1Il progetto comune dei pragmatisti (Calcaterra 2024) raccoglie una selezione di saggi del periodo di produzione di Rosa Calcaterra che va dal 2003 al 2016, rivisti o integrati in vista di questa nuova edizione. Il volume offre uno sguardo d’insieme del percorso teoretico di Calcaterra, focalizzandosi sugli autori pragmatisti che più hanno segnato il suo pensiero, segnatamente C.S. Peirce, W. James, J. Dewey, G.H. Mead, C.I. Lewis, H. Putnam e R. Rorty. Come hanno notato Michela Bella, Giovanni Maddalena e Marco Stango, autori dei contributi del simposio qui ospitato, leggendo i saggi selezionati si coglie bene la forza dell’interpretazione di Calcaterra, secondo la quale non vi sarebbero visioni filosofiche inconciliabili tra pragmatisti classici e neopragmatisti quanto piuttosto comuni obiettivi teoretico-metodologici accomunati dall’intento unitario di svolgere l’attività filosofica in modi diversi ma complementari. La novità delle proposte di Peirce, James, Dewey, Mead, Lewis, Putnam e Rorty emergerebbe quindi entro una continuità metodologica, epistemologica e ontologica che trova la sua forza nei termini della complementarità di interessi, obiettivi e stili filosofici.
2In questi termini il lavoro filosofico di Calcaterra, che nasce dagli studi su Habermas e Apel (Calcaterra 1984, 1987) in quanto lettori di Peirce, ma anche dall’analisi dell’opera di Gadamer, ha posto le basi di una interpretazione, filologicamente confermata, che tende a superare la discutibile distinzione, ampiamente diffusa fin dalla prima ricezione del pragmatismo, tra un pragmatismo “logico” e un pragmatismo “psicologico” o, nel caso della ricezione italiana di Papini, “magico” (Maddalena & Tuzet 2021; Maddalena 2014; Baggio & Brioschi 2022).
3Per evidenziare la validità della proposta del progetto comune pragmatista Bella si concentra nel suo contributo sul valore dell’esperienza della novità e sull’importanza della dimensione sociale e del sentimento di socialità. Secondo Bella “la difficoltà e la fecondità di questo intreccio di istanze individuali e sociali” è rintracciabile nel corso dell’intera produzione di Calcaterra, rappresentandone la “cifra” della sua filosofia. In particolare, Bella ritiene che sia possibile rintracciare un progressivo spostamento del focus di Calcaterra “dal ruolo che gioca il rapporto individuale-sociale nell’esperienza conoscitiva e valoriale dei singoli al suo ruolo intersoggettivo in vista del contributo alla costruzione di una migliorabile società umana.” Questo spostamento muove la lettura di Calcaterra del contingentismo rortiano verso una concezione dinamica, aperta e plurale della conoscenza e della società che tenga conto del valore delle esperienze personali. Sempre all’interesse per Rorty è rivolta la seconda osservazione di Bella, la quale rintraccia una profonda consonanza tra l’anti-fondazionalismo di Rorty e la tesi di Calcaterra dell’“unità dinamica” del pragmatismo. Tale consonanza riposa nel fatto che il progetto comune del pragmatismo non pretende offrire una visione univoca e immodificabile della verità, quanto piuttosto porsi come una voce che permetta di incrementare le possibilità di costruire vedute sempre più ricche e articolate sul mondo individuale e sociale, sulla realtà presente e futura, “offrendoci un qualche riparo dalle offese e le umiliazioni che accompagnano sempre i dogmatismi di ogni sorta” (Calcaterra 2024: 20-1). A questo si collega il terzo aspetto evidenziato, ovvero la visione dinamica e continuista di Calcaterra, che secondo Bella si inserisce nel percorso già tracciato da Addams, Du Bois, Follett e Dewey, in cui è possibile “rintracciare la comune attitudine a gestire il conflitto puntando su cooperazione, alleanze e integrazione sulla base di una visione che valorizza la pluralità di bisogni e desideri diversificati invece di esasperare le differenze e gli antagonismi.”
4Giovanni Maddalena interroga invece Calcaterra proprio sull’origine della sua lettura unitaria e complementare dei differenti pragmatisti. Maddalena rintraccia nel lavoro di Calcaterra tre concetti che permettono di consolidare la sua visione pragmatista: la concezione del fallibilismo, inteso come chiave epistemologica dell’intero movimento; la nozione di continuismo od olismo, che permette di legare la lettura calcaterriana del pragmatismo con la tradizione analitica derivante da Quine; l’idea del consequenzialismo, alleato dell’esternalismo, declinato in differenti forme dai pragmatisti di varie generazioni. Vi è un aspetto, però, che Maddalena trova problematico, nel percorso di Calcaterra: la questione del fondamento della ricerca e della conoscenza umana. Seguendo la lettura di Maddalena, Calcaterra si sarebbe mossa da una iniziale lettura anti-fondazionalista del pragmatismo verso una posizione più mediata che, mantenendo saldo il rifiuto per un fondamento apriori ed essenzialista, sembra accogliere una forma (“à la Dewey”) di “metafisica naturalizzata.” Ciò deriverebbe a Calcaterra da una maggiore aderenza a un continuismo che avrebbe portato alla dissoluzione del dualismo fondazionalismo/antifondazionalismo “in un rapporto più rispettoso del senso comune tra ciò che riceviamo e ciò che costruiamo, tra strutture epistemiche e avvenimento conoscitivo.” Si tratterebbe, in questo caso, di una teoria ancora da precisare ed elaborare. Ammesso che questa sia la via intrapresa da Calcaterra, l’autore chiede se sia possibile applicare tale concezione all’intero movimento pragmatista e se, infine, essa resti “neutra riguardo a una dimensione metafisica.”
5Un’ultima questione che Maddalena pone a Calcaterra riguarda il rapporto tra Peirce e Kant, anch’esso all’origine del progetto unitario di cui l’autrice si fa promotrice. Le osservazioni che infatti elabora su questo rapporto, secondo Maddalena, la aiutano a dare voce alla “verità storica della rinascita degli studi pragmatisti verso la fine del secolo scorso” e a evidenziare la “sopravvalutazione,” da parte della filosofia analitica dominante, dell’opera di Peirce rispetto a quelle di James e Dewey. Proprio per contrastare questa interpretazione Calcaterra si impegna nella costruzione della propria visione unitaria dei pragmatisti. Nota, però, Maddalena, che nonostante la lettura di Calcaterra, rimane ancora aperta la questione del rapporto Peirce-Kant nel suo aspetto filologico e in quello culturale, al primo strettamente connesso. Sul lato filologico, Maddalena rileva che nella scholarship peirceana si fronteggiano negli ultimi decenni due posizioni: da un lato quella che inserisce Peirce nel solco della filosofia trascendentale di stampo kantiano (Gava & Stern 2016), dall’altro la posizione che invece lo vede passare da un idealismo soggettivo iniziale a un idealismo oggettivo finale, in cui sono rintracciabili sia la matrice hegeliana che l’evoluzionismo, così come il realismo metafisico scotista (Colapietro 2004, 2020; Maddalena 2019). A questa ricostruzione e interpretazione storico-filologica sono associate, su un piano culturale, due prospettive rilevanti. La lettura che vede un’affiliazione kantiana di Peirce è abbinata a “una sostanziale approvazione del progetto analitico che è stato ed è così influente nella storia della filosofia contemporanea,” mentre la seconda interpretazione sembra promuovere prospettive spesso “apertamente in contestazione con il progetto moderno e razionalista della filosofia.” Tra queste due posizioni, nota Maddalena, si inserisce l’opera di Calcaterra, che sembra stabilirsi esattamente nel mezzo tra questi due versanti, così come testimoniano i suoi interessi per alcuni autori pragmatisti come C.I. Lewis. In questo senso, la posizione di Rosa sembra maggiormente suggerire una lettura del pragmatismo come una corrente che tende a superare Kant senza però abbandonarsi a un totale anti-kantismo.
6L’intervento di Marco Stango muove dalla considerazione che il nuovo libro di Calcaterra, nell’articolare la sua visione unitaria dei pragmatisti, “propone il pragmatismo nuovamente, cioè rinnova per il lettore di oggi la persuasività di un modo organico, seppur vario, di fare filosofia.” In questo senso, l’autore afferma che la lettura del libro di Calcaterra l’ha interpellato personalmente, facendo sorgere in lui molteplici domande, che vanno concepiti come “dubbi viventi,” e non “di carta,” per riprendere la felice immagine di Peirce. È proprio sulla co-presenza di unità e varietà, che caratterizza tutto il volume, che verte la prima domanda di Stango a Calcaterra: “come giustificare il criterio continuista su quello discontinuista?”
7L’autore poi passa in rassegna tutti i capitoli, sollevando per ciascuno molteplici domande che, nella loro differenza, in gran parte rimandano alla questione dei fondamenti della conoscenza, di cui egli problematizza soprattutto l’aspetto metafisico. Il primo punto riguarda senza dubbio il tema del realismo. Rispetto alla trattazione offerta nel primo capitolo su Peirce, l’autore ripone la questione del “realismo metafisico,” individuandolo come la via mediante cui il suo pragmatismo abbia tentato e possa ancora oggi superare superare “il vicolo cieco del soggettivismo e del dualismo gnoseologico” caratteristico della modernità. Il tema del realismo riemerge poi rispetto ai capitoli su Mead, per cui Stango si chiede se “non sia auspicabile continuare la grande impresa del pragmatismo seguitando a valorizzare, come fa Mead, la natura sociale delle attività cognitive […] ma tentando di ricalibrare l’universalità del nesso di simbolo e risposta su di un più robusto realismo.”
8Un’altra questione ricorrente, e centrale, della trattazione di Stango riguarda la possibilità di leggere il progetto pragmatista, nell’interpretazione di Calcaterra, come correzione e ampliamento della metafisica tradizionale. Ad esempio, rispetto al capitolo terzo, dedicato all’approccio pragmatista di James alla verità, Stango si interroga se sia possibile sostenere, seguendo Calcaterra, che James espliciti “una virtualità essenziale ma prima rimasta nascosta dell’idea classica, corrispondentista, di verità, cioè, l’idea che la verità non solo sia provata dalle sue conseguenze ma […] che si esprima come fecondità nell’esperienza e per l’esperienza, oltre la riduzione moderna della verità a certezza.” Analogamente, rispetto a James Stango si chiede se “le relazioni che connettono diverse esperienze in modo continuo non possono essere considerate esse stesse il modo (corretto!) tramite cui reinterpretare alcune categorie tradizionali, per esempio quelle di sostanza, come se tali categorie venissero riscoperte in modo spontaneo dal pragmatismo in opposizione a e come superamento dell’impasse di alcune versioni moderne.”
9Infine, insieme ad alcune richieste di chiarimento sulla proposta normativa e politica del pragmatismo (soprattutto deweyano), Stango solleva alcune questioni relative ai rischi e alla percorribilità del progetto pragmatista avanzato da Calcaterra. In riferimento al capitolo su Putnam lettore di James, l’autore problematizza le possibili derive della proposta pragmatista ed anti-essenzialista del concetto di realtà affermando in modo radicale: “se è vero che una cattiva metafisica rischia di alienare il particolare, un pluralismo infondato non rischia di diventare un’accozzaglia?” La domanda viene diversamente riproposta relativamente all’interpretazione di Dewey offerta da Calcaterra, per cui Stango si chiede se “non c’è il rischio che l’uni-pluralità cara ai pragmatisti si frantumi in una molteplicità irrelata di frammenti.”