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HomeNumeriAnno XXVI, n. 25 (2)MiscellaneaStato civile e cultura politica i...

Miscellanea

Stato civile e cultura politica islamica. Una riflessione antropologica

Civil state and Islamic political culture. An anthropological reflection
Domenico Copertino

Abstract

A partire dal dibattito tra Clifford Geertz, Talal Asad e Ernest Gellner su tradizioni religiose, ethos e potere, l’articolo propone una riflessione sulle dinamiche politico-intellettuali che hanno portato alcuni movimenti islamici e secolari, in Medio Oriente, a formulare dei progetti di organizzazione sociale/istituzionale incentrati sul modello dello Stato civile. Il dibattito su questa forma di Stato è durato oltre un secolo ed è tornato al centro del discorso pubblico islamico dopo le rivoluzioni del 2010/2011. L’articolo indaga le circostanze storico-politiche e le relazioni di potere/autorità attraverso le quali il modello dello Stato civile è stato elaborato e riadattato dal pubblico islamico contemporaneo, in particolare in Egitto e in Tunisia.

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Testo integrale

  • 1 Jamal al-Din al-Afghani (1838-1897), grande intellettuale, riformatore politico e viaggiatore ottoc (...)
  • 2 Muhammad ‘Abduh (1849-1905), allievo di al-Afghani, Mufti d’Egitto (giureconsulto e massimo esponen (...)
  • 3 Secondo la prospettiva teologica-riformista di Afghani e ‘Abduh, le comunità musulmane dovevano rin (...)
  • 4 Secondo ‘Abduh, questa fu introdotta nel mondo islamico prima che in Europa, considerando che l’Isl (...)

1In molti contesti mediorientali, il processo di ricostruzione dello Stato, in seguito alle rivoluzioni del 2010/2011 e alle loro ripercussioni internazionali, ha comportato una dinamica di reciproco riposizionamento e compromesso (raramente di pura opposizione) tra componenti politico-sociali secolari e religiose. Questa dinamica ha avuto al centro il dibattito sul modello di Stato che sarebbe sorto dalla ricostruzione post-rivoluzionaria. Il dibattito politico-intellettuale su una forma di Stato moderno adatta alle culture mediorientali e islamiche, tuttavia, non è emerso con le cosiddette Primavere arabe, ma ha percorso il Medio Oriente per tutto il Ventesimo secolo e si ricollega alle riflessioni di riformisti ottocenteschi come Jamal al-Din al-Afghani1 e Muhammad ʿAbduh2 sul rinnovamento delle società musulmane3, sull’autorità civile (sulta madaniyya)4 e sul ruolo dei princìpi islamici nella formulazione di un progetto di organizzazione politico-istituzionale moderna. Questo dibattito rappresenta un tentativo di risolvere la questione di come avvicinare lo Stato alla società, ovvero come elaborare una forma specifica di organizzazione politica che risponda alle caratteristiche della collettività alla quale intende fornire leggi, confini e sicurezza.

  • 5 Ad esempio Abrams 1968; Mitchell 1991; Gupta 1995; Hansen, Stepputat 2001; Das, Poole 2004; Krohn-H (...)

2La dialettica Stato/società è un tema centrale negli studi politico-antropologici sullo Stato (Gupta, Sharma 2006). Questi studi indagano le interazioni tra Stato e società5 e mettono in discussione la netta separazione tra uno Stato inteso come un’entità coesiva, unificata, fondata su principi di razionalità e modernità, e la società, intesa come una realtà più fluida e multiforme. La formazione degli Stati, come dimostrano questi studi, non è collegata solo ai principi razionali moderni, ma anche alle caratteristiche particolari dei diversi contesti storici e socioculturali. Di conseguenza, l’approccio antropologico alla comprensione dello Stato prevede delle analisi di contesti specifici, nei quali idee culturalmente determinate di organizzazione politico-istituzionale danno origine a negoziazioni tra entità statali e altri centri di potere nella società.

  • 6 Ad esempio, la prospettiva basata sui princìpi dell’Islam di Abduh prevedeva una conciliazione tra (...)

3In questo articolo analizzo il contributo della riflessione islamica su Stato e società in quanto tentativo di porre al centro della costruzione di uno Stato moderno una dialettica tra princìpi religiosi, ethos e potere (nella forma dell’organizzazione politico-istituzionale), che non è necessariamente incompatibile con un’impostazione moderna e razionale nei principi politico-organizzativi dello Stato6. A questo scopo, vorrei ripartire dalla nota discussione tra Clifford Geertz e Talal Asad (Asad 1983, 1993), sulla quale è tornato recentemente Lebner (2020), che ha al centro proprio la possibilità di definire la religione nei termini di una dialettica tra visioni del mondo, ethos e potere; se per Geertz la questione si risolveva nella sintesi tra princípi religiosi ed ethos, Asad inserisce nell’analisi la questione del potere (nella forma della disciplina e dell’autorità). Al centro del dibattito tra Geertz e Asad c’è il tentativo di spiegare le modalità attraverso le quali le tradizioni religiose influenzano gli stili di vita delle diverse culture e società; porre al centro dello studio antropologico delle religioni la questione dell’ethos di un popolo (da parte di Geertz) e le relazioni di potere all’interno di una società (da parte di Asad) consente di comprendere il funzionamento di simboli e autorità religiose all’interno di specifici contesti culturali e a partire da determinate condizioni storiche.

  • 7 Il concetto di Stato civile iniziò a diffondersi in Medio Oriente proprio in conseguenza del succes (...)
  • 8 Qualche anno prima di Interpretation of cultures (1973), Geertz aveva pubblicato Islam observed (19 (...)
  • 9 Secondo Geertz, ogni oggetto, atto, avvenimento, qualità, rapporto che serva da veicolo per un conc (...)
  • 10 In alcuni passaggi tuttavia Asad sembra negare quest’idea, che è centrale nella concettualizzazione (...)
  • 11 Asad critica la semplificazione di Geertz riguardo alla doppia funzione dei simboli religiosi, che (...)
  • 12 Asad ritiene che l’idea geertziana secondo la quale i sistemi di disposizioni indotti dai simboli r (...)
  • 13 Asad ritiene che l’insistenza geertziana sul primato del significato dei simboli religiosi, a presc (...)

4In particolare, mi interessa comprendere come simboli e autorità religiose influenzino gli stili di vita e l’organizzazione politica all’interno di culture in cui ampi gruppi sociali propongono modelli non secolari di Stato e società. Uno di questi modelli è quello dello Stato civile, a cui è collegata l’idea di società civile (concetto utilizzato qui per comprendere le interazioni Stato/società)7 in Medio Oriente. Sebbene Asad rimproverasse a Geertz il tentativo di definire la religione in astratto, l’elaborazione del concetto di ethos serviva proprio a fornire un modello per contestualizzare le tradizioni religiose nella storia e nelle culture dei diversi gruppi umani8. Geertz descrive l’ethos come il tono, il carattere, la qualità della vita, lo stile, il senso morale ed estetico, il modo di vivere di un gruppo umano, che emerge sotto forma di pratiche, comportamenti, attività, a partire dai modelli per l’azione di quel determinato gruppo. L’ethos è inoltre un sistema di disposizioni, ovvero stati d’animo e motivazioni, che conferiscono un carattere definitivo all’attività e alla qualità dell’esperienza e che sono indotti dai simboli religiosi9. Asad ammette che un determinato ethos possa trovare legittimazione in una visione del mondo religiosa10 a patto che si indaghi quali processi autorizzanti creino questo collegamento11 e quali istituzioni sociali, politiche, economiche condizionino la vita di un determinato gruppo religioso in certe condizioni storiche12. Secondo Asad, la connessione tra visioni del mondo ed ethos consiste in un intervento di potere/sapere e dipende dai discorsi che definiscono le attività, interpretano i significati, escludono o includono espressioni e pratiche. Quindi bisogna capire come il potere crei e definisca le tradizioni religiose, e in quali condizioni storiche un discorso teorico possa proibire, o autenticare, o modificare espressioni e pratiche13.

  • 14 Riprendo la definizione di «pubblico islamico» (Merone et alii 2018), restringendola a coloro che a (...)

5Nei contesti mediorientali contemporanei che sono stati interessati dai processi rivoluzionari culminati nel 2010/2011 con le cosiddette Primavere arabe (in particolare Egitto e Tunisia), la relazione tra visioni del mondo islamiche e un particolare modo di concepire Stato e società è mediato da varie forme di negoziazione e rivendicazione, che si relazionano reciprocamente attraverso varie dinamiche di autorità: l’elaborazione giuridica delle moschee-università (principalmente al-Azhar e Zeytouna), l’attivismo del pubblico islamico14 (rappresentato tanto dai movimenti politici nazionali formali, come Hizb Ennahda e Hizb al-Hurriya Wal-Adala, quanto da movimenti internazionali come la Società dei Fratelli Musulmani e dalle associazioni della da‘wa), i tentativi del potere politico di monopolizzare l’interpretazione della religione, l’opposizione da parte delle componenti secolari della politica e dell’opinione pubblica nei confronti dei progetti di estensione dei modelli di vita devota alla sfera pubblica. La possibilità stessa di elaborare un discorso religioso che legittimi la mobilitazione politico-sociale sulla base di visioni del mondo e modelli di vita islamici dipende dal reciproco posizionamento di questi soggetti e dalle loro contese e negoziazioni finalizzate al riconoscimento pubblico come autorità dell’interpretazione di determinate tradizioni islamiche (Copertino 2020a, 2020b, 2020c, 2021).

6L’affermazione dei movimenti islamici in Tunisia ed Egitto, dopo le rivoluzioni, ha portato osservatori mediorientali e internazionali a sollevare la questione se l’introduzione in politica, nelle leggi, nelle istituzioni e nella vita pubblica di valori islamici sia compatibile con uno Stato moderno, pluralista, democratico e fondato sulla cittadinanza, e quale sarebbe la sorte di cittadini non musulmani in uno Stato islamico. Le risposte si sono spesso polarizzate tra due opposte forme di essenzializzazione: da una parte l’idea che l’Islam sia incompatibile con uno Stato moderno e democratico, dall’altra l’idea secondo la quale l’Islam contenga le premesse per uno forma di organizzazione politico-istituzionale razionale e pluralista (De Poli 2007; Labat 2013). La mia proposta è di spostare la questione, provando a rispondere alle domande: in quali circostanze storico-politiche il pubblico islamico contemporaneo sviluppa un discorso su uno Stato moderno, fondato sulla cittadinanza (e non sull’appartenenza religiosa) e sull’autorità civile? Come intende il pubblico islamico contemporaneo il concetto di Stato civile e come persegue questo modello? Attraverso quali relazioni di potere tra diversi soggetti autorevoli questo modello viene elaborato e riadattato per rispondere alle caratteristiche specifiche ed ethos collettivi di gruppi sociali che promuovono visioni del mondo e idee di politica e società di ispirazione islamica?

7In Egitto il modello di Stato civile è stato concepito alternativamente, dal pubblico islamico e dalle componenti secolari, come opposto alla guida religiosa o alla guida militare (e secolare) dello Stato; questa riformulazione del concetto è dovuta alla centralità, nella vita pubblica e nell’economia egiziana, dell’esercito, soprattutto durante la rivoluzione del 2011 e il periodo immediatamente successivo, quando il pubblico islamico egiziano è emerso come il soggetto politico maggioritario ed egemonico nella fase di ricostruzione democratica, dopo il crollo del regime del Hizb al-Watani al-Dimuqrati (Partito nazionale democratico). Potremmo sintetizzare questa duplice opposizione nello schema seguente:

Stato totalitario vs Stato civile vs Stato totalitario
(teocratico) ----------------------- (militare)

8In Tunisia, la concettualizzazione dello Stato civile comporta una simile duplice opposizione (Copertino 2021), anche se la mancanza di centralità dell’esercito nella vita pubblica comporta la sottrazione dell’elemento militare:

Stato totalitario vs Stato civile vs Stato totalitario
(teocratico) ----------------------- (secolare)

  • 15 Sin dalla seconda metà del XIX secolo, il concetto di sulta madaniyya (autorità civile) iniziò a ci (...)
  • 16 Secondo Yusuf al-Qaradawi, intellettuale islamico e dirigente della Società dei Fratelli Musulmani, (...)

9Il dibattito sullo Stato civile è durato un secolo in Egitto, a partire dalla dissoluzione del Califfato (nel 1924)15, ed ha avuto al centro il tema del ruolo della religione islamica, ma anche della storia e della cultura egiziana, in relazione alle norme moderne e secolari in politica e nell’amministrazione. Sebbene oggi ci sia accordo sull’idea che lo Stato civile sia basato sulla cittadinanza e su principi, istituzioni e procedure di governo moderne, nel corso del tempo le discussioni hanno riguardato lo status della shari‘a, la libertà di credo, il ruolo delle istituzioni religiose in politica, i limiti della libertà d’espressione, le fonti di autorità: se da una parte il pubblico islamico ha insistito a lungo sul ruolo dell’autorità religiosa in politica e sui principi della religione come confacenti ai diritti universali (giustizia, libertà, uguaglianza), dall’altra gli intellettuali secolari non hanno semplicemente rifiutato di ammettere la centralità della religione islamica nella società egiziana, ma hanno inteso lo Stato civile come un’organizzazione politica in cui l’autorità civile riconosce il ruolo dell’Islam nella vita pubblica16.

  • 17 In questo senso, si può condividere la critica rivolta da Asad a Geertz in merito alla definizione (...)
  • 18 Questo si rifletteva probabilmente nella successiva formulazione generale del concetto di religione (...)
  • 19 Ovvero la crescita di un’identità musulmana consapevole, verificatasi a partire dagli anni Settanta (...)
  • 20 Questo si scontra con l’idea diffusa, secondo la quale la legge divina non possa essere modificata, (...)

10Tutto questo fa comprendere come in Egitto, Tunisia e in altri contesti contemporanei a maggioranza musulmana, l’influenza della religione islamica nei modi di vivere e di concepire le relazioni sociali e le forme politico-giuridiche che dovrebbero fornire una cornice istituzionale a tali relazioni, è ampiamente riconosciuta. Da molti attori sociali e politici, l’Islam non è concepito come una dimensione interiore o una prospettiva di interpretazione della realtà paragonabile ad altre (Geertz 1973), ma come un sistema di valori e visioni del mondo che costruisce la realtà e informa gli ethos collettivi di ampie componenti sociali17. Sebbene nel mondo musulmano, negli anni Sessanta del Novecento, la religione avesse perso questo carattere costitutivo della realtà (e di conseguenza Geertz (1968) potesse ragionevolmente descrivere l’Islam marocchino come una religione secolarizzata)18, il “risveglio islamico”19 ha riportato la fede al centro della vita collettiva di molte società mediorentali. Questo non è dovuto a una generale tendenza dell’Islam a fondere le sfere (politica, religiosa, eccetera) che la modernità europea ha separato, o a creare un ordine sociale e politico fiondato sulla religione. Se oggi la maggior parte degli Egiziani supporta l’estensione dei principi islamici alla vita pubblica (Scott 2010: 198) e i movimenti islamici dibattono su come applicare i principi islamici a uno Stato nazionale moderno20, è proprio perché a partire dagli anni Settanta l’Egitto è stato interessato da fenomeni di reislamizzazione. Lo studio individuale e collettivo del Corano, la diffusione di dibattiti finalizzati a formulare modelli di vita e società impostati sulla devozione, la crescente importanza del ruolo dei movimenti politici che pongono alla base della propria mobilitazione la fede islamica, la maggiore visibilità pubblica dell’associazionismo islamico e del volontariato della da‘wa hanno portato un numero crescente di musulmani a riconsiderare la religione come una precondizione della conoscenza e della vita quotidiana e un orientamento per l’attività nella propria società.

11In Siria, ad esempio, il proliferare di gruppi di studio in moschea, la ritrovata centralità di alcuni importanti scienziati islamici (‘ulema’) nella consulenza giuridico-morale al potere politico, la crescente visibilità dei simboli religiosi nelle azioni e nei discorsi delle élite politiche avevano iniziato a diffondere nella società modelli islamici di vita privata e collettiva, idee di interrelazioni familiari e sociali di ispirazione religiosa, politiche collegate al patrimonio culturale nelle quali l’Islam aveva un ruolo importante, accanto ad altri elementi dell’identità nazionale siriana (Copertino 2019). In Tunisia, a partire dagli anni Settanta, il risveglio islamico ha comportato l’emergere di gruppi che intendono superare le forme tradizionali di pratica religiosa, riformulare le concezioni di autorità, collegare le visioni del mondo religiose a processi sociali, economici, politici ed educativi, formulare cornici teoriche e morali impostate sulla devozione e capaci di influenzare gli stili di vita e le scelte delle persone (Copertino 2021); anche l’opposizione politica a partire da quel decennio ha iniziato ad esprimersi in termini islamici: negli anni Ottanta lo Harakat al-ittijah al-islami (Movimento della tendenza islamica), diventato in seguito Hizb Ennahda, iniziò a partecipare alle elezioni politiche – in seguito alle quali tuttavia esso fu ripetutamente represso – e a costruire reti di solidarietà nazionali e internazionali che lo hanno portato a diventare la principale forza politica nelle prime elezioni democratiche del paese, nel 2012.

  • 21 Questo articolo della Costituzione riporta: «l’Islam è la religione di Stato, l’Arabo è la lingua u (...)
  • 22 Nel 1975, il Ministero della Giustizia formò un Comitato supremo finalizzato a controllare la coere (...)
  • 23 I movimenti islamisti, cioè i gruppi politici di ispirazione islamica, furono riammessi nella vita (...)
  • 24 Sadat era alla ricerca di una nuova base sociale, dato che la tradizionale base del regime egiziano (...)
  • 25 L’Egitto ha la più cospicua minoranza cristiana in Medio Oriente; i Copti sono tra il 4% e l’8% del (...)

12In Egitto, negli anni Ottanta del Novecento, il ruolo sociale e politico dell’Islam iniziò a manifestarsi attraverso una crescente presenza nello spazio pubblico (l’adozione di un abbigliamento simbolicamente marcato da parte di molti musulmani, l’affollamento delle moschee, la maggiore presenza del discorso religioso nei media: cfr. Lavie 2017), una maggiore apertura delle istituzioni al riconoscimento del ruolo pubblico dell’Islam (soprattutto durante la presidenza di Anwar al-Sadat), la promozione, da parte del potere politico, di un’idea di legge islamica coerente con politiche economiche e sociali fondate su un programma di riforme liberali e privatizzazioni (Lombardi 2006) – ad esempio attraverso l’elaborazione di una nuova Costituzione, nel 1971, che nell’articolo 2 dichiarava l’Islam religione di Stato e la shari‘a fonte della legislazione21 –, l’apertura delle istituzioni ad autorevoli interpreti del pensiero politico di impostazione islamica22, il conseguente successo delle organizzazioni islamiste (principalmente la Società dei Fratelli Musulmani)23, riconosciute in una prima fase del regime di Sadat24, eppure responsabili di una crescente radicalizzazione, di violenze contro gli avversari politici e la minoranza copta25.

  • 26 Per questa ragione, quello che qui indico come pubblico islamico viene spesso definito Wasatiyya, o (...)
  • 27 In particolare, esso era indicato come una prerogativa dell’Islam sunnita, opposta all’impostazione (...)
  • 28 Ad esempio, il giurista Muhammad Sa‘id Ashmawi, promotore dello Stato civile, sostenne: «In Islam, (...)

13In questo clima, il concetto di Stato civile (dawla madaniyya) rappresentò un terreno di incontro tra l’intellighenzia secolare liberale e il pubblico islamico, ostile alle forme di radicalismo politico-religioso26. Mentre il pubblico islamico rivendicava il progetto di Stato civile come una prerogativa dell’Islam27, l’intellighenzia liberale utilizzava il concetto di madani (civile) in sostituzione di quello di ‘almani (secolare), considerato provocatorio dal pubblico islamico. In questa negoziazione politico-intellettuale tra soggetti pubblici secolari e religiosi, il progetto di Stato civile indicava una forma di organizzazione politico-istituzionale che, pur separando la religione dalla politica e dalla legislazione, riconosceva l’Islam come la principale fonte di valori morali e modelli culturali e non confinava la religione alla sfera privata28.

14Da quanto detto finora consegue che, per comprendere in chiave antropologica la relazione tra visioni del mondo basate su una simbologia religiosa islamica, ethos di una società a maggioranza musulmana e modelli di organizzazione politico-istituzionale basati su principi islamici, non si possa semplicemente partire dalla constatazione che l’Islam sia un «progetto di ordine sociale» (Gellner 1981: 1), ma sia necessario indagare etnograficamente le relazioni tra un determinato contesto culturale, delle circostanze storiche a partire dalle quali alcuni soggetti pubblici emergono come interpreti autorevoli dei testi sacri e delle altre fonti religiose, e delle tradizioni discorsive che, attraverso genealogie di referenze autorevoli, collegano questi testi a specifiche modalità di azione politica e ordinamento sociale, collegate a quadri di riferimento impostati sulla devozione.

15In Egitto, a partire dagli anni Ottanta del Novecento, questo collegamento tra fonti religiose e ordinamento sociale e politico della vita pubblica e istituzionale è stato oggetto dell’elaborazione intellettuale e dei programmi politici di una serie di soggetti: il potere politico rappresentato dal regime del presidente Hosni al-Mubarak (eletto nel 1981, in seguito all’assassinio del predecessore Sadat); il pubblico islamico, rappresentato dalla Società dei Fratelli Musulmani e da altri movimenti islamici formali e informali, come il partito Nour; gli ‘ulema’ della moschea-università al-Azhar; intellettuali secolari impegnati nel dialogo – a volte nello scontro – con l’intellighenzia islamica. Anche in questa fase, il progetto di Stato civile fu al centro del dibattito fra questi soggetti politici e religiosi.

  • 29 In precedenza, la Società dei Fratelli Musulmani aveva concepito la democrazia come forma di domini (...)
  • 30 Il partito Nuovo Wafd (sorto sulle ceneri del partito Wafd, fondato dal leader indipendentista Sa‘d (...)
  • 31 In un dibattito pubblico nel 1992 su «Egitto tra Stato religioso e Stato civile», Ma’moun al-Hudayb (...)

16Durante il primo decennio della presidenza Mubarak, la parziale apertura del regime aveva portato la Società dei Fratelli Musulmani ad accrescere il proprio consenso al punto da diventare il principale movimento d’opposizione e ad accettare la logica della partecipazione democratica e l’idea di un governo legittimato dal popolo attraverso libere elezioni (Lavie 2017)29. Il progetto di Stato civile, sebbene non fosse ancora pienamente accettato dai Fratelli musulmani, negli anni Ottanta rappresentò un ambito di elaborazione comune tra parte del pubblico islamico e l’intellighenzia liberale: ad esempio, il leader del partito liberale Nuovo Wafd, Farag Fawda, sostenne un progetto politico finalizzato a stabilire un’autorità civile che garantisse la libertà di pensiero, associazione e parola, lo stato di diritto, la giustizia sociale, il rispetto dei diritti umani e che, pur prevedendo un’affiliazione nazionale sulla base della cittadinanza e non della religione, non escludesse che i principi della legislazione potessero essere islamici30. Lo Stato civile, nella formulazione di Fawda, non era concepito come una comunità senza religione, ma una forma politica che non prende alla leggera il nome di Allah (Lavie 2017; Hatina 2007)31.

  • 32 La Società dei Fratelli Musulmani iniziò ad avvicinarsi a questa elaborazione politica comune tra p (...)
  • 33 Secondo l’intellettuale islamico Fahmi al-Huwaidi, ad esempio, l’Islam promuove il pluralismo, le v (...)
  • 34 Al-Qaradawi si espresse contro l’idea della conciliabilità tra queste istanze, ricordando lo hadith (...)
  • 35 In questa prospettiva, il massimalismo di alcuni gruppi islamici radicali era rifiutato, in quanto (...)

17Dal versante politico-religioso, il pubblico islamico tra gli anni Ottanta e Novanta si è avvicinato ad un’idea di separazione tra religione e Stato32 e ha iniziato a condividere un progetto di Stato civile, non militare, devoto all’Islam, in cui il popolo elegge il capo di Stato, che di conseguenza non governa per diritto divino, ma esprime un governo civile (hakuma madaniyya), legittimato dalla volontà popolare che si manifesta attraverso la partecipazione democratica e il pluralismo33, in un’organizzazione politico-istituzionale che concili salafiyya (ritorno allo spirito dei Predecessori) e tajdid (innovazione)34, al-‘asala (tradizione) e al-mu‘asara (modernità)35. In questa prospettiva, il concetto di Stato civile viene ampliato dal pubblico islamico per comprendere una fonte di autorità (marja‘iyya) islamica; in questo progetto politico-istituzionale, contrapposto al disegno teocratico di uno Stato governato dagli studiosi di scienze islamiche, ma anche alle teocrazie cristiane dell’Europa medievale, il potere legislativo è vincolato ai principi della religione e, di conseguenza, la Costituzione dello Stato non è considerata come un documento di origine puramente umana. Si potrebbe trasporre questa logica nello schema seguente:

Stato civile con fonte vs Stato civile con fonte vs Teocrazia
di autorità secolare ---- di autorità islamica

  • 36 Questa formulazione appare anche nella piattaforma del Partito libertà e giustizia, secondo la qual (...)

18Come sostenne Yusuf al-Qaradawi (cfr. nota 16), lo Stato civile con fonte di autorità islamica «non è uno Stato religioso o una teocrazia che controlla la gente o la loro coscienza in nome della verità divina. Non è uno Stato di preti o di un clero che pretenda di rappresentare il volere divino nel mondo o il volere del Cielo al di sopra dei popoli della terra, così che ciò che loro decidono sarebbe deciso nel Cielo e ciò che proibiscono sulla terra sarebbe proibito nel Cielo!» (Qaradawi 1997, cit. in Tadros 2012: 52-53)36.

  • 37 Ad esempio, in un discorso pubblico nel 2010 Mubarak disse: «We act to [create] a modern civil stat (...)

19Negli anni Novanta, la logica dello Stato civile divenne parte dell’ideologia ufficiale del Partito Nazionale Democratico37, che la declinava come un progetto moderno di organizzazione politica che non fosse né puramente secolare, né integralmente religiosa, ma separasse la politica dalla religione, considerando quest’ultima come la fonte dei suoi valori supremi (giustizia, libertà, uguaglianza) e promuovesse giustizia sociale, scienze, sviluppo e procedure moderne di governo (libere elezioni, alternanza al governo, rispetto della Costituzione), assicurando alla religione islamica un ruolo centrale nella legislazione, nei media, nella cultura e nell’educazione.

  • 38 Il regime di Hosni Mubarak ha resistito 30 anni, nonostante l’opposizione di partiti politici, parl (...)
  • 39 Questa piattaforma prevedeva la formazione di un comitato di esperti religiosi, scelti attraverso e (...)
  • 40 «Lo Stato islamico è fondamentalmente civile, con tutto ciò che questo comporta nei termini della s (...)
  • 41 Nel discorso pubblico islamico, la shura è intesa come l’equivalente islamico della democrazia stes (...)
  • 42 Il consenso della umma non è infallibile e deve essere aperto al ragionamento autonomo dei sapienti
  • 43 Il ragionamento individuale e indipendente da parte dei sapienti sulle questioni che nel Corano e n (...)
  • 44 Il principio del bene comune era inteso tradizionalmente come una regola per l’interpretazione dei (...)
  • 45 Nella piattaforma del Partito Libertà e Giustizia si legge che lo Stato civile con fonte di autorit (...)
  • 46 Come sostenne Qaradawi, «Neither he [ruler] nor others from among people can cancel these rulings o (...)

20Dopo un periodo segnato dalla repressione delle organizzazioni islamiche da parte del regime di Mubarak38, negli anni precedenti alla rivoluzione del 2011 un avvicinamento tra l’establishment e la Società dei Fratelli Musulmani si manifestò da una parte attraverso la legittimazione delle organizzazioni politiche di tipo islamico, e dall’altra attraverso l’accettazione da parte del pubblico islamico della logica dello Stato civile, inteso come un modello politico inerente all’Islam, parte dei progetti di Allah per la vita organizzata dei propri devoti. Nel 2007 Mohammed Morsi, leader della Società dei Fratelli Musulmani e primo presidente eletto democraticamente nella storia dell’Egitto, nella piattaforma del futuro Partito Libertà e Giustizia39, che si autodefiniva un «partito civile» (hizb madani) con l’obiettivo di «rafforzare la morale, i valori e i concetti islamici nella vita delle persone e della società» (al-Anani 2015: 532), spiegò che il progetto dello Stato civile con fonte di autorità islamica andava accolto, poiché esso non contraddice il progetto politico del movimento islamico40 e, al contrario, corrisponde alla stessa umma, poiché mette in atto le norme di vita organizzata (come la scelta del leader, la delega del popolo ai governanti (bay‘a), l’assemblearità (shura)41, il consenso (ijma‘)42, il ragionamento indipendente (ijtihad)43, il bene comune (maslaha)44, la responsabilità del capo dello Stato di fronte alla umma, il diritto dei sapienti di dare consulenza a chi governa)45 stabilite da Allah nel Corano46. Questo significava, da parte del pubblico islamico, rigettare la teocrazia, senza per questo rinunciare a indicare i principi della religione come fonte di autorità per lo Stato e a concepire l’Islam come un sistema universale, all’interno del quale non ha senso separare la religione dalla politica.

  • 47 Dopo il crollo del regime di Mubarak, la Società dei Fratelli Musulmani avviò della trattative con (...)
  • 48 Alcuni soggetti politici, tra cui gruppi giovanili e attivisti dei social media, rivendicavano il c (...)
  • 49 Il primo ministro ad interim, Ali al-Silmi, scrisse una bozza di principi sovra-costituzionali, mol (...)

21In concomitanza con i disordini della rivoluzione del 2011 e il conseguente aumento del potere del Majlis al-‘A‘la lil-Quwwat al-Musallaha (Consiglio Supremo delle Forze Armate, CSFA)47, il pubblico islamico iniziò a sottolineare, accanto alla piena rispondenza tra i principi sociopolitici islamici e lo Stato civile, anche il carattere non militare di questo tipo di organizzazione politico-istituzionale; nella piattaforma del Partito Libertà e Giustizia si legge: «Lo Stato islamico è per propria natura uno Stato civile, non è uno Stato militare governato dall’esercito, che conquista il governo con un golpe militare» (cit. in Tadros 2012: 52). «Madaniyya! Madaniyya! (Civile! Civile!)» era uno slogan spesso utilizzato nelle manifestazioni nel maggio del 2011, in cui gruppi islamici e secolari si unirono contro l’obiettivo comune rappresentato dai privilegi e dal potere del CSFA. Nella fase rivoluzionaria, tuttavia, le negoziazioni tra il pubblico islamico e i movimenti secolaristi, in merito al carattere civile del progetto di ricostruzione dello Stato, furono caratterizzate da frequenti riposizionamenti48, che portarono gli apparati militari a emergere come principali sostenitori dello Stato civile (Ahram online 2011)49, inteso come organizzazione non religiosa, con l’opposizione di gran parte del pubblico islamico (per il quale Stato civile significava principalmente non militare), ma con l’assenso dei soggetti politici non islamici, che accettarono l’autorità militare a patto che essa tutelasse il carattere civile (non religioso) dello Stato. Questo tipo di contrapposizioni potrebbe essere schematizzato come segue:

Teocrazia vs Stato civile vs Stato civile vs Stato secolare
------------- (non religioso) (non militare)

  • 50 In Egitto, nel marzo del 2012 fu eletta l’Assemblea costituente, presieduta da un membro della Soci (...)
  • 51 Il pluralismo è uno degli ideali qualificanti del discorso pubblico islamico tunisino (Copertino 20 (...)
  • 52 Andavano in questo senso l’alleanza del Partito Libertà e Giustizia con gruppi salafiti (come Hizb (...)
  • 53 Tra le cause del repentino crollo della Società dei Fratelli Musulmani, la principale è stata il ma (...)
  • 54 La repressione dei Fratelli musulmani, dopo il colpo di Stato, è stata di una violenza inusitata: c (...)
  • 55 Il Comitato che redasse la nuova Carta costituzionale era composto al 90% da rappresentanti dei mov (...)

22Contraddicendo l‘idea del carattere laico delle rivolte del 2011, che hanno indotto alcuni – seguendo le tesi di Olivier Roy (1999) – a individuare una fase post-islamica nelle politiche rivoluzionarie in Medio Oriente (Louer 2011;, Zeghal 2011; Bayat 2011), le prime elezioni democratiche in Egitto e Tunisia, tra il 2011 e il 2012, sancirono il successo dei movimenti islamici50. In Tunisia il lungo processo di dialogo tra il movimento islamico e le forze politiche liberali, nell’Assemblea Nazionale Costituente, e tra il pubblico islamico e l’opinione pubblica secolare all’esterno dell’Assemblea, ha portato all’elaborazione di un progetto di Stato civile inteso come organizzazione politico-istituzionale moderna, pluralista51, che garantisce ai principi islamici un ruolo centrale tra le fonti della legislazione e dell’autorità. In Egitto, al contrario, tale convergenza non si è verificata; la tendenza della Società dei Fratelli Musulmani ad accentuare il carattere islamico delle istituzioni52 fu tra le cause che condussero, nell’estate del 2013, alle proteste contro il governo a maggioranza islamica presieduto da Mohammed Morsi, alla sua destituzione53 – salutata dall’opinione pubblica secolare come il trionfo dello Stato civile –, alla presa del potere da parte della giunta militare presieduta dal generale Abdel Fattah al-Sisi, tuttora in carica, a nuove persecuzioni contro i movimenti islamici54 e alla redazione di una nuova Costituzione nella quale il carattere civile dello Stato, associato a concetti quali «autorità civile» (hakuma madaniyya) e «governo civile» (hukumatiha madaniyya), veicolava un significato più marcatamente collegato al carattere secolare e non religioso delle istituzioni55.

  • 56 Sebbene Geertz rispondesse raramente alle critiche (Rorty 1986), a Gellner rispose (Geertz 1995, Bo (...)
  • 57 Più precisamente, Gellner, riprendendo un saggio di Geertz sull’anti-antirelativismo, dimostra che (...)
  • 58 Tale forma di organizzazione politica è considerata un’eredità del colonialismo europeo e un modell (...)

23Come è noto, le teorie di Geertz sulla cultura, la religione, il significato, la descrizione esile/densa, l’interpretazione, sono state ampiamente discusse e criticate. Oltre alle critiche di Asad, con le quali ho aperto l’articolo, è interessante per gli obiettivi di questo studio osservare la critica di un altro antropologo esperto di Medio Oriente e di società islamiche, Ernest Gellner56. In una discussione dell’impostazione geertziana, inserita in una critica più ampia della prospettiva culturalista, del paradigma interpretativo e in generale dell’ermeneutica in antropologia (critica finalizzata a una difesa della prospettiva funzionalistica e dell’antropologia sociale britannica nel suo complesso), Gellner scrive: «un resoconto “ermeneutico” di un sistema politico ci lascia a domandarci se ci è stata offerta una spiegazione di un ordinamento sociale, o semplicemente una descrizione della sua atmosfera» (1988: 303). Ritengo che quella che Gellner definisce «l’atmosfera» corrisponda a ciò che Geertz definisce ethos; questo, come ho cercato di dimostrare, è tutt’altro che un dettaglio di poco conto, nella comprensione antropologica di un ordinamento sociale o di un sistema politico; al contrario, la comprensione degli ethos condivisi da gruppi umani (ad esempio, un ethos basato su principi religiosi e indirizzato all’impegno sociale e politico da parte del pubblico islamico tunisino, cfr. Copertino 2021) consente di cogliere le parziali sovrapposizioni, ma anche le divergenze, tra concetti come Stato e società, che nell’impostazione di Gellner risultano interscambiabili. Inoltre, la critica geertziana alla trasposizione del dominio politico dell’impero britannico in dominio concettuale, operato dalla scuola britannica di antropologia sociale (ad esempio attraverso la formulazione del concetto di società prive di Stato per descrivere i contesti africani studiati, tra gli altri, da Evans-Pritchard), è attribuita da Gellner (1992) all’adozione di uno stile dubbioso, amletico, postmodernista, impostato intorno a parole d’ordine come relazione soggetto/antropologo, cambiamento, complessità, testualità, traduzione, relativismo57. Tuttavia, come ho cercato di dimostrare nelle pagine precedenti, l’interpretazione di concetti come Stato secolare, Stato civile, Stato civile con fonte d’autorità islamica, è centrale per comprendere le modalità attraverso le quali un modello politico-istituzionale di origine occidentale e moderna, ossia lo Stato, nel momento in cui viene trasposto in altri contesti socioculturali, è oggetto di rielaborazioni, adattamenti, trasformazioni. In Medio Oriente il pubblico islamico, dopo aver contestato a lungo l’idea stessa di Stato-nazione (definito, in accezione negativa, «Stato territoriale», ad-dawla al-qutriya)58, ha rielaborato le proprie concezioni di autorità politica, potere, governo, organizzazione istituzionale, in parte piegando le proprie categorie concettuali per accogliere quelle di origine europea e coloniale, in parte trasformando tali categorie sulla base della rivendicazione delle proprie specificità storiche e culturali.

24Nella polemica aperta da Gellner in merito all’ermeneutica, il paradigma interpretativo è considerato la premessa per il successivo sviluppo della prospettiva postmodernista in antropologia, la cui principale caratteristica è secondo Gellner la rinuncia a qualsiasi tentativo di spiegazione oggettiva dei fatti socioculturali. In un passaggio interessante, ma non approfondito, Gellner (1992) propone un correlazione tra tre elementi/fattori centrali nello sviluppo delle prospettive antropologiche che egli critica: un elemento teorico (la rinuncia all’individuazione di fatti oggettivi), uno storico-politico (la decolonizzazione) ed uno pratico-metodologico (la crescente difficoltà nello svolgimento di ricerche sul campo nei contesti postcoloniali). Scrive:

Two things had happened: the scientistic impulse had failed to yield any great results, and this was eventually noticed; and in social anthropology fieldwork became increasingly more. difficult and uncomfortable. Under the colonial system, the widely employed method of indirect rule preserved neat, conspicuous, ritually highlighted social structures; but in the post-colonial world the existence of archaic structures was frequently denied by the new authorities, and local administrators were hostile to extraneous researchers. Their ideology precluded the recognition of archaic structures, their interests were threatened by the presence of independent outsiders, free to report whatever they liked. The disillusion with the scientistic aspiration and the inconveniences, conceptual and political, of trying to find things out on the ground made it terribly attractive to turn to hermeneutic- relativist-subjectivism (1992: 46-47).

  • 59 Gli etnografi imbevuti di ermeneutica, sembra suggerire Gellner, hanno difficoltà a individuare que (...)

25In Tunisia e in Egitto – come in altri contesti mediorientali e nordafricani – il mandato francese e il protettorato britannico introdussero strutture amministrative e politico-istituzionali che, almeno in teoria, si ponevano in contrasto con sistemi sociali e forme di organizzazione politico-giuridica locali, come le strutture segmentarie, le corti sciaraitiche, le scuole giuridiche islamiche, le confraternite sufi, i residui delle strutture imperiali ottomane; per contrasto con le strutture moderne (lo Stato, l’istruzione, la pubblica amministrazione), queste strutture, che apparivano «arcaiche», erano «ritualmente enfatizzate» e si manifestavano con evidenza nella vita pubblica; ad esempio, il ruolo pubblico degli ‘ulema’ in Egitto diventò sempre più evidente con le dominazioni europee (Mishra 2012). Si può di conseguenza seguire Gellner e ritenere che in fase coloniale lo studio antropologico di simili strutture socio-politiche potesse essere condotto attraverso l’osservazione diretta di realtà che si manifestavano con chiarezza nella propria oggettività. Questa possibilità, sempre seguendo Gellner, sarebbe venuta meno in fase post-coloniale (sotto Bourguiba in Tunisia, Nasser e Sadat in Egitto, Hafez al-Asad in Siria, eccetera), quando il potere politico di impostazione secolare si ripromise di far scomparire l’Islam dalla sfera pubblica, reprimendo l’attivismo politico islamico e costringendo il pubblico islamico alla clandestinità59. Quello che Gellner non poteva prevedere è stato il lento e occasionale riemergere di queste strutture sociali e forme di organizzazione politica alternative rispetto alla modernità occidentale, nella fase post-postcoloniale (Campanini 2013) (coincidente grosso modo con l’avvento al potere di Mubarak, Ben Ali, Bashar al-Asad), sotto forma di cooptazione nell’amministrazione giudiziaria, di parziale apertura all’attivismo islamico, della crescente presenza di modelli di soggettività e di un discorso socio-politico islamico nella vita pubblica. La forte presenza di queste «strutture», con le loro proposte di organizzazione politica (come lo Stato islamico o lo Stato civile) alternativa rispetto ai modelli ai quali avevano fatto ricorso le élite coloniali e postcoloniali, è emersa in modo dirompente durante la fase rivoluzionaria successiva alle «primavere» del 2010/2011, con esiti differenti nei diversi contesti: in Siria lo jihadismo armato si è inserito nell’iniziale protesta democratica contro il regime del partito Ba‘th, trasformando la sollevazione popolare in un conflitto armato di livello internazionale. In Egitto, la maggioranza islamica è stata rovesciata dal colpo di Stato militare, come si è visto nelle pagine precedenti. In Tunisia il movimento Ennahda, già espressione dell’islamismo locale, ha partecipato alla gestione democratica del potere per un decennio, in seguito alla partecipazione al processo rivoluzionario; tuttavia, la recente dichiarazione dello stato d’emergenza in Tunisia (con la conseguente sospensione del Parlamento, da parte del Presidente Kais Saied, e le frequenti minacce contro alcune organizzazioni islamiche; cfr. Lafrance 2021) fa pensare a una nuova svolta autoritaria del potere politico anche in questo paese (Dahmani 2021a, 2021b).

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Note

1 Jamal al-Din al-Afghani (1838-1897), grande intellettuale, riformatore politico e viaggiatore ottocentesco (attivo in Persia, Egitto, Sudan, Francia, Istanbul e in varie parti dell’impero ottomano), fu tra gli iniziatori del riformismo islamico. Sostenitore della necessità di rifondare il sistema educativo superiore delle moschee-Universitá, ritenute responsabili di trasmettere un sapere inutile di fronte al diritto secolare e di contribuire all’irrigidimento del pensiero islamico, Afghani insistette sull’educazione alle scienze razionali e su un nuovo approccio ai testi islamici, che oltre alla memorizzazione prevedesse l’interpretazione individuale; egli riteneva che i diversi ambiti scientifici andassero collegati, dal momento che gli studiosi delle scuole occidentalizzate ignoravano l’Islam e quelli delle scuole religiose ignoravano le scienze moderne (Keddie 1968). Afghani è considerato il fondatore dell’islamismo, sulla base della sua concezione dell’Islam come uno strumento di mobilitazione politica – e non semplicemente un complesso di rituali e pura speculazione intellettuale – e della umma come una “patria islamica” internazionale, che avrebbe permesso ai popoli musulmani di unirsi contro l’imperialismo britannico (egli fu attivo anche in India) e l’espansionismo culturale dell’Occidente.

2 Muhammad ‘Abduh (1849-1905), allievo di al-Afghani, Mufti d’Egitto (giureconsulto e massimo esponente del sistema giuridico-religioso nazionale) e insegnante alla moschea-Universitá al-Azhar, svolse un ruolo centrale nella formazione di una coscienza nazionale egiziana, nell’epoca della crisi dell’impero ottomano e dell’occupazione britannica (Hourani 1983), e pagò il proprio impegno politico con l’esilio (a Parigi, Londra, Beirut e Tunisi).

3 Secondo la prospettiva teologica-riformista di Afghani e ‘Abduh, le comunità musulmane dovevano rinascere dalla propria decadenza (attribuita all’arretratezza del sistema dell’istruzione superiore, all’impostazione educativa basata sull’imitazione (taqlid) e all’idea della predestinazione, che spinge all’inazione) attraverso l’adozione di istituzioni e tecniche occidentali, ma in un’ottica di recupero del messaggio sociale e politico (Abduh 2003; Nasser 2009) dell’Islam, che va reinterpretato e reso comprensibile ai Musulmani del XIX-XX secolo (Branca 1991). Abduh collegava l’atteggiamento di imitazione irrazionale delle regole della prima comunità musulmana all’emergere del dominio turco e al diffondersi di una generale disposizione alla sudditanza nei confronti del potere. Abduh si ripromise «to liberate thought from the shackles of taqlid, and understand religion as it was understood by the elders of the community before dissension appeared; to return, in the acquisition of religious knowledge, to its first sources, and to weigh them in the scales of human reason, which God has created in order to prevent excess or adulteration in religion, so that God's wisdom may be fulfilled and the order of the human world preserved; and to prove that, seen in this light, religion must be accounted a friend to science, pushing man to investigate the secrets of existence, summoning him to respect established truths, and to depend on them in his moral life and conduct» (Abduh cit. in Hourani 1983: 140-141).

4 Secondo ‘Abduh, questa fu introdotta nel mondo islamico prima che in Europa, considerando che l’Islam ha separato l’autorità civile da quella religiosa, e la comunità islamica ha inteso sin dalle origini l’autorità politica come una prerogativa umana, legata alle scelte dei popoli, e non di emanazione divina. Chi detiene l’autorità politica è sottoposto alla sovranità popolare, non è immune da errori, non impone la religione e non può arrogarsi l’interpretazione autentica dei testi sacri.

5 Ad esempio Abrams 1968; Mitchell 1991; Gupta 1995; Hansen, Stepputat 2001; Das, Poole 2004; Krohn-Hansen, Nustad 2005; Fuller, Harris 2001. La separazione Stato/società nelle scienze sociali deriva dall’impostazione di Weber e Durkheim, secondo i quali nelle società moderne, organizzate sulla base di principi legali e razionali, esiste una distinzione chiara e univoca tra le istituzioni che governano le interrelazioni personali e quelle che normano la collettività, mentre nelle “società tradizionali” tale distinzione è più sfumata.

6 Ad esempio, la prospettiva basata sui princìpi dell’Islam di Abduh prevedeva una conciliazione tra fede nella rivelazione e ragione: «[...] Le azioni sono buone o malvagie in se stesse, a motivo delle loro conseguenze particolari o generali; la ragione e i sensi dell’uomo pertanto sono in grado di distinguere le une dalle altre [...] senza aver bisogno di fondarsi su una Rivelazione. [...] Come abbiamo visto la ragione può giungere a concepire gli attributi divini. Se dunque un pensatore riesce a dimostrare Dio e i suoi attributi in forza del proprio ragionamento e senza la guida di alcuna Rivelazione, come è a volte accaduto, e se costui deduce da ciò e dalle considerazioni che fa rispetto all’evoluzione di se stesso che i principi spirituali sopravviveranno alla morte, il che si è verificato presso i più vari popoli, se poi ne ricava con argomenti più o meno validi che la vita ultraterrena comporterà felicità o tormento e metterà in relazione la beatitudine con la conoscenza di Dio e l’esercizio delle virtù e il castigo dell’ignoranza di Lui e alla pratica dei vizi e se infine concluderà che tra le azioni ve ne sono alcune che sono utili all’anima per conquistare la felicità dopo la morte e altre che le sono nocive e le procureranno il castigo, quale ragionamento o quale dogma gli impediscono di arrivare ad afferrare, basandosi semplicemente sulla ragione, che la conoscenza di Dio, le virtù e le azioni che ne derivano sono da ritenersi obbligatorie, mentre il vizio e quanto ne consegue sono da considerarsi proibiti? Chi gli impedisce di stabilire delle regole che ritiene valide e di invitar gli altri a condividere le cose in cui crede e a imitare la sua condotta, finché resta nei limiti di quanto fissato dalla Rivelazione?» (Abduh in Branca 1991: 136-137). Sebbene Abduh ammirasse la modernità europea e condividesse il progetto di Muhammad Ali (governatore dell’Egitto nella prima metà del XIX secolo) di importazione di leggi, istituzioni, scienze, tecniche e metodi di governo europei, egli riteneva che non ci fossero relazioni tra questi elementi di importazione e le tradizioni egiziane, così come tra il sistema educativo moderno e quello religioso. Abduh riteneva che una soggettività moderna non dovesse necessariamente rifiutare una Rivelazione come guida per la vita e che l’Islam contenesse il potenziale della razionalità, delle scienze sociali e naturali e della moralità, ossia le basi della vita moderna.

7 Il concetto di Stato civile iniziò a diffondersi in Medio Oriente proprio in conseguenza del successo di quello di società civile, all’inizio degli anni Novanta del XX secolo, in seguito alle liberalizzazioni politico-economiche degli anni Settanta e Ottanta (Tadros 2012).

8 Qualche anno prima di Interpretation of cultures (1973), Geertz aveva pubblicato Islam observed (1968), in cui proponeva un’analisi storico-culturale dell’Islam in due contesti specifici, il Marocco e l’Indonesia.

9 Secondo Geertz, ogni oggetto, atto, avvenimento, qualità, rapporto che serva da veicolo per un concetto o un significato, è un simbolo (ad esempio il numero 6, la Croce, Guernica, il churinga, una parola, un prefisso o suffisso). Un simbolo è la formulazione tangibile di una nozione, un’astrazione dell’esperienza fissata in forma percepibile, l’incarnazione concreta di un’idea, un atteggiamento, un giudizio, un desiderio, una credenza. Asad ritiene che nella definizione geertziana manchi una chiara distinzione tra simbolo, concetto (da una parte) e realtà non simbolica (dall’altra). Geertz intende le strutture simboliche come modelli di rappresentazione della realtà. Ad esempio, un modello di rappresentazione della società, usato per spiegare ciò che succede, come il modello di società segmentaria. Ma se uno sceicco recita una genealogia allo scopo di compiere delle scelte, essa diventa un modello per la realtà, ad esempio, una teoria idraulica o un diagramma di flusso spiegano il funzionamento dell’acqua in relazione a una diga. I modelli di processi (linguistici, grafici, sociali, meccanici) rappresentano questi processi per esprimerne la struttura. Sono concepiti come il programma (la rappresentazione, la concezione) della realtà. Secondo Asad, dunque, in alcuni punti sembra che Geertz sostenga che i simboli siano diversi dalla realtà non simbolica (esseri umani, oggetti, pratiche), mentre in altri sembra che il simbolo (inteso come oggetto, atto, avvenimento) sia un aspetto della realtà. A volte il simbolo è un aspetto della realtà, altre un aspetto della sua rappresentazione. Ma Asad sottolinea che un simbolo non è un oggetto o un evento che serve da veicolo per un significato, ma una serie di relazioni tra oggetti ed eventi, riuniti come complessi o concetti. La formazione di simboli è condizionata dalle relazioni sociali in cui l’individuo è coinvolto; in questa costruzione alcuni simboli sono stabiliti come naturali o autorevoli.

10 In alcuni passaggi tuttavia Asad sembra negare quest’idea, che è centrale nella concettualizzazione geertziana della funzione sintetica dei simboli religiosi; Asad sostiene infatti che per una persona devota i simboli religiosi restano veri, anche se non riescono a produrre stati d’animo e motivazioni, cioè anche se non sono efficaci. Non sono i simboli, secondo Asad, a far scaturire le disposizioni, ma è il potere (sotto forma di coercizione o di disciplina).

11 Asad critica la semplificazione di Geertz riguardo alla doppia funzione dei simboli religiosi, che secondo la formulazione geertziana da una parte inducono delle disposizioni e dall’altra formulano delle visioni del mondo. Questo, secondo Asad, non è possibile, perché i simboli che formulano il discorso teologico non inducono disposizioni religiose e viceversa le disposizioni religiose non dipendono sempre da una chiara concezione cosmologica da parte del devoto. Il discorso coinvolto nella pratica è diverso dal discorso coinvolto nella spiegazione della pratica stessa.

12 Asad ritiene che l’idea geertziana secondo la quale i sistemi di disposizioni indotti dai simboli religiosi conferiscano un carattere definitivo all’attività e alla qualità dell’esperienza delle persone non sia accettabile in astratto; si chiede ad esempio se si possa prevedere quali siano le disposizioni di un devoto cristiano in una società industriale e se, osservando le disposizioni di una persona, si possa stabilire se si tratti o meno di un cristiano; la risposta alla domanda retorica, secondo Asad, è negativa, perché il carattere stabile dell’esperienza di un cristiano è dato non solo dalla religione, ma anche dalle istituzioni sociali, politiche ed economiche che organizzano la sua esistenza.

13 Asad ritiene che l’insistenza geertziana sul primato del significato dei simboli religiosi, a prescindere dai processi attraverso i quali i significati sono costruiti, porti Geertz inavvertitamente a sposare il punto di vista della teologia. L’idea è che, per essere religiose, le pratiche devono affermare qualcosa sulla natura fondamentale della realtà, cioè formulare significati e visioni del mondo, anche se oscure, vacue e perverse. Attraverso quest’idea, secondo Asad, si esercitò l’evangelizzazione di Asia, Africa e Sud America, dato che i rituali dei popoli non evangelizzati erano visti in alternativa come pratiche che non affermavano niente, cioè erano prive di significato (e di conseguenza si poteva attribuire un significato cristiano a queste pratiche, riportandole ai testi sacri), oppure come pratiche che affermavano qualcosa di oscuro, vacuo, perverso, che avevano cioè un significato che poteva essere scartato come insensato o diabolico (e di conseguenza le loro visioni del mondo erano giudicate sulla base di una teoria religiosa cristiana). In entrambi i casi, secondo Asad, va portata alla luce la teoria religiosa che è nascosta (oppure è sbagliata) dietro quelle manifestazioni rituali.

14 Riprendo la definizione di «pubblico islamico» (Merone et alii 2018), restringendola a coloro che adottano forme pacifiche e democratiche di partecipazione pubblica sulla base della propria identità musulmana.

15 Sin dalla seconda metà del XIX secolo, il concetto di sulta madaniyya (autorità civile) iniziò a circolare all’interno di un più ampio discorso sulla secolarizzazione; ad esempio, per l’intellettuale e politico liberale Farah Antoun, l’autorità civile coincideva con uno Stato scolare, moderno e progressista, che prevede la completa uguaglianza di tutti i membri della nazione. Negli ambienti islamici, tuttavia, a lungo – e fino ad oggi in alcuni casi – la secolarizzazione è stata concepita come un frutto del dominio occidentale. Nel primo quarto del XX secolo si iniziò a ragionare intorno al concetto di Stato civile, come proposta di ricostruzione dopo l’indipendenza dall’Impero ottomano (1914), ma esso in molti ambienti suonava come un concetto occidentalizzante (Lavie 2017).

16 Secondo Yusuf al-Qaradawi, intellettuale islamico e dirigente della Società dei Fratelli Musulmani, ad esempio, «Secularity, whether it manifests itself in the denial of religion or enmity towards it or whether secularism takes the form of separation of religion from state and its isolation from having an impact on public life and society such as in politics and economics, culture, religion etc. is considered as anathema to the Islamic state» (cit. in Tadros 2012: 55).

17 In questo senso, si può condividere la critica rivolta da Asad a Geertz in merito alla definizione di “prospettiva religiosa”. Geertz, allo scopo di difendere la religione dall’accusa di irrazionalità, la definisce una prospettiva distinta dalle altre (scientifica, artistica, del senso comune) e che, di conseguenza, non compete con esse. Secondo Asad, parlare di prospettiva fa pensare a un’opzione; questo può essere vero per una religione in un contesto secolare, ma non per la scienza e la tecnologia, che permeano e creano la vita sociale, ciò che la religione non fa più. La religione oggi è un’opzione, ma la scienza non lo è. Inoltre, Geertz cerca di connettere la prospettiva religiosa con quella del senso comune, ciò che – a parere di Asad – rivela l’ambiguità del ragionamento geertziano. Asad infatti pone (a Geertz che, come solitamente faceva di fronte a simili critiche, non rispose) la questione se la cornice religiosa e il mondo del senso comune siano indipendenti dall’individuo che vi si muove; a volte sembra che la risposta di Geertz sia affermativa (ad esempio, quando dice che il mondo del senso comune serve alla sopravvivenza dell’uomo, o che il mondo religioso fa cambiare il mondo del senso comune, mentre il contrario non avviene), altre negativa (ad esempio, quando sostiene che il credente, cambiando prospettiva, cambia egli stesso e, di conseguenza, modifica e corregge il mondo del senso comune).

18 Questo si rifletteva probabilmente nella successiva formulazione generale del concetto di religione in termini interpretativi, della quale Asad critica proprio il carattere moderno, privato, collegato a un’idea di credenza come stato mentale e non come attività costitutiva del mondo e a un’idea di fede come senso di convinzione, ovvero precondizione della conoscenza, e non come conclusione di un processo di conoscenza pratica. Eppure, Asad nota come nel Medioevo la credenza cristiana, che era un orientamento per l’attività efficace nel mondo, si costruisse sulla conoscenza (della dottrina, della legge canonica, delle condizioni ed effetti della confessione, dei regolamenti degli ordini, delle vite dei santi, eccetera), che era una precondizione della vita quotidiana. In epoca moderna, per il Cristianesimo la credenza è diventata una condizione privata e interiore, che va identificata, coltivata, testata, ma questo non è accaduto per tutte le religioni.

19 Ovvero la crescita di un’identità musulmana consapevole, verificatasi a partire dagli anni Settanta, in Egitto e altrove, con il conseguente aumento delle attività pubbliche connesse con la religione, ed evidenziato da segni eclatanti come la proliferazione di nuove moschee, il fiorire di circoli di studio, l’affollamento delle preghiere collettive del venerdì, l’aumento dei pellegrinaggi alla Mecca, accompagnati da alcuni comportamenti quali lo studio della religione, le preghiere regolari, l’abbigliamento femminile (lo hijab e in generale un vestiario mutahasham, cioè modesto) e maschile (barba, tunica, zuccotto), la segregazione sessuale, l’intenzione da parte di molti movimenti sociali e politici di imprimere alla società una conformità ai valori musulmani.

20 Questo si scontra con l’idea diffusa, secondo la quale la legge divina non possa essere modificata, mentre lo è stato nel corso della storia (Eickelman, Piscatori 1997).

21 Questo articolo della Costituzione riporta: «l’Islam è la religione di Stato, l’Arabo è la lingua ufficiale, i principi della shari‘a islamica sono una principale fonte di legislazione (mabadi’ al-shari‘a al- Islamiyya masdarun ra’ìsìun li-’l tashri')» (cit. in Lombardi 2006: 125).

22 Nel 1975, il Ministero della Giustizia formò un Comitato supremo finalizzato a controllare la coerenza della legislazione con la shari‘a. Inoltre il presidente Sadat convocò la guida sufi Abu Talib per armonizzare il diritto con la shari‘a. Abu Talib fu nominato portavoce dell’Assemblea del popolo e furono istituiti dei comitati parlamentari per preparare bozze di revisione dei codici giuridici su base islamica. L’articolo 2 della Costituzione fu emendato nel 1979 come segue: «[...] principi della shari‘a islamica sono la principale fonte di legislazione (mabadi’ al-shari‘a al- Islamiyya al-masdar ra’ìsì li-’l tashri' (corsivo dell’autore). Il Comitato di revisione stabilì che, quando la legislazione decide cosa richiedano i principi della shari‘a islamica, essa deve prendere in considerazione «il Corano, la Sunna e l’opinione dei dotti giuristi e imam» (cit. in Lombardi 2006: 134) e che le il legislatore deve «[...] fare ricorso alle norme della shari‘a nel perseguire lo stato di diritto; e se non reperisse nella shari‘a delle norme chiare, dovrebbe applicare i metodi approvati che consentono di dedurre le norme legali dalle fonti autorizzate della giurisprudenza islamica» (ivi: 134-135). La vaghezza di queste formulazioni portò la Società dei Fratelli Musulmani a organizzare proteste che in poco tempo condussero a un inasprimento del conflitto tra gruppi islamici e potere politico, fino all’assassinio del presidente Sadat, nel 1981.

23 I movimenti islamisti, cioè i gruppi politici di ispirazione islamica, furono riammessi nella vita pubblica; membri della Società dei Fratelli Musulmani furono rilasciati dal carcere e agli organi di stampa della Società fu concessa libertà d’espressione. Gli ‘ulema’ della moschea-università al-Azhar acquisirono maggiore presenza e assertività nella vita pubblica e si scontrarono con alcuni dei movimenti islamici radicali appena emersi.

24 Sadat era alla ricerca di una nuova base sociale, dato che la tradizionale base del regime egiziano, nazionalista e socialista, era delusa dagli insuccessi militari contro Israele (1967) e dal successivo trattato di pace (1977-1978), dalla grave situazione economica del paese e dalle stesse riforme di impostazione liberale intraprese da Sadat (Lombardi 2006), che aveva smantellato il partito al-Ittihad al-ishtiraki al-‘arabi (Unione socialista araba) per fondare il Partito Nazionale Democratico.

25 L’Egitto ha la più cospicua minoranza cristiana in Medio Oriente; i Copti sono tra il 4% e l’8% della popolazione (Scott 2010: 199 note 29 e 30). Sulla base di una diffusa idea dell’approccio islamico a temi quali la tolleranza, il pluralismo e la cittadinanza, essi hanno temuto che il riferimento alla shari‘a nella Costituzione comportasse la persecuzione delle minoranze.

26 Per questa ragione, quello che qui indico come pubblico islamico viene spesso definito Wasatiyya, ovvero Movimento islamico moderato (Polka 2003), una scuola di pensiero non istituzionalizzata che ha cercato di mediare nel dibattito tra élite intellettuali secolari e razionaliste da una parte e i movimenti islamici egiziani (aventi ai due poli l’Islam istituzionale rappresentato da al-Azhar e i gruppi jihadisti) dall’altra. L’intellettuale e politico egiziano Ahmad Kemal Abu al-Majd, esponente di questa corrente, nel 1991 sostenne che Wasatiyya media fra Islam istituzionale, Società dei Fratelli Musulmani ed estremisti radicali ed esprime una corrente illuminata (mustanir) e razionale dell’Islam, finalizzata a ridimensionare il ruolo preminente degli estremisti, che veicolano un’immagine distorta dell’Islam. Aperto alla società civile (da‘wa, organizzazioni professionali), Wasatiyya puntava a un attivismo islamico che sospendesse le ostilità con il potere politico e mirasse all’applicazione graduale dell’Islam, attraverso la sua rivitalizzazione nella società e nella vita quotidiana degli Egiziani. A questo scopo, Wasatiyya promuoveva una visione universale dell’Islam (shumul al-Islam) e un equilibrio tra i principi immutabili (thawabit) della religione – ovvero le dottrine, i rituali e il codice morale – e le parti modificabili (mutaghayyirat). Secondo Abu al-Majd, la moschea-università al-Azhar esprimeva un pensiero incapace di rinnovarsi, fondato sul testualismo (nususiyya) responsabile di una «deplorable retrogression that has so impaired the competency of these institutions. A retrogression so severe as to render them incapable of fulfilling the role imposed upon them by the new reality of Muslim nations and the whole world. Such institutions need to radically revolutionize their modus operandi and the horizon over which they gaze upon the scope of their mission» (cit. in Polka 2003: 43).

27 In particolare, esso era indicato come una prerogativa dell’Islam sunnita, opposta all’impostazione teocratica dell’Islam sciita (Abdelnasser 1997), emersa ad esempio nella rivoluzione in Iran nel 1979; ad esempio ‘Umar al-Tilmisani, Guida Generale (Murshid al-ʿAm) dei Fratelli Musulmani dal 1972 al 1986, sostenne che l’Islam sunnita, a differenza di quello sciita, esclude il governo religioso (Lavie 2017). Inizialmente, quasi tutti gli attori politici islamici egiziani supportarono la rivoluzione, differenziando le proprie posizioni negli anni successivi; ad esempio, la Società dei Fratelli Musulmani, le associazioni della da‘wa, le piccole moschee, le organizzazioni clandestine come Jama‘t al Muslimin e al-Jihad, i predicatori indipendenti sostennero la rivoluzione iraniana in nome dell’ideale di unità tra sunniti e sciiti; i movimenti salafiti vi si opposero, essendo contrari all’unità tra sunniti e sciiti.

28 Ad esempio, il giurista Muhammad Sa‘id Ashmawi, promotore dello Stato civile, sostenne: «In Islam, government is civil. Shari‘a advocates a civil government that rules in the name of the people, rather than a religious government that claims to rule in the name of God. Only the Messenger, the Prophet, rules in God’s name. Since his death, nobody is entitled to claim that he rules on God’s behalf and that therefore he cannot be held accountable or criticized [...] One who purports to rule in God’s name does so in order to lend a halo of sanctity to his rule and render his opinions and decrees unassailable [...] Nobody is entitled to claim this [...]» (cit. in Lavie 2017: 29).

29 In precedenza, la Società dei Fratelli Musulmani aveva concepito la democrazia come forma di dominio occidentale, adottando il modello iraniano di conquista del potere attraverso l’abbattimento di un regime considerato non religioso. Il fondatore della Società, Hasan al-Banna, inizialmente propose un progetto di rifondazione del califfato, probabilmente in reazione al pensiero del giurista Ali ‘Abd al-Razek, che non riconosceva il califfato come una forma politico-istituzionale integrale all’Islam (Tadros 2012: 48). Nel corso degli anni Ottanta, nonostante le repressioni i Fratelli musulmani aumentarono la propria base di consenso, grazie ad attività sociali, quali cliniche, centri educativi, scuole islamiche, e parteciparono ad elezioni politiche, universitarie e sindacali (Al-Anani 2015).

30 Il partito Nuovo Wafd (sorto sulle ceneri del partito Wafd, fondato dal leader indipendentista Sa‘d Zaghloul), fondato da Fu‘ad Sarah al-Din nel 1977, era una coalizione di professionisti e proprietari terrieri, giuristi ed avvocati di formazione occidentale e liberale, che proponeva la riduzione delle tasse, l’annullamento dei prezzi calmierati, la modernizzazione delle leggi religiose sul matrimonio e sul divorzio, all’interno di un programma di liberalismo politico, economico e religioso in opposizione al regime di Sadat, considerato autoritario, rigido e incapace. Il successo elettorale del Nuovo Wafd alla fine degli anni Settanta spinse Sadat (e in seguito Mubarak) a restringerne le attività politiche. Fawda estese il programma del partito che includendo i diritti umani, la democrazia, la giustizia sociale, la separazione tra politica e religione, l’unità tra Copti e Musulmani, l’opposizione agli islamisti. Questi ultimi lo accusarono di promuovere un secolarismo finalizzato a svuotare la religione dei propri contenuti. Uscito dal Nuovo Wafd nel 1984 in seguito all’apertura del partito ai movimenti islamici, Fawda fondò il partito al-Mustaqbal, che riprese lo slogan del primo Wafd, «la religione per Allah, la politica per tutti»; successivamente fondò al-Jamiyya al-Misiriyya li’l-Tanwir (Società illuministica egiziana), che promosse la conoscenza delle opere dei pensatori liberali occidentali, contro il fanatismo religioso. Fawda fu assassinato da estremisti islamici nel 1992 (Hatina 2007).

31 In un dibattito pubblico nel 1992 su «Egitto tra Stato religioso e Stato civile», Ma’moun al-Hudaybi, guida suprema della Società dei Fratelli Musulmani, criticò l’idea di Stato civile sostenuta da Fawda, che a suo parere negava la natura islamica della società egiziana ed era sinonimo di secolare; Hudaybi ammise la possibilità che il governo fosse civile (al-hakuma al-madaniyya), ma escluse che esso potesse governare senza l’accordo dell’autorità islamica (Tadros 2012).

32 La Società dei Fratelli Musulmani iniziò ad avvicinarsi a questa elaborazione politica comune tra pubblico islamico e ambienti secolaristi negli anni Novanta. Nel 1997 al-Qaradawi iniziò a parlare di Stato civile con fonte d’autorità (marja‘iyya) islamica. Questo concetto entrò nel manifesto del partito Wasat, nella bozza di piattaforma del partito Libertà e Giustizia del 2007 e nella piattaforma finale del partito del 2011.

33 Secondo l’intellettuale islamico Fahmi al-Huwaidi, ad esempio, l’Islam promuove il pluralismo, le varianti della fede, i punti di vista differenti (compresa l’idea secolare della separazione tra religione e Stato) nella misura in cui le differenze tra la gente dipendono dal volere di Allah. Citando il Corano (surat an-nahl, 16), Huwaidi ricordò: «had Allah willed He could have made you (all) one nation (people of one religion) (ummatan wahidatan), but He leads astray (yudillu) whom He will and guides (yahdi) whom He will» (cit. in Polka 2003: 54) e sottolineò che il Corano (surat al- mumtahana, verso 8), di fronte a ciò che è estraneo, non ricorre a una semantica di avversione, ma aderisce ai principi della generosità, della banevolenza, della pietà (al-birr) e dell’equità (al-qist).

34 Al-Qaradawi si espresse contro l’idea della conciliabilità tra queste istanze, ricordando lo hadith secondo il quale «Allah will send to the nation (al-umma), at the beginning of every period of a hundred years, a man who will renew (yujaddidu) their religion for them» (cit. in Polka 2003: 42)

35 In questa prospettiva, il massimalismo di alcuni gruppi islamici radicali era rifiutato, in quanto espressione di mancanza di pazienza e perseveranza (sabr), una virtù centrale nella costruzione di una soggettività privata e pubblica di impostazione islamica. Secondo al-Qaradawi, i gruppi radicali non hanno sabr; Allah, tuttavia, non forza i propri credenti a fare cose al di là delle loro possibilità, secondo quanto attestato dallo hadith: «he who sees among you an abomination (munkaran), let him change it with his hand (biyadihi), and he who cannot, let him change it with his tongue (fabilisanihi) and he who cannot, let him change it with his heart (fabiqalbihi), though this be the weakest faith (ad'af al-Iman)» (cit. in Polka 2003: 46).

36 Questa formulazione appare anche nella piattaforma del Partito libertà e giustizia, secondo la quale lo Stato civile non è «a religious state (theocracy) ruled by a clergy. In Islam there are no religious men but specialized scholars of religion (‘ulama), it cannot be ruled by divine will. There are no infallible persons who monopolize the interpretation of the Koran or who specialize in the legislation for the Umma or own the right to absolute obedience and are characterized by holiness» (cit in Tadros 2012: 52). Secondo Tadros, lo Stato civile con fonte di autorità islamica sarebbe un tentativo di inquadrare lo Stato islamico minimizzando l’opposizione; a supporto di questa tesi, l’autore cita il leader salafita Muhammad ‘Abd al-Maqsoud, secondo il quale «There is no disagreement between the concept of a civil state with an Islamic reference and a religious state, since the meaning is the same and since the essence is the same but the name is different, that is fine» (cit. in Tadros 2012: 67).

37 Ad esempio, in un discorso pubblico nel 2010 Mubarak disse: «We act to [create] a modern civil state that will catch up with the world of the 21st century, stand alongside the poor and the simple folk, propel all sectors of the nation forward, refrain from mixing politics and religion, underscore the meaning of citizenship in theory and in practice, and preserve national unity between its Muslim and Coptic sons» (cit in Lavie 2017:34).

38 Il regime di Hosni Mubarak ha resistito 30 anni, nonostante l’opposizione di partiti politici, parlamentari, organizzazioni non governative per i diritti umani, movimento islamico, intellettuali indipendenti, piccoli gruppi di protesta, gruppi di pressione informali, organizzazioni sindacali (Albrecht 2013). Questo non vuol dire che il cambiamento (non contro, ma) all’interno del regime non fosse avviato molto tempo prima del suo rovesciamento nel 2011. Il regime concedeva spazi di pluralismo e non rappresentava una forma di potere statica e chiusa, ma un’entità politica adattabile, dinamica e permeabile. Esso inoltre tollerava un’opposizione leale e controllabile, che rappresentava le parti politicizzate e urbane del paese, appartenenti alle classi medio-alte. Nel 2000, tuttavia, emersero dei movimenti (Kefaya, un movimento operaio e un’organizzazione di impiegati pubblici), che non rientravano in questo schema e radicalizzarono le proteste contro l’establishment (Shorbagy 2007). A queste organizzazioni, successivamente si unì parte della Società dei Fratelli Musulmani, che nelle elezioni politiche del 2005 ottenne il 20% dei seggi e fu repressa dal regime. Nel 2010, le relazioni tra l’opposizione islamica e l’establishment erano quasi inesistenti.

39 Questa piattaforma prevedeva la formazione di un comitato di esperti religiosi, scelti attraverso elezioni nazionali, finalizzato a dare consulto al Presidente e al Parlamento.

40 «Lo Stato islamico è fondamentalmente civile, con tutto ciò che questo comporta nei termini della sussistenza dei tre poteri indipendenti (esecutivo, legislativo e giudiziario) e dell’amministrazione islamica dello Stato, all’interno della cornice rappresentata dagli assunti e dai principi della shari‘a islamica. [...] Lo Stato islamico, per come lo percepiamo noi, non è uno Stato del clero o di coloro che governano per diritto divino. Dalla nostra prospettiva, e sulla base dell’esperienza storica dei Califfi Ben Guidati e dei leader musulmani che succedettero loro, lo Stato islamico e tutte le sue azioni sono civili» (Morsi 2007 cit. in Lavie 2017: 35).

41 Nel discorso pubblico islamico, la shura è intesa come l’equivalente islamico della democrazia stessa, dal momento che corrisponde all’assemblearità e si esercita nella scelta del governo e del parlamento legislativo, nella loro responsabilità e nel loro controllo da parte del popolo. Shura è stato uno dei principi centrali nella piattaforma del partito della Società dei Fratelli Musulmani, insieme alla shari‘a, ai diritti umani e alla natura civile dello Stato. Un importante distinguo, operato spesso dal pubblico islamico per manifestare la differenza tra la democrazia islamica e quella liberale occidentale, consiste nel rifiuto del potere assoluto della maggioranza. Come nota Qaradawi, «Islam does not concern itself with [the will of] the majority where there is a clear ruling in the Koran and the Sunna, as opposed to the western democratic system which gives the majority the absolute right that its opinion is the law and the law is reformed if it is in violation of its opinion» (cit. in Tadros 2012: 59).

42 Il consenso della umma non è infallibile e deve essere aperto al ragionamento autonomo dei sapienti.

43 Il ragionamento individuale e indipendente da parte dei sapienti sulle questioni che nel Corano e negli hadith sono trattate in modo superficiale o sbrigativo si può esercitare sulle questioni che sono considerate non essenziali e immutabili; in questi casi, è la ragione che aiuta il sapiente a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.

44 Il principio del bene comune era inteso tradizionalmente come una regola per l’interpretazione dei testi, secondo la quale lo studioso, nella sua esegesi del Corano e degli Hadith, deve presupporre che Allah nella sua Rivelazione avesse inteso promuovere il benessere degli uomini e deve scegliere, di conseguenza, l’interpretazione che meglio si indirizza verso questo scopo. Abduh reinterpretò il principio del maslaha come una regola per dedurre delle leggi specifiche a partire dai principi generali di moralità sociale, che vanno applicati a specifici problemi della vita collettiva, attraverso il ragionamento del giurista. A questo scopo, secondo Abduh, il giurista può ricorrere al metodo della comparazione sistematica (talfiq, letteralmente «incollaggio») tra le quattro principali scuole giuridiche islamiche, considerandole come parte di un sistema legale unificato e moderno.

45 Nella piattaforma del Partito Libertà e Giustizia si legge che lo Stato civile con fonte di autorità islamica «is the Ummah where the people who have the right to elect the ruler through free popular will. The difference between an Islamic state and other states is the Islamic Shari‘a reference which is based on the creed of the vast majority of the Egyptian people and the Shari‘a is in its nature an addition to the worship and ethical dimensions which govern different elements of the life of the Muslims. It organizes them in general roles and comprehensive principles and then leaves the details to ijtehad and legislation in accordance with what is suitable for every age and for different environments and with what achieves truth, justice» (cit. in Tadros 2012: 54). Altrove nella piattaforma si legge: «The Islamic state is by nature a civil(ian) state [dawla madaniyya], for it is not a military state, ruled by the army, which seizes power through military coups and governs through dictatorial decrees, nor is it a police state ruled by the security apparatus. Furthermore, is not a religious state (a theocracy), ruled by an echelon of clerics — for Islam does not have a priesthood, but only expert religious scholars — and it is certainly not a [state] ruled by divine right. [Islam does not recognize] figures who are immune [from error], have a monopoly on interpreting the Qur’an, possess the authority to legislate for the nation and to dictate beliefs, and claim to command absolute obedience and to be characterized by sanctity. In the Islamic state the rulers are citizens elected by popular will, [and] the nation is the source of authority. Positions in the state are assigned based on qualifications, experience, and worthiness. The nation [umma], just as it is entitled to elect its leaders and representatives, is also entitled to question them and depose them. The fundamental difference between the Islamic state and other states is that its source of authority is Islamic shari‘a» (cit. in Lavie 2017: 37-38).

46 Come sostenne Qaradawi, «Neither he [ruler] nor others from among people can cancel these rulings or freeze them. No king, nor president nor parliament, nor government nor revolutionary council nor central committee nor people’s conference nor any power on earth can change from the constant [non-changeable] rules of God» (2007, cit in Tadros 2012: 55).

47 Dopo il crollo del regime di Mubarak, la Società dei Fratelli Musulmani avviò della trattative con il CSFA, finalizzate a cercare un candidato comune per le elezioni presidenziali, ma da una parte la mancanza di disponibilità da parte di militari a negoziare la propria indipendenza e i propri privilegi, dall’altra i timori dei Fratelli musulmani di fronte all’idea di un possibile ritorno del regime, portarono al fallimento delle trattative (Schielke 2015).

48 Alcuni soggetti politici, tra cui gruppi giovanili e attivisti dei social media, rivendicavano il carattere secolare dello Stato e chiedevano l’abolizione dell’articolo 2 della Costituzione. I movimenti islamici, come Libertà e Giustizia, Wasat, Hizb al-Nur, Hizb al-Asala, naturalmente rivendicavano il carattere islamico dello Stato e i gruppi salafiti rigettavano l’idea di Stato civile, paragonando i secolaristi agli infedeli. I Fratelli musulmani, tuttavia, dichiararono che, qualora fossero stati eletti, non avrebbero imposto la legge islamica (Saleh 2011) e non avrebbero cercato di imporre il controllo totale sulla vita dell’Egitto (CNN 2011). Gli ‘ulema’ della moschea-università al-Azhar, tra i quali il Sommo imam Ahmad al-Tayyib, produssero una bozza di principi costituzionali per stabilire le linee guida generali dell’identità dello Stato; in questa bozza, la parola madaniyya era assente.

49 Il primo ministro ad interim, Ali al-Silmi, scrisse una bozza di principi sovra-costituzionali, molto simile a quello presentato da al-Azhar, tranne che per la presenza del termine madaniyya; questi principi, pubblicati nell’agosto del 2011, prevedevano che l’Assemblea Costituente avrebbe dovuto rappresentare tutti i settori della società, compresi quelli non islamici. All’articolo 1 di questo documento, che fu generalmente associato alle correnti secolari e liberali, si leggeva: «The Arab Republic of Egypt is a democratic civil state [dawla madaniyya dimuqratiyya] based on citizenship and the rule of law, which respects pluralism and guarantees freedom, justice, equality, and equal opportunity to all its citizens, without any distinction or discrimination [...]» (cit in Lavie 2017: 38); successivamente. Al-Silmi presentò un altro testo, nel quale erano inclusi due articoli che assicuravano ai militari la permanenza dei loro privilegi; le reazioni alla pubblicazione di questo documento furono violente, con proteste da parte dei gruppi islamici (tra i quali i movimenti salafiti che rifiutavano il concetto stesso di Stato civile), ferimenti e due morti.

50 In Egitto, nel marzo del 2012 fu eletta l’Assemblea costituente, presieduta da un membro della Società dei Fratelli Musulmani e composta per due terzi da partiti islamici; questa assemblea fu sciolta come incostituzionale dalla corte amministrativa e ne fu nominata una ancora a maggioranza islamica, ma con un maggiore bilanciamento con forze secolari. Nel maggio del 2012, le elezioni presidenziali furono vinte dal candidato dei Fratelli musulmani, Mohammed Morsi, il cui principale avversario era Ahmad Shafqi, già Ministro dell’aviazione, presentato dagli islamisti come sostenitore di uno Stato militare contro il progetto di Stato civile (cioè non militare), sostenuto dalla Società. Anche In Tunisia, le elezioni del 2012 attribuirono la maggioranza dei seggi (41,7%) dell’Assemblea nazionale costituente al partito islamico Ennahda.

51 Il pluralismo è uno degli ideali qualificanti del discorso pubblico islamico tunisino (Copertino 2020a); ad esempio, il leader islamico Rached Ghannouchi ha fatto un paragone tra l’apertura del movimento islamico alla partecipazione pubblica di forze secolari e il riconoscimento dei diritti a Cristiani, Ebrei e Magous da parte del Profeta. Questa prospettiva non è pienamente accettata dal pubblico islamico egiziano; ad esempio, l’intellettuale Salah al-Sawi rifiuta quest’idea perchè, contrariamente ai progetti del Profeta, potrebbe portare dei non-musulmani a governare dei musulmani (Tadros 2012).

52 Andavano in questo senso l’alleanza del Partito Libertà e Giustizia con gruppi salafiti (come Hizb al-Nour) e appoggiati da jihadisti (come Hizb al-Salama wa-l tanmiya) e l’elaborazione della prima bozza di Carta costituzionale da parte della maggioranza islamica; questa bozza era caratterizzata in senso molto religioso: l’articolo 1 indicava l’Egitto come parte della patria islamica; l’articolo 219 prevedeva un’ampio riferimento ai principi della shari‘a nella legislazione; l’articolo 4 garantiva l’indipendenza della moschea-università al-Azhar; l’articolo 43 restringeva la libertà di culto alle tre principali religioni monoteistiche; l’articolo 44 prevedeva delle sanzioni contro gli insulti a messaggeri e profeti; l’articolo 5 eliminava il bando ai partiti religiosi o con fonte d’autorità religiosa. L’approvazione della bozza, passata con il 63,8% dei voti, provocò manifestazioni di protesta (Anani 2015).

53 Tra le cause del repentino crollo della Società dei Fratelli Musulmani, la principale è stata il mancato controllo dell’apparato giudiziario, di quello militare e di quello costituito dal Ministero degli interni, istituzioni alle quali i Fratelli musulmani non avevano avuto accesso nei decenni precedenti alla rivoluzione e che non sono riusciti a riformare, nonostante il movimento islamico controllasse la maggioranza del Parlamento e dell’esecutivo. Per questa ragione, la preparazione del colpo di Stato sfuggì alla Società, che aveva riposto una notevole fiducia nella lealtà dell’apparato militare, tanto da nominare al-Sisi Ministro della Difesa. La mancata riforma di queste istituzioni valsa ai Fratelli musulmani l’accusa di allearsi con loro, da parte delle forze rivoluzionarie, durante il breve periodo in cui essi hanno detenuto il potere esecutivo.

54 La repressione dei Fratelli musulmani, dopo il colpo di Stato, è stata di una violenza inusitata: centinaia di attivisti sono morti negli scontri, a migliaia sono stati imprigionati o costretti all’esilio (Kingsley 2013, Human Rights Watch 2014, Hendawi 2014, WikiThawra 2014, Loveluck 2013), le risorse finanziarie della Società sono state congelate; la Società è stata classificata come gruppo terroristico (Cunningham 2013), tutto ciò con il beneplacito dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, che hanno finanziato il regime di al-Sisi (Lacroix 2014; Peel et alii 2013), con lo scopo di eliminare la Società dei Fratelli Musulmani, o quanto meno reprimerne l’attivismo.

55 Il Comitato che redasse la nuova Carta costituzionale era composto al 90% da rappresentanti dei movimenti secolaristi. Nella prima bozza, all’articolo 1 l’Egitto era indicato come uno Stato civile; i movimenti islamici e gli ‘ulema’ di al-Azhar chiesero e ottennero di espungere questo termine. Il nuovo preambolo della Costituzione parlava di «a modern democratic state with civil rule [hukmiha madani]» (cit in Lavie 2017: 41), ma nella votazione finale, durante la lettura del testo, il portavoce del Comitato ‘Amru Musa pronunciò hukumatiha madaniyya (governo civile), provocando l’astensione dal voto del partito al-Nour. I sostenitori del concetto di Stato civile sostennero in questa occasione che «governo civile» era un termine meno ampio di «autorità civile» e poteva riferirsi solo all’esercito e non ad altre componenti dello Stato (ad esempio la legislazione o le basi fondamentali dello Stato), lasciando intendere che tali altre componenti potessero essere religiose. A commento di questi eventi, il poeta Ahmad ‘Abd al-Mu‘ti Hijazi scrisse che gli Egiziani «rose up again in June [2013] repeating their resounding slogan «Madaniyya! Madaniyya!». So by what right does the Committee of 50 omit this principle from the body of the constitution and place it in the preamble, and then deviously distort the phrasing to make «civil» a description of the government, rather than the state? [...] The difference between them is an essential one, because «rule» means regime, i.e., the principles and laws upon which authority is based. The government, on the other hand, is the tool entrusted with implementation. This solution satisfied the representatives of the religious movements, who, thanks to this new term, were entitled to understand that the reference was to a civil government within a religious regime!» (Cit in Lavie 2017: 42). La nuova Costituzione ha reintrodotto la proibizione di costituire partiti religiosi ed ha sancito la libertà religiosa assoluta e l’uguaglianza tra uomini e donne senza restrizioni sciaraitiche.

56 Sebbene Geertz rispondesse raramente alle critiche (Rorty 1986), a Gellner rispose (Geertz 1995, Boskovic 2002). Per una discussione sulle convergenze e divergenze tra Geertz e Gellner sul tema del nazionalismo, cfr Clua, Fainé 2006.

57 Più precisamente, Gellner, riprendendo un saggio di Geertz sull’anti-antirelativismo, dimostra che l’interpretativismo e il postmodernismo arrivano a validare posizioni anti-relativistiche, cioè l’opposto di ciò che vorrebbero promuovere. Boskovic (2002) ritiene che la lettura del concetto di relativismo da parte di Gellner sia un plateale fraintendimento. Cfr che Franzinetti 2000, Hann 2001.

58 Tale forma di organizzazione politica è considerata un’eredità del colonialismo europeo e un modello estraneo alle società islamiche, che contraddice il sentimento di unità della comunità islamica, promuovendo un senso di unità interna e distinzione dall’esterno, sulla base di valori culturali, simboli e miti estranei alle tradizioni islamiche.

59 Gli etnografi imbevuti di ermeneutica, sembra suggerire Gellner, hanno difficoltà a individuare queste strutture oggettive, non perché esse non esistano, ma perché vengono tenute nascoste: «It doesn’t mean that objective structures do not exist or are not important. The post-colonial state is often an ideological one, committed to absurd pretensions concerning its own society - tribalism has been overcome, antagonistic classes are no longer in existence, and irredentist minorities do not exist, having affectionately embraced the dominant group. The new district officer is in fact very insecure, performing a delicate balancing act between local pressures and the intrigues of the hierarchy of which he is a member, and whose membership confers great privileges on him, which he is anxious to retain at all cost. The last thing he wants is a foreign investigator nosing about in his territory, undermining his authority by being blatantly independent of it - because he cannot be stopped from returning to his home society, and visiting whomever he pleases - thereby putting the official in danger, by eventually reporting that tribalism is rife, that class differences are enormous and acutely felt, and that the ethnic minority is sullenly discontented. As he cannot be allowed to establish and report all this, obstacles are put in his way. So the much hampered investigator may turn, with regret or joy as the case may be, but in any case without much of an alternative, to the systems of meanings, which he can make up for himself (especially if his book consists largely of reflections concerning how very difficult it is to apprehend and articulate them, or to communicate them again when he has secured them, and how deep his anguish is whilst enduring this condition). At worst, he may choose to focus on one special informant, whom he can take along to some place where the district officer cannot interfere» (Gellner 1992: 65).

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica digitale

Domenico Copertino, «Stato civile e cultura politica islamica. Una riflessione antropologica»Archivio antropologico mediterraneo [Online], Anno XXVI, n. 25 (2) | 2023, online dal 31 décembre 2023, consultato il 15 février 2025. URL: http://journals.openedition.org/aam/7516; DOI: https://doi.org/10.4000/aam.7516

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Autore

Domenico Copertino

Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo, Università degli Studi della Basilicata domenico.copertino@unibas.it

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