si sviluppano nelle pratiche e nelle interpretazioni di abitanti e di operatori. I significati e le forme di recupero degli spazi associati al passato in questo caso rivelano le contraddizioni ancora attive nel contesto tra il riconoscimento degli ambiti considerati come patrimonio e le forme di tutela e di fruizione pubblica.
26Nell’analisi di Jarrett Zingon (2012) le narrazioni piuttosto che rivelare il significato profondo che i soggetti associano ad un’esperienza, promuovono una forma di comprensione reciproca. Le pratiche di narrazione configurano lo spazio, facendo riferimento al processo di selezione del passato e ai momenti performativi in cui la narrazione diventa azione negli spazi pubblici della Città vecchia. Se definiamo la memoria come la sede dei processi di selezione, rimozione, interpretazione ed elaborazione dei lasciti del passato (De Pasquale 2018), i luoghi della memoria sono siti in cui si condensano le immagini del passato carico di significati. Il ripercorrere dei luoghi ritenuti fondativi della propria storia è una pratica tipica di molte società, ma ci sono dei luoghi che fungono da costruttori della memoria nel senso che la loro rappresentazione può essere il frutto di un’attività immaginifica che si sviluppa lontano dai luoghi fisici a cui essa fa riferimento (Halbwachs 1988). Tale costruzione coincide nel caso delle forme di spazializzazione del passato nella Città vecchia con una manipolazione di oggetti, azioni performative e rappresentazioni mediante le quali si tenta di produrre un’identità alternativa a quella prodotta dalla modernizzazione industriale. Il ricorso agli oggetti e ai luoghi della memoria non riguarda l’utilizzo di segna-memoria come supporti al ricordo, piuttosto oggetti o luoghi investiti di un significato totale, che evoca un senso di appartenenza, nel tentativo di connettere un’identità collettiva con la dimensione spaziale. Questi aspetti sono da porre in relazione con dispositivi delle comunità nazionali immaginate (Anderson 1996) e dell’invenzione della tradizione (Hobsbawm, Ranger 1987), in cui i processi sociali di selezione e di comunicazione della memoria fondano la stabilità degli assetti ideologici e istituzionali. La funzione di alternatività che vedremo espressa in specifici luoghi della memoria della Città vecchia, si lega al concetto di lieux de memorie espresso da Nora (1989) come rappresentazione delle ultime manifestazioni di una coscienza memoriale sopravvissuta in un’epoca storica in cui si invoca la memoria dopo averla abbandonata. Il ruolo delle pratiche di narrazione spaziale risiede nella costruzione di una legittimità sociale che sostiene le ipotesi di recupero degli spazi che vengono percorsi e raccontati. Tale legittimità entra in relazione con i processi di patrimonializzazione e di interpretazione del valore assegnato allo spazio. Differenti narrazioni non iscrivono soltanto diverse memorie nello spazio, ma rispondono ad esigenze e posizionamenti diversi che si incontrano e si scontrano sul campo di azione della Città vecchia.
27Enzo è il presidente dell’associazione “Taranto centro storico” che ha sede nella Città vecchia in una bottega in Vico Carducci. Questa associazione nei giorni degli eventi denominati I Riti della Settimana Santa a Taranto organizzò un calendario di iniziative dal titolo “Palato è Passione” in cui proponeva passeggiate esplorative nei luoghi più importanti di Taranto, proponendo sia percorsi e visite nella Città vecchia. Enzo e la figlia parteciparono a questa iniziativa con la loro associazione, occupandosi di svolgere il ruolo di guida durante le passeggiate. Il tipo di narrazione che Enzo conduce durante la passeggiata, riflette il lavoro di ricerca e di fruizione che l’associazione svolge è che si lega sia alla storia della città di Taranto sia al racconto delle tradizioni popolari legate nel caso specifico all’appuntamento religioso pasquale. Enzo insieme alla figlia conduce un gruppo di 40 persone dentro la Città vecchia. Il percorso si snoda tra le strade, soffermandosi su alcuni punti di interesse per eventi, storie e curiosità che riguardano i Riti della Settimana Santa. Un elemento importante da analizzare riguarda l’intreccio narrativo che viene proposto: la figlia di Enzo propone, in qualità di guida turistica una serie di informazioni come date storiche, approfondimenti sugli stili artistici delle chiese e dei monumenti, mentre il compito di Enzo è quello di portare il racconto su un livello diverso. Le sue informazioni riguardano le storie delle famiglie nobiliari, le tradizioni, le leggende, utilizzando le formule dialettali che vengono spiegate con cura e tradotte per il pubblico. All’interno di questa alternanza di registri Enzo non perde occasione di evidenziare la discontinuità della storia della Città vecchia con riferimento specifico all’organizzazione dei riti. I Riti della Settimana Santa si suddividono in due diverse processioni rispettivamente durante il giovedì e il venerdì prima della domenica pasquale. Fino alla metà degli anni Sessanta si svolgevano entrambi in Città vecchia, mentre successivamente si operò una suddivisione: la processione del giovedì in Città vecchia e quella del venerdì nel Borgo nuovo della città. Soltanto nel 2015, Enzo racconta, si decise di realizzare entrambe le processioni in Città vecchia: «Taranto vecchia non è conservata ma mantenuta» (marzo 2019). Gli aspetti legati al funzionamento e all’organizzazione dei riti rappresentano un elemento centrale nel dibattito sui processi storici e culturali della città di Taranto. Cirese nel suo testo intitolato Aspetti della ritualità magico religiosa nel tarantino (1971) afferma che la caratteristica dei riti pasquali tarantini è quella di «produrre di nuovo, iterare e reiterare, far sì che si verifichi di nuovo» (Cirese 1971: 17). La relazione tra forme di espressione identitaria e i riti pasquali di Taranto viene analizzata da Resta (1990) come espressione ambigua e contraddittoria. Da un lato le forme organizzative della cerimonia non sono conosciute e non stimolano l’interesse dei tarantini. Dall’altro lato lo svolgimento delle processioni del Giovedì e del Venerdì Santo che interessano gli spazi della Città Vecchia e del Borgo Nuovo registrano un grande partecipazione di persone.
28La pratica di narrazione organizzata da Enzo e dalla figlia all’interno di un’azione organizzata dall’associazione fornisce un ulteriore canale di trasmissione e rivendicazione per affermare l’esigenza di un recupero della dimensione storica della Città vecchia, attraverso l’organizzazione di momenti performativi in cui il racconto della città si intreccia con l’opposizione a modelli economici e urbani ritenuti colpevoli di aver cancellato la memoria storica. La narrazione rappresenta un’azione sociale importante per mettere in relazione il processo di selezione del passato (Fabietti, Matera 2018) e la scelta performativa di comunicazione pubblica, fondamentale in un’interpretazione dell’oblio come effetto perverso dell’economia industriale.
29La passeggiata si concluse nella sede dell’associazione, dove Enzo insieme alla figlia mostra i locali e i materiali in essi esposti. Dentro le stanze si trovano mobili antichi colmi di libri, foto, antichi attrezzi di pesca, gusci di crostacei e di mitili; mentre sulle pareti tantissime mappe che rappresentano dall’alto la conformazione urbanistica della città vecchia. Il racconto di Enzo intreccia la storia della Città vecchia con avvenimenti della sua vita personale. Nel corso della narrazione Enzo espose la motivazione di questo suo interesse per la ricostruzione della storia di Taranto e i passaggi che hanno portato alla nascita dell’associazione.
30Negli anni Novanta del Novecento Enzo decise di avviare i primi percorsi di conoscenza della città vecchia con le scuole, soffrendo le difficili relazioni tra gli abitanti del Borgo nuovo e della Città vecchia: «La contraddizione è proprio questa per tanto tempo la gente non solo si andava via dalle case abitate, ma non si voleva più ritornare in questo luogo, contribuendo ad una rimozione della storia, delle tradizioni, della città vecchia». Il lavoro dell’associazione ha scelto di affrontare questo problema, per riportare le persone in questa parte della città, facendo conoscere la storia che è la storia di Taranto e non solo della città vecchia.
- 13 Nel frammento dell’intervista Enzo descrivendo la presenza dei tre ponti fa riferimento alla costru (...)
Andando nella Città nuova si voleva dimenticare la vita grama che si faceva. Per cui c’è stato completamente l’abbandono della città vecchia! Noi adesso abbiamo tre ponti13, si dice che i ponti uniscono e menomale altrimenti la Città vecchia sarebbe proprio scomparsa. La gente andava via, quasi tutti sono andati nei quartieri periferici, molti a Paolo VI e qualcuno alla Salinella, facendo diventare ghetti anche quelli (Enzo, aprile 2019).
31Il momento della costruzione della parte nuova della città rappresenta un passaggio fondamentale, dal suo punto di vista, in quanto ebbe inizio una vera e propria evacuazione verso la città nuova che portò a dimenticare la Città vecchia. Questi posizionamenti costituiscono lo strumento di definizione dei campi di legittimità sociale delle proposte di riuso e di scarto degli spazi della Città vecchia. Le attività di narrazione si realizzano attraverso dei momenti di enunciazione che definiscono uno strumento di coinvolgimento, di comunicazione e di performance, attraverso cui la memoria storica viene raccontata al pubblico con l’obbiettivo di coinvolgere e legittimare il posizionamento e le scelte sul recupero degli spazi abbandonati e sul ritorno ad abitare un’area della città dimenticata e marginalizzata. Mediante la narrazione e l’attraversamento di centri luoghi ritenuti importanti, si afferma la necessità di ritornare, recuperare e riappropriarsi delle radici territoriali: l’interesse per ciò che riemerge viene rappresentato come un compromesso o una connessione tra ciò che scompare e ciò che rimane.
- 14 Il saggio “Angoscia territoriale e riscatto culturale nel mito Achilpa delle origini. Contributo al (...)
32L’importanza della Città vecchia come “centro” rappresenta una sorta di intangibilità (più o meno provvisoria) di presupposti, di idee, di valori, sottratti in qualche modo e in una qualche misura al flusso degli eventi, al divenire delle relazioni, al susseguirsi delle generazioni, che si realizzano attraverso lo stabilirsi di un punto fisso (o relativamente fisso), un ancoraggio più o meno stabile o più o meno temporaneo, senza il quale, per usare l’espressione di De Martino: «la storicità della vita sarebbe davvero angosciante» (De Martino 1984). L’angoscia territoriale viene spiegata come una situazione, storicamente individuata, in cui i soggetti sociali percepiscono la loro presenza nel contesto non come decisa e garantita, ma piuttosto fragile e labile, quindi continuamente esposta al rischio di non mantenersi di fronte al divenire. Il riferimento al mito di fondazione Alchipa, denominato kauwa-auwa14, riguarda il riscatto dell’angoscia prodotta dai continui spostamenti che il gruppo di nomadi si trova a compiere in un determinato territorio. Attraverso il posizionamento del palo kauwa-auwa il luogo nuovo viene sottratto alla sua angosciante storicità, diventando iterazione dello stesso luogo assoluto, il centro di fondazione (de Martino 1984).
33Le pratiche di narrazione territoriale nel Città vecchia di Taranto costituiscono una forma di riscatto culturale rispetto a questa interpretazione di angoscia. Il passato della Città vecchia si intreccia alle memorie di Enzo, attraversando gli spazi della città e riformulando la narrazione e l’interpretazione di questi. Le narrazioni del passato diventano espressione di un potere trasformativo rispetto ad una tensione prodotta dalla rimozione (prima) e dalla rigenerazione (oggi) della Città vecchia.
34L’ancoraggio delle rievocazioni riguarda il rapporto tra l’identificazione del vero centro urbano, come luogo che contiene le origini della città, e le azioni di forzatura per rendere nuovamente fruibili le conoscenze, le ritualità e le festività in molti casi cancellate. In una bottega posta al piano terra di un palazzo, che si trova accanto la cattedrale di San Cataldo nella Città Vecchia, Cinzia e i suoi collaboratori hanno avviato da molti anni un’attività di ricerca e rappresentazione che riguarda la storia delle tradizioni popolari della città di Taranto. La bottega è stata denominata appunta “La Puteje (la bottega in dialetto tarantino) Arte è (e) cultura”. Cinzia e Nicola (un collaboratore) lavorano all’allestimento per la rappresentazione prevista nelle giornate di carnevale, denominata U carnevale de na’ vote. I due provano a costruire una bara da morto utilizzando un cartone per imballaggio, in modo da deporre il fantoccio del cosiddetto Tata e portarlo in processione per le strade della città vecchia. L’idea di riorganizzare il carnevale in Città vecchia nasce dall’esigenza di Cinzia di riscoprire un momento importante della storia e della tradizione di questa città. Secondo Cinzia queste attività sono molto importanti, perché i tarantini ma in particolare gli abitanti della città vecchia non conoscono e non praticano più questo carnevale:
Qui si è voluto cancellare tutto questo, e rompere il rapporto con le tradizioni… Questo non è un carnevale legato a grandi eventi, ma vuole essere un carnevale del popolo con le stesse intenzioni di una volta... U carnevale de na’ vote appunto.
35La ricerca ha permesso di ricostruire e riproporre questa modalità di svolgimento del carnevale, riscoprendo le maschere, i momenti della processione del Tata, e il suo significato. Tutti elementi che sono presenti nelle fonti che Cinzia cita durante la sua descrizione:
Questo studio ha un valore importante, in quanto serve a far conoscere quello che si dimentica… Io non ho avuto notizie di questo carnevale da parte di nessun abitante della città vecchia nessuno lo conosce o ha attualmente notizia. Esiste una difficoltà a raccontare le tradizioni. I bambini vengono ancora ammoniti quando parlano in dialetto… Il carnevale rappresenta la possibilità di un evento di coinvolgimento e conoscenza. La nostra iniziativa riguarda la rielaborazione di contenuti storici che abbiamo raccolto. Noi prepariamo tutto e cerchiamo di coinvolgere gli abitanti (Cinzia, marzo 2019).
36La riproposizione offre quindi la possibilità di rielaborare un pezzo della storia, offrendo uno spettacolo attraverso cui coinvolgere gli abitanti della Città vecchia. Lo stesso nome scelto per l’associazione cerca di raggiungere l'obiettivo di far ricordare. Il tarantinidion rappresenta un abito che veniva utilizzato in alcune festività di origine greca. Tale abito veniva confezionato con il Bisso, il filamento ricavato dalla Pinna Nobilis, un mollusco molto diffuso nelle acque del mar Piccolo.
37La relazione con gli abitanti costituisce un obiettivo centrale per Cinzia, che spiega cosa fosse avvenuto l’anno precedente durante la processione organizzata durante il carnevale. Durante il passaggio del Tata in via Cava, che viene descritta come la parte più popolare della Città vecchia, dai balconi le donne iniziarono a lanciare oggetti rivolti alle persone che stavano partecipando. Cinzia racconta questo episodio cercando di dimostrare che il lavoro dell’associazione è finalizzato a creare un legame. Lei stessa ricorda che soltanto dopo riuscì a comprendere il significato di quel gesto che inizialmente aveva interpretato come un’offesa. Le donne avevano lanciato degli oggetti specifici ognuno con un significato: il sale come simbolo contro il malocchio, la pasta come augurio di prosperità e le lenticchie come buona fortuna. Cinzia si dimostra convinta che quel gesto non sia stato casuale, ma da intendere come una comunicazione avvenuta attraverso degli oggetti simbolici. Gli abitanti avendo capito il vero obiettivo della processione del Tata durante il carnevale, hanno risposto, proponendo un dialogo che è avvenuto attraverso un meccanismo di scambio simbolico.
38L’organizzazione del carnevale prevede che venga realizzato un corteo dentro la Città vecchia. Tale corteo viene preannunciato nei giorni precedenti da un banditore che attraversa le strade, accompagnato dalla musica di una piccola banda strumentale, con il fine di richiamare le persone a partecipare. Il corteo mette in scena una marcia funebre, in cui il Tata, un fantoccio di pezza e paglia, come rappresentazione di un uomo che incarna tutti i vizi, giace in una bara da defunto. Il senso di questo corteo funebre risiede nella necessità di liberazione da tutti i vizi che lasciano il posto al periodo di quaresima della Pasqua cristiana. Il corteo si conclude con il rogo del Tata che avviene in piazza Fontana lungo la Marina nella parte bassa della città. Questo evento che viene organizzato da circa sei anni e rappresenta un evento centrale nel lavoro dell’associazione, ma non è semplice da realizzare considerando che «non è facile fare le cose in città vecchia». Per Cinzia gli abitanti dopo anni di disinteresse e marginalità si sentono colonizzati dalle attività che molte associazioni promuovono senza curare le relazioni. Cinzia pone l’esempio di chi organizza durante le ore serali o notturne creando problemi alle famiglie che nei palazzi dormono e che lavorano.
Gli aspetti fondamentali di questo lavoro risiedono nel costruire il coinvolgimento con gli abitanti, adulti e bambini, organizzare il corteo facendo partecipare le persone, e collaborare nella realizzazione degli allestimenti. Ai ragazzini e alle donne viene chiesto di partecipare direttamente al corteo come momento di divertimento e condivisione…Noi coinvolgiamo la città e la gente si affaccia perché noi parliamo il dialetto, bisogna sapere contestualizzare e non si può fare il professore. Il nostro riuso è rivalutare le fonti antiche, i racconti e le radici, insieme ai luoghi che vengono scelti per una particolare relazione con una storia che vogliamo raccontare (Cinzia, luglio 2020).
39Nel suo discorso sottolinea l’importanza di considerare il centro storico come qualcosa che appartiene a tutti, di cui la comunità deve prendersi cura:
Noi coinvolgiamo le persone che vengono da altre parti della città ma quando camminiamo per strada, la gente del luogo si affaccia perché chiaramente sente che qualcuno parla in dialetto, ed è contenta. I bambini per strada, ti riconoscono. Noi cerchiamo di rivalutare oggetti, luoghi, storie che purtroppo in città vecchia sono dimenticate. Il riutilizzo prevede una rivalutazione, rendendoli certi luoghi fruibili. Durante lo spettacolo itinerante, i luoghi vengono raccontati rispetto a ciò che nel passato hanno rappresentato. Spulciare e attingere dalle fonti antiche, vere, i racconti basati sulle radici, ciò da cui noi discendiamo. Noi interagiamo con il fattore storico considerando che Taranto ha una storia millenaria. Creare un parallelismo tra lo storico e il contemporaneo. La storia tradizionale come il tarantismo o gli altri riti magici è importante perché oggi questi aspetti non vengono conosciuti… Il bello è riscoprire, rispolverare quelle tradizioni ormai dimenticate che solo in città vecchia vigevano (Cinzia, luglio 2020).
40La stessa Cinzia nel riproporre il “Carnevale de na’ vote” dichiara la sua intenzione rievocativa e educativa. La rappresentazione delle tradizioni negli spazi della Città vecchia si pone come tentativo di ridurre la separazione tra le diverse parti della città, a differenza del Ponte girevole che non unisce, ma divide. Queste forme di ancoraggio territoriale si fondano sulla prospettiva di recuperare una dimensione temporale e spaziale che riflette idee e visioni legate al passato. Il punto di partenza è capire come si dà senso al passato per ricollocarsi nell’oggi. Ma il punto centrale è che queste ‘inautenticità autentiche’ costituiscono campi di gioco su cui gli attori del folclorismo e del revivalismo storico di ogni epoca (o multiepocale) definiscono piani discorsivi, forme di appartenenza, autoconvincimenti e narrazioni convincenti delle località. Forme di stare al mondo, modi di guardare e di dominare i rapporti sociali, gli spazi urbani, l’accoglienza dell’altro, economie, relazioni politiche e campi di forza. Solo accettando di condividere questo campo di gioco si può realizzare un tentativo fattivo di interpretazione scientifica dei rapporti tra i contesti (diacronici e diatopici) dei repertori e le pratiche di creazione autonoma delle nuove verità narrate.
41La rievocazione di queste pratiche cerimoniali non offre la riproposizione del rito come oggetto in sé ma cerca di esporre le pratiche all’interno di un quadro comunicativo che possa rendere evidenti i diversi investimenti emotivi, politici, tattici in uno specifico contesto storico e sociali. Il corteo del Tata e l’organizzazione del carnevale, secondo gli schemi di riferimento degli studi sulla cultura popolare condotta dall’associazione, ripropongono il tema alla dimensione politica posseduta dai rituali nella loro espressione conflittuale e competitiva con riferimento alle relazioni sociali quotidiane e alle dimensioni della vita istituzionale. Riprendendo le analisi di Palumbo sull’intreccio tra simbolismo e materialità delle pratiche rituali, nella rievocazione analizzata i soggetti indirizzano lo svolgimento della cerimonia verso certi gruppi di persone e realizzano un concreto contesto di interazione sociale (Palumbo 2009: 57).
42L’analisi di queste esperienze consente di osservare la capacità delle persone di ricostruire un universo economico, sociale, politico e culturale che dipende dalla disponibilità delle risorse materiali, dalle reti di relazioni sociali e dai codici culturali che possono impiegare (Rakowski 2016). Il recupero si presenta come politica di aspirazione (Martìnez 2020), in cui gli aspetti del significato vengono ingaggiati dal passato, agiti nel presente e rivolti al futuro. Le pratiche di recupero contribuiscono a creare nuove qualità relazionali e costellazioni alternative, che significa ri-contestualizzazione del modo di pensare alle conseguenze storiche dei processi di trasformazione della città e costruire politiche di aspirazione in diversi spazi e registri. L’abbandono della Città vecchia manifesta dei sintomi collegati alla monocoltura dell’acciaio, agli effetti del progresso sociale ed economico. Se da un lato le rovine dei palazzi abbandonati e crollati a causa dell’assenza di manutenzioni, rappresentano il simbolo delle devastazioni economiche e culturali provocate dal modello di sviluppo industriale, un’altra prospettiva emerge, in questo caso legata alle relazioni tra possibilità e limiti. Piuttosto che soltanto la desolazione e l’abbandono, nelle rovine si riproducono modi di essere e prospettive di azione. Pino, Enzo e Cinzia lottando contro il fallimento infrastrutturale in mezzo al degrado, ritrovano c'è un senso di opportunità, nuove possibilità di relazioni e di riproduzione sociale. La manipolazione e narrazione del passato promossa dalle associazioni che hanno deciso di investire in Città vecchia, non riflette la formulazione di una temporalità alternativa rispetto ai processi storici della città, piuttosto rivendica la necessità di essere presenti e di essere riconosciuti all’interno della stessa linea del tempo che conduce al futuro della città. Le pratiche di recupero declinate rispetto alla narrazione e alla rievocazione del passato permettono una resistenza al processo di rimozione dal tempo e dallo spazio, messa in atto dalle associazioni nei confronti dei dispositivi progettuali istituzionali. La rivendicazione che i soggetti reclamano attraverso racconti e riappropriazioni, è quella di essere parte della sua storia, di conoscere il passato in tutti i suoi passaggi e quindi di avere gli strumenti adeguati per scegliere le priorità e i bisogni a cui una politica del recupero dovrebbe rispondere.
43Il passato oltre ad essere inscritto negli spazi della città, viene costantemente posizionato da diverse tipologie di attori sociali, come quelli analizzati nel corso della ricerca. Questi posizionamenti riguardano l’interpretazione di fatti storici, la comprensione del valore culturale che a specifici spazi e attività si riconosce, attraverso pratiche di narrazione territoriale, la manipolazione degli ambiti urbani con azioni di pulizia e recupero. L’analisi contestuale delle pratiche di recupero e della manipolazione dei luoghi ha offerto un contributo al dibattito sul patrimonio culturale quindi alle forme di riappropriazione, narrazione e rievocazione di oggetti, luoghi e pratiche del passato. Le declinazioni patrimoniali rilevano la natura politica e sociale delle azioni connesse al passato e agli spazi urbani. I tre casi etnografici esprimono tre esempi di relazione tra spazi e temporalità richiamando specifiche declinazioni patrimoniali. Nel primo caso si afferma la necessità del riconoscimento del valore storico e monumentale della Città vecchia, rispetto alla modernità rappresentata dalla parte nuova della città e in contrasto alle ipotesi di rigenerazione urbana. Le esperienze di narrazione territoriale legate all’intreccio tra conoscenza, vita personale e progettualità politica di Enzo e la sua associazione dimostrano quali siano le modalità di racconto ed elaborazione dei luoghi considerati costruttori della memoria. La rievocazione di pratiche rituali messe in atto dall’associazione Tarantinidion costituiscono modalità di coinvolgimento pubblico e di espressione di punti di vista sulle trasformazioni spaziali in corso, sulle politiche di conservazione e recupero della cultura. La presenza del passato nella Città vecchia emerge attraverso posizionamenti e declinazioni che riguardano le scelte di recuperare e riparare spazi ritenuti significativi, promuovere forme di enunciazione e rievocazione rituale in cui aspetti specifici della storia ritornano ad essere rappresentati. Gli elementi materiali e immateriali del passato vengono ricordati, manipolati e riposizionati nello spazio urbano. Questa spazializzazione offre ai gruppi sociali la possibilità di manifestare azioni e progettualità, ricollocare la centralità storica del quartiere rispetto alla città, e produrre progettualità trasformative sugli spazi.
44Il recupero non è semplicemente la ricerca di qualcosa che si è perso, ma appunto un’azione che avviene all’interno di interazioni sociali in cui si prende in considerazione lo squascio, quindi la devastazione e l’abbandono, vivendo e interpretando le macerie che si decidono di recuperare, di scartare nuovamente, oppure di ripulire. In queste interazioni si aggregano narrazioni e processi di condivisione delle conoscenze sulla storia di questi spazi che si intendono recuperare e nel processo si configurano cambiamenti e configurazioni sociali. Affermare che nel recupero si sviluppano nuove forme di vita sociale, è la sfida che nel corso del lavoro etnografico è stata affrontata, nel tentativo di cogliere la relazione tra modalità di abitare e di manipolare oggetti, spazi e storie con la possibilità di elaborare progetti alternativi per la Città vecchia. Questi progetti di recupero non sono cose fisse, quanto pratiche aggreganti, che fissano incessantemente i fenomeni e le attività. Questa ricerca rivolge il suo interesse ai momenti, o alle condizioni, in cui i progetti di recupero, come progetti sociali alternativi, rivelano la loro oscillazione indeterminata che si apre tra la potenzialità e l'attualità, tra il vincolo e la possibilità. La pluralità delle attività di recupero coesistono nella situazione critica come viene rappresentata dagli stessi soggetti convocati. Questa contraddizione consente di leggere aspetti problematici che riguardano la specificità del caso della Città vecchia di Taranto ma possono riguardare i processi di trasformazione che nei contesti urbani vengono vissuti in seguito a fratture sociali, spaziali e ambientali prodotte da un lato dagli impatti della grande industria dall’altro dalla stessa crisi di questi modelli.
45Accanto ai grandi progetti che nel tempo riflettono le idee di grandi opere, le persone realizzano azioni di recupero che hanno il significato della guarigione. Il progetto di recupero del passato in questo quadro di riferimenti può rappresentare qualcosa di diverso sia rispetto alla gestione del patrimonio sia alle politiche di rigenerazione urbana. In questo caso le associazioni promuovono un ragionamento critico sulla storia di questi processi e sui diversi orientamenti. L’etnografia ha svelato le potenzialità, non ancora del tutto espresse, in cui si produce qualcosa di nuovo e di alternativo nella vita sociale. Il recupero diventa una pratica osservabile all’interno delle capacità di specifici gruppi sociali di vivere e persistere all’interno di contesti che si trovano in una situazione di crisi e abbandono.