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Terrecotte votive da Taranto. Un tentativo di contestualizzazione di materiali sequestrati

Irene Managlia

Abstracts

The amount of votive terracottas yielded by ritual contexts in Magna Graecia have been increased by seized archaeological objects which have yet lost part of their informative power. The fragmentary statuettes presented here have been seized in 1979 and mainly consist in female heads dated from Archaism to Hellenistic Age. Stylistic an technical studies carried out in 20212022 revealed that our fragments strongly resemble the terracottas from Taranto and the types were comparable with those uncovered in some ritual contexts of the city. Our heads may have been removed from one or more of the votive deposits uncovered at Spring’s Sanctuary of Saturo currently interpreted as evidence of an abandonment rite.

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Full text

Introduzione

  • 1 Tesi di specializzazione in Beni Archeologici dal titolo Coroplastica votiva arcaica, classica ed e (...)

1In questo contributo si intendono presentare brevemente i risultati dello studio di un gruppo di terrecotte antropomorfe di piccolo modulo condotto per il lavoro di tesi di Specializzazione in Beni Archeologici presso l’Università degli Studi di Milano.1 I materiali furono sequestrati nel 1979 alla dogana di Chiasso da un treno proveniente dalla Svizzera e, dopo l’acquisto da parte dello Stato Italiano, trasferiti nei locali dell’attuale Soprintendenza Archeologica delle province occidentali della Lombardia dove sono tuttora conservati. L’interesse per il complesso deriva principalmente dal numero consistente di pezzi che lo compongono, 252 in totale, e dall’alto grado di omogeneità dei soggetti rappresentati da testine fittili prevalentemente femminili.

  • 2 La schedatura preliminare delle terrecotte fu redatta dalla Dott.ssa M.G. Cerulli Irelli. Le foto p (...)

2Le circostanze in cui furono rinvenuti i materiali, inseriti nel circuito del commercio illegale di beni archeologici, inoltre, hanno posto fin da subito il problema della definizione della loro provenienza, interrogativo al quale si cercò di rispondere già al termine della schedatura preliminare dei pezzi avvenuta nello stesso 1979, quando fu avanzato il sospetto di un’origine tarantina, cui rimandavano peraltro i quotidiani in cui erano imballate le terrecotte al momento del sequestro.2 Per verificare questa prima ipotesi si è reso necessario uno studio più approfondito del complesso, affidato in tempi recenti a chi scrive.

3Il contributo pertanto si articola in due parti: nella prima si fornisce un quadro d’insieme del corpus presentandone, attraverso alcuni frammenti esemplificativi, le caratteristiche tecniche e formali distintive e il repertorio delle iconografie documentate; nella seconda, i dati raccolti vengono discussi e comparati con quelli disponibili allo scopo di verificare l’ipotesi della provenienza tarantina. Per farlo ci si propone di circoscrivere, per quanto possibile, l’area e il contesto di originaria giacitura delle terrecotte, ma anche di considerare, per ciascuna fase del ragionamento, i problemi connessi alla natura dei materiali esaminati.

1. Il complesso di terrecotte

  • 3 Cuomo di Caprio 2007, 230, 467–471.
  • 4 Cuomo di Caprio 2007, 229; Bencze 2013, 2223.

4Il corpus in oggetto è costituito da 252 frammenti pertinenti a terrecotte figurate di cui si conserva nella quasi totalità dei casi solo la testa, di dimensioni comprese fra i 2 e i 7 cm di altezza e, in pochi altri, porzioni più estese della parte superiore del corpo. Per la maggior parte si tratta di lacerti di statuette, cui si aggiungono 4 protomi-busto, anch’esse frammentarie. I soggetti femminili risultano nettamente preponderanti, rappresentati da 241 pezzi, cui seguono, in ordine di incidenza, i soggetti infantili (7) e quelli maschili (4). Il complesso è piuttosto eterogeneo, invece, dal punto di vista della cronologia dei materiali, fra i quali è possibile distinguere frammenti di età arcaica (19), un esiguo gruppo di pezzi inquadrabili fra l’età classica e quella proto-ellenistica (13) e 220 frammenti databili all’età ellenistica. Tutti gli esemplari sono realizzati, interamente o parzialmente, a matrice con differenti modalità di produzione in serie e di lavorazione aggiuntiva a mano funzionale, soprattutto nelle testine ellenistiche, alla differenziazione di prodotti piuttosto standardizzati. Buona parte dei pezzi, inoltre, conserva residui di ingobbio o di una più labile scialbatura bianca utilizzati come base per il colore che doveva completare le terrecotte e di cui in alcuni casi rimangono tracce.3 Il repertorio dei tipi iconografici attestati è ricostruibile sulla base dei confronti solo in via ipotetica e, talvolta, con significativi margini di dubbio a causa della frammentarietà delle terrecotte. Inoltre, il ricorso a più matrici per la realizzazione delle statuette fin dall’età arcaica permetteva ai coroplasti di combinare con una certa libertà teste e corpi, così che il medesimo calco di una testa poteva essere assemblato a schemi raffigurativi differenti.4

  • 5 Bencze 2013, 39132; Bilbao Zubiri 2019.
  • 6 Per la testa ST 27959, see Bencze 2013, 59, tipo A3, 61, tipo A5; Bilbao Zubiri 2019, 871, tipo 4. (...)
  • 7 Per la testa ST 27960, see Bencze 2013, 111, tipo D/A 1, no. 26, pl. VIIf. Per la testa ST 27964, s (...)

5Tra i frammenti arcaici spicca un gruppo di 16 testine femminili con il capo ornato da un kalathos e la chioma rappresentata da una fila di linguette sulla fronte e trecce a perline che scendono fino alle spalle. Il volto è realizzato a matrice; il retro è modellato a mano, piatto o, il più delle volte, scavato con uno strumento a bastoncino. I confronti permettono di attribuire le testine a raffigurazioni stanti o assise in trono del tipo detto di San Biagio-Saturo dal nome dei due santuari, rispettivamente metapontino e tarantino, che ne hanno restituito le più cospicue attestazioni.5 Benché la diffusione sovraregionale dell’iconografia e la molteplicità degli stimoli sottesi alla sua elaborazione rendano complesso il quadro delle interconnessioni fra produzioni di un certo numero di poleis magnogreche, la particolare attenzione posta dagli artigiani nella realizzazione del volto delle statuette ha fatto della testa un elemento morfologico guida nella tipizzazione delle produzioni locali. I paralleli più stringenti per alcune delle nostre testine sono tipi contraddistinti dal modellato pieno e dall’accorciamento delle linguette al centro della fronte che sembrerebbero riflettere un orizzonte figurativo comune a prodotti di Metaponto e di Taranto (fig. 1a-b).6 Altre testine, invece, si avvicinano a creazioni tarantine tra le quali si segnala una figura seduta proveniente dal Santuario della Sorgente di Saturo (Taranto) per la straordinaria somiglianza con uno dei nostri frammenti (fig. 1c-d).7

Fig. 1a-d. Testine femminili del tipo San Biagio-Saturo. 1a. ST 27959. 1b. ST 27965. 1c. ST 27960. 1d. ST 27964

Fig. 1a-d. Testine femminili del tipo San Biagio-Saturo. 1a. ST 27959. 1b. ST 27965. 1c. ST 27960. 1d. ST 27964

Foto: autore

  • 8 Muller 2022, 337340.
  • 9 Sulle raffigurazioni di questo genere note nelle varianti vestita e nuda per le quali sono stati im (...)
  • 10 Per la testina ST 28043, see Lo Porto 1976, 733, pl. CII, 2; Graepler 1994, 285286, figs. 212213; (...)
  • 11 Dell’Aglio 1996, 72, no. 59 (matrice); Graepler 1996, 242, no. 174 (statuetta con ginocchia leggerm (...)

6Gli esemplari inquadrabili fra l’età classica e quella proto-ellenistica, ad eccezione di un’unica testa maschile, sono rappresentati da 12 frammenti di statuette femminili conservate dal collo in su, eterogenee dal punto di vista formale e tecnico. Le testine, alcune delle quali realizzate a matrice unica per il volto con retro modellato a mano, altre generate da due matrici, sono verosimilmente destinate ad una visione frontale e presentano volti che potremmo dire genericamente ispirati a modelli fidiaci e post-fidiaci; fra le acconciature, abbastanza rigide e compatte, ricorre quella raccolta in un’alta crocchia, spesso ornata da un basso polos o da una stephane, elementi morfologici che ricorrono tutti in raffigurazioni femminili di vario genere alle quali i nostri frammenti potrebbero ugualmente pertenere. L’esame dei comparanda permette di individuare almeno due tipi ai quali riferire ciascuna delle nostre testine: quello della figura stante vestita di chitone e himation, spesso corredata da attributi di varia natura che la identificano come un’offerente8 e quello della giovane donna seduta, con le ginocchia leggermente piegate e le gambe serrate ma priva di un seggio che la sostenga (fig. 2b-c).9 Tra gli esempi di questi tipi ampiamente attestati in diverse aree del mondo greco quelli che mostrano maggiore affinità con le nostre testine provengono da Taranto10 dove una matrice di offerente e una figura seduta con gambe serrate dalla necropoli urbana offrono parimenti riscontro per una testa del sequestro (fig. 2a).11

  • 12 Per gli esemplari di Fondo Giovinazzi si veda Parisi 2019, CXLI, nos. 43, 46. Statuette di questo t (...)

7Decisamente più certa l’attribuzione di un’altra testa, l’unica del complesso, al tipo cosiddetto dell’Artemis Bendis (fig. 2d) confrontabile con alcuni esemplari provenienti dall’area sacra di Fondo Giovinazzi (Taranto) caratterizzati da una resa poco nitida della leonté sormontata dal copricapo frigio.12

Fig. 2a-c. Testine femminili del tipo dell’offerente o del tipo seduto con gambe serrate. 2a. ST 27973. 2b. ST 28043. 2c. ST 27974. Fig. 2d. Testina femminile del tipo di Artemis Bendis: ST 28156

Fig. 2a-c. Testine femminili del tipo dell’offerente o del tipo seduto con gambe serrate. 2a. ST 27973. 2b. ST 28043. 2c. ST 27974. Fig. 2d. Testina femminile del tipo di Artemis Bendis: ST 28156

Foto: autore

  • 13 Per una sintesi delle conoscenze acquisite in decenni di studi e ritrovamenti si rimanda al volume (...)
  • 14 Per una panoramica delle varianti dello schema sofocleo si veda Jeammet 2003a, 200201.

8Il gruppo dei frammenti più recenti è costituito in massima parte da testine femminili contraddistinte da elaborate acconciature e spesso adorne di orecchini, diademi, corone vegetali o, più raramente, coperte da un velo o da un copricapo. I volti, ovali con fronte spaziosa e bocca piccola e carnosa, rimandano ai modelli della grande scultura tardoclassica in particolar modo prassitelica, ma non mancano forme più allungate, quasi triangolari, con dettagli facciali approssimativi da ricondurre all’uso di matrici stanche o a prototipi poco definiti. La lavorazione delle testine, generate da due matrici e quasi sempre piene, è completata a mano tramite ritocchi a stecca sulla chioma e l’aggiunta di ornamenti ed elementi accessori dell’acconciatura come crocchie e chignon. La ripetitività delle iconografie e la frequente inclinazione più o meno marcata del capo, quasi sempre enfatizzata da anelli di Venere incisi sul collo, lasciano pochi dubbi sulla pertinenza di buona parte delle testine a tipi cosiddetti tanagrini, dei quali i residui di scialbatura bianca e talvolta di colore sovrapposto indicano che i frammenti dovevano esibire anche la tipica policromia.13 I pochi esemplari che conservano una porzione dell’himation che avvolge il corpo permettono di riconoscere il tipo cosiddetto sofocleo. Lo schema, che rielabora la posa e l’articolazione del panneggio del ritratto del tragediografo, è noto in tutto il Mediterraneo ellenistico attraverso un certo numero di varianti14 di cui il complesso restituisce un piccolo saggio: con il capo velato dal lembo superiore della veste (fig. 3a), con l’himation che fascia strettamente le spalle avvolgendo il collo (fig. 3b) oppure morbidamente poggiato sulla spalla sinistra da dove ricade sulla schiena sovrapponendosi alla veste sottostante (fig. 4).

Fig. 3a-b. Testine femminili del tipo sofocleo. 3a. ST 28176. 3b. ST 28061

Fig. 3a-b. Testine femminili del tipo sofocleo. 3a. ST 28176. 3b. ST 28061

Foto: autore

Fig. 4. Frammento di statuetta femminile del tipo sofocleo: ST 28129 (h: 9,8 cm; largh: 6,8 cm)

Fig. 4. Frammento di statuetta femminile del tipo sofocleo: ST 28129 (h: 9,8 cm; largh: 6,8 cm)

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  • 15 Fra quelli possibili si riporta un esempio da Taranto dove la Melonfrisur è attestata in raffiguraz (...)
  • 16 Per il tipo sofocleo a capo scoperto si citano a titolo esemplificativo esemplari da Morgantina (Be (...)
  • 17 Una figura intera e una testina fra le terrecotte rinvenute a Morgantina (Bell 1981, 178, no. 388, (...)
  • 18 Ricorrono nelle nostre testine corone composte da foglie d’edera modellate a mano disposte simmetri (...)
  • 19 Ci si riferisce ad alcune testine rinvenute al Santuario della Sorgente di Saturo: Bernardini 2018, (...)

9Nettamente superiore, tuttavia, è il numero delle testine conservate solo fino alla base del collo per le quali è difficile ipotizzare la pertinenza ad un tipo specifico. L’età ellenistica, infatti, conosce una proliferazione di raffigurazioni femminili nude o parzialmente vestite che ereditano dalle tanagrine propriamente dette la posa rilassata e la libertà dei movimenti ma che, per la sensualità degli atteggiamenti in cui sono colte, la specificità degli attributi o la presenza di altre figure cui si accompagnano, sono interpretate come rappresentazioni di Afrodite, di Nikai o di giovani impegnate nell’ephedrismos. Il repertorio delle acconciature e degli ornamenti non conosce sostanziali variazioni rispetto a quello delle tanagrine, così che non stupisce osservare la Melonfrisur tipica delle popolari raffigurazioni ammantate anche su un’Afrodite seminuda e su una giovane alata.15 Nel corpus ricorrono testine acconciate con la Melonfrisur realizzata in numero variabile di coste (fig. 5a-b), spesso ornata da una corona vegetale (fig. 5c) o da un sottile diadema (fig. 5d), alla maniera cnidia (fig. 6a-b) a volte completata da un diadema o una stephane, ma è anche attestata una varietà di articolazioni della chioma e dei dettagli aggiunti che rendono evidente al contempo il grado di uniformità delle iconografie e il livello di differenziazione di ciascun manufatto (fig. 7a-c). La rete dei confronti per questi tipi iconografici estremamente diffusi nel mondo greco è ampia in Occidente e spazia da Morgantina a Locri, le cui produzioni testimoniano la fortuna tanto delle molteplici raffigurazioni femminili quanto delle acconciature che esibiscono.16 I paralleli più convincenti rimandano tuttavia all’area tarantina, dove i ritrovamenti della necropoli e del santuario extraurbano presso l’antica sorgente di Saturo offrono un riscontro puntuale per le soluzioni tecnico-stilistiche adottate nella realizzazione di dettagli formali quali le pieghe dell’himation che ricade sulla fronte17 o la speciale articolazione delle corone vegetali18 e rivelano un’affinità sorprendente con alcune delle nostre testine.19

Fig. 5a-b. Testine femminili con Melonfrisur: ST 28168, ST 27982. Fig. 5c. Testina femminile con Melonfrisur e corona vegetale: ST 28154. Fig. 5d. Testina femminile con Melonfrisur e diadema: ST 27993

Fig. 5a-b. Testine femminili con Melonfrisur: ST 28168, ST 27982. Fig. 5c. Testina femminile con Melonfrisur e corona vegetale: ST 28154. Fig. 5d. Testina femminile con Melonfrisur e diadema: ST 27993

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Fig. 6a-b. Testine femminili con acconciatura cnidia. 6a. ST 27985. 6b. ST 28018

Fig. 6a-b. Testine femminili con acconciatura cnidia. 6a. ST 27985. 6b. ST 28018

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Fig. 7a. Testina femminile con acconciatura ondulata e tracce di diadema applicato: ST 27997. Fig. 7b. Testina femminile con acconciatura raccolta e corona vegetale: ST 28070. Fig. 7c. Testina femminile con acconciatura raccolta e petaso poggiato su una corona vegetale: ST 28144

Fig. 7a. Testina femminile con acconciatura ondulata e tracce di diadema applicato: ST 27997. Fig. 7b. Testina femminile con acconciatura raccolta e corona vegetale: ST 28070. Fig. 7c. Testina femminile con acconciatura raccolta e petaso poggiato su una corona vegetale: ST 28144

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  • 20 I confronti più pertinenti sono quelli con i piccoli eroti provenienti dai corredi delle tombe tara (...)

10Completa il vasto gruppo dei frammenti ellenistici un numero ridotto di testine infantili che si distinguono per il volto paffuto e le graziose chiome di riccioli (fig. 8a) a volte raccolti in una treccia centrale sul capo (fig. 8b). Anche in questo caso la frammentarietà delle figure conservate rende difficile stabilire la pertinenza a uno o più tipi esclusivamente sulla base di tratti morfologici che ricorrono in raffigurazioni di eroti, ma anche in quelle di fanciulli che cavalcano un animale o un’altra figura.20

Fig. 8a. Testina infantile con acconciatura a riccioli: ST 28196. Fig. 8b. Testina infantile con acconciatura a treccia centrale: ST 28193

Fig. 8a. Testina infantile con acconciatura a riccioli: ST 28196. Fig. 8b. Testina infantile con acconciatura a treccia centrale: ST 28193

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2. L’area di provenienza delle terrecotte

11La ricorrenza e in alcuni casi la puntualità dei confronti per le terrecotte del sequestro con i fittili rinvenuti a Taranto confortano l’ipotesi di una loro provenienza tarantina. Prima di tentare di precisare questo dato, tuttavia, è opportuno prendere in considerazione due ordini di problemi relativi, rispettivamente, ai materiali tarantini dei quali ci si è avvalsi come comparanda e alla specifica natura dei manufatti in oggetto.

  • 21 Per un’accurata ricostruzione della storia delle ricerche a Taranto: Alessio et al. 1988; Lippolis (...)

12Le cospicue quantità di statuette, matrici e i resti di impianti artigianali venuti alla luce in decenni di ricerche a Taranto costituiscono un ricca documentazione della fiorente produzione di coroplastica della città; d’altra parte, proprio le circostanze in cui si svolse la riscoperta del suo patrimonio archeologico hanno compromesso il potenziale informativo21 delle evidenze emerse.

  • 22 I risultati del Progetto Taranto condotto tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso su circa (...)
  • 23 Una panoramica delle principali collezioni museali che contengono terrecotte tarantine è offerta da (...)
  • 24 Bencze 2013, 130.
  • 25 Testimoniata dall’elaborazione dei tipi di Hyakinthos e Polyboia ampiamente attestati nelle stipi i (...)
  • 26 In base alla cronologia fissata dal Progetto Taranto, in un periodo compreso tra il passaggio dalla (...)

13Ad eccezione delle statuette rinvenute nella necropoli, oggetto di un attento studio che ha permesso di ascriverle a precisi intervalli cronologici,22 la coroplastica tarantina proveniente da contesti sacri, quella attribuibile a ritrovamenti sporadici e quella abbondantissima immessa nelle collezioni pubbliche e private corredata da nient’altro che una generica indicazione di provenienza, è databile solo su base stilistica.23 I diversi gradi di affidabilità della datazione dei confronti di cui ci si è avvalsi condizionano, quindi, la definizione dell’arco cronologico in cui inquadrare i nostri pezzi. In base alla seriazione delle terrecotte votive arcaiche tarantine elaborata in un recente studio da Àgnes Bencze, i frammenti più antichi sono inquadrabili fra il secondo e l’ultimo quarto del VI secolo a.C.24 Le terrecotte classiche e proto-ellenistiche sono databili sulla base del confronto con statuette tarantine che testimoniano una fase di sperimentazione stilistica e tecnica che culmina con la piena acquisizione, intorno al 350330 a.C., della tecnica a tutto tondo.25 Il discrimine fra i prodotti proto-ellenistici e quelli propriamente ellenistici è definito dalla comparsa dei tipi tanagrini durante l’ultimo venticinquennio del IV secolo a.C. nelle tombe tarantine, dove, insieme agli altri tipi più o meno ispirati al loro stile, sono attestati fino all’ultimo quarto del II secolo a.C.26 La longevità di alcune iconografie, spesso riprodotte ricorrendo a matrici usurate o a espedienti tecnici per correggerne i difetti, di cui il corpus fornisce numerosi esempi, non ha permesso in molti casi di restringere la datazione proposta per le nostre terrecotte a meno di due secoli. Tuttavia, cambiamenti intervenuti nella tecnica di realizzazione e nella scelta degli accessori che ornano il capo delle tanagrine fin dalla loro comparsa nei corredi funerari potrebbero precisarne il range cronologico. Dalla fine del III secolo a.C., infatti, le corone vegetali cessano di essere modellate a mano e cominciano ad essere presenti nelle matrici che rimarranno poi in uso per circa mezzo secolo, quando corone e diademi verranno sostituiti da cercini e stephanai. Considerando le modalità di realizzazione degli ornamenti delle nostre testine, si può dunque ipotizzare, con le dovute riserve, che le figure con corone di foglie d’edera e bacche siano anteriori alla fine del III secolo a.C., mentre quelle che esibiscono gli altri due generi di ornamenti - pochissime a dire il vero - rappresentino i prodotti più recenti.

  • 27 Terrecotte funerarie e terrecotte votive andrebbero distinte solo sulla base del luogo di rinvenime (...)
  • 28 Un quadro completo dei contesti emersi organizzati secondo un criterio topografico-funzionale è rap (...)

14Allo stato attuale delle conoscenze nella produzione coroplastica di Taranto non sembra esservi una distinzione tra tipi destinati all’uso funerario e tipi destinati all’uso votivo, ma, anzi, in buona parte dei casi i medesimi tipi iconografici, come le generiche raffigurazioni di bambini o di giovani donne di età ellenistica, compaiono tanto nei corredi delle tombe quanto nelle stipi disseminate nell’area della necropoli e nei santuari urbani ed extraurbani.27 Fanno eccezione il tipo dell’Artemis Bendis, attestato esclusivamente nei contesti sacri, così come le terrecotte arcaiche del tipo San Biagio-Saturo, del tutto assenti nei corredi delle tombe, che restituiscono coroplastica solo a partire dall’età tardo-classica. Tuttavia la mole di materiale ancora inedito o disperso, nonché la presenza di pezzi illeggibili in parecchi depositi già pubblicati rende difficile accertare la distribuzione delle iconografie nelle diverse tipologie di contesti che hanno restituito coroplastica.28 Sfugge, soprattutto, il sistema delle associazioni dei tipi a livello contestuale che, invece, potrebbe fare luce sulla questione di produzioni a destinazione specifica e su quella, più complessa, del significato e della funzione delle terrecotte.

  • 29 Di colore arancio, beige o giallo, con impasto più o meno depurato e inclusi perlopiù micacei a Tar (...)
  • 30 Le analisi chimiche e petrografiche condotte su ceramiche neolitiche e su ceramiche figurate apule (...)

15Oltre ai problemi posti dalla documentazione di riferimento bisogna poi considerare anche quelli connessi alla speciale situazione di materiali come i nostri recuperati a seguito di un sequestro. La distanza temporale e spaziale che si interpone fra l’atto del loro rinvenimento e quello del loro esame in quanto fonti informative di carattere archeologico impone di usare cautela in tutte le fasi del tentativo di contestualizzazione dei materiali, da quella della definizione dell’area di provenienza a quella di circoscrizione del contesto di originaria giacitura. L’attendibilità delle conclusioni, infatti, è inficiata dalla natura dei materiali in esame, non solo privati del loro valore documentario al momento dell’asportazione dal contesto di provenienza senza un’adeguata registrazione dei dati, ma anche arbitrariamente riuniti in un corpus fortemente indiziato di essere artificioso, non autentico. Di fronte a tipi iconografici diffusi a livello extraregionale come quello di San Biagio-Saturo o ancora più ampio come nel caso delle tanagrine, è difficile escludere totalmente la possibilità che nel nostro complesso vi siano creazioni di fabbriche diverse per quanto affini a quelle di fattura tarantina. Identificarle come importazioni giunte a Taranto in età antica o come prodotti locali rimossi dal loro luogo di origine in epoca moderna sarebbe poi impossibile. Analogamente, anche l’osservazione dell’argilla dei frammenti ha evidenziato la prevalenza di impasti con caratteristiche macroscopiche compatibili con quelli della coroplastica tarantina, ma che si riscontrano in una certa misura anche in altre produzioni dell’arco ionico.29 Non necessariamente dirimente sarebbe inoltre l’esecuzione di indagini archeometriche dato che l’analisi dei singoli pezzi potrebbe sì fornire una qualche garanzia sull’origine dell’argilla impiegata, ma lascerebbe in ogni caso irrisolto il quesito sulla provenienza dei pezzi: non è, infatti, da escludere che figuli apuli e lucani attingessero ad una molteplicità di depositi locali.30 Se, dunque, l’ipotesi della provenienza dall’area tarantina di buona parte delle terrecotte è suffragata da un insieme significativo di indizi e pare giustificato considerarla come altamente probabile, è anche vero che la natura del corpus non permette di giungere ad una conclusione certa sulla contestualizzazione dei materiali come sulla loro origine unitaria.

3. Un tentativo di contestualizzazione di materiali oggetto di sequestro

16Le considerazioni elaborate e gli elementi emersi dall’analisi pongono le basi per tentare di precisare la provenienza dei frammenti e ipotizzarne il contesto di originaria giacitura.

17La netta prevalenza dei soggetti femminili, l’ampiezza dell’arco cronologico documentato e il fatto che solo i contesti sacri fra quelli tarantini restituiscano esempi di tutte le iconografie individuate inducono a guardare ad una o più aree di culto della città. Del resto, la stessa frammentarietà del materiale trova riscontro, più che nelle terrecotte spesso in buono stato di conservazione provenienti dai corredi funerari, nella messe di statuette fratturate restituite dai contesti dislocati in aree della città correntemente interpretati come depositi di materiale votivo connesso ad attività rituali o a periodiche ripuliture di spazi sacri.

  • 31 Di questo avviso Barra Bagnasco 1977, 188 seguita da Elia 2010, 256 a proposito delle terrecotte di (...)
  • 32 Altra questione da considerare, che esula dal campo definito per questa ricerca, è se una qualche f (...)
  • 33 D’Angela 2000, 195.

18La probabilità di un intervento di scopritori o mercanti antiquari moderni nella costituzione del complesso recuperato impone cautela anche nell’attribuzione di tutti i pezzi ad un medesimo contesto, dal momento che la raccolta e la selezione di quelli più adatti alla vendita potrebbero ben aver disgregato l’unità di uno o più depositi archeologici. Anche l’omogeneità della frammentazione delle terrecotte e la conseguente prevalenza di teste è verosimilmente l’esito di un susseguirsi di circostanze piuttosto che il riflesso di caratteristiche originali di uno o più giacimenti archeologici. Infatti, se la rottura delle statuette deve essere certamente avvenuta in antico - come conferma l’omogeneità delle incrostazioni terrose sulla superficie e nei punti di frattura - e può essere imputata alla fragilità dei corpi, generalmente cavi, rispetto alle teste, piene o comunque più spesse,31 colpisce comunque la totale assenza di parti del corpo diverse dalla testa o dal busto nel nostro corpus. Non è difficile supporre che chi abbia raccolto le terrecotte destinate alla vendita abbia selezionato i frammenti meglio conservati ed esteticamente più gradevoli scartando porzioni di figure poco leggibili o considerate di scarso rilievo come i corpi eccessivamente frantumati. Se la cernita sia avvenuta direttamente sul sito di prelievo o in un secondo momento non è possibile dirlo.32 Indicativa a questo proposito la testimonianza di Luigi Viola, Ispettore degli scavi a Taranto fra il 1880 e il 1895 sotto i cui occhi la città ha conosciuto una delle più fiorenti stagioni di depredazione e dispersione di materiale archeologico. Nel 1880 Viola riferiva di aver visto in casa del noto mercante d’arte Vito Panzera un gran numero di frammenti di terrecotte figurate esito delle scelte fatte dai precedenti compratori33 - scena che ai nostri occhi figura come una bancarella di un vero e proprio mercato antiquario. D’altra parte, nell’ottica del minor dispendio di energie, tempo e denaro possibile nell’assemblaggio del lotto di materiali, mi sembra che l’unitarietà del corpus risponda ad un logico criterio di economia dello sforzo e che meriti almeno di essere adottata come ipotesi di lavoro. L’esame dei contesti tarantini che possano offrire un riscontro per l’età della documentazione e l’articolazione del repertorio iconografico del nostro complesso permetterà di sottoporla a verifica, conducendo, se non all’individuazione di un unico contesto di origine per tutti i frammenti, almeno alla proposta di un insieme di giacimenti dai quali gli ignoti scopritori possano aver attinto.

  • 34 Si tratta del 2/3% delle sepolture tarantine che, perfino nel periodo di massimo incremento quantit (...)
  • 35 Stipe isolata di via Duca degli Abruzzi e di via Crispi (Lippolis 1995, 111–112, stipe g.6, 119–120 (...)

19Escludendo i contesti funerari, che restituiscono coroplastica solo dal IV secolo a.C. e in piccole quantità,34 un riscontro parziale viene dalle stipi in area di necropoli. L’uso di deporre terrecotte sul terreno in prossimità delle sepolture si afferma a Taranto fin dall’età arcaica e si esaurisce nella prima età ellenistica e rari sono i depositi che documentano l’intero periodo.35 In questi e negli altri casi, tuttavia, l’iconografia maggiormente attestata è quella del recumbente cui si affiancano cavalieri, Dioscuri, guerrieri e raffigurazioni di Hyakinthos che, nell’insieme, non offrono un riscontro per l’esiguo numero di soggetti maschili del nostro complesso. Fra i tipi femminili spicca l’assenza delle tanagrine che, invece, ne costituiscono un nucleo consistente. Ricorre, invece, con insistenza il tipo della Polyboia, di cui non vi è traccia fra le terrecotte in oggetto.

  • 36 Sulla scia di Lippolis 1995, 7180: Poli 2010a; 2010b; Parisi 2019, 182–183.

20A restituire le testimonianze più significative di terrecotte votive, quantificabili nell’ordine di migliaia di frammenti, sono invece i depositi pertinenti ai santuari di Fondo Giovinazzi, del Pizzone e a quello extraurbano della Sorgente di Saturo. Dall’area sacra di Fondo Giovinazzi, in un settore marginale della città antica contiguo all’area di necropoli, provengono cospicui lotti di coroplastica in gran parte confluiti in collezioni pubbliche italiane e straniere, dove si è persa l’attinenza di ciascun pezzo alle descrizioni degli scavatori o addirittura si è confuso il luogo di provenienza, e fra i quali solo recenti studi sono riusciti a fare ordine.36 I materiali attribuibili con certezza al santuario ne documentano l’attività fra la tarda età arcaica e quella ellenistica e restituiscono un quadro tipologico variegato, dominato da tipi maschili, fra i quali primeggiano i banchettanti, ma composto anche da soggetti femminili di vario genere. Ad uno o più depositi di quest’area come luogo di provenienza delle testine si può guardare solo supponendo una selezione dei pezzi attenta ad escludere sistematicamente i tipi attestati con maggiore frequenza, vale a dire quelli maschili.

  • 37 Di testine muliebri al Pizzone e al Santuario della Sorgente di Saturo riferiscono, rispettivamente (...)

21Decisamente più coerente con il repertorio tipologico del nostro complesso è la coroplastica rinvenuta negli altri due santuari. La maggior parte delle terrecotte del Pizzone e del santuario della Sorgente di Saturo, infatti, è costituita da raffigurazioni femminili - alcune delle quali condividono con le nostre la frammentarietà - e, in misura minore, da bambini/adolescenti, sileni e animali.37 L’assenza di documentazione posteriore alla metà del IV secolo a.C. nell’area del Pizzone, tuttavia, segna uno scarto cronologico non indifferente rispetto al nostro nucleo lasciando privo di riscontro il consistente gruppo delle tanagrine e degli altri tipi ellenistici.

  • 38 Le prime notizie sulle indagini al Santuario della Sorgente vengono date da Lo Porto 1976; 1977, cu (...)
  • 39 Per la coroplastica si segnalano i lavori di: Masiello 2005 (placchette fittili); Bencze 2013; Poli (...)
  • 40 Bencze 2013, 22; Bernardini 2018, 189, nos. 6175.

22L’ultimo santuario, scoperto negli anni Settanta del secolo scorso alle spalle dell’attuale baia di Porto Saturo (comune di Leporano), di recente è stato oggetto di nuove indagini e di una revisione dei materiali recuperati.38 La coroplastica, ritrovata all’interno e intorno a 11 bothroi e purtroppo ancora solo parzialmente edita, attesta un’altissima incidenza di soggetti femminili, nonché la presenza di raffigurazioni infantili. Figure sedute e stanti riferibili al tipo di San Biagio-Saturo, protomi-busto, puppen e tipi tanagrini offrono un valido confronto per il repertorio delle iconografie rappresentate nel nostro complesso anche dal punto di vista dei rapporti quantitativi tra i soggetti.39 Benché tra i nostri non figurino quelli più antichi come le statuette in stile dedalico, rilevante è la presenza a Saturo di tipi ellenistici inquadrabili tra la fine del III secolo a.C. e i primi decenni del successivo, raramente attestati nei contesti sacri finora presi in esame. Da segnalare, infine, due nuclei di terrecotte, uno arcaico e uno ellenistico, rotte all’altezza del collo, delle quali non si è riscontrata pertinenza con alcun frammento di corpo.40

  • 41 Marchetti and Gavini 2021.
  • 42 L’impatto della romanizzazione sui tratti culturali e produttivi distintivi della Taranto greca è q (...)
  • 43 Una recente distinzione fra i depositi di dismissione e quelli di obliterazione al Santuario della (...)

23Nell’area monumentalizzata del santuario, che comprende tre edifici quadrangolari databili fra VI e V secolo a.C. oggi interpretati come hestiatoria41 e un thesauròs, è venuta alla luce una grande quantità di materiale votivo in parte disseminato su un ampio strato posto poco al di sotto del piano di campagna, in parte contenuto negli 11 bothroi. Fra le classi di materiale prevalgono la coroplastica e la ceramica, estremamente frammentate, ma compaiono anche pesi da telaio, oggetti da toeletta e di ornamento femminile e un’esigua quantità di ossa animali combuste. La compresenza di offerte e oggetti del rito mescolati e riversati in un’unica soluzione nelle fosse o sparpagliati sul terreno rappresenta verosimilmente l’esito di un rituale di dismissione del santuario avvenuta fra la fine del III secolo a.C. e i primi decenni del II in probabile conseguenza della conquista romana di Taranto nel 209 a.C.42 Alla sua definitiva obliterazione, invece, sono da collegare le tracce di estese distruzioni e forse di incendi che hanno interessato l’intera area monumentalizzata.43

24L’originaria giacitura dell’intero complesso delle terrecotte sequestrate in uno di questi depositi di dismissione risulta, allo stato attuale delle conoscenze, la più probabile sia per il riscontro offerto dalla cronologia della documentazione sia per il repertorio delle iconografie. Un ulteriore indizio è rappresentato dalla presenza di carboncini e tracce di cenere nel terriccio essiccato adeso alla superficie delle nostre terrecotte e di due piccoli frammenti di conchiglia nelle incrostazioni di altrettanti esemplari individuati durante lo studio del materiale (fig. 9). I segni di bruciato potrebbero essere correlati agli eventi distruttivi che coinvolsero il sistema degli edifici in un momento contestuale o appena successivo a quello del riempimento dei bothroi posti proprio nello spazio adiacente le strutture. D’altra parte, sia all’interno delle fosse che negli spazi di risulta fra l’una e l’altra, sono segnalate ossa di animali, probabilmente da mettere in relazione a pasti cerimoniali o a rituali di chiusura dei depositi che potrebbero fornire una spiegazione per i carboncini e i frammenti di conchiglia trovati fra i nostri materiali. Peraltro, la recente interpretazione degli edifici quadrangolari come hestiatoria rende meno remota la possibilità che resti organici, anche combusti, fossero presenti sul terreno dell’intera area monumentalizzata.

Fig. 9. Frammento di conchiglia, particolare della testa: ST 27990

Fig. 9. Frammento di conchiglia, particolare della testa: ST 27990

Foto: autore

  • 44 Lo Porto 1977, 733; Lippolis et al. 2014, 8991.

25Parte del potenziale informativo del sito, tuttavia, appare compromesso se si considera che il Santuario della Sorgente di Saturo è stato meta degli scavatori clandestini fin dall’epoca delle prime indagini condotte da Lo Porto fra il 1973 e il 1977. Le depredazioni, come quella che portò allo svuotamento nottetempo della cassa litica trovata nel thesauròs, si intensificarono fra il 1977 e il 1982, anno in cui le sottrazioni di materiale votivo e la sua immissione nel mercato antiquario preoccuparono a tal punto da affrettare la ripresa delle ricerche ufficiali da parte di Ettore De Juliis; né in seguito cessarono del tutto se, ancora negli anni Duemila, Enzo Lippolis individua molteplici interventi clandestini ai margini dell’area di scavo.44

Conclusioni

26I paralleli emersi da questo esame dei contesti rituali di Taranto e degli immediati dintorni evidenziano la coerenza, parziale o integrale, dei nostri materiali con le terrecotte rinvenute in aree destinate al culto. Fra questi il Santuario della Sorgente di Saturo è l’unico ad offrire un riscontro per tutti i tipi iconografici del sequestro e per i rapporti di proporzione fra i diversi generi dei soggetti oltre a fornire una plausibile spiegazione per lo stato di conservazione delle nostre terrecotte alla luce di una procedura rituale di abbandono dell’area sacra che deve aver implicato la manipolazione e l’occultamento delle offerte e il consumo di pasti cerimoniali. In quest’ottica, l’originaria giacitura delle nostre terrecotte all’esterno o all’interno di uno o più bothroi del Santuario risulta la conclusione più convincente del ragionamento condotto finora basato, come si è detto, sull’ipotesi “di comodo” di un’unitarietà del complesso di materiali. D’altra parte non si possono escludere altre vie di costituzione del corpus; se - come è possibile - il complesso fosse un coacervo di reperti confluiti da interventi e scavi diversi, depositi come quelli del Pizzone, di Fondo Giovinazzi o perfino ritrovamenti sporadici di cui nemmeno gli antiquari che ne entrarono per primi in possesso forse conoscevano l’origine, potrebbero aver contribuito ad arricchire il numero dei frammenti offerti all’arbitrio di un generoso acquirente.

  • 45 Lippolis et al. 2014, 91.

27Al di là dei problemi che rimangono aperti al termine di questa indagine, la probabile pertinenza delle nostre terrecotte a depositi di santuari tarantini restituisce a materiali decontestualizzati una parte del loro valore documentario. Nel panorama odierno degli studi di archeologia del rito, infatti, essi possono offrire un piccolo contributo alla ricostruzione dell’aspetto quantitativo del fenomeno di dedica delle offerte alle divinità e di quegli aspetti della storia delle ricerche che ne condizionano ancora oggi la piena comprensione. A questo proposito sarebbe interessante prendere in considerazione il copioso materiale riconducibile ai depositi votivi del Santuario della Sorgente di Saturo recuperato da numerosi sequestri, che va ad accrescere la mole dell’inedito.45 A questa categoria di reperti, svalutati e sottostimati, l’indagine condotta consente forse di ascrivere anche i nostri frammenti che, inseriti nell’abbondante flusso dei commerci illegali, hanno parimenti contribuito a disperdere la ricca documentazione dell’attività cultuale degli antichi abitanti di Taranto.

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Notes

1 Tesi di specializzazione in Beni Archeologici dal titolo Coroplastica votiva arcaica, classica ed ellenistica. Un sequestro di materiali tarantini discussa il 14/03/2022 presso l’Università degli Studi di Milano. Relatrice: prof.ssa C. Lambrugo. Correlatrice: prof.ssa M. Castoldi.

2 La schedatura preliminare delle terrecotte fu redatta dalla Dott.ssa M.G. Cerulli Irelli. Le foto presentate in questo contributo sono state scattate da chi scrive.

3 Cuomo di Caprio 2007, 230, 467–471.

4 Cuomo di Caprio 2007, 229; Bencze 2013, 2223.

5 Bencze 2013, 39132; Bilbao Zubiri 2019.

6 Per la testa ST 27959, see Bencze 2013, 59, tipo A3, 61, tipo A5; Bilbao Zubiri 2019, 871, tipo 4. Per la testa ST 27965, see Bilbao Zubiri 2017, 1007, fig. 6a che rappresenta il tipo più diffuso della serie achea metapontina (Bilbao Zubiri 2019, 868–869).

7 Per la testa ST 27960, see Bencze 2013, 111, tipo D/A 1, no. 26, pl. VIIf. Per la testa ST 27964, see Bencze 2013, pl. VIc.

8 Muller 2022, 337340.

9 Sulle raffigurazioni di questo genere note nelle varianti vestita e nuda per le quali sono stati impiegati termini quali dolls, puppen, hierodouloi, si vedano Huysecom Haxhi and Muller 2007, 239240; Huysecom Haxhi et al. 2012; Dasen and Verbanck-Piérard 2022; la denominazione puramente descrittiva delle figure femminili “con gambe chiuse e ginocchia leggermente piegate” provenienti dalla necropoli di Taranto è impiegata da Graepler 1994, 285.

10 Per la testina ST 28043, see Lo Porto 1976, 733, pl. CII, 2; Graepler 1994, 285286, figs. 212213; Monetti 2005, 122, figs. 2829. Per la testina ST 27974, see Lo Porto 1976, 733, pl. CII, 2.

11 Dell’Aglio 1996, 72, no. 59 (matrice); Graepler 1996, 242, no. 174 (statuetta con ginocchia leggermente piegate).

12 Per gli esemplari di Fondo Giovinazzi si veda Parisi 2019, CXLI, nos. 43, 46. Statuette di questo tipo sono identificate con Artemide rappresentata alla maniera della dea tracia Bendis oppure, secondo la proposta di Enzo Lippolis, con offerenti in travestimento rituale: Lippolis 1995, 5960; Abruzzese Calabrese 1996, 192; Lippolis 2005a, 9596.

13 Per una sintesi delle conoscenze acquisite in decenni di studi e ritrovamenti si rimanda al volume Jeammet 2003a; per una rassegna dei pigmenti attestati sulle tanagrine si vedano Jeammet 2003b; 2014.

14 Per una panoramica delle varianti dello schema sofocleo si veda Jeammet 2003a, 200201.

15 Fra quelli possibili si riporta un esempio da Taranto dove la Melonfrisur è attestata in raffigurazioni eterogenee provenienti dalla necropoli: su una menade o ninfa drappeggiata stante con grappolo d’uva e su figura stante con patera (Jeammet 2003a, 285287, nos. 222224); su statuetta vestita dalle anche in giù (Jeammet 2003a, 278, fig. 81) e su una Nike (Graepler 1996, 245).

16 Per il tipo sofocleo a capo scoperto si citano a titolo esemplificativo esemplari da Morgantina (Bell 1981, 174, no. 359, pl. 47, 175, no. 360, pl. 75) e quelli simili attestati a Taranto (Colivicchi 2001, 82, no. 4.16; Jeammet 2003a, 280, fig. 82; Bernardini 2018, 182, nos. 12) e a Capua (Jeammet 2003a, 201, fig. 63) e una matrice da Policoro (Jeammet 2003a, 281, no. 217). Per le raffigurazioni di Afrodite si vedano alcune statuette dalla necropoli di Taranto (Graepler 1994, 292; 1996, 246; Colivicchi 2001, nos. 4.124.20), i tipi affini dal Santuario della Sorgente di Saturo (Masiello 2005, 442, nos. 371372; Bernardini 2018, 179180), ma anche le numerose testine acconciate alla maniera cnidia trovate a Morgantina (Bell 1981, 190194, nos. 484535, pls. 9498) e a Locri (Barra Bagnasco 2009, 281282, nos. 529535, pls. CICII).

17 Una figura intera e una testina fra le terrecotte rinvenute a Morgantina (Bell 1981, 178, no. 388, pl. 82, 201, no. 617, pl. 105) e una testina dal Santuario della Sorgente di Saturo (Bernardini 2018, 189, fig. 69).

18 Ricorrono nelle nostre testine corone composte da foglie d’edera modellate a mano disposte simmetricamente ai lati di una o due bacche centrali, forse corimbi, che trovano confronto con quelle di alcune testine ellenistiche dal Santuario della Sorgente di Saturo (Bernardini 2018, 189, nos. 7274); sulla scorta di quanto proposto da Enzo Lippolis (Lippolis 1984, 113114), sarebbe suggestivo vedere in questi ornamenti la traduzione nella piccola plastica dei preziosi esempi reali restituiti dai corredi funerari tarantini quali una corona di bronzo, oro e pasta vitrea a foglie d’edera e bacche alternate (Colivicchi 2001, 72, no. 3.4) e alcuni esemplari in terracotta dorata (Masiello 1984, 92, nos. 2022).

19 Ci si riferisce ad alcune testine rinvenute al Santuario della Sorgente di Saturo: Bernardini 2018, 189, nos. 67, 68, 70, 75 rispettivamente per i nostri esemplari ST 28154, ST 28144, ST 27993 e ST 28070.

20 I confronti più pertinenti sono quelli con i piccoli eroti provenienti dai corredi delle tombe tarantine databili al II secolo a.C. (Graepler 1994, 297–298; Colivicchi 2001, 101105, nos. 8.338.35).

21 Per un’accurata ricostruzione della storia delle ricerche a Taranto: Alessio et al. 1988; Lippolis 2005b.

22 I risultati del Progetto Taranto condotto tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso su circa 650 tombe della necropoli sono esposti in Lippolis 1994 (ceramica); Graepler 1984; 1994; 1996 (coroplastica). Per le riflessioni sulla peculiare ritualità funeraria tarantina si vedano Graepler 2002; Lippolis 2005a, 9293; Costanzo 2016.

23 Una panoramica delle principali collezioni museali che contengono terrecotte tarantine è offerta da Iacobone 1988, 158–162. Per i problemi connessi alla datazione su base stilistica di prodotti in serie: Bencze 2013, 25; Bernardini 2018, 169–171.

24 Bencze 2013, 130.

25 Testimoniata dall’elaborazione dei tipi di Hyakinthos e Polyboia ampiamente attestati nelle stipi in area di necropoli: Lippolis 1995, 5657, 6162.

26 In base alla cronologia fissata dal Progetto Taranto, in un periodo compreso tra il passaggio dalla fase A alla B (325300 a.C.) e la fine della fase E (175125 a.C.): Graepler 1994, 285.

27 Terrecotte funerarie e terrecotte votive andrebbero distinte solo sulla base del luogo di rinvenimento e non di una presunta destinazione per la quale siano state specificamente create: Graepler 1996, 231.

28 Un quadro completo dei contesti emersi organizzati secondo un criterio topografico-funzionale è rappresentato dall’insostituibile lavoro di Enzo Lippolis che distingue: santuari, contesti cultuali di incerta identificazione, manifestazioni del culto nell’area della necropoli e reperti fuori contesto (Lippolis 1995, 65129).

29 Di colore arancio, beige o giallo, con impasto più o meno depurato e inclusi perlopiù micacei a Taranto (Ferrandini Troisi et al. 2012, 30), simile nelle terrecotte di Timmari (Lo Porto 1991, 7374) e di Locri (Barra Bagnasco 1977, 184).

30 Le analisi chimiche e petrografiche condotte su ceramiche neolitiche e su ceramiche figurate apule e lucane hanno evidenziato la compatibilità degli impasti con più varietà di argille locali (Muntoni 2002, 111; Laviano and Muntoni 2011; Robinson 2014).

31 Di questo avviso Barra Bagnasco 1977, 188 seguita da Elia 2010, 256 a proposito delle terrecotte di Locri; diversa l’opinione di Mastrocinque 2005, 28.

32 Altra questione da considerare, che esula dal campo definito per questa ricerca, è se una qualche forma di selezione delle parti delle statuette possa essere avvenuta già in epoca antica: sulla frammentazione selettiva delle offerte si vedano gli esempi riportati da Denti 2015 (ceramica) e Parisi 2017, 515516 (coroplastica).

33 D’Angela 2000, 195.

34 Si tratta del 2/3% delle sepolture tarantine che, perfino nel periodo di massimo incremento quantitativo del fenomeno di offerta di terrecotte nei corredi, non ne contengono più di 10 (Graepler 1994, 285286).

35 Stipe isolata di via Duca degli Abruzzi e di via Crispi (Lippolis 1995, 111–112, stipe g.6, 119–120, stipe g.32).

36 Sulla scia di Lippolis 1995, 7180: Poli 2010a; 2010b; Parisi 2019, 182–183.

37 Di testine muliebri al Pizzone e al Santuario della Sorgente di Saturo riferiscono, rispettivamente: Lippolis 1995, 78; Lippolis et al. 2014, 96. Una sintesi dei soggetti rappresentati al Pizzone si trova in Poli 2020, 112–121.

38 Le prime notizie sulle indagini al Santuario della Sorgente vengono date da Lo Porto 1976; 1977, cui seguono De Juliis 1981; Lippolis 1995, 8387. I risultati delle indagini più recenti, condotte dall’Università La Sapienza di Roma, sono pubblicati da: Lippolis 2012b; Lippolis et al. 2014; Marchetti and Parisi 2016; Jaia et al. 2021.

39 Per la coroplastica si segnalano i lavori di: Masiello 2005 (placchette fittili); Bencze 2013; Poli 2015 (terrecotte arcaiche); Poli 2005 (protomi-busto); Monetti 2005 (materiali provenienti dalla favissa 6); Bernardini 2018 (le statuette ellenistiche).

40 Bencze 2013, 22; Bernardini 2018, 189, nos. 6175.

41 Marchetti and Gavini 2021.

42 L’impatto della romanizzazione sui tratti culturali e produttivi distintivi della Taranto greca è questione dibattuta a partire da Coarelli 1970 contra Moretti 1970 e coinvolge il complesso problema della cronologia dell’età ellenistica a Taranto su cui si vedano Lippolis 1994, 5863; Graepler 1994; 2002.

43 Una recente distinzione fra i depositi di dismissione e quelli di obliterazione al Santuario della Sorgente di Saturo è stata fatta da Parisi 2017, 544549, 555–559.

44 Lo Porto 1977, 733; Lippolis et al. 2014, 8991.

45 Lippolis et al. 2014, 91.

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Title Fig. 1a-d. Testine femminili del tipo San Biagio-Saturo. 1a. ST 27959. 1b. ST 27965. 1c. ST 27960. 1d. ST 27964
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Title Fig. 2a-c. Testine femminili del tipo dell’offerente o del tipo seduto con gambe serrate. 2a. ST 27973. 2b. ST 28043. 2c. ST 27974. Fig. 2d. Testina femminile del tipo di Artemis Bendis: ST 28156
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Title Fig. 3a-b. Testine femminili del tipo sofocleo. 3a. ST 28176. 3b. ST 28061
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Title Fig. 4. Frammento di statuetta femminile del tipo sofocleo: ST 28129 (h: 9,8 cm; largh: 6,8 cm)
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Title Fig. 5a-b. Testine femminili con Melonfrisur: ST 28168, ST 27982. Fig. 5c. Testina femminile con Melonfrisur e corona vegetale: ST 28154. Fig. 5d. Testina femminile con Melonfrisur e diadema: ST 27993
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Title Fig. 6a-b. Testine femminili con acconciatura cnidia. 6a. ST 27985. 6b. ST 28018
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Title Fig. 7a. Testina femminile con acconciatura ondulata e tracce di diadema applicato: ST 27997. Fig. 7b. Testina femminile con acconciatura raccolta e corona vegetale: ST 28070. Fig. 7c. Testina femminile con acconciatura raccolta e petaso poggiato su una corona vegetale: ST 28144
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Title Fig. 8a. Testina infantile con acconciatura a riccioli: ST 28196. Fig. 8b. Testina infantile con acconciatura a treccia centrale: ST 28193
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Title Fig. 9. Frammento di conchiglia, particolare della testa: ST 27990
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References

Electronic reference

Irene Managlia, “Terrecotte votive da Taranto. Un tentativo di contestualizzazione di materiali sequestrati”Les Carnets de l’ACoSt [Online], 24 | 2024, Online since 01 June 2024, connection on 10 February 2025. URL: http://journals.openedition.org/acost/4070; DOI: https://doi.org/10.4000/11rv2

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Irene Managlia

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