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Quadri prosopografici della feudalità calabrese in età angioina

I Ruffo di Calabria tra XIV e XV secolo
Antonio Macchione

Résumés

La vicenda dei Ruffo di Calabria rappresenta un interessante caso di studio per la conoscenza degli assetti feudali caratterizzanti la lunga stagione politica angioina e, in particolare, per l’analisi dell’esercizio e della rappresentazione del loro potere nel territorio. I momenti di tale costruzione sono scanditi dalle politiche matrimoniali e delle successioni attraverso cui il dominio diretto su terre e uomini diventa strumento di crescita economica e sociale del lignaggio e dei poteri signorili, specie dopo il superamento della crisi economica del XIV secolo. Sull’ampio scenario tratteggiato dall’inedita documentazione familiare (più di 250 carte) si muovono una serie di personaggi la cui funzione sociale si esplica all’interno della complessa macchina amministrativa del Regno, riflettendone la crisi strutturale del Trecento e il complessivo svuotamento formale della prima metà del XV secolo, quando alcuni uffici si trasformarono in strumento di esercizio del potere privato del ceto aristocratico, come sembra dimostrare la vicenda di Carlo Ruffo conte di Sinopoli, nominato giustiziere di Calabria a vita il 19 aprile 1435, da Alfonso d’Aragona.

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Parole chiave:

Angioini, aristocrazia, Calabria, Ruffo
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Texte intégral

  • 1 È questo il caso del complesso progetto internazionale di ricerca Europange (promosso dall’Univers (...)
  • 2 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Cartulario I (1247-1350); Cartulario II (1400-1499); Diplomatico. (...)
  • 3 Rao 2017a, p. 27-28.

1Quello degli ufficiali del Regno è un tema che vive una nuova feconda stagione di studi. Recenti indagini prosopografiche, infatti, consentono agli studiosi di ricostruire in maniera coerente l’organizzazione degli uffici e le modalità del loro funzionamento, i percorsi della formazione e quelli dell’apprendistato per l’avviamento alla carriera di ufficiale regio, attraverso informazioni tratte da diverse tipologie di fonti1. In questa prospettiva l’indagine sulla documentazione dei Ruffo di Sinopoli2 offre la possibilità di compiere significativi affondi nei meccanismi di funzionamento degli uffici e, attraverso lo studio del rapporto tra organizzazione feudale e controllo di uomini e territorio, negli stigmi identitari delle politiche di lignaggio, con le quali si documenta il radicamento e l’ampliamento del potere locale e da cui emergono le ‘diversità’ (e in qualche caso anche le contraddizioni) delle singole aree regionali che costituiscono il complesso spazio angioino3.

  • 4 Carlo I d’Angiò «organisa sa cour royale, et s’entoura de conseillers en rétablissant au profit de (...)
  • 5 Fu Camillo Tutini a censire per la prima volta, a metà del XVII secolo, i sette grandi uffici del (...)
  • 6 Morelli 2012.
  • 7 Trifone 1921, p. 178-183; Kiesewetter 1998, p. 361-415.
  • 8 Su questi aspetti e sulla produzione documentaria degli ufficiali in servizio nelle periferie regn (...)

2Carlo I d’Angiò (1266-1285), infatti, riorganizzando l’amministrazione del Regno fissava nello svecchiamento della struttura burocratica uno dei più importanti obiettivi della nuova stagione politica angioina4. Ma l’eccessiva facilità con cui i primi sovrani concessero titoli di familiaris e consiliarius per intascare il sostegno della feudalità autoctona, che dopo essere stata epurata dai Lancia (fedeli al progetto dinastico Hoenstaufen) era ritornata nei propri feudi, sembra contraddire questa tesi. A fianco dei grandi ufficiali del Regno, un ristretto manipolo dei burocrati che operavano a fianco del sovrano, operava una nutrita compagine di funzionari preposti alla gestione dei processi amministrativi5. Si trattava di figure intermedie, come i giustizieri6, i secreti etc.7, che formavano la spina dorsale dell’organizzazione burocratica del Regno al tempo di Carlo I. Insomma, una struttura complessa e articolata, almeno nelle intenzioni regie, che garantiva efficienza e chiarezza rispetto alle forme del prelievo tributario e, soprattutto, all’amministrazione della alta e della bassa giustizia. Inoltre, grazie all’impegno nel territorio di questi funzionari, era possibile controllare più agevolmente l’evoluzione degli assetti feudali del Regno8.

  • 9 I custodes passuum et stratarum erano funzionari provenienti dai ranghi militari della nobiltà loc (...)
  • 10 Dalena 2007; Dalena 2018.

3Più complesso il discorso per i custodes passuum9, ad esempio, chiamati a svolgere delicati compiti di regolamentazione dei commerci (quindi della vita economica del Regno) e che, soprattutto, erano preposti alla sicurezza delle frontiere lungo le quali abitualmente si muovevano bande di disroboratores e latrones che rappresentavano una seria minaccia per i traffici commerciali, la mobilità antropica e la sicurezza interna del Regno10.

  • 11 Kiesewetter 2004, p. 32.
  • 12 Ciò è stato reso possibile soprattutto attraverso la realizzazione del progetto Europange in cui l (...)

4Nonostante queste considerazioni non è scontata una definizione univoca degli uffici e delle persone chiamate a ricoprirli. Anzi si corre il rischio di avere soltanto una visione d’insieme dell’ufficio, senza soffermarsi sul dinamico rapporto centro-periferia11. Ecco perché recenti indirizzi storiografici suggeriscono di spostare l’attenzione sulla vicenda prosopografica degli ufficiali facendo luce sulla loro formazione, sui criteri di reclutamento, sull’apprendistato amministrativo e sui rapporti con la Curia Regis12.

  • 13 Kiesewetter 2004, p. 36; Vitolo 1986, p. 54.

5Questo nuovo approccio metodologico, infatti, non fa dell’amministrazione angioina un blocco monolitico, ma una realtà mutevole (e, per certi versi, assai sfuggente) in cui le cariche, legate alle singole persone, venivano solitamente scelte dal sovrano. Gli uffici sembravano essere stati cuciti addosso agli ufficiali angioini e «senza rinunciare a una prospettiva istituzionale, occorre guardare a queste cariche come a soggetti fluidi, in continua costruzione e decostruzione, con la consapevolezza che il nostro sforzo interpretativo e la nostra volontà di reductio ad unum rischiano di sfumare l’unicità dell’attestazione di ogni ufficio, che vive innanzitutto perché legato a una persona e, rispetto a quanto avviene con le istituzioni attuali, a essa si adatta»13.

  • 14 Macchione 2017, Macchione 2018a, Pollastri 2001, Caridi 1993, Pontieri 1963.
  • 15 Macchione 2018, p. 77-102.

6Alla luce di queste indicazioni di metodo la vicenda dei Ruffo di Sinopoli14 sembra confermare l’utilità e l’efficacia della ricerca prosopografica fornendo elementi utili ad una più puntuale ricostruzione dei quadri generali di storia politica, economica e sociale del Regno angioino attraverso l’esame delle complesse dinamiche di potere per l’affermazione dinastica, del controllo feudale su terre e uomini e delle molteplici relazioni economiche di un lignaggio incardinato in una regione-cerniera tra due diverse realtà politiche: il Regno di Napoli e l’esperienza aragonese di Sicilia. Inoltre, è importante evidenziare che la tendenza centrifuga di buona parte del baronato regnicolo scandì anche il rapporto dei Ruffo con la Corona che, basato sulla fedeltà personale, vide i conti di Sinopoli affidatari di delicati compiti di controllo del territorio e di riscossione dei tributi in cambio di prebende, privilegi, esenzioni fiscali e l’esercizio dei diritti di giustizia15.

  • 16 L’11 dicembre 1354 Nicolò Acciaiuoli informava l’amico Zenobi da Strada che «di questa settimana f (...)

7Proprio in tal senso le relazioni familiari con le altre aristocrazie locali, sia quelle con esponenti del ceto mercantile (come ad esempio nel caso del matrimonio tra Antonello Ruffo di Catanzaro e Giovanna Buondelmonti) rivelano strategie complesse per l’affermazione dinastica che si intrecciano con i piani regi di riconquista della Sicilia. In particolare, le relazioni tra i Ruffo (i Caracciolo) e Nicolò Acciaiuoli avrebbero dovuto contribuire alla creazione di una strategica base operativa nella Calabria centro-meridionale per la riconquista dell’Isola e dell’Oriente ellenico. A tal proposito, sono proprio i dati dell’epistolario del Gran siniscalco a rivelare la concomitanza della realizzazione di tali alleanze con la preparazione della campagna siciliana (1353-1354). Ma tale piano strategico saltò e Giovanna I, dopo aver conquistato soltanto qualche città siciliana, fu costretta repentinamente a fuggire dall’Isola, incalzata dai contingenti militari aragonesi16.

  • 17 Mazzoleni 1948, p. 140-141; Orefice 1963, p. 10-13.
  • 18 «Le operazioni di ricostruzione e di inventariazione del diplomatico di quest’archivio, depositato (...)

8La documentazione utilizzata per questo lavoro attinge all’immenso archivio familiare dei Ruffo, Principi di Scilla, conservato nell’Archivio di Stato di Napoli. In particolare sono state consultati i cartulari di lignaggio (1247-1350 e 1400-1499) e il cospicuo fondo pergamenaceo il cui inventario è stato ultimato negli ultimi anni. Questi consentono di ricostruire il profilo complessivo della signoria sinopolitana sin dalle fasi di formazione e sviluppo. Del resto l’importanza della documentazione era stata rilevata già da Jole Mazzoleni per la quale un suo spoglio sistematico avrebbe fornito numerosi e inediti dati utili alla ricostruzione della Cancelleria angioina, alla definizione degli assetti feudali del Regno e all’approfondimento della vicenda della nobiltà regnicola tra medioevo ed età moderna, con particolare riferimento al complesso rapporto tra Monarchia e feudatari17. In particolare cartulari e pergamene fotografano una realtà politica, economica e sociale ampia e vivace, in cui si muovono agevolmente i vari membri della famiglia, e altri esponenti dell’aristocrazia feudale, abili nell’erodere alla corona prerogative regie consolidando complesse strutture di potere la cui base fondiaria, col sostegno dei corrotti ufficiali regi, conduceva alla formazione di ben organizzati ‘stati’ feudali18.

I Ruffo di Calabria

  • 19 Pollastri 2011.
  • 20 La ripresa della guerra tra Angioini di Napoli e Aragonesi di Sicilia, all’indomani della Pace di (...)

9La vasta documentazione dei Ruffo documenta il consolidamento del loro potere nella Calabria meridionale e la lenta trasformazione della signoria di Sinopoli contribuendo a precisare i meccanismi del rapporto feudo-lignaggio19. Inoltre offrono nuovi dati sul versante delle scelte economiche rivelando come i conti di Sinopoli, tra XIV e XV secolo, si dedicarono alla riorganizzazione dei possedimenti sino al conseguimento di una piena egemonia su tutta l’area meridionale della regione. Assicuratisi, infatti, il controllo degli scali marittimi, dei passi più importanti, delle più ricche universitates civium, i Ruffo crearono i presupposti per assicurarsi il controllo della città di Reggio e ampliare la rete delle alleanze coi mercanti della vicina Messina. In questo modo la signoria calabrese veniva proiettata nell’orbita della complessa trama degli scambi commerciali mediterranei20.

  • 21 Macchione 2018a, p. 9-14; Pollastri 2001.

10La loro vicenda dinastica, proprio per questo, rappresenta un interessante, e sinora poco noto, caso di studio attraverso cui riconsiderare la dinamica feudale della lunga stagione politica angioina e quella dell’esercizio e della rappresentazione del potere nel territorio, definendo meglio il profilo di una tra le più potenti e influenti signorie meridionali che aveva rivelato una singolare capacità di adattamento alle congiunture economico-politiche nei secoli XIII-XV21.

  • 22 Si tratta della bolla con cui Innocenzo IV confermava a Pietro I Ruffo di Catanzaro i territori de (...)
  • 23 Macchione 2017, p. XXXIII-XLI. Si v. pure Macchione 2018a.

11I Ruffo, la cui vicenda si segue con buona continuità dall’ultimo scorcio dell’età federiciana, uscirono dall’anonimato all’indomani della morte di Federico II (di cui erano stati fedeli collaboratori) allorché gli attriti con Manfredi spinsero Pietro I, conte di Catanzaro, e Fulcone Ruffo, signore di Sinopoli a sostenere le idee del Papato in cambio di nuove terre e più ampio potere22. Ritornati in Calabria al fianco degli Angiò (1266) riconquistarono i beni perduti avviando la creazione di due estese signorie territoriali, Catanzaro e Sinopoli, cui dopo la guerra del Vespro (1282-1302) si aggiunse quella di Montalto23.

  • 24 Caridi 1993, p. 24-20; Macchione 2018a, p. 116-122.

12Le tappe di questo lungo processo furono scandite dall’accorta e ben articolata politica matrimoniale e dall’oculata gestione delle successioni. Il dominio diretto su terre e uomini, infatti, favorì la crescita economica e sociale del lignaggio e dei poteri signorili, specie dopo il superamento della crisi economica nella quale la famiglia era caduta, a causa del continuo stato di agitazione bellica, tra la fine del XIV secolo e il primo decennio di quello successivo24.

  • 25 Per i quadri generali e l’analisi degli assetti istituzionali rimando a Dalena 2015, p. 240-251.
  • 26 Mazzoleni (a cura di) 1957, p. 14, n. 14. È assai singolare che di questo privilegio, emanato a se (...)

13Protagonisti di questa impresa furono alcuni personaggi la cui funzione sociale si esplica all’interno della complessa macchina amministrativa del Regno, riflettendone la crisi strutturale del XIV secolo e il complessivo svuotamento formale nella prima metà del XV25, quando alcuni uffici furono trasformati in strumento di esercizio del potere privato della classe baronale, come dimostra chiaramente il caso di Carlo Ruffo conte di Sinopoli, nominato giustiziere di Calabria, a vita, il 19 aprile 1435 da Alfonso d’Aragona26.

  • 27 Rao 2017a, p. 37.
  • 28 Pollastri 1991; Petracca, Vetere (a cura di) 2013; Colesanti (a cura di) 2014; Allegrezza 1998; Dr (...)
  • 29 Per le strategie signorili dei conti di Sinopoli rimando a Macchione 2017, p. XLV-LXXV. È interess (...)

14Se all’inizio dell’età angioina il sistema di reclutamento degli ufficiali si fondava sul puntuale controllo della formazione giuridica del candidato e sul possesso di altri requisiti, successivamente le nomine vennero impiegate per ripagare la vicinanza manifestata agli Angiò dai più importanti esponenti dell’aristocrazia regnicola, come nel caso dei Ruffo27. Non mancano certo esempi a tal proposito, come dimostrano le vicende dei Sanseverino, dei Sangineto, dei Caracciolo, degli Orsini e dei Del Balzo28. Proprio grazie a ciò, gli esponenti delle grandi dinastie feudali potevano affermarsi rapidamente in Calabria tra la prima e la seconda metà del Trecento, ricoprendo ruoli chiave nell’amministrazione periferica29.

  • 30 Rao (a cura di) 2017, p. 376.
  • 31 Morelli 2017, p. 46.
  • 32 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Diplomatico, n. 275, 282.

15Molti dei protagonisti di queste vicende utilizzavano gli incarichi ricevuti dal sovrano per consolidare la propria posizione di prestigio lungo percorsi che, in molti casi, terminavano con la nomina di Gran Giustiziere, una delle più importanti magistrature del Regno. È il caso di Filippo Sangineto che dopo aver ricoperto la carica di Capitano a guerra in Calabria al tempo di re Roberto (1316) fu anche Capitano di genti d’armi in Piemonte (1317), Capitano generale e Giustiziere in Terra di Bari (1319), Capitano generale in Terra di Lavoro (1321), Vice maestro Giustiziere del Regno nel 1324, Capitano generale in Toscana nel 1327 prima di ricoprire l’incarico di Gran Giustiziere, uno dei sette grandi uffici del Regno, nel 1330. L’ascesa amministrativa del Sangineto, tuttavia, si concluse con la nomina a Siniscalco di Provenza (1330-1343; 1346-1348)30. O quello di Roberto Ruffo che, dopo aver ricoperto il compito di Capitano generale in Calabria, fu nominato maestro Giustiziere al tempo di Carlo III di Durazzo31. Singolare anche il caso di Fulcone Ruffo, figlio secondogenito di Guglielmo e secondo conte di Sinopoli, che nelle more del conflitto angioino aragonese venne nominato vicario generale in Sicilia e Calabria col compito di trattenere presso di sè Pietro Marchisio, Tesoriere generale del Regno, per pagare le genti d’armi che si trovavano a Messina (1363)32.

  • 33 Nel primo caso si tratta di una lettera di Guglielmo de Sabrano, Capitano generale e giustiziere i (...)

16Per i Ruffo di Sinopoli, in particolare, si tratta di incarichi di natura militare legati alla posizione della Contea di Sinopoli, a presidio della frontiera meridionale del Regno. Lo dimostrano i documenti contenuti nei cartulari di lignaggio e che offrono notizie e spunti per scandire le tappe del lungo conflitto tra angioini e siculo-aragonesi, le complesse strategie del lignaggio nella controversa contesa dinastica tra Durazzeschi e angioini per la conquista del trono napoletano. In particolare gli inventari dei castelli comitali di Santa Cristina e Calanna e quello della fortezza di Palizzi rivelano la preoccupazione Ruffo e della Corona per il controllo del territorio e, soprattutto, dell’area dello Stretto in cui erano particolarmente attive spie aragonesi33.

  • 34 Caridi 1993, p. 25.

17Al termine della Guerra del Vespro (1302) i Ruffo appaiono organizzati in ampio sistema di lignaggio, articolato nelle linee di Catanzaro, Montalto, Sinopoli, a cui successivamente si aggiunsero quelle di Bovalino, Badolato e Condoianni. Il ramo sinopolitano appare il più attivo grazie all’intraprendenza di Guglielmo e del figlio Enrico, almeno sino agli anni Cinquanta del XIV secolo. Una fase di decadenza, o «un profil bas», si registra invece durante il Regno di Carlo di Durazzo e del figlio Ladislao. Il secondo conte di Sinopoli Fulcone era impegnato a gestire la complessa vicenda della successione paterna e il violento scontro col nipote Antonello che portò alla rottura temporanea dell’unità dinastica con la nascita dell’antagonista contea di Condoianni. Ciò determinò un profondo stato di crisi economica che mise a dura prova la tenuta del distretto sinopolitano. Inoltre, l’adesione di Fulcone al progetto dinastico di Carlo III di Durazzo costò al Ruffo la confisca momentanea della contea, assegnata da Luigi II d’Angiò all’ultramontano Giovanni de la Baume, signore di la Vallier (1383). Del resto i sinopolitani erano sostanzialmente solidali con i cugini di Montalto tra i più fedeli sostenitori dei Durazzeschi a differenza dei conti di Catanzaro, sostenitori degli Angiò di Provenza ma sempre pronti a cambiar casacca34.

  • 35 Pollastri 2001, p. 556; Caridi 1993, p. 13-14, 39-40; ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Diplomatico, (...)

18Una decisiva inversione di tendenza si registrò, invece, tra il 1418 e il 1432 in due direzioni distinte proiettando lo stato di Sinopoli nel più ampio contesto mercantile mediterraneo. Infatti, con l’«accroissement de possession féodales» e con l’«extension des pouvoirs segneuriaux au-delà des limites propres du fief» Carlo Ruffo, quarto conte di Sinopoli, riuscì ad annettere ai propri territori quelli di Scilla, Bagnara e di altre importanti universitates dell’area reggina acquisendo il controllo dei più importanti hub commerciali dell’area, particolarmente il porto di Catona da cui le ingenti quantità di legname recise nei boschi aspromontani venivano rapidamente inviate ai mastri bottai e ai falegnami di Messina che li trasformavano in botti e barili impiegati anche per la defluenza del vino calabro35.

Fedeli e funzionari

  • 36 Schadek 1971, p. 201-348.

19La prosopografia dei Ruffo di Calabria pone al centro della riflessione il rimodellamento dell’amministrazione e della società calabrese auspicato dai primi sovrani angioini, in funzione di un più razionale sfruttamento delle risorse, per stimolare la crescita economica. Non è un caso che la signoria di Sinopoli, tra le più influenti della feudalità calabrese, si trasformasse in laboratorio dove si sperimentavano pratiche di governo territoriale tendenti alla formazione di un compatto ‘stato’ feudale stabilmente legato alla corona. Infatti, la fedeltà certificata nei numerosi atti pubblici diveniva strumento di promozione dinastica, di ascesa sociale e, soprattutto, garantiva ai più dotati esponenti del lignaggio l’inserimento nei gangli dell’amministrazione regnicola, centrale e periferica (fig. 1)36.

Fig. 1 – Albero genealogico dei conti di Catanzaro (XIV sec.).

Fig. 1 – Albero genealogico dei conti di Catanzaro (XIV sec.).

20Attraverso la vicenda del gran marescalco Pietro I e del suo successore Pietro II, entrambi conti di Catanzaro e funzionari della Curia Regis, è possibile ricostruire le ragioni della crisi della monarchia sveva e, successivamente, quelle che portarono alla Guerra del Vespro (1282-1302) e alla successiva riorganizzazione di un Regno oramai mutilato della Sicilia.

  • 37 CDS 1931, p. 241, n. 132.
  • 38 Macchione 2016, p. 447-466 e relativa bibliografia.

21Alla morte di Federico II (1250) si era prodotta una profonda lacerazione nell’ordito feudale del Regno con la contrapposizione violenta tra i Lancia, sostenitori di Manfredi, e i vecchi feudatari regnicoli costretti ad abbandonare i propri possedimenti. Questi ultimi riuscirono a ritornare nelle loro terre soltanto dopo la Battaglia di Benevento che sancì la sconfitta dei Lancia. Tra questi anche Pietro II Ruffo che riuscì a recuperare e riorganizzare i beni dell’antica contea di Catanzaro, appartenuti all’avo. Ormai organico al progetto dinastico angioino, egli fu incaricato anche del comando del contingente militare preposto all’assedio al castello di Amantea (1269) dove si erano asserragliati pericolosi proditores filo-svevi, tra cui Matteo da Vallono già stratigoto di Salerno37, ribellatosi all’angioino dopo l’arrivo di Corradino38.

  • 39 Macchione 2017, p. XXXIII-XL.

22Nel ventennale conflitto del Vespro, Pietro II Ruffo, fornì più volte prova della sua fedeltà al sovrano angioino, ricevendo in cambio la nomina di Capitano generale dell’esercito regio. Al termine della guerra, però, decise di abbandonare la carriera pubblica ritirandosi nei territori catacensi e dedicandosi alla riorganizzazione del dominio familiare riscattando i territori comitali dai saccheggi dei signori vicini che ne avevano occupato ampie porzioni e dalle devastazioni prodotte dagli eventi bellici39.

  • 40 Per Servo da Pavia, noto proditores si cfr. R.A. II, p. 235, n. 692; Minieri Riccio 1874, p. 30, 3 (...)
  • 41 Macchione 2016, p. 457.
  • 42 R.A. I, p. 192, n. 1002; 252, n. 1349.

23Un ramo cadetto dei conti di Catanzaro, facente capo a Fulcone, si era stabilmente insediato nei territori aspromontani tra Sinopoli e Santa Cristina, stringendo alleanze coi da Pavia, una famiglia di origini lombarde, giunta in Calabria al seguito di Federico II40. Fulcone, tra l’altro firmatario del testamento imperiale, aveva avuto modo di consolidare la propria posizione di potere prima che lo scontro con Manfredi l’obbligasse a lasciare la regione in cui fece ritorno dopo la battaglia di Benevento (1266), al seguito di Carlo I d’Angiò41. A differenza dei da Pavia, il Ruffo sostenne il nuovo corso angioino in occasione dei moti filo-svevi (1268-1269) dedicandosi successivamente, col giovane figlio Enrico, alla riorganizzazione della baronia di Sinopoli (fig. 2)42.

Fig. 2 – Albero genealogico dei conti di Sinopoli (XIV sec.).

Fig. 2 – Albero genealogico dei conti di Sinopoli (XIV sec.).
  • 43 Miles nel 1272. Ancora nel 1277 è menzionato come vice maestro giustiziere del Regno (Minieri Ricc (...)
  • 44 Già Capitano generale delle truppe regie inviate contro Corradino nel 1268, è al servizio del gius (...)
  • 45 R.A. XXVI, p. 18, n. 3; XXXVIII, p. 32-33, n. 121. Su Giovanni da Ceccano iuniore si vd. Paravicin (...)

24Presto, però, Fulcone uscì di scena a causa del duello con l’ultramontano Simone di Monfort sulle cui cause fece luce l’inquisitio del 1275 con cui il vice magister iustitiarius regni Giovanni de Alneto43 e il Giustiziere di Calabria, Pietro Sumerosa44, esclusero il coinvolgimento del figlio Enrico che poteva così assumere la guida dei feudi sinopolitani e di Santa Cristina. Un ruolo che svolse con diligenza, specie durante gli anni di guerra, incalzato dall’avanzata siculo-aragonese. La strenua difesa delle posizioni angioine nell’estremo lembo meridionale della Calabria, tuttavia, gli valse l’inserimento nel novero degli Ufficiali regi con la nomina di giustiziere in Terra di Lavoro per l’anno 1290. In particolare, Carlo II gli affidò il delicato compito di evitare pericolose ingerenze esterne nel contenzioso tra Adenulfo de Comite e Giovanni de Ceccano iuniorem e di accertare la natura del rapporto feudale tra Auditore e il figlio Simone che rivendicava l’investitura della baronia di Tufo45.

  • 46 Giunta 1953, p. 22-70.
  • 47 R.A. XXXVI, p. 11, n. 65; 12, n. 73; 29, n. 66; 64, n. 265 e 267. Macchione 2017, p. 15-21, n. VI- (...)

25Al termine del conflitto, dopo aver recuperato la signoria di Sinopoli passata per un breve periodo nelle mani di Blasco I d’Alagona46, si dedicò alla riorganizzazione e all’ampliamento dei suoi possedimenti acquisendo i feudi di Mesa, Fiumara di Muro e Solano grazie anche all’assegnazione di un vitalizio (pari a 80 once annue) per i servigi resi alla Corona che impiegò per riparare i danni delle strutture difensive47.

  • 48 La crisi sociale che dilaniava il Regno di Roberto esplose in numerosi episodi di violenza contro (...)
  • 49 Caridi 1993, p. 37-40. Carlo Ruffo, terzo conte di Montalto, dopo la morte della prima moglie Laud (...)

26L’accrescimento territoriale consentì ai sinopolitani di sganciarsi dal ramo catacense della famiglia creando una signoria territoriale autonoma in un’area strategica della regione. I Conti di Catanzaro, invece, dopo la morte di Pietro II (1309-1310), non riuscirono ad esprimere personalità di alto profilo, anzi alcuni dei successori si fecero notare più per le azioni brigantesche e le congiure che per la crescita morale e materiale del comitato48. D’altro canto cresceva il prestigio del ramo cadetto di Montalto che, anch’esso originatosi dai conti di Catanzaro, si era stabilmente insediato in Val di Crati stringendo solide alleanze coi Sangineto e i Sanseverino49.

  • 50 Significativi, in particolare, due documenti: il primo del 2 novembre 1323 col quale Roberto invia (...)

27Ma, più di tutti, furono i signori di Sinopoli a consolidare prestigio e potenza dinastica. Essi, allineatisi alla politica regia, riuscirono a guadagnarsi il favore dei sovrani angioini che concessero loro i privilegi necessari all’esercizio di un potere più stringente su terre e uomini, oltre a numerose esenzioni fiscali, in cambio di sostegno alla difesa della regione dagli attacchi aragonesi50.

  • 51 Morelli 2017, p. 59-60.

28Ciò li favorì anche nel processo di egemonizzazione dell’intera Calabria meridionale grazie all’incisiva azione di Guglielmo divenuto, come si vedrà, primo conte di Sinopoli. L’apprendistato di Guglielmo fu lungo e complesso come dimostra il lungo cursus honorum tra le fila della burocrazia regnicola, anch’esso espressione di quella corsa all’accaparramento degli uffici, come fonte di privilegio e di prestigio, che spingeva le più importanti famiglie aristocratiche a fare incetta di cariche anche in forma clientelare. Tale dinamica rileva che la costruzione dei lignaggi e il pervicace radicamento locale diventano motori della pervasiva presenza degli esponenti delle aristocrazie feudali nei gangli dell’amministrazione periferica51.

  • 52 Macchione 2018.

29I sinopolitani furono favoriti anche dal basso profilo dei cugini catacensi che soltanto con Nicolò riuscirono a risollevare le sorti del comitato grazie alla straordinaria capacità di adattamento alle contingenze politiche del tempo. L’ascesa del conte di Catanzaro sembrava corrispondere a una diminuzione della contea di Sinopoli che riuscì a risalire la china della pericolosa crisi economica Trecentesca soltanto dal secondo decennio del XV secolo quando Carlo Ruffo, ereditato il titolo comitale dal padre Guglielmo II, si fece spazio nella burocrazia regnicola in cambio della fedeltà incondizionata ad Alfonso V d’Aragona (fig. 3)52.

Fig. 3 – Albero genealogico dei conti di Catanzaro (XV sec.).

Fig. 3 – Albero genealogico dei conti di Catanzaro (XV sec.).

30Per questo motivo, allora, si è deciso di soffermarsi puntualmente sulle vicende del primo e del quarto conte di Sinopoli e su quelle del sesto conte di Catanzaro che, nel complesso, riflettono la generale crisi politica, economica e sociale dello Stato napoletano tra XIV e XV secolo, l’evoluzione dei rapporti tra feudatari, funzionari regi e potere centrale e rappresentano un punto privilegiato d’osservazione per seguire l’evoluzione di alcuni uffici che, svuotati via via dei più importanti contenuti amministrativi, si trasformavano in titoli onorifici, meri strumenti di affermazione dinastica.

  • 53 È rilevante il caso di Guglielmo Ruffo che, acquisita la guida della signoria sinopolitana dopo la (...)

31In questo senso la certificazione della fidelitas diveniva un’arma di ricatto al fine di addomesticare la volontà regia acquisendo sia nuovi feudi sia, soprattutto, l’esercizio di ampi poteri giurisdizionali che facilitavano la rapida formazione di estesi e potenti aggregati signorili, favorendo rapide progressioni nelle carriere burocratiche53.

  • 54 L’espressione è di Pollastri 2011, p. 275-276.
  • 55 La peste nera 1994.
  • 56 Pollastri 2011, p. 269-276.

32Si trattava però di una «fidélité à géométrie variable»54. Il rapporto di fedeltà era considerato come fonte di prestigio sociale per il feudatario e, allo stesso tempo, strumento di forza politica per il sovrano attraverso cui poter scegliere i funzionari. Tuttavia la fidelitas era suscettibile di repentini cambiamenti che potevano modificare e sconvolgere l’intero «paysage politique», contribuendo, specie a metà del XIV secolo, allo scoppio della crisi economica e sociale, aggravata dalla pestilenza55, che condizionò irrimediabilmente le opzioni politiche della corona succube alla volontà delle più potenti famiglie aristocratiche56.

  • 57 Mineo 2001.

33Si tratta, in sostanza, di un ‘modo artificiale’ di esercitare il dominio che per una serie di circostanze è evidente sia nelle sue pratiche di gestione, sia nei linguaggi di potere (documentari e non). Entrambe le fattispecie presuppongono la trasmissione dei capitali economici e politici come rappresentazione della superiorità sociale dei lignaggi (fig. 4)57.

Fig. 4 – Albero genealogico dei conti di Sinopoli (XV sec.).

Fig. 4 – Albero genealogico dei conti di Sinopoli (XV sec.).

La vicenda prosopografica di Guglielmo Ruffo di Sinopoli

  • 58 Macchione 2017, p. XLII-XLIV.
  • 59 De Leo (a cura di) 2006, p. XIV-XV.
  • 60 Pollastri 2001, p. 555.
  • 61 Roberto d’Angiò concede a Guglielmo Ruffo la facoltà di ereditare i beni di Pietrino Ruffo, suo ni (...)

34Guglielmo Ruffo era il terzogenito di Enrico signore di Sinopoli e Margherita di Montaperto. Prima di lui erano nati Pietro e Fulcone (Folco); dopo di lui nacquero Ruggero, Jacopa e Margherita. Queste ultime ben presto avviate alla carriera monastica. Guglielmo contrasse matrimonio due volte: la prima con Caterina d’Alemagna e, alla sua morte (dicembre 1331), con Luisa d’Erville. Ebbe cinque figli dal primo matrimonio (Enrico, Fulcone, Carlo, Colella e Margherita) e soltanto uno dal secondo (Ruggero)58. Il padre Enrico, dopo aver ricomposto i feudi del baronato di Sinopoli smembrati e devastati dal conflitto del Vespro (1282-1302), chiese e ottenne dal sovrano (1310) la facoltà di dividere inter vivos i beni patrimoniali, assegnando le terre di Sinopoli e Santa Cristina (e con esse il titolo di barone di Sinopoli) al nipote Pietrino, figlio del primogenito Pietro, premorto. A Fulcone donò le terre di Bovalino e Bruzzano, a Guglielmo quelle di Placanica e Palizzi, a Ruggero il feudo di Bonesio59. Alla morte del giovane nipote (1332) fu Guglielmo, secondo la regola di «transmission neveu-oncle», ad assumere la guida della baronia60. A questa successione fa riferimento il privilegio di Roberto d’Angiò (7 settembre 1333) col quale concedeva a Guglielmo Ruffo la facoltà di raccoglie l’eredità del defunto nipote, consistente nei Castra Sinopoli et Sanctae Christinae cum casalibus, pheudatariis, hominibus, vassallis, forteliciis61.

  • 62 Macchione 2017, p. 40-48, doc. XVIII-XIX. Si tratta di due documenti con i quali, rispettivamente (...)
  • 63 Il 23 gennaio 1323 Guglielmo riceveva il castello di Bruzzano da Raimondo e Guglielmo de Busca, do (...)
  • 64 Il documento, del 3 agosto 1334, col quale Guglielmo conferma al fratello Ruggero il possesso del (...)

35Guglielmo, infatti, era riuscito a riunificare l’intero asse patrimoniale paterno, succedendo al nipote, acquisendo da Ruggero il feudo di Bonesio e i beni appartenuti al fratello Fulcone, al quale aveva ceduto l’honor della primogenitura. Dopo aver rilevato dai De Busca anche Bruzzano Vecchio nel 132262, dominava su gran parte della Calabria meridionale63. Al termine del processo di ricomposizione feudale, nel 1334, riceveva da Roberto il Saggio il titolo di conte di Sinopoli64.

  • 65 Macchione 2017, p. 143-147, doc. LVIII; 150-152, doc. LX; 159-162, doc. LXV.
  • 66 Il porto di Messina «era rinomato in tutto il mondo poiché non avvi nave, smisurata che sia, la qu (...)

36L’attività del nuovo conte, tuttavia, non si esaurì nel consolidamento del patrimonio paterno ma, attraverso l’acquisizione di nuovi feudi e territori, cercava di spostare gli interessi verso la città di Reggio per consolidare il confine meridionale del Regno e contro gli assalti aragonesi, e per contendere loro il controllo mercantile dell’area dello Stretto da cui passavano le più importanti rotte commerciali del Mediterraneo65. Da sempre, infatti, lo Stretto era luogo di incontri di civiltà diverse i cui contatti commerciali tonificavano le economie delle due città più importanti che si affacciano su di esso. Particolarmente Messina la quale, grazie al suo fiorente porto, era tra le città più importanti e prospere del Mediterraneo per il continuo traffico di viaggiatori e merci (fig. 5)66.

Fig. 5 – La contea di Sinopoli ai tempi di Guglielmo Ruffo (1336-1350).

Fig. 5 – La contea di Sinopoli ai tempi di Guglielmo Ruffo (1336-1350).
  • 67 Martin 2004.
  • 68 Pollastri 2000, p. 89-114. Sul titolo di familiaris, cfr. supra n. 36 e Gallo 2006, p. 13-34.

37Il ruolo ritagliatosi da Guglielmo in quell’area, sembrava essere il frutto maturo delle scelte politiche operate da Carlo I d’Angiò. Questi, infatti, favorendo l’ascesa delle aristocrazie locali intendeva inserire stabilmente i suoi più eminenti esponenti nei gangli vitali dell’amministrazione pubblica, specie nelle periferie del Regno, difficili da controllare. In particolare quella calabrese sotto la continua minaccia almogavera67. Era stato proprio questo a spingere il sovrano alla creazione di una complessa rete di familiares regis e di fideles che ne avrebbe dovuto sostenere le scelte politiche, concorrendo a quelle militari68.

  • 69 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, B. 7, c. 13r-13v.

38In ragione di questo rapporto Guglielmo divenne, via via, esponente di spicco della classe dirigenziale del Regno come dimostrano le nomine ricevute sin dagli anni venti del XIV secolo che lo chiamavano a ricoprire il delicato ufficio di giustiziere di Principato Citra con l’ordine di restituire all’Arcivescovo di Salerno il possesso del castello di Olevano Sul Tusciano (1323)69.

  • 70 Nel cartulario si conserva il documento col quale Roberto il Saggio ne accoglie le dimissioni (1 d (...)
  • 71 Calasso 1929, p. 238-241. Il salario percepito dai Capitani ammontava a circa quaranta once annue. (...)

39L’anno successivo (1324) assunse invece per la prima volta la Capitania di Reggio70. I capitani, a cui erano assegnate ampie funzioni giurisdizionali e fiscali, erano i rappresentati regi nelle città e nelle Universitates del Regno. In particolare garantivano la pace sociale e presiedevano le riunioni dei consessi cittadini71.

  • 72 Lo dimostrano le due lettere indirizzate da Roberto d’Angiò al conte di Sinopoli con le quali chie (...)
  • 73 Squillace.
  • 74 Si tratta di un documento redatto a Seminara il 6 settembre 1339 in cui è inserita copia del diplo (...)

40La nomina comitale del 1333 gli valse anche quella di giustiziere d’Abruzzo (1335) mentre l’anno successivo fu Capitano generale et iustitiarius Calabriae, carica che mantenne sino alla fine del 133772. Nel ricoprire tale ufficio, conscio dell’inesperienza amministrativa, affidò la gestione della Camera a unum expertum, designando a tale ufficio il discretus vir notarius Petrus Rumbulus de Squillacino73, habitator Seminarae. Al Rumbolo, oltre alla corresponsione della ‘gagia’ dovuta, chiese di prestare il giuramento con cui si impegnava a non commettere frode o reato alcuno nell’espletamento della funzione notarile74.

  • 75 L’Università di Reggio propose la nomina di Guglielmo per i meriti acquisiti al tempo della rivolt (...)
  • 76 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, B. 7, c. 13v-14r; 41r-41v; 52v-54r; 70v-72r; 72r-v.
  • 77 Già nel 1335, al termine del suo mandato, Guglielmo Ruffo fu sottoposto al giudizio di Ruggero San (...)
  • 78 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, B. 7, c. 64v-65r.

41A conclusione della sua lunga carriera burocratica, ricevette la nuova nomina di Capitano generale della città di Reggio (su richiesta degli abitanti della città) nel 134975. In realtà il Ruffo era già stato capitano della città nel 1324, nel biennio 1334-1335 e nel 1340 quando, era riuscito ad acquisire proditoriamente beni immobiliari ed opifici, per i quali era entrato in urto con il suo successore, Bertrando Audiberto76. Quest’ultimo infatti, sollecitato dai cittadini reggini, ne aveva ordinato la demolizione perchè ‘abusive’77. Ma l’intervento di Roberto d’Angiò, a cui Guglielmo di Sinopoli aveva presentato ricorso, bloccò l’esecuzione del provvedimento78.

  • 79 Morelli 1998, pp. 491-517. Sull’ultimo aspetto si v. un documento del novembre 1339 col quale Robe (...)

42L’intensa carriera del Ruffo sembrerebbe dimostrare che i criteri di reclutamento seguiti dai primi sovrani angioini e da Roberto, garantivano la mobilità nell’ufficio attraverso l’impiego di personale locale. Si trattava in molti casi di personaggi dotati di ampi patrimoni feudali nel luogo preposto al loro controllo amministrativo. Con Roberto si avviava anche l’italianizzazione delle cariche prima affidate preferibilmente a francesi e provenzali. Del resto l’impiego della feudalità regnicola fedele al re, almeno nella Calabria meridionale sembrò rivelarsi provvidenziale per la corona, interessata a difendere i propri domini esposti ai colpi dei nemici aragonesi79.

  • 80 Macchione 2016, p. 447-466; Dalena 2015, p. 215-221.
  • 81 Caridi 1993, p. 13; Della Marra 1641, p. 339.
  • 82 Macchione 2017, p. 103-106, doc. XLII.

43La fidelizzazione dei sinopolitani alla casa d’Angiò era, infatti, iniziata poco dopo la battaglia di Benevento (1266) con la restituzione dei territori detenuti dai Lancia, si era consolidata al tempo delle rivolte di Corradino (1268-1269) con l’assedio di Amantea ed era stata consacrata definitivamente al tempo del conflitto angioino-aragonese (1282-1302)80. Fu proprio allora che Enrico di Sinopoli (padre del conte Guglielmo) venne nominato ciambellano e giustiziere di Terra di Lavoro (1291-1292), ottenendo anche la giurisdizione criminale sulla città dell’Aquila. Lo stesso iter seguito dal figlio Guglielmo che, dopo aver ricevuto il castello di Corbario nel giugno del 1320, fu parimenti nominato giustiziere d’Abruzzo nel 1331 e nel 133481. L’ampio patrimonio abbruzzese portato in dote al Ruffo da Caterina Chrispai, composto da ampi seminativi, vigneti, oliveti, prati, boschi e pascoli in cui erano dislocati anche alcuni mulini, fu venduto (1328) probabilmente in seguito all’aggravarsi della malattia della nobildonna che, poco dopo, morì82.

  • 83 Vitale 2000, p. 366.

44Per quanto riguarda, invece, la familiaritas e la condizione di consiliarius è verosimile ritene che si trattasse di riconoscimenti regi tesi a premiare le diverse capacità e competenze tecniche acquisite dagli esponenti delle più importanti famiglie feudali e nello specifico dai signori di Sinopoli nel cui operato i sovrani angioini confidavano per il controllo della più periferica e instabile provincia del Regno a causa dei continui attacchi siculo-aragonesi83.

Nicolò Ruffo e la rinascita della contea di Catanzaro

  • 84 Dalena 2015, p. 240-245.
  • 85 Macchione 2017a, p. 462; Pacella 1964, p. 45.

45L’esemplare vicenda di Nicolò Ruffo, sesto conte di Catanzaro, si inserisce invece in uno dei più travagliati periodi della storia del Regno in cui l’ostilità tra durazzeschi e provenzali, scoppiata alla morte di Carlo III di Durazzo (1386), aveva compromesso la stabilità delle strutture economiche e sociali84. Figlio di Antonello Ruffo e di Giovanna Buondelmonti nacque nel 1359, fu anche primo marchese di Crotone85.

  • 86 ASNa, Ms. De Lellis, Notamenta, vol. VII, f. 139. Nel documento non si fa riferimento ai ‘meriti d (...)

46Subentrato al padre alla guida della contea, fronteggiò un lungo periodo di incertezza politica. Inizialmente al fianco della fazione durazzesca, ricevette dalla regina Margherita la nomina di viceré di Calabria col compito di pacificare la regione, riducendo all’obbedienza i baroni schieratisi con la fazione provenzale (9 settembre 1384) guidata, dopo la morte di Luigi d’Angiò, da Maria di Blois e da Luigi II86.

  • 87 Valente 1918, p. 21; Macchione 2017a, p. 147; Pacella 1964, p. 52.

47Tuttavia, quando Urbano VI scomunicò Carlo di Durazzo e la moglie (15 gennaio 1385), egli aderì velocemente al partito pontificio nelle cui fila rimase anche quando, qualche anno più tardi, Luigi II e Maria di Blois riuscirono a conquistare Napoli (1387). In tale occasione la regina Margherita e il giovane Ladislao furono costretti a lasciare precipitosamente la capitale trovando rifugio a Gaeta, da dove affidarono al duca di Venosa, Venceslao Sanseverino, la riconquista della Calabria. A seguito di tali avvenimenti Urbano VI nominò il conte di Catanzaro Giustiziere del ducato di Calabria e vicario pontificio in temporalibus (1 maggio 1388), confermando la nomina della regina Margherita (fig. 6)87.

Fig. 6 – La contea di Catanzaro nel 1404.

Fig. 6 – La contea di Catanzaro nel 1404.
  • 88 ASNa, Ms. Sicola, t. VII-VIII, c. 14-15; Barone 1887, p. 502.
  • 89 ASNa, Ms. Sicola, t. VII-VIII, c. 14; Pacella 1964, p. 54.

48Dopo la morte del pontefice (1389) e la successiva incoronazione di Ladislao a Gaeta, il Ruffo si riavvicinò ai durazzeschi. Ciò gli valse il rinnovo della nomina vicereale, subentrando al capitano di ventura Alberto da Barbiano, e il titolo di marchese di Crotone (18 ottobre 1390), col conseguente indulto per i reati commessi (10 novembre 1390)88. A investire il nuovo marchese di Crotone furono delegati da Ladislao, Enrico Sanseverino di Mileto, Carlo Ruffo di Montalto e Giordano di Arena che gli infeudarono anche le terre di Satriano, il castrum di S. Niceto e Oliveto, appartenuti a Giovanna Ruffo di Sinopoli, notoria ribelle89.

  • 90 L’arcivescovo Pietro Serra apparteneva alla terna di uomini che Martino il Vecchio, dopo aver affi (...)
  • 91 ASPa, Cancelleria 7, c. 260r; 18 c. 138r, 19 c. 143r-v, 22 c. 66v-67r; Fodale 2005, p. 233-234.

49Poco dopo Nicolò, mutando nuovamente casacca, abbandonò i durazzeschi schierandosi con Luigi II d’Angiò e sconfiggendo l’esercito di Ladislao in Terra d’Otranto (24 aprile 1392). L’agosto successivo con altri baroni calabresi sottoscrisse un accordo con gli aragonesi di Sicilia impegnandosi a non stringere alleanza col siciliano Artale Alagona, giunto in Calabria alla ricerca di sostegno militare. Riceveva in cambio libertà di commercio e protezione per uomini e merci che transitavano nei porti siciliani, particolarmente in quello palermitano. Le relazioni con gli aragonesi di Sicilia si intensificarono l’anno successivo (agosto 1393) quando Martino I chiese al conte di Catanzaro sostegno logistico per l’azione diplomatica di Antonio de Sanctopaulo e dell’Arcivescovo di Monreale, Pietro Serra, inviati in Calabria a stringere alleanze con i baroni regnicoli90. Inoltre, in cambio del sostegno militare, l’aragonese accordava la protezione a tutte le imbarcazioni dirette negli scali calabresi, controllati dal Ruffo91.

  • 92 Pacella 1964, p. 66-69.

50Nicolò, tuttavia, continuava a mantenere segrete relazioni con Luigi II, aprendo un nuovo scenario di crisi con Ladislao. Gli eventi precipitarono nel 1404 dopo l’ennesimo tradimento: occupata Reggio, egli si schierò al fianco della fazione provenzale. Ladislao, allora, assediò Crotone in Calabria e ottenne la resa di Santa Severina e di Catanzaro, riducendo via via all’obbedienza le terre del Ruffo. Questi tentò un’estrema resistenza attendendo, invano, l’arrivo delle navi francesi dirette ai porti di Reggio e Crotone ma, persa ogni speranza rifiutò – riparando in Provenza – l’offerta di una vantaggiosa pace prospettatagli dal durazzesco, forse per garantire gli equilibri politici della regione92.

  • 93 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Cartulario II, c. 36r-37v.
  • 94 Pacella 1964, p. 79-86.

51Dopo la sua partenza furono ridotte all’obbedienza Crotone, Seminara e Reggio, mentre i beni del conte e dei ribelli furono distribuiti ai seguaci del sovrano, tra cui Guglielmo II, conte di Sinopoli93. Qualche anno più tardi (tra il 1418 e il 1419) ritornò in Calabria riottenendo i suoi feudi e la contea di Catanzaro94.

  • 95 Enrichetta Ruffo deteneva vastissimi, seppur non contigui, possessi feudali costituiti dal marches (...)

52Dedicò gli ultimi anni di vita alla riorganizzazione della signoria riallacciando le antiche alleanze con esponenti di spicco della corte napoletana e con papa Martino V. Quest’ultima alleanza venne ratificata dal matrimonio della giovane figlia Giovannella con Antonio Colonna, principe di Salerno e nipote del pontefice. Ma, riuscito sterile tale matrimonio, i vastissimi domini dei Ruffo di Catanzaro furono da Enrichetta, sorella di Giovannella, portati in dote ad Antonio Centelles (1439)95.

  • 96 Caridi 2019, p. 129-130.

53Nicolò, negli ultimi anni della sua vita, si mantenne prudentemente lontano dagli intrighi di corte tra Sergianni Caracciolo e Martino V, ma quando nel 1431 il nuovo papa Eugenio IV spianò la strada ad Alfonso d’Aragona (che nel 1432 trattava la nuova adozione con Giovanna II), egli parteggiò apertamente per il Magnanimo anzi, con Giovanni Antonio Orsini, principe di Taranto aveva inviato a Siracusa, dopo la morte del Caracciolo, alcuni ambasciatori per incontrare e trattare col sovrano aragonese. Proprio in tale occasione fu chiesto ad Alfonso di non recarsi nel Regno finché fosse stata in vita Giovanna II96.

  • 97 Ibid., p. 86-89; Macchione 2017a, p. 148.

54L’anno dopo (giugno 1433), la regina sovvertì ancora una volta le carte in tavola e riconfermò l’adozione di Luigi III. Nell’occasione il conte di Catanzaro fu protagonista di un ennesimo voltafaccia che lo portò a tornare nella schiera dell’angioino. Fu questa l’ultima vicenda che lo coinvolse prima del ritiro nella sua città, dove morì nel 143497.

55L’ascesa del marchese di Crotone era sembrata inarrestabile. Oltre che detentore di un vasto stato feudale, egli aveva ricoperto anche prestigiosi incarichi pubblici, divenendo arbitro delle contese nella regione per oltre un trentennio. Il suo protagonismo politico aveva a lungo condizionato le scelte della feudalità locale e, soprattutto, della Corona.

Carlo di Sinopoli, l’ultimo grande conte di Sinopoli

  • 98 Macchione 2018a, p. 134-135.

56In seguito alla débâcle di Nicolò, costretto a riparare in Provenza (1404), e alla demanializzazione di Catanzaro, riacquistava prestigio il ramo di Sinopoli con Carlo Ruffo, primogenito del conte Guglielmo II Ruffo98.

  • 99 Ibid., p. 121-122.
  • 100 ASPa, Cancelleria, 23, c. 67v-68r. Fodale 2005, p. 233-237. Del resto la vivacità economica dello (...)
  • 101 Vitolo 1994, p. 207-225.

57Questi, per rilanciare le sorti della famiglia dilaniata da contrasti interni, strinse alleanze matrimoniali coi Caracciolo e coi Centelles, proiettando definitivamente gli interessi della contea aspromontana nei grandi circuiti commerciali mediterranei99. Infatti, ereditando i beni della zia Maria Ruffo, vedova del potente barone d’Alagona si era assicurato una solida piattaforma commerciale ed economica nella città di Messina (1428) recuperando i vecchi accordi commerciali stipulati tra il padre e il re Martino nel 1397 in cui veniva sancita la libertà del commercio tra le due sponde dello Stretto di Messina salvaguardando, al contempo, la sicurezza delle rotte per via dei continui attacchi pirateschi100. Il malessere economico e sociale alimentato dalle continue incursioni di briganti contro le popolazioni dell’entroterra faceva il paio con l’attività piratesca a danno dei centri costieri «in un crescendo di violenze che si protrasse dall’inizio dell’età angioina fin verso la metà del Quattrocento», nonostante i provvedimenti restrittivi di re Roberto che, ad evitanda furta piratarum, aveva fatto intensificare il controllo delle coste101.

  • 102 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Cartulario II, c.119r-121r; 121r-135r; 154r-156v; 173r-181v; 453r- (...)

58Guglielmo II Ruffo e il figlio Carlo si schierarono a fianco di Ladislao e, alla sua morte, a quello della regina Giovanna II. Il favore sovrano, in un periodo così complesso di lotte e tradimenti, si materializzava nell’acquisizione di nuovi possedimenti e in nuove nomine burocratiche. Carlo fu nominato Capitano a vita di Bagnara, Motta Anomeri, Motta Rossa e Fiumara di Muro, legittimando così l’egemonia nell’area dello Stretto in cui assumeva, via via, il controllo del comparto degli scambi commerciali sulla sponda calabra, specie quelli del legname che, reciso nelle foreste aspromontane, era impiegato dagli artigiani messinesi (in particolare bottai) per la realizzazione di barili da trasporto102.

  • 103 Lo dimostra la singolare vicenda del prestito di millecentosessanta once d’oro richieste al mercan (...)

59Del resto l’ascesa dinastica, oltre che sulle alleanze matrimoniali, si fondava anche sull’investimento finanziario come l’appalto di uffici locali relativi a vasti distretti territoriali che consentivano al Ruffo di recuperare le somme anticipate, investendo gli eventuali guadagni in compravendite di beni feudali. Per questo non esitava a ricorrere, in caso di bisogno, a prestiti rivolgendosi ad esperti operatori del settore creditizio, e nella realizzazione di compagnie mercantili come dimostrano i documenti relativi alla società che Carlo aveva costituito col messinese Berteraimo Trenta (1434) per il trasporto dei carichi di legname dalle foreste aspromontane in Sicilia attraverso l’istituzione di un regolare servizio traghetto da Catona con una sagicta armata a «risicum eorum commune»103.

  • 104 Ibid., c. 474v-479r; 626r-633v.
  • 105 Pollastri 2011, p. 165.

60La crescita economica e territoriale della contea si accompagnò al radicamento del potere nel territorio la cui massima espressione venne raggiunta con la concessione (da parte di Giovanna II) del merum et mixtum imperium et gladii potestatem (1422), confermato da Luigi III due anni dopo (1424), e con la facoltà di alienare i propri beni senza il consueto assenso regio, in deroga agli statuti vigenti (1431)104. E quindi «au debut du XVe siècle les feudataires on la complète maîtrese de leur patrimoine. Les souverains ne sont plus quel les arbitres de leurs transaction» e i feudi liberi da ogni vincolo di temporaneità (fig. 7)105.

Fig. 7 – La contea di Sinopoli nel 1419.

Fig. 7 – La contea di Sinopoli nel 1419.
  • 106 Per questi aspetti rimando a Morelli 2016, p. 55-72. Si vd. anche Macchione 2018a, p. 141-142.
  • 107 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Cartulario II, c. 135v-137r. La capitania «era naturalmente un uff (...)

61A differenza dei predecessori, Carlo in particolare, pur mantenendo rapporti di fidelitas e familiaritas106 coi dinasti napoletani, non fu impegnato in altri incarichi di funzionariato eccetto quello di Capitano che ricoprì sin dal 9 gennaio 1419, due giorni dopo aver perfezionato l’acquisto delle fortezze di Motta Rossa e Motta Anomeri cum plena meri mistique imperii et gladii potestate107.

  • 108 Ibid.

62In quell’occasione Giovanna II gli ordinò anche di presidiarne le fortezze con scudieri, cavalieri, fanti, cavalli e armi necessarie, oltre ad accordargli la facoltà di nominare un maestro d’atti e un luogotenente per il cui stipendio avrebbe egli stesso dovuto provvedere, secondo quanto prevedevano le costituzioni generali del Regno108. Con l’acquisizione delle due fortezze entrava però in urto con l’universitas di Reggio, che ne aveva detenuto, sino ad allora, il controllo.

  • 109 Ibid., c. 197r-199v. La vendita delle due Motte manifesta a pieno la confusione istituzionale del (...)

63Si trattava di un difficile contenzioso risolto grazie all’intervento di Giovanna II che ordinava agli ufficiali reggini di non esercitare più la giurisdizione sulle due terre ingiungendo loro di non molestarne gli abitanti109.

  • 110 «1435, apr. 19, Messane. Alfonsus Rex etc. Concedit Karolo Ruffo comiti Synopolis, sua vita durant (...)

64Soltanto nella delicata fase di trapasso tra la dominazione angioina e quella aragonese, segnata da sanguinose lotte e molteplici tradimenti, gli fu concesso, da Alfonso d’Aragona, l’ufficio di giustiziere a vita della Calabria (1435) per ripagarlo del continuo sostegno manifestato alla causa aragonese. In tale occasione il Magnanimo gli assegnò anche i beni confiscati al Caracciolo conte di Gerace che, al contrario, era tra i più accaniti sostenitori della fazione capeggiata da Renato d’Angiò110.

  • 111 Fodale 2005, p. 243.

65Carlo Ruffo si era schierato al fianco di Alfonso sin dagli anni venti del XV secolo quando ricopriva l’incarico di viceré di Calabria, dopo essere stato adottato da Giovanna II. Ma quando la regina diseredò l’aragonese, adottando al suo posto Luigi III d’Angiò, al Ruffo venne affidato il compito di attaccare Alfonso asserragliato nella città di Reggio. Ma il conte di Sinopoli, per lealtà, non portò a termine l’incarico dando alle truppe aragonesi la possibilità di attraversare lo Stretto in tutta tranquillità111.

  • 112 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Cartulario II, c. 412v-414v.
  • 113 Mazzoleni (a cura di) 1957, p. 7-10, doc. 9; Caridi 1995, p. 44-45; Caridi 2019, p. 130.

66Del resto il patto di fedeltà tra Alfonso e il Ruffo era stato sottoscritto già nel 1421 quando, sotto la tuitio del viceré di Calabria, poté impossessarsi manu militari delle terre di Palizzi e di Brancaleone, appartenute a Giacomo Ruffo, ribelle, recuperando un importante ‘pezzo’ dell’originaria contea di Sinopoli, sottratta dal defunto zio Antonello al nonno Fulcone al termine di una sanguinosa lite familiare (1362)112. Un patto rinnovato nel novembre del 1432 quando Carlo giurò fedeltà all’aragonese impegnandosi a comportarsi da «servituri et scavolino a sou Signuri cum disposicione viveri et moriri sucta sua fidelita et nomo» in cambio della conferma dello «stato de sue terre, castelli et segi et de omni altre cose che ipsu signuri supplicanti tenisse et possidesse». Il patto prevedeva, inoltre, l’assegnazione in Sicilia di un’asse feudale di pari valore di quello detenuto in Calabria, nel caso gli fosse stato confiscato dal duca d’Angiò113.

Note conclusive

  • 114 Su questo si vedano gli esiti delle recenti ricerche presentate nel Convegno Europange di Anger de (...)

67Le vicende prosopografiche dei Ruffo di Sinopoli, e la presenza di qualificati esponenti della famiglia nei quadri di vertice delle magistrature periferiche, mostrano come le aristocrazie locali furono favorite dai rapporti di vicinanza con la famiglia regia nell’ascesa sociale. I dati prosopografici evidenziano, inoltre, la dinamicità del lignaggio scandendo la vicenda dei distretti comitali loro sottoposti e quelli delle magistrature ricoperte, contribuendo a rivalutare il protagonismo della Calabria nella rete di relazioni tra le diverse aree della dominazione angioina in Europa. Del resto l’esperienza provenzale di Nicolò Ruffo, non può che contribuire a convalidare la formazione di una comune cultura europea angioina di governo delle periferie nelle quali si delineano fenomeni di contaminazione culturale, politica ed ideologica di cui la mobilità sociale è il principale vettore114.

  • 115 Galasso 1992, p. 314-316.

68Anche questo si inscrive nella maturazione complessiva della coscienza nazionale napoletana tra XIV e XV secolo, i cui esiti furono stigmatizzati da archivisti ed eruditi napoletani, tra cui Pietro Vincenti e Camillo Tutini, che avviarono una feconda stagione di studi sulle cariche burocratiche, spina dorsale dell’amministrazione regia, sia nella Capitale che nelle periferie, compilando le prime liste di ufficiali, a cui le recenti ricerche si richiamano115.

  • 116 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Cartulario II, c. 522v-524v.

69Grazie a quei lavori si poté stabilire che molti uffici, dalle prime esperienze angioine con Carlo I, subirono una notevole evoluzione ed un complessivo svuotamento di significato cui corrispose il rinnovamento delle architetture burocratiche nel XV secolo. Così la nomina di Carlo di Sinopoli, giustiziere a vita di Calabria, ad esempio, diventa spia significativa del fatto che alcuni uffici (quello del giustiziere, in particolare) si erano oramai rapidamente trasformati in semplice strumento di fidelizzazione delle indocili aristocrazie regnicole, spesso invise alle popolazioni locali, per i sempre crescenti abusi di potere. Nella stessa ottica si inquadra il provvedimento del 1428 col quale Luigi III d’Angiò sanava gli abusi del conte di Sinopoli che aveva, illecitamente, riscosso i diritti di portolania, secretia ed exitura sul commercio del legno e sul naufragio degli schiavi. Facoltà e ragioni che gli furono poi, nuovamente, assegnate, a dimostrazione che la burocrazia esercitava ovunque quella spinta alla più intensa dinamica sociale, che nel secolo precedente (XIV) si percepiva solo per Napoli116.

  • 117 Morelli 2017, p. 53-55; Galasso 1992, p. 310; Kelly 2000, p. 347-361.

70Più articolato, e per certi versi ancora sfuggente, il discorso sui criteri di reclutamento degli ufficiali, fissato dai primi sovrani angioini. Tuttavia erano previste significative differenze tra le magistrature degli uffici centrali e quelle degli uffici periferici, a cominciare dalla nazionalità degli stessi ufficiali. Le nomine dei secreti e dei giustizieri, ad esempio, rivelano questa importante discrasia, per cui mentre nelle province periferiche la corte preferiva affidarsi agli esponenti della feudalità regnicola, gli uffici di corte vennero assegnati di preferenza agli ultramontani. Tuttavia, già con Carlo II e, maggiormente, con Roberto si cominciò ad affermare la tendenza contraria favorendo ‘l’italianizzazione’ delle cariche passate, come si è visto, nelle mani dei più importanti esponenti dell’aristocrazia regnicola117.

  • 118 Morelli 2017, p. 60.

71Ciò conseguentemente produsse, per tutto il XIV secolo, la corsa all’accaparramento delle cariche come fonte di privilegio per le famiglie emergenti, o che intendevano consolidare il potere dinastico. A loro volta tali forme clientelari furono tramutate in strumento di costruzione del lignaggio e del rafforzamento dell’incidenza e della pervasività nel territorio118.

  • 119 Pollastri 2012, p. 269-275.

72Aver spostato, quindi, l’attenzione sui cambiamenti verificatisi sotto la spinta delle esigenze militari e finanziarie, consente di comprendere quali fossero i nuovi canali di reclutamento delle élites e le ragioni del ricambio avvenuto, nelle magistrature periferiche, attingendo a quell’inesauribile serbatoio del ceto baronale la cui fedeltà, spesso carpita col compromesso, si rivelò funzionale alla realizzazione del progetto politico durazzesco di semplificazione della struttura burocratica del Regno119.

  • 120 Sino al Regno di Roberto d’Angiò i giustizieri rappresentavano il cardine dell’amministrazione per (...)
  • 121 Morelli 2016. In tal senso è da intendersi la nomina di Fulcone Ruffo a giustiziere di Val di Crat (...)

73Ciò portò, nella seconda metà del XIV secolo, ad un progressivo indebolimento delle funzioni di alcuni uffici periferici, tra cui quello del giustiziere120, con la rapida ascesa sociale delle nuove classi mercantili chiamate a ricoprire ruoli intermedi di funzionariato, la cui selezione non avveniva più né sulla base delle competenze, né su quella della vocazione burocratica, ma sull’arbitrio regio121.

  • 122 Morelli 1996, p. 306-307.

74Tutto ciò favoriva il radicamento nel territorio di poteri locali forti e la formazione di un quadro burocratico più funzionale alle mutate esigenze monarchiche che, pur mantenendo nominalmente vive le vecchie strutture, registrava alcune novità. Tra queste la più importante sembra essere la concessione di più ampi poteri ai viceré e l’assegnazione delle funzioni di controllo nelle periferie ai feudatari fideles controllati, a loro volta, da ‘commissari’ temporanei e straordinari122.

  • 123 Rao 2017, p. 38.

75In sostanza si trattava di un approccio nuovo, più adeguato alle rinnovate esigenze di controllo del territorio che imponevano lo snellimento degli apparati di governo rompendo definitivamente l’immagine ‘atemporale’ della Curia Regis123. Per questo è opportuno spostare l’attenzione dagli uffici agli ufficiali come si è inteso fare nel caso dei Ruffo di Catanzaro e di Sinopoli per contribuire ad ammorbidire quelle rigide categorie attraverso cui gli storici hanno guardato all’amministrazione angioina. Ciò contribuisce a dimostrare che molto spesso gli uffici erano ritagliati su misura delle persone chiamate a ricoprirli, e rappresentavano tappe intermedie del percorso identitario per la formazione delle élites di potere nelle periferie del Regno.

  • 124 Carocci 2015, p. 203-208.

76E, allora, in quest’ultima accezione la ricostruzione dei quadri burocratici consente di mettere a fuoco anche i significativi mutamenti signorili avvenuti in età angioina. In particolare dopo la Guerra del Vespro (1282-1302) quando la mutilazione del Regno favorì il rovesciamento del rapporto tra feudo e demanio innescando un lento e irreversibile processo di cedimento monarchico di fronte alle rivendicazioni baronali. A metà del XIV secolo, quindi, si registrava l’apertura della profonda crisi dinastica angioina che, alimentata da quella economica e sociale, segnò l’inizio di un lungo periodo di lotte intestine esiziali per la tenuta della Corona. Tale dinamica finì col favorire l’avanzata delle aristocrazie feudali, giustificò l’abuso di potere che divenne consuetudine e, prassi legislativa nonostante i tentativi che, formalmente attraverso l’emanazione di nuove norme, cercavano di limitare i poteri baronali124.

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Rao 2017a = R. Rao, Introduzione. I grandi ufficiali dei territori angioini: dal bilancio storiografico alle prospettive di ricerca, in Rao (a cura di) 2017, p. 27-41.

Rosso 2017 = P. Rosso, Strategie di reclutamento e profili intellettuali dell’ufficialità locale angioina nell’Italia nord-occidentale (1259-1382), in Mémoire des Princes Angevins, 10, 2017, p. 1-37.

Schadek 1971 = H. Schadek, Die Familiaren der sizilischen und aragonischen Könige im 12. und 13. Jahrhundert, in Spanische Forschungen der Görresgesellschaft. 1. Reihe. Gesammelte Aufsätze zur Kulturgeschichte Spaniens, 26, 1971, p. 201-348.

Tagliente 2018 = A. Tagliente, Alcune note prosopografiche per lo studio delle famiglie principesche meridionali del secolo X: problemi e prospettive di ricerca, in Mémoire des Princes Angevins, 11, 2018, consultato il 6 novembre 2019, https://mpa.univ-st-etienne.fr:443/index.php?id= 430.

Trifone 1921 = R. Trifone, La legislazione angioina, Napoli, 1921.

Tufano 2018 = L. Tufano, Un barone e la sua città: la costruzione dell’immagine. Note su Orso Orsini conte di Nola, in Reti Medievali Rivista, 19, 2018, p. 261-279. 

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Vitale 2000 = G. Vitale, Nobiltà napoletana dell’età durazzesca, in J.-M. Matz (a cura di), La noblesse dans les territoires angevins à la fin du Moyen Âge, Roma, 2000, p. 363-421.

Vitolo 1986 = G. Vitolo, Il Regno angioino, in Storia del Mezzogiorno, diretta da G. Galasso, R. Romeo, IV/1, Il Regno dagli Angioini ai Borboni, Roma, 1986, p. 11-86.

Vitolo 1994 = G. Vitolo, Rivolte contadine e brigantaggio nel Mezzogiorno angioino, in Annali dell’Istituto ‘Alcide Cervi’, XVI, 1994, p. 207-225.

Yver 1903 = G. Yver, Le commerce et les marchands dans l’Italie méridionale au XIIIe et XIVe siècle, Parigi, 1903.

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Notes

1 È questo il caso del complesso progetto internazionale di ricerca Europange (promosso dall’Université de Saint-Étienne e che associa l’École française de Rome, l’Università della Campania “L. Vanvitelli”, l’Università di Bergamo, quella del Salento, di Salerno, le Centre de Recherche en Sciences Humaines de l’Académie des Sciences de Hongrie, l’Universitè de Moncton (Canada), di Angers, Aix Marseille, Nîmes e l’INSA di Lyon) attraverso cui si sta cercando di ricostruire le vicende di un corpo di amministratori (ufficiali) di cui vengono indagate la rete di relazioni, la formazione e le competenze acquisite. Per i risultati di quelle indagini, confluite in un grande database prosopografico, ancora in corso di elaborazione, si rimanda a Rao (a cura di) 2017; Morelli (a cura di) 2018; Mathieu, Matz (a cura di) 2019.

2 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Cartulario I (1247-1350); Cartulario II (1400-1499); Diplomatico. Per i primi risultati rinvio a Macchione 2017, Macchione 2018a, Pollastri 2001, Pollastri 2011 e, per un approfondimento sul diplomatico dell’archivio Ruffo di Scilla, a Belli 2018, p. 205-218, oltre che a Orefice 1963.

3 Rao 2017a, p. 27-28.

4 Carlo I d’Angiò «organisa sa cour royale, et s’entoura de conseillers en rétablissant au profit de ses plus fidèles chevaliers les grands offices de la Couronne» (Cadier 1891, p. 157).

5 Fu Camillo Tutini a censire per la prima volta, a metà del XVII secolo, i sette grandi uffici del Regno: conestabile, ammiraglio, maestro giustiziere, protonotaro, gran camerario, cancelliere e gran siniscalco. Tale elenco fu ripreso in seguito da Romualdo Trifone, Alessandro Cutolo e Giovanni Vitolo (Tutini 1666; Trifone 1962, p. 83-89; Cutolo 1924, p. 5-22; Cutolo 19692, p. 149-180; Vitolo 1986, p. 54-56). La lista del Tutini era una selezione arbitraria e venne corretta e integrata da Eduard Sthamer e da Gennaro Maria Monti, i migliori conoscitori dell’amministrazione e della organizzazione dello «Stato angioino». Questi, tra i grandi ufficiali inclusero anche i maestri razionali menzionati dal «regolamento degli ufficii della corte dei conti». Ne rimasero esclusi i marescialli (Minieri Riccio 1872; Durrieu 1877, II, p. 190-199; Cadier 1891, p. 157-285; Galasso 1992, p. 322-325) e i siniscalchi di Provenza e di Piemonte, i capitani generali, i logoteta e i vicari generali perché, specie gli ultimi due, avevano un carattere temporaneo, nonostante i capitani generali godevano di poteri pressoché assoluti non solo in ambito militare, e ciò almeno durate la Guerra del Vespro (Rao 2017a, p. 34-40).

6 Morelli 2012.

7 Trifone 1921, p. 178-183; Kiesewetter 1998, p. 361-415.

8 Su questi aspetti e sulla produzione documentaria degli ufficiali in servizio nelle periferie regnicole si rimanda a: Morelli 2008. Sulle nuove concessioni si v. Durrieu 1886 e Pollastri 2004.

9 I custodes passuum et stratarum erano funzionari provenienti dai ranghi militari della nobiltà locale che, stipendiati dalla Corona, vigilavano i tratti di strade loro assegnati con cavalieri e soldati armati forniti dalle Terre che ne avevano la giurisdizione.

10 Dalena 2007; Dalena 2018.

11 Kiesewetter 2004, p. 32.

12 Ciò è stato reso possibile soprattutto attraverso la realizzazione del progetto Europange in cui la ricostruzione dei profili prosopografici degli ufficiali angioini si è avvalsa del fondamentale apporto dei moderni strumenti informatici grazie alla creazione di una piattaforma digitale che mette a disposizione degli studiosi i riferimenti alle fonti (edite e inedite), studi e i materiali più diversi utilizzati per la realizzazione di un unico grande Database degli Ufficiali, ancora in fieri. Significativi esempi della complessità di questo lavoro sono i lavori di Antonetti 2019; Giordano 2019, Moglia 2019 e Tagliente 2018.

13 Kiesewetter 2004, p. 36; Vitolo 1986, p. 54.

14 Macchione 2017, Macchione 2018a, Pollastri 2001, Caridi 1993, Pontieri 1963.

15 Macchione 2018, p. 77-102.

16 L’11 dicembre 1354 Nicolò Acciaiuoli informava l’amico Zenobi da Strada che «di questa settimana faremo la sposaglia della Giovanna di madonna Lapa con lo conte di Catanzaro», mentre qualche anno prima (1351) un’altra figlia di Manente e Lapa Buondelmonti era andata in sposa ad Antonio Caracciolo, conte di Crotone «lo mariagio della fillia di Manente fu bono principio. Lorenzo credo prenderà o la fillia de lo conte di Celano o la filia delo conte de Meleto, o la suora de lo conte de Tricarico, imperoque catuno di questi affecta essere suo parente, con solicitudine lo ricercano», aprendo quindi anche ai Sanseverino (Mileto e Tricarico) per assicurarsi la totale collaborazione delle più importanti famiglie feudali del Regno (Leonard II 1932, p. 483-485, doc. LXVI; Leonard III 1937, p. 530-532, doc. XX)

17 Mazzoleni 1948, p. 140-141; Orefice 1963, p. 10-13.

18 «Le operazioni di ricostruzione e di inventariazione del diplomatico di quest’archivio, depositato presso l’Archivio di Stato di Napoli, hanno risposto a molteplici sollecitazioni. Innanzitutto ci si è resi conto di trovarsi tout-court di fronte al maggior fondo pergamenaceo di epoca medievale esistente nell’Italia meridionale, a parte quelli dei grandi monasteri come Montecassino e Cava. (…). La grande quantità di documenti pubblici e privati lì presenti a partire dal XIII secolo ci dà ragione delle molteplici tipologie della documentazione di quei secoli rispondenti alle innumerevoli occorrenze e situazioni di quel lignaggio e soprattutto della natura di un archivio di famiglia di così antica data che è nello stesso tempo l’archivio di una famiglia destinataria delle concessioni e delle comunicazioni dei sovrani e ‘protagonista’ nel proprio ambito familiare e territoriale di intensi rapporti interpersonali e sociali» (Belli 2018, p. 207-208).

19 Pollastri 2011.

20 La ripresa della guerra tra Angioini di Napoli e Aragonesi di Sicilia, all’indomani della Pace di Caltabellotta (1302) determinò qualche battuta d’arresto nelle migrazioni tra le due sponde dello Stretto anche se Messina continuò ad approvvigionarsi con buona continuità nei centri costieri della Calabria meridionale da Gerace a Nicotera. Essa era considerata la città meno siciliana dell’isola che, proiettata verso la Calabria, non aveva risentito della crisi demografica conseguente alle numerose recrudescenze belliche, nonostante dal suo porto partivano le imbarcazioni almogavere che assalivano le coste calabresi (Pispisa 1999, p. 122; Macchione 2018, p. 82-86, Figliuolo 2014; Figliuolo 2104a, p. 79-103).

21 Macchione 2018a, p. 9-14; Pollastri 2001.

22 Si tratta della bolla con cui Innocenzo IV confermava a Pietro I Ruffo di Catanzaro i territori del distretto catacense e del «Castrum Mesuracae et feudum Rendae a quondam Fredericus, olim romanorum imperatorem et Sicilia rege, et a Conradus natus ipsius, tiba facta rata habendo» nonostante fossero incorsi nelle more della scomunica e i loro documenti dovessero essere considerati privi di efficacia giuridica (Macchione 2017, p. 6-8, doc. II).

23 Macchione 2017, p. XXXIII-XLI. Si v. pure Macchione 2018a.

24 Caridi 1993, p. 24-20; Macchione 2018a, p. 116-122.

25 Per i quadri generali e l’analisi degli assetti istituzionali rimando a Dalena 2015, p. 240-251.

26 Mazzoleni (a cura di) 1957, p. 14, n. 14. È assai singolare che di questo privilegio, emanato a seguito della riconferma patrimoniale del 18 aprile precedente (ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Cartulario II, c. 684r-689r), non si conservi traccia nei cartulari di lignaggio (cfr. infra, nota n. 62).

27 Rao 2017a, p. 37.

28 Pollastri 1991; Petracca, Vetere (a cura di) 2013; Colesanti (a cura di) 2014; Allegrezza 1998; Drago 2002; Tufano 2018.

29 Per le strategie signorili dei conti di Sinopoli rimando a Macchione 2017, p. XLV-LXXV. È interessante notare anche che all’inizio della dominazione angioina la feudalità calabrese (Ruffo compresi) erano quasi del tutto assenti dalla gestione del potere regio a differenza dei feudatari di Principato, Abruzzo e Terra di Lavoro, prossimi alla città di Napoli. Furono gli esiti della guerra del Vespro (1282-1302) ad accelerare il coinvolgimento anche dei feudatari calabresi come dimostra la vicenda Ruffo, ma anche quella dei Sangineto, dei Sanseverino conti di Mileto e dei Caracciolo (Macchione 2018a, p. 66-69).

30 Rao (a cura di) 2017, p. 376.

31 Morelli 2017, p. 46.

32 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Diplomatico, n. 275, 282.

33 Nel primo caso si tratta di una lettera di Guglielmo de Sabrano, Capitano generale e giustiziere in Calabria, che riceve le lamentele di Guglielmo di Sinopoli il quale a proposito delle fortificazioni di Bruzzano Vecchio fa presente che «propter absentiam dominorum dudum contractam a dicta terra homines alumni dictae terrae possent de facto invadere ed ledere homines dictorum casalium, cum essent homines factiosi ideoquae supplicavit idem exponens ut dicto exponenti dignavemur de opportuno remedio providere» (Macchione 2017, p. 35-36, doc. XV; per la figura di Guglielmo Sabrano si vd. De Lellis 1654, p. 161 e Pecout 2017). Il secondo documento contiene l’inventario dei beni mobili posseduti da Guglielmo Ruffo nella fortezza di Palizzi adibita a presidio strategico dall’area dello Stretto. Del resto il riferimento esplicito al «mataratium unum, in partem combustum» non lascia dubbio, così come l’approvvigionamento delle vivande presenti nella dispensa, sulla sua frequentazione ‘militare’ e sui continui scontri con le forze militari siciliane (Ibidem, p. 37-38, doc. XVI). Sullo stesso tema, si vd. anche ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Cartulario II, c. 73v-76v; ASNa, Ruffo Principi di Scilla, B. 7, c. 68r-68v.

34 Caridi 1993, p. 25.

35 Pollastri 2001, p. 556; Caridi 1993, p. 13-14, 39-40; ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Diplomatico, n. 517, 620, 641-642; ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Cartulario II, c. 83r-84r; 598v-607v; 607v-611r, 620v-624r. Per la defluenza del vino si vd. Balducci Pegolotti 1936; Yver 1903, p. 142; Bresc 1986, p. 1291.

36 Schadek 1971, p. 201-348.

37 CDS 1931, p. 241, n. 132.

38 Macchione 2016, p. 447-466 e relativa bibliografia.

39 Macchione 2017, p. XXXIII-XL.

40 Per Servo da Pavia, noto proditores si cfr. R.A. II, p. 235, n. 692; Minieri Riccio 1874, p. 30, 35-36. Tra i proditores, alla fine del 1268, compaiono anche Guglielmo e Orlando da Pavia, probabilmente legati da vincoli di parentela con Servo e piccoli feudatari locali, a cui vennero confiscati i beni, incamerati dal demanio (FCA, III, [1268-1270], p. 38-39, n. 18).

41 Macchione 2016, p. 457.

42 R.A. I, p. 192, n. 1002; 252, n. 1349.

43 Miles nel 1272. Ancora nel 1277 è menzionato come vice maestro giustiziere del Regno (Minieri Riccio 1872, p. 105-107).

44 Già Capitano generale delle truppe regie inviate contro Corradino nel 1268, è al servizio del giustiziere di Basilicata l’anno successivo per snidare i proditores di Oppido, Trivigno, Albano e Casalaspro (R.A. I, p. 217, n. 113). Per le molteplici vicende dell’insurrezione filo-sveva contro gli angioini in Basilicata si rimanda a De Grazia 1938, p. 225-264.

45 R.A. XXVI, p. 18, n. 3; XXXVIII, p. 32-33, n. 121. Su Giovanni da Ceccano iuniore si vd. Paravicini Bagliani 1979; mentre su Simone del Tufo si vd. Ricca 1862, p. 225-226 e Ricca 1869, p. 159.

46 Giunta 1953, p. 22-70.

47 R.A. XXXVI, p. 11, n. 65; 12, n. 73; 29, n. 66; 64, n. 265 e 267. Macchione 2017, p. 15-21, n. VI-VIII.

48 La crisi sociale che dilaniava il Regno di Roberto esplose in numerosi episodi di violenza contro castelli, universitates e monasteri. Sembra dimostrarlo anche l’atteggiamento del conte di Catanzaro, Giovanni Ruffo, che si scaglia con violenza contro l’abbazia cistercense di Santa Maria de Coracio, mentre nelle altre province del Regno, grandi e piccoli feudatari si abbandonavano al sopruso e alla violenza. (Caggese 1921, p. 251-252).

49 Caridi 1993, p. 37-40. Carlo Ruffo, terzo conte di Montalto, dopo la morte della prima moglie Laudonia de Sabrano, figlia del Conte di Ariano, Guglielmo, sposò Giovanna Sanseverino, figlia di Roberto conte di Corigliano (De Lellis 1654, p. 161). Egli fu Ciambellano del Consiglio regio e Capitano generale in Principato. Alla morte del suocero unì al suo patrimonio la contea di Corigliano, Terlizzi e Ruvo in Terra di Bari, Acerenza, Genzano, Aliano, Castelgrande, Rapone, Corleto, Perticaro, Contursi in Basilicata e Gricigliano in Terra di Lavoro. Carlo e Giovanna ebbero due figli: Antonio, il primogenito e Carlo (Carluccio). Il primo ereditò i beni paterni e materni oltre a quelli feudali e burgensatici di Roberto di Tarsia, Notar Iacopo, Gioseffo di Cosenza, Nicolò e Americo Cavalcanti di Firenze, pericolosi ribelli, la terra di Seminara con l’esercizio del mero e misto imperio e l’incarico di Capitano generale della Calabria (1381). Antonio sposò una Sanseverino, Giovannella figlia del conte Enrico di Mileto. Carluccio, invece, fu nominato viceré di Carlo III di Durazzo a Roma (1384) e in seguito Gran Giustiziere del Regno. Il sovrano durazzesco gli concesse anche ampi possedimenti tra Otranto, Gallipoli, Alessano, Ugento, Matera, Nardò, Montelattarico e Guardia Lombarda. In Calabria deteneva solo la terra di Saracena ma, dopo la ribellione di Giacomo Sanseverino, acquisì anche il controllo di Altomonte, Tarsia e Terranova e acquistò la città di Oppido (Della Marra 1641, p. 331-332).

50 Significativi, in particolare, due documenti: il primo del 2 novembre 1323 col quale Roberto invia Guglielmo Ruffo a Gerace con uomini e mezzi a sostenere l’azione militare del giustiziere Martino Cossa, impegnato a respingere un attacco almogavero; il secondo, dell’ottobre 1327, quando su segnalazione di Ademario Romano di Scalea (vice ammiraglio del Regno) Roberto è informato dell’inefficacia delle strutture difensive della costa tirrenica per le quali ne ordina l’urgente restauro (Minieri Riccio 1882, p. 485, 655). Si trattava di un periodo in cui gli aragonesi avevano ripreso l’attività bellica contro gli angioini e proprio le terre dei Ruffo erano al centro delle operazioni militari come dimostra il documento del 17 giugno 1328 col quale l’ultramontano Tommaso Stendardo viene nominato capitano a guerra per le terre dei Ruffo, la città di Nicastro e la terra di Sant’Eufemia, i luoghi più colpiti dall’avanzata almogavera (ivi, p. 663).

51 Morelli 2017, p. 59-60.

52 Macchione 2018.

53 È rilevante il caso di Guglielmo Ruffo che, acquisita la guida della signoria sinopolitana dopo la morte del nipote Pietrino e del padre Enrico, si dedicò alla ricomposizione del patrimonio familiare progettandone il successivo ampliamento. Nel 1333 il primo conte di Sinopoli entrò in possesso delle terre di Sinopoli e Santa Cristina, di quelle di Placanica e Palizzi e di alcuni territori tra Gerace e Bruzzano per i quali si era accordato col fratello Fulcone. L’anno successivo (1334), invece, portò a compimento la politica di reintegro stipulando una convenzione col fratello minore Ruggero, ponendo termine a una lunga lite. I termini dell’accordo furono perfezionati col riconoscimento dei diritti feudali di Ruggero e la cessione di questi a Guglielmo. La gestione del vasto feudo impegnò Guglielmo nella realizzazione di un complesso programma di sviluppo territoriale ed economico. Al tempo dell’investitura comitale il nuovo organismo feudale si componeva di ben 65 feudi, molti dei quali piccoli insediamenti demici fortificati e da numerosi casali sparsi, cospicue rendite e ricche univesitates, come dimostra l’inventario fatto aggiornare nel 1335 (De Leo [a cura di] 2006; Macchione 2017, p. 139-147, doc. LVII-LVIII).

54 L’espressione è di Pollastri 2011, p. 275-276.

55 La peste nera 1994.

56 Pollastri 2011, p. 269-276.

57 Mineo 2001.

58 Macchione 2017, p. XLII-XLIV.

59 De Leo (a cura di) 2006, p. XIV-XV.

60 Pollastri 2001, p. 555.

61 Roberto d’Angiò concede a Guglielmo Ruffo la facoltà di ereditare i beni di Pietrino Ruffo, suo nipote e signore di Sinopoli, premorto, autorizzando una delle tante successioni zio-nipote, secondo l’ordine di successione ascendente regolamentato sin dal 1289 (Macchione 2017, p. 135-139, doc. LVI; Galasso 1992, p. 358-372).

62 Macchione 2017, p. 40-48, doc. XVIII-XIX. Si tratta di due documenti con i quali, rispettivamente Guglielmo Ruffo di Sinopoli compra da Guglielmo de Busca la metà della terra posseduta pro indiviso col figlio Bartolomeo a Bruzzano a titolo di feudo in capite per la quale, Guglielmo – nel documento successivo – deve prestare l’omaggio alla Curia Regia: «Gulielmus de Sinopolo, vel suo procuratori, vel nuntio ab ipsis hominibus et vassallis iuxta dicti regni usum et consuetudinem assecurationis debita sacramenta praestare […] et respondere de omnibus in quibus tenentur, et debent fidelitati paternae et nostrae cum iuribus aliis Regiae Curiae […] semper salvis».

63 Il 23 gennaio 1323 Guglielmo riceveva il castello di Bruzzano da Raimondo e Guglielmo de Busca, dopo qualche mese rivendicava i suoi diritti feudali sulla terra di Placanica facendo transuntare il privilegio di Carlo duca di Calabria col quale gli veniva concessa la facoltà di fortificarla (14 maggio 1323), acquisiva da alcuni piccoli contadini-proprietari vigneti e terre nel casale di Grotteria (9 febbraio 1324), i feudi di Gerace da Gregorio Zaccaria (14 gennaio 1325) e alcuni terreni a Seminara (31 dicembre 1326), (Macchione 2017, p. 51-54, doc. XXII-XXIII; 59-60, doc. XXVI; 63-66, doc. XXVIII; 95-98, doc. XXXVIII).

64 Il documento, del 3 agosto 1334, col quale Guglielmo conferma al fratello Ruggero il possesso del feudo di Libonesio, a patto che rispetti la prestazione dovuta (consistente nell’equipaggiamento di un milite), è il primo in cui il Ruffo utilizza il titolo di comes Sinopolis (Macchione 2017, p. 139-143, doc. LVII).

65 Macchione 2017, p. 143-147, doc. LVIII; 150-152, doc. LX; 159-162, doc. LXV.

66 Il porto di Messina «era rinomato in tutto il mondo poiché non avvi nave, smisurata che sia, la quale non possa ancorare sì accosto alla spiaggia da scaricare le merci passandole di mano in mano» evitando i costi aggiuntivi del nolo delle barche utilizzate in altri porti che incidevano significativamente sul costo complessivo delle merci (Edrisi 1966, p. 4 e 68). Si vd. a tal proposito i recenti studi di Penet 2004; Penet 2017. Sul tema si è soffermato anche Caridi 2009 e Vermiglio 2010.

67 Martin 2004.

68 Pollastri 2000, p. 89-114. Sul titolo di familiaris, cfr. supra n. 36 e Gallo 2006, p. 13-34.

69 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, B. 7, c. 13r-13v.

70 Nel cartulario si conserva il documento col quale Roberto il Saggio ne accoglie le dimissioni (1 dicembre 1325). Da esso si apprende che Guglielmo Ruffo aveva assunto l’incarico il 21 febbraio 1323, succedendo a Filippo di Castropagano; e che a sostituirlo fu il miles Isnardo Restaili. Le dimissioni, ratificate nel 1325, in realtà furono presentate dal Ruffo l’anno precedente: quod totum tempus est annus unus, mensis unus et dies duem (Macchione 2017, p. 78-83, doc. XXXIV; ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Diplomatico, n. 85). Il 3 maggio 1325 Guglielmo esercitava pienamente le funzioni di Capitano della città di Reggio come ricorda la lettera regia con la quale gli veniva ordinato di individuare tre persone probe, fedeli ed esperte di diritto da assumere rispettivamente nelle funzioni di iudicem, assessorem e actorum notarium a cui corrispondere la «solita gagia», ossia due once al giudice e una agli altri (ASNa, Ruffo Principi di Scilla, B. 7, c. 13v-14r). Il miles Isnardo Restaili (o Restaino) probabilmente apparteneva alla famiglia Restaino di origine ultramontana che deteneva numerosi feudi nell’Italia meridionale. Un tale Isnardo, forse il nostro, nel 1332 fu giustiziere di Capitanata e nel 1333 vicario di Roberto d’Angiò a Genova (Aldimari 1691, p. 573-574).

71 Calasso 1929, p. 238-241. Il salario percepito dai Capitani ammontava a circa quaranta once annue. Essi erano, inoltre obbligati a risiedere nella città e rimanevano in carica per un anno ed erano sottoposti al controllo del loro successore o degli altri magistrati cittadini (Morelli 2016, p. 63-64. Per esempi chiarificatori si vd. anche le note n. 29, 30 e 31).

72 Lo dimostrano le due lettere indirizzate da Roberto d’Angiò al conte di Sinopoli con le quali chiedeva, rispettivamente, chiarimenti sul sequestro dei feudi di Fiumefreddo (CS) già appartenuti al proditore Goffredo Sclavello (e rimasti nella disponibilità della figlia Morana) e ne lodava l’operato inviandolo, allo stesso tempo, contro i ribelli che turbavano l’operato del signore di Simeri (CZ) (ASNa, Ruffo Principi di Scilla, B. 7, c. 60v-61r e 61r-v; Diplomatico, pergamena n. 138). Andreas Kiesewetter fa rilevare che i capitani e i vicari generali furono esclusi dal novero dei grandi ufficiali del Regno nonostante i primi godessero di poteri assoluti in ambito militare, specie durante la guerra del Vespro ma anche nei conflitti successivi (Kiesewetter 1999, p. 400-402; Kiesewetter 2017, p. 125).

73 Squillace.

74 Si tratta di un documento redatto a Seminara il 6 settembre 1339 in cui è inserita copia del diploma del 14 marzo 1336 col quale Guglielmo chiedeva la nomina di «unum expertum […] pro exercendo officio camera, iustitiariatus praedictus». Contestualmente proponeva la candidatura del «notarius Petrus» il quale si impegnava «officium ipsam cameram fideliter et legaliter execere, et nullum delictum seu fraudem committere omnesque proventus et quaslibet pecuniarum quantitates scribere quinternos, ordinarem et rationem compilare» (Macchione 2017, p. 179-181, doc. LXXIV).

75 L’Università di Reggio propose la nomina di Guglielmo per i meriti acquisiti al tempo della rivolta scoppiata tra i cittadini nobili della città e i loro seguaci che aveva provocato anche alcuni morti (1348-1349). Infatti, l’intervento del Ruffo si era rivelato decisivo per pacem ponere inter homines antedictos et rumores et pugnas sedari (Macchione 2017, p. 245-248, doc. XCVI). L’istanza fu accolta da Giovanna il 4 agosto successivo (ibid., p. 248-250, doc. XCVII).

76 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, B. 7, c. 13v-14r; 41r-41v; 52v-54r; 70v-72r; 72r-v.

77 Già nel 1335, al termine del suo mandato, Guglielmo Ruffo fu sottoposto al giudizio di Ruggero Sangineto (nuovo capitano della città) e dal giudice Leone di Gregorio di Gerace per ripetuti «excessus et processus commissi per eundem comes dominus Sinopolis, tempore dicti officii capitanie» (Macchione 2017, p. 152-154, doc. LXI). L’anno successivo anche il nuovo capitano della città, Bertrando Audiberto (appartenente alla famiglia Audibert di origini ultramontane il cui esponente più noto è Pierre, viguier di Marsiglia nel 1319; Laurent 1954, p. 46-47, doc. XIXa), accusa il Ruffo e il fratello Ruggero d’aver costruito arbitrariamente delle case a ridosso delle fortificazioni della città (ibid., p. 154-155, doc. LXII).

78 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, B. 7, c. 64v-65r.

79 Morelli 1998, pp. 491-517. Sull’ultimo aspetto si v. un documento del novembre 1339 col quale Roberto d’Angiò ordina a Guglielmo di Sinopoli di collaborare col giustiziere Marino Cossa per stanare i proditores e sventare lo scellerato disegno (ASNa, Ruffo Principi di Scilla, B. 7, c. 68r-v. La trascrizione in Macchione 2018b, p. 87-100). Un preciso profilo prosopografico del Cossa è fornito da Giuliana Vitale che attraverso i repertori del Sicola, De Lellis e Borrelli, ricostruisce puntualmente le tappe del cursus honorum dell’ufficiale (Vitale 2000, p. 404-405).

80 Macchione 2016, p. 447-466; Dalena 2015, p. 215-221.

81 Caridi 1993, p. 13; Della Marra 1641, p. 339.

82 Macchione 2017, p. 103-106, doc. XLII.

83 Vitale 2000, p. 366.

84 Dalena 2015, p. 240-245.

85 Macchione 2017a, p. 462; Pacella 1964, p. 45.

86 ASNa, Ms. De Lellis, Notamenta, vol. VII, f. 139. Nel documento non si fa riferimento ai ‘meriti di guerra’ del Ruffo ma all’importanza del ruolo del Conte di Catanzaro negli equilibri politico-militari della Calabria angioina.

87 Valente 1918, p. 21; Macchione 2017a, p. 147; Pacella 1964, p. 52.

88 ASNa, Ms. Sicola, t. VII-VIII, c. 14-15; Barone 1887, p. 502.

89 ASNa, Ms. Sicola, t. VII-VIII, c. 14; Pacella 1964, p. 54.

90 L’arcivescovo Pietro Serra apparteneva alla terna di uomini che Martino il Vecchio, dopo aver affidato la Sicilia a Martino il Giovane, scelse per la formazione del Consiglio da affiancare al giovane sovrano nel governo dell’Isola. Egli era stato nominato arcivescovo di Monreale nel 1392 e subito dopo fu trasferito nella diocesi di Catania restandovi in carica dal 1396 al 1398 (Pirri 1733, p. 545).

91 ASPa, Cancelleria 7, c. 260r; 18 c. 138r, 19 c. 143r-v, 22 c. 66v-67r; Fodale 2005, p. 233-234.

92 Pacella 1964, p. 66-69.

93 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Cartulario II, c. 36r-37v.

94 Pacella 1964, p. 79-86.

95 Enrichetta Ruffo deteneva vastissimi, seppur non contigui, possessi feudali costituiti dal marchesato di Crotone, dalle contee di Catanzaro e di Belcastro, oltre che da numerose baronie e da moltissime signorie appartenuti al defunto genitore Nicolò.

96 Caridi 2019, p. 129-130.

97 Ibid., p. 86-89; Macchione 2017a, p. 148.

98 Macchione 2018a, p. 134-135.

99 Ibid., p. 121-122.

100 ASPa, Cancelleria, 23, c. 67v-68r. Fodale 2005, p. 233-237. Del resto la vivacità economica dello Stretto e il privilegio accordato da Giovanna I d’Angiò alla città di Reggio (1362), che prevedeva la libera circolazione con lo stesso valore della moneta aragonese di Messina anche in Calabria, contribuivano a sottolineare ulteriormente l’importanza dello scalo messinese. In quegli anni venivano favoriti gli scambi transfrontalieri con la Calabria nonostante il protrarsi dei conflitti e la continua minaccia della pirateria (Russo 2016, p. 186-189, doc. 34).

101 Vitolo 1994, p. 207-225.

102 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Cartulario II, c.119r-121r; 121r-135r; 154r-156v; 173r-181v; 453r-457r.

103 Lo dimostra la singolare vicenda del prestito di millecentosessanta once d’oro richieste al mercante pisano Gelardo Sardo (26 maggio 1421) la cui risoluzione si trasformò in un vero e proprio giallo. Mentre il conte di Sinopoli asseriva, infatti, di aver estinto il debito secondo le modalità pattuite (si trattava di un prestito chirografario, cioè senza pegno) Gelardo si rifiutava di cancellarlo. Anzi, accusava Francesco Matricio, procuratore del Ruffo, di agire con «dolo et fraude». Soltanto dopo l’escussione di numerosi testimoni si riuscì a chiarire che «Barthuchius Melissari et Francisco de Matricio dederunt dicto Rainerio et Perro de Pisis certam quantitatem pecuniae […] ut dicebatur ascendebat ad summam ducatorum millecentumsexaginta». Ma alla richiesta della lettera di quietanza Gelardo oppose un irremovibile diniego cominciando ad urlare disperatamente: «O Tropeani aiutatime chi eu su arrobatu» per richiamare l’attenzione dei cittadini di Tropea (Ibid., c. 423r-430r; c. 678v-680v).

104 Ibid., c. 474v-479r; 626r-633v.

105 Pollastri 2011, p. 165.

106 Per questi aspetti rimando a Morelli 2016, p. 55-72. Si vd. anche Macchione 2018a, p. 141-142.

107 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Cartulario II, c. 135v-137r. La capitania «era naturalmente un ufficio molto ambito ed esisteva una gerarchia delle sedi, con distinzioni molto nette tra distretti comprendenti centri di minore importanza ed altri più prestigiosi che venivano affidati a personaggi di provate competenze e fiducia» (Massaro 2014, p. 154).

108 Ibid.

109 Ibid., c. 197r-199v. La vendita delle due Motte manifesta a pieno la confusione istituzionale del Regno nel secondo decennio del XV secolo. La vicenda, infatti, si protrasse per circa 3 anni in cui i borghi fortificati passarono dal controllo del Ruffo a quello dell’universitas reggina (Russo 2016, p. 361-364, doc. 109-110) per poi ritornare definitivamente nelle mani del conte di Sinopoli alla fine del 1420.

110 «1435, apr. 19, Messane. Alfonsus Rex etc. Concedit Karolo Ruffo comiti Synopolis, sua vita durante, officium Iustitiariatus totius ducatus Calabrie. Reg. in Com. Neap. III. (Sum. Priv., vol. cit., f. 34)», in Mazzoleni (a cura di) 1957, p. 14, n. 14. La notizia è ripresa da Caridi 1993, p. 21-22 e Morelli 1996, p. 298.

111 Fodale 2005, p. 243.

112 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Cartulario II, c. 412v-414v.

113 Mazzoleni (a cura di) 1957, p. 7-10, doc. 9; Caridi 1995, p. 44-45; Caridi 2019, p. 130.

114 Su questo si vedano gli esiti delle recenti ricerche presentate nel Convegno Europange di Anger del 2016 (Mathieu – Matz [a cura di] 2019). Si v., inoltre, per altre aree dello spazio angioino le ricerche di Rosso 2017, p. 1-37.

115 Galasso 1992, p. 314-316.

116 ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Cartulario II, c. 522v-524v.

117 Morelli 2017, p. 53-55; Galasso 1992, p. 310; Kelly 2000, p. 347-361.

118 Morelli 2017, p. 60.

119 Pollastri 2012, p. 269-275.

120 Sino al Regno di Roberto d’Angiò i giustizieri rappresentavano il cardine dell’amministrazione periferica e il diretto braccio esecutivo della monarchia nelle province, il cui potere fu accresciuto con la concessione delle cosiddette «quattro lettere arbitrarie» (1313-1330) (Galasso 1992, p. 328-331; Ciccaglione 1900).

121 Morelli 2016. In tal senso è da intendersi la nomina di Fulcone Ruffo a giustiziere di Val di Crati per l’anno 1379 con l’indicazione del programma da svolgere durante il suo giustizierato (ASNa, Ruffo Principi di Scilla, Diplomatico, pergamena n. 401).

122 Morelli 1996, p. 306-307.

123 Rao 2017, p. 38.

124 Carocci 2015, p. 203-208.

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Table des illustrations

Titre Fig. 1 – Albero genealogico dei conti di Catanzaro (XIV sec.).
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Titre Fig. 2 – Albero genealogico dei conti di Sinopoli (XIV sec.).
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Titre Fig. 3 – Albero genealogico dei conti di Catanzaro (XV sec.).
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Titre Fig. 4 – Albero genealogico dei conti di Sinopoli (XV sec.).
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Titre Fig. 5 – La contea di Sinopoli ai tempi di Guglielmo Ruffo (1336-1350).
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Titre Fig. 6 – La contea di Catanzaro nel 1404.
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Titre Fig. 7 – La contea di Sinopoli nel 1419.
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Pour citer cet article

Référence électronique

Antonio Macchione, « Quadri prosopografici della feudalità calabrese in età angioina »Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Âge [En ligne], 132-2 | 2020, mis en ligne le 28 mai 2020, consulté le 17 février 2025. URL : http://journals.openedition.org/mefrm/8156 ; DOI : https://doi.org/10.4000/mefrm.8156

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Auteur

Antonio Macchione

Università della Calabria - antonio.macchione@unical.it

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