1L’œuvre de Piero d’Ostra est pour l’instant peu connue, et je travaille à son édition, étant détentrice de tous ses manuscrits depuis son décès en 2015. Œuvre foisonnante et variée, elle se compose d’une soixantaine d’ouvrages, très souvent auto-traduits, qu’ils soient en vers ou en prose, et se caractérise à la fois par son ambition (mise en vers de la Bible ou de la mythologie grecque par exemple) et par un aspect débonnaire qui construit un imaginaire ironique, mais qui souvent habille des questions douloureuses (pauvreté, émigration sont le sujet ou la toile de fond de nombreux romans et nouvelles).

3Nous en donnons un exemple avec la publication intégrale de la nouvelle L’uomo dei morti. À première vue, une description plutôt réjouissante d’une tranche de « vie au village » avec une focalisation dans le regard de l’enfant qu’était le narrateur. L’énonciation enfantine détermine une langue simple, que le narrateur manie avec une fausse ingénuité : derrière la fierté de l’enfant, on perçoit la difficile dignité dans la misère du monde adulte qui l’entoure.

5                                          L’Uomo dei morti
                                              Piero d’Ostra

                                               Ostra è bella,
                                          è bella e graziosa:
                                               chi ci viene
                                          ci trova la sposa…

*

7     Duilio era l’Uomo dei morti. Aveva il viso triste, serio, imponente, sempre ben rasato. Era sempre decentemente vestito di nero. Era magro, alto, allampanato e aveva un naso molto lungo. Aveva una dozzina di capelli in testa ma sempre pettinati con la riga in mezzo. Non ho mai saputo se avesse trent’anni o sessanta, neanche quando divenni il suo impiegato per qualche mese. Avevo allora otto anni: sapevo leggere e scrivere e Duilio no. Lui sapeva solo contare il denaro.
     Devo dire che la mia prima ambizione è stata quella di diventare un tipo importante come lui, perché lui era, si può dire, il solo imprenditore di Ostra.
    In apparenza egli non lavorava mai come tutti quanti ma tutti lo rispettavano perché egli era l’Uomo dei morti: quando io cominciai a far la sua conoscenza avevo quattro o cinque anni e in confronto a lui non ero che un vermiciattolo.

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8     Non so se l’industria che egli aveva creata ad Ostra sia mai esistita in altri posti. Ad Ostra, quand’io ero piccolo, la gente aveva la strana abitudine di morire, ad un certo punto. E allora la si portava al cimitero – in prima, in seconda o in terza classe.
     In prima classe c’era un carro di lusso, coperto di fiori, tirato da due cavalli impennacchiati e coperti di gualdrappe ricamate d’oro. Nella seconda c’era un carro meno bello, i cavalli non erano impennacchiati e non avevano gualdrappe. Nella terza classe c’era un carro malandato, tirato da un vecchio cavallo: io non capivo perché i morti di terza classe non reclamassero mai. Ma in quell’epoca i morti erano arretrati.
    Comunque, in tutt’e tre le classi una stessa cosa era importante per i parenti del morto: il corteo che seguiva il funerale fino al cimitero. Più gente c’era e più c’era onore.
     E qui interveniva il genio di Duilio.
    Come fare per convincere la gente viva ad accompagnare un morto che non gli era parente? Duilio aveva inventato di far venire i poveri del paese, i quali, a cerimonia finita, uscendo dal cancello del cimitero, ricevevano da lui una lira.
     Naturalmente erano le famiglie che fornivano le lire a Duilio.
    Quando conobbi i suoi affari, seppi che lui contrattava prima una certa somma con la quale egli s’impegnava a versare una lira ad ogni povero – col diritto di tenersi tutte le lire rimaste. Lui non ci rimetteva mai ma era perfettamente onesto e non derubava nessun povero.
     Era diventato una specie d’istituzione nazionale ad Ostra. Lui si teneva al corrente di tutto; aveva contatti con tutti i dottori. Non appena un ammalato moriva lui si presentava in casa, faceva le condoglianze, s’incaricava di ordinare la cassa, delle pratiche al Municipio, della messa da morto. Senza alcun salario, sapendo che infine la famiglia lo avrebbe incaricato di distribuire l’elemosina dei morti.
     Sarebbe stato un disonore un mortorio senza un numeroso corteo, e anche quelli di terza classe si sacrificavano per riunire le lire dell’elemosina. Quando uno stava per morire, tutti lo consolavano dicendo: – Non ti preoccupare: avrai un mortorio da fare invidia a tutti.

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9     Io venni a conoscenza di quest’usanza quando in casa nostra cominciò a mancare il pane: avevo poco più di quattro anni.
     Seguii un giorno un mio compagno più grande di me che s’era messo nel corteo d’un carro funebre. Poi, stando sempre dietro a lui, uscendo dal cimitero, avevo ricevuto anch’io una lira dal signor Duilio. Tutto fiero, l’avevo portata a mia madre che s’era messa a piangere, mormorando: – È proprio la Madonna che ha pensato per noi: non avevamo neanche il pane, oggi.
     – Ma allora siamo poveri? – le chiesi.
    – No, no, non dirlo a babbo: se viene a sapere che hai preso la carità s’arrabbia. Ma io come posso farvi mangiare, senza soldi?

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10     Da quel giorno diventai grande e cominciai a guadagnarmi la vita – con la morte degli altri.
     Fu un segreto tra me e mia madre. Essa mi teneva al corrente dei funerali. Anche in presenza di mio padre diceva, facendo finta di non guardarmi: – Quel tale è morto, poveretto! Il funerale partirà dalla chiesa di San Francesco (o di Santa Croce). Io ero avvisato e non perdevo l’occasione.
    E facevo dei buoni affari. Una lira era il minimo anche per uno di terza classe. Ma qualche volta era di più. C’erano dei morti a due lire, tre, quattro… Il massimo, però, era uno scudo, anche per i morti più ricchi. Io non sapevo che lo scudo valesse cinque lire e la prima volta ci rimasi male, vedendolo più piccolo d’una lira.
    Ma imparai presto a conoscere il valore del denaro. E a fare addizioni. Mi ricordo che in una sola settimana guadagnai diciassette lire e che mia madre ne fu proprio contenta.

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11     Purtroppo la gente non moriva tutti i giorni: c’erano dei periodi di vacche magre. Io, prima di andare a letto, facevo delle preghiere per far morire la gente ma Gesù Bambino non m’accontentava sempre.
     E poi non bisogna credere che fossero tutte rose. D’accordo, con una lira si aveva, mi pare, due o tre chili di pane. Ma per averla bisognava andare alla messa da morto, seguire il carro fino al cimitero ch’era lontano più d’un chilometro dal paese, ascoltare dei discorsi, dei canti, delle prediche, aspettare che il morto fosse sotterrato…
     E qualche volta si metteva a piovere. Oppure faceva troppo caldo.
    Il peggio era quando faceva freddo: neanche a farlo apposta, la gente preferiva morire d’inverno, quando gelava. È vero, l’anno del nevone fu una buona stagione ma io avevo i geloni alle mani e ai piedi. E mio padre brontolava perché non capiva come facessi a consumare tanto le scarpe.

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12     E poi c’era sempre più concorrenza.
    Duilio si metteva sempre sulla sinistra del cancello del cimitero; alla destra c’erano i parenti stretti che stringevano la mano a quelli che passavano senza prendere l’elemosina. Di solito la fila di sinistra era più corta. Ma col tempo divenne la più lunga. E anche quelli che di solito passavano a destra, venivano a mettersi a sinistra, pallidi in volto o tutti rossi.
     Era per via della signora Crisi, quell’americana che mandava tutti a sballo.
     Io ero solo della mia famiglia ma di certi amici miei c’erano tutti i fratelli e le sorelle. E infine ci vidi anche il padre e la madre. E anche i nonni che zoppicavano. C’erano anche quelli che non erano del paese e contro quelli tutti brontolavano con ragione perché erano sfruttatori dei morti degli altri.
    Qualche volta io mi trovavo tra due persone grandi e Duilio non s’accorgeva di me: dovevo strillare per non farmi spingere avanti senza prendere l’elemosina. Comunque mi difendevo, imparavo un buon mestiere: quello di essere povero senza morire di fame.
    In certi giorni fortunati c’erano anche due o tre mortori. Alla sera ero stanco morto e mia madre mi diceva sospirando: – Meno male che tu aiuti a tirare avanti la baracca!

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13     Furono anni duri, se ci ripenso. Ma non inutili. Mi servirono a fare carriera. Tant’è vero che il grande Duilio mi notò, si prese di stima per me e mi prese come socio della sua ditta – senza pagarmi un soldo.
     Ma nella sua casa c’era un orcio pieno d’olive sott’olio e c’era sempre pane in abbondanza. E lui mi diceva: – Tu mi tieni i conti e mi fai le scritture. Allora quando hai fame serviti pure.
     E poi, con una specie di carezza sulla testa, aggiungeva: – È così che si fa nella vita, tra gli uomini: una mano lava l’altra.

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14     Spero adesso che Duilio abbia avuto un buon corteo, al suo funerale – un corteo lungo da fargli proprio onore…