Coreografie del riconoscimento
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0. Istanze
1Questi anni Venti del nuovo millennio si stanno rivelando inequivocabilmente apocalittici, nel senso etimologico del termine. L’occidente culturale sta sperimentando, come una scossa violenta, lo svelamento, la rivelazione, la manifestazione di un destino annunciato, quello del rischio di estinzione della specie e della catastrofe del mondo, causati dalla stessa mano umana.
2Alla luce delle cogenti istanze del presente, le domande poste, circa un anno fa, all’interno della richiesta pubblica di contributi per la composizione di questo numero monografico, dedicato a Danza e realtà. Le urgenze di danza e performance sulla scena e nello spazio pubblico, riecheggiano ora con maggior vivezza:
- 1 Cfr. <https://journals.openedition.org/mimesis/2525> (ultima consultazione novembre 2023).
Qual è ancora il valore dei corpi danzanti e della loro presenza, presi singolarmente e/o coralmente, in uno spazio performativo tradizionale o digitale rispetto all’emersione di nuove domande di carattere politico, economico, sociale, etico, culturale e artistico?
Quali urgenze alimentano le diverse società di discorso?
Come si pone l’autorialità nella danza rispetto a queste domande, rispetto al rapporto coi corpi all’interno della performance (ad esempio nel rapporto gerarchico coreografo/danzatori, nelle relazioni di genere, nelle scelte di programmazione ecc.).
Come si configurano le forme coreiche in relazione alla creatività digitale e in che modo determinano le (o sono determinate dalle) dinamiche della creazione coreografica?
Quali modalità di dialogo e confronto vengono attivate da artisti e policy maker, istituzioni culturali e mondo della cura, contesto scolastico ed educativo, imprese e ong?
Le pratiche artistiche incontrano alla pari le elaborazioni teoriche: quanto e come queste ultime si lasciano attraversare da narrazioni incarnate? Si tratta di condividere finalità e obiettivi globali (ad esempio Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile) oppure di rispondere a istanze e necessità contingenti e, magari, locali?1
- 2 Theodor W. Adorno, Dialettica negativa [1966], Einaudi, Torino 1970, p. 331; e altrove: «scrivere (...)
- 3 Id., È serena l’arte?, in Id., Note per la letteratura [1974], Einaudi, Torino 1979, p. 277.
3Insieme al ritorno di queste domande, che pur si pongono correttamente nella contingenza di un presente così complesso, una riflessione etica mi si è imposta recentemente e in più di un’occasione di incontro col pubblico della danza. Altre questioni, infatti, sono emerse in quei contesti: di fronte ad accadimenti traumatici e fatali, come la recente lunga emergenza per una pandemia deflagrante, l’inasprirsi di un terrorismo diffuso e planetario, il moltiplicarsi di nuovi e vecchi conflitti bellici con l’inquietante ritorno del rischio nucleare, i devastanti cambiamenti climatici col loro portato distruttivo, le migrazioni dei popoli divenute inevitabili quanto necessarie per la sopravvivenza della specie, qual è il senso dell’arte della danza? Dobbiamo forse di nuovo confrontarci, in un contesto che sembra richiamare fortemente il passato, con le asserzioni di Adorno che «tutta la cultura dopo Auschwitz, compresa la critica urgente ad essa, è spazzatura»,2 e che «dopo Auschwitz, poiché esso è stato possibile e resta possibile per un tempo imprevedibile, non ci si può più immaginare un’arte serena»?3
4A ben vedere questo tipo di preoccupazione rischia di diventare moralistica, ma soprattutto di essere incongruente con i processi di trasformazione della danza contemporanea, esperienza paradigmatica della presa di posizione a un tempo pratica e politica di chi oggi si riconosce all’interno della prassi artistica.
- 4 Cfr. Federico Vercellone, Dopo la morte dell’arte, Il Mulino, Bologna 2013.
- 5 Cfr. Georg W. Bertram, L’arte come prassi umana. Un’estetica [2014], a cura di F. Vercellone, Raff (...)
5Quella di Adorno è un’affermazione paradossale che ha già ampiamente risuonato come un invito a liquidare il regime rappresentativo e poietico dell’arte della modernità, ma che, per una strana eterogenesi dei fini, ha di fatto proiettato ben oltre il Novecento un portato basilare di quella stessa modernità: quello di un’arte romanticamente separata dal mondo, paga della sua hegeliana autonomia.4 Se è vero che l’arte ha dismesso i panni sacerdotali di testimone della verità, venendo a confrontarsi, se non addirittura a coincidere, con le prassi del quotidiano,5 sopravvivono, tuttavia, ancora posizioni conservatrici, sia sul versante dell’arte e dei suoi critici, sia su quello dell’«estetizzazione del mondo della vita»:
- 6 Federico Vercellone, Dopo la morte dell’arte cit., p. 17.
La morte dell’arte produce la fine dell’arte pubblica facendo invece proliferare l’arte come istituzione e dunque anche l’arte come finzione consapevole di sé. L’arte come istituzione è poi, per parte sua, l’esito della morte dell’arte che confina quest’ultima nei limiti dell’immaginario estetico che non ha influenza sul mondo. La modernità fondata sulla soggettività pura e dispiegata va qui incontro a questa sua grande impasse. Questa è la sfida dinanzi a cui viene a trovarsi l’arte moderna e in parte anche quella postmoderna.6
- 7 Cfr. Ilenia Caleo, Performance, materia, affetti. Una cartografia femminista, Bulzoni, Roma 2021.
6Non è di queste posizioni conservatrici, però, che si parla in questo volume. La danza, come emerge dalle analisi degli studiosi che hanno raccolto la sfida di raccontare e di sviscerare le azioni performative dell’oggi, è per certi versi qualcosa di più vicino all’attivismo politico che alla creazione di forme.7
- 8 Roberta Ferraresi, Per una “storia delle storie” della nascita degli studi in danza nell’universit (...)
7Entro la suddetta dialettica fra arte e realtà si pone il saggio inaugurale di questa raccolta, una corposa e necessaria rassegna storiografica degli studi di danza in Italia e in Europa a firma di Roberta Ferraresi (Per una “storia delle storie” della nascita degli studi in danza nell’università italiana fra pratiche di disciplinizzazione e tendenza agli sconfinamenti). L’Autrice, dall’osservatorio “anfibio” delle arti dello spettacolo, studiate sempre in un’accezione inclusiva e ampia, racconta la storia degli studi di danza in Italia ricostruendo la modalità con la quale tali saperi si sono organizzati come una disciplina, anche e non solo nel momento del loro ingresso all’università. L’esito della ricognizione è quello di una mappa che si colloca nella cornice post-strutturalista, ma già criticamente anti-disciplinare, dove concetti come sconfinamento, trasformazione, compromissione con la complessità, destrutturazione, natura anfibia riformulano un paradigma di ricerca e di studio connotato dalla retorica del nuovo, ma solo apparentemente tale, in virtù dell’ansia, nei primi anni Ottanta del Novecento, di resistere a una marginalizzazione della danza che ha radici storiche. Ma, come osserva Ferraresi, «è ora possibile cambiare di segno e di senso alle qualità storicamente caratterizzanti gli studi in danza e più in generale di spettacolo, riconoscendole e valorizzandole diversamente: oggi, essere altro o altrove rispetto ai centri tradizionalmente riconosciuti come maggioritari nei processi di formazione della cultura può rappresentare un’opportunità decisiva».8
1. Coreografare il presente
- 9 Cfr. Alva Noë, Strani strumenti. L’arte e la natura umana [2015], Einaudi, Torino 2022.
- 10 Georg W. Bertram, L’arte come prassi umana cit., p. 121.
- 11 Alva Noë, Strani strumenti cit., p. 38.
8La danza di cui qui si parla è quella esperienza umana organica, che promana da una condizione biologica ma che produce e genera continue inscrizioni culturali;9 è quella possibilità di dialettica costruttiva ed eticamente connotata fra poiesis e praxis; è quella pratica multimodale, propria delle forme di vita umana, che contribuisce al loro processo di determinazione. Come sostiene, a ragione, Georg W. Bertram, «l’arte è una prassi con il cui aiuto gli esseri umani determinano sé stessi, laddove l’autodeterminazione qui è legata in modo particolare agli oggetti che per gli esseri umani hanno valore in virtù del loro specifico potenziale di negoziazione della prassi».10 Ma è soprattutto Alva Noë a dimostrare il legame stretto «tra le arti e i dominî del vivente».11
- 12 Jacques Rancière, La partizione del sensibile. Estetica e politica [2000], DeriveApprodi, Roma 201 (...)
- 13 Pietro Montani, Introduzione, in Id. (a cura di), L’estetica contemporanea. Il destino delle arti (...)
- 14 Elena Ricci, The Performance Art of Carlos Martiel: The Political Body and Social Change, infra, p (...)
9Come appare evidente dalla maggior parte dei saggi di questo volume, la danza del presente sta andando prioritariamente nella direzione di una identificazione di azione scenica e azione politica. Quando Jacques Rancière parla di «atti estetici»,12 colloca le pratiche artistiche all’interno di un dispositivo del reale in grado di contribuire, esattamente come tutte le altre pratiche, alla riconfigurazione dell’esperienza umana e alla sua condivisione con l’ambiente. Le forme militanti della danza contemporanea, disconosciuta la legittimità del compito veritativo dell’arte, pongono, con le proprie forme e le proprie “coreografie”, nuove domande sul senso dell’esistenza e sovvertono le gerarchie storiche del rapporto fra poiesis e praxis.13 Se l’azione stessa è l’opera, poiesis e praxis vengono a coincidere dando vita, in uno spazio e in una condizione comuni, a esperienze di realtà che attivano forme del riconoscimento. Ciò appare particolarmente evidente nello studio di caso proposto da Maria Elena Ricci (The Performance Art of Carlos Martiel: The Political Body and Social Change),14 che affronta il lavoro performativo del cubano Carlos Martiel, artista che vive e opera tra New York e L’Avana. Le performance di Martiel pongono al centro della relazione col pubblico il corpo nudo come incarnazione del conflitto, e portano all’evidenza questioni brucianti di “razza”, migrazione, isolamento, ingiustizia oppressione, emarginazione. I rituali corporei di violenza autoinflitta indagano una memoria condivisa di dolore e sopravvivenza e si pongono come gesti di resistenza politica nei confronti dei meccanismi della società occidentale, che postula e impone l’alterità negativa come razzializzata.
- 15 Cfr. Bojana Cvejić, Choreographing Problems. Expressive Concepts in European Contemporary Dance an (...)
10La “nuova coreografia”, soprattutto italiana, è un’avanguardia che non rinnega la stratificazione storica e si muove liberamente fra performance, non-danza, post-danza e ripresa moderata (e non scontata) dei valori propri della composizione. A partire dagli anni Novanta l’azione politica è anzitutto rivolta a modificare le condizioni materiali della produzione di spettacolo, per esplicitarsi in sperimentalismi connotati da una forte istanza etica e da una radicale resistenza agli effetti socioeconomici e biopolitici del capitalismo contemporaneo sull’apparato della rappresentazione.15
- 16 Cfr. Maurice Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile [1964], Bompiani, Milano 1969.
- 17 Fabio Acca, Maria Lai, Maurizio Saiu e il rimosso coreografico. Il sasso e la parola, un caso di s (...)
- 18 Infra, p. 89.
11La danza attivista del nostro tempo non realizza più oggetti da contemplare, ma forme dell’incontro che mettono in gioco le interazioni umane e le improcrastinabili responsabilità nei confronti dell’ambiente e delle altre specie, considerando ogni pratica artistica, e a maggior ragione le pratiche del corpo, invenzione di relazioni chiasmatiche col mondo.16 Emblematico, da questo punto di vista, il percorso umano e artistico di Maria Lai nell’incontro col danzatore Maurizio Saiu, affrontato da Fabio Acca nel suo contributo (Maria Lai, Maurizio Saiu e il rimosso coreografico. Il sasso e la parola, un caso di studio “archeologico”).17 Il sasso e la parola, evento realizzato a Cagliari nel 1991, è una sorta di esperienza di teatro totale, caratterizzato soprattutto dal linguaggio della danza. La concezione di spettacolo che emerge in esso e che promana dall’opera multimodale complessiva di Lai è quella di un corpo in azione come dispositivo culturale, come «campo – sottolinea Acca – nel quale l’azione artistica si realizza non per lo sguardo dell’altro, ma insieme all’altro, in un tempo condiviso e in una negoziazione permanente di quanto si ritiene necessario per edificare il reale e le sue produzioni simboliche».18
- 19 Cfr. Judith Butler, L’alleanza dei corpi. Note per una teoria performativa dell’azione collettiva (...)
- 20 Emanuele Regi, Danzare il paesaggio: pratiche ecologiche tra coreografia e territorio, infra, pp. (...)
12Una parte della danza contemporanea svolge oggi una funzione critica e sovversiva, che si sostanzia in costruzioni urbane provvisorie e in nomadismi attraverso il terzo paesaggio delle grandi città, grazie ai quali l’artista modella e diffonde situazioni disturbanti. Si tratta di spazi e tempi dove è possibile costruire, anche solo per poche ore, comunità di pratica o comunità di condivisione, alleanze di corpi19 con cui elaborare nuovi modelli di partecipazione sociale, nuove domande sul reale e possibili risposte per condividerlo, comprenderlo e, se possibile, trasformarlo. Sul versante della svolta ecologica, molto calzante è il contributo di Emanuele Regi (Danzare il paesaggio: pratiche ecologiche tra coreografia e territorio)20 che analizza sia dal punto di vista storico, tra Novecento e nuovo millennio, sia approfondendo due studi di caso (realizzati all’interno del bando Bodyscape delle residenze artistiche dell’Associazione Danza Urbana di Bologna), la relazione politica, ecologica e progettuale della danza con il territorio e con le sue comunità.
- 21 Cfr. Flavia Dalila D’Amico, Lost in Translation. La disabilità in scena, Bulzoni, Bologna 2021.
13È attraverso tali pratiche collettive che si vuole rimuovere, o quantomeno contrastare, l’esclusione che è alla base delle disuguaglianze del nostro tempo, restituendo possibilità di apparizione ai corpi non-conformi,21 alle altre specie animali, al precariato socialmente ed economicamente indotto, al gender non conforming. Non è pertanto sorprendente che la definizione che Judith Butler dà del radunarsi spontaneo di corpi come azione politica collettiva di apparizione e occupazione dello spazio pubblico si attagli perfettamente alle odierne esperienze della coreografia e della performance:
- 22 Judith Butler, L’alleanza dei corpi cit., p. 19.
Può essere importante riconsiderare quelle forme di performatività che possono operare solo attraverso forme di azione coordinata, le cui condizioni e i cui obiettivi consistono nella ricostruzione di forme plurali di agency e di pratiche sociali di resistenza. Così, il movimento o l’immobilità, il collocarmi con tutto il corpo in mezzo all’azione di un altro, non è né il mio atto né il tuo, bensì qualcosa che accade in virtù della relazione che c’è tra noi, che deriva da quella relazione, che crea ambiguità tra l’io e il noi, e che cerca al contempo di preservare e di disseminare il valore generativo di quell’ambiguità in una relazione attiva e di deliberato sostegno reciproco, una collaborazione, ben distinta da una allucinata fusione e confusione.22
- 23 Cfr. Laura Budriesi, Performare la natura: dal dispositivo rappresentazionale al ‘teatro delle spe (...)
- 24 Rosi Braidotti, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte [2013], D (...)
14La ricerca coreografica con pari dignità rispetto a quella umanistica e delle scienze sociali è andata nella direzione di integrare i processi artistici con le acquisizioni epistemologiche, contribuendo a delineare una nuova modalità di abitare il mondo. In particolare, a partire dagli studi femministi più avanzati, la danza del presente muove una altrettanto efficace critica nei confronti dell’antropocentrismo, decostruendo nella carne del danzatore e della danzatrice il principio gerarchico della specie.23 Coreografare questa nuova visione significa relativizzare il modello di “Uomo” come emblema di una razionalità universale, che si erge a paradigma neutralizzante nei confronti delle molteplici differenze di cui sono portatrici tutte le forme di vita incarnate. Significa detronizzare lo statuto dell’“Umano” come specie dominante, su cui la società occidentale ha costruito l’alterità negativa come sessualizzata, razzializzata, naturalizzata e tecnologizzata.24 Significa riportare l’attenzione e lo sguardo sulla “vita” come fattore trasversale che interessa tutte le specie, alla luce delle nuove conoscenze genetiche e biomolecolari.
- 25 Cfr. Mårten Spångberg, Post Dance, an Advocacy, «Spangbergianism», 9 aprile 2017, <https://spangbe (...)
15L’arte contemporanea, ma soprattutto una certa coreografia, concepita come tecnologia ad alta condivisione disciplinare,25 partecipa oggi dell’attivismo postumano, come è stato ben delineato da Rosi Braidotti, una delle sue più convincenti teorizzatrici:
- 26 Rosi Braidotti, Per Amore di Zoe. Intervista di Massimo Filippi ed Eleonora Adorni, «Liberazioni. (...)
Il mio antiumanesimo mi conduce ad avversare il soggetto unitario dell’umanesimo […] e a sostituirlo con un soggetto più complesso e relazionale, caratterizzato principalmente dall’incarnazione, dalla sessualità, dall’affettività, dall’empatia e dal desiderio. […] La consapevolezza dell’instabilità e dell’incoerenza delle narrative dominanti che compongono la struttura sociale e le sue relazioni, lontana dal rimanere in una sorta di sospensione dell’azione politica e morale diventa il punto di partenza per elaborare nuove forme di resistenza adatte alla struttura policentrica e dinamica del potere contemporaneo. Questo genera una forma pragmatica di micro-politica che riflette la natura complessa e nomadica dei sistemi sociali contemporanei e dei soggetti che li abitano. Se il potere è complesso, diffuso e produttivo, così deve essere la nostra resistenza a esso.26
- 27 Ilenia Caleo, Queerizzare le epistemologie. Materie ibride e disidentificazione nella scena perfor (...)
- 28 Irene Pipicelli, Corporeità e processi di soggettivazione: aspetti biopolitici delle pratiche core (...)
16Esplorano proprio queste problematiche due saggi di taglio teorico e allo stesso tempo analitico: Queerizzare le epistemologie. Materie ibride e disidentificazione nella scena performativa di Ilenia Caleo, che mappa alcune «incandescenze» performative, in cui si realizza una «comunanza fra forme estetiche e forme di vita»,27 e Corporeità e processi di soggettivazione: aspetti biopolitici delle pratiche coreografiche di Irene Pipicelli,28 che mette a confronto dispositivi di potere di fine Ottocento (la trilogia ballettistica manzottiana di Excelsior, Amor e Sport) con le loro rimediazioni decostruttive contemporanee ad opera del coreografo Salvo Lombardo.
2. Danzare fra memoria e storia
- 29 Jacques Derrida, Mal d’archivio. Un’impressione freudiana [1995], Filema, Napoli 2005.
- 30 Michel Foucault, L’archeologia del sapere (1969), Rizzoli, Milano 2017.
- 31 Susanne Franco, Marina Nordera (a cura di), Ricordanze. Memorie in movimento e coreografie della s (...)
17Un’ulteriore urgenza del nostro tempo riguarda il cruciale rapporto fra memoria e storia. Come è stato ampiamente studiato,29 i meccanismi di costruzione degli archivi non sono per nulla neutri, e gli stessi archivi vengono a configurarsi storicamente come elementi particolari di ampi dispositivi di potere dai quali promanano discorsi in grado di agire e trasformare i corpi.30 Da più di vent’anni la ricerca in danza, sia sul versante storiografico che su quello artistico, si interroga sui meccanismi della memoria e su tutte quelle pratiche culturali, che sono in grado di conservare e tramettere immaginari del passato,31 in un continuo confronto con le acquisizioni della psicologia, delle scienze cognitive e delle neuroscienze. Come ha ben indagato Susanne Franco nei suoi studi:
- 32 Susanne Franco, Tracce di un’esperienza, memoria di uno spettacolo. Cosa resta di Café Müller di P (...)
appare sempre più chiaro quanto [la danza] possa essere considerata al tempo stesso una riserva di memoria incorporata e un modo di ricordare. La danza, infatti, preserva e insieme trasforma di continuo gesti, movimenti e pensieri, e con loro il senso stesso di quanto è trasmesso. Dal canto loro, i corpi danzanti possono dunque essere considerati luoghi della memoria e forme di archiviazione e trasmissione di un sapere.32
- 33 Piersandra Di Matteo, Coreomanie e correnti affettive. Rilievi su The Dancing Public di Mette Ingv (...)
18Entro questo importante filone di ricerca si collocano tre lavori proposti in questa raccolta. Dapprima il saggio sulla coreomania, evenienza storica di danze scomposte e non-conformi, già oggetto di studio dell’antropologia, che Piersandra Di Matteo indaga come forma-memoria-storia incorporata nella performance contemporanea di Mette Ingvartsen, The Dancing Public (2021). L’opera della ricercatrice e performer danese viene analizzata come un re-enactment conoscitivo dell’esperienza sovversiva della coreomania “contagiosa”, che Ingvartsen elabora nel corso del 2020, durante il lockdown imposto dalla pandemia da Covid-19. La performance è inquadrata come un «assolo che tradisce un’inquietudine di carattere biopolitico radicata nel presente, che retroagisce interpellando la storia attraverso una “coreografia di affetti”».33
- 34 Miriana Pelosi, Matteo Tamborrino e Andrea Zardi, I cigni non muoiono mai. Variazioni sulla Morte (...)
19Un secondo lavoro, I cigni non muoiono mai. Variazioni sulla Morte del cigno nel terzo millennio di Miriana Pelosi, Matteo Tamborrino e Andrea Zardi,34 a partire dal concetto di repertorio, così come è elaborato dalla studiosa Diana Taylor, indaga il portato culturale di un classico del balletto accademico, La Morte del cigno del 1905 di Mikhail Fokine per Anna Pavlova sulla musica che Camille Saint-Saëns, e ne analizza i suoi re-enactment contemporanei.
- 35 Xiao Huang, Tra danza, video e museo: strategie dialogiche in un incontro a più voci, infra, pp. 1 (...)
20Sulle problematiche molto attuali del rapporto fra archivio, memoria, museo e video, in relazione alle questioni cruciali della conservazione e valorizzazione dei beni culturali, interviene – soprattutto a partire dalla dialettica (generata inevitabilmente dalla natura della performance) tra effimero e permanenza – Xiao Huang con la sua documentata riflessione: Tra danza, video e museo: strategie dialogiche in un incontro a più voci.35
3. Conclusioni
- 36 Un recente convegno ha affrontato questo problema da diverse angolature e da punti di vista discip (...)
21Il bilancio provvisorio di questo numero di «Mimesis Journal» appare, a modesto parere del suo curatore, molto positivo. La mappatura che qui si propone è senza dubbio di grande interesse e in parte risponde alle questioni cruciali poste all’inizio della ricognizione. Il valore delle ricerche qui pubblicate, tuttavia, non risiede tanto nelle risposte, quanto piuttosto nelle ulteriori domande che esse suscitano. La danza non sembra smettere mai di interrogarsi, nel corso dei secoli, su sé stessa, sui corpi che la praticano e sul mondo che la accoglie. Troppo coinvolta coi processi della conoscenza, appare sempre di più come una pratica indispensabile per mantenere vivi i meccanismi della adattabilità ambientale – e, aggiungo, socioculturale – propri della neotenia, procurando alla nostra specie quelle indispensabili skills, necessarie ad affrontare i repentini e devastanti cambiamenti in atto.36
22A questo proposito mi piace, orgogliosamente, concludere con le parole che Roberta Ferraresi pone a chiusura del suo saggio, parole assolutamente condivisibili, che fotografano un fermento reale e fecondo in atto in questo ambito di ricerca teorica e artistica, da considerarsi oggi più che mai davvero molto vivo, attivo e produttivo:
- 37 Roberta Ferraresi, Per una “storia delle storie” cit., infra, pp. 183-204.
Non è un caso che, in questo momento, nel nostro Paese, siano proprio gli studi in danza a mantenere attiva una consistente, continuativa e sistematica riflessione di natura teorica, metodologica ed epistemologica: continuando a porre domande su cosa significhi oggi una disciplina; su come funzionino le sue dinamiche interne di sviluppo, anche in relazione ai vari contesti in cui opera; e soprattutto su quale possa essere la collocazione, il senso, il valore delle ricerche sui fenomeni performativi in questo presente in fortissima mutazione.37
23È ampiamente nota la problematica complessa del rapporto fra questioni di genere, lingua “ naturale” e discorso. All’interno dei saggi che seguono tali aspetti sono spesso trattati direttamente in maniera approfondita e particolarmente sentita da alcuni/e autori/autrici. Ciascuno/a di essi/e ha operato delle scelte per queerizzare il discorso e contrastare la dimensione patriarcale della lingua italiana. Tutti i sistemi proposti (a volte più di uno nello stesso saggio: uso della tilde, dell’asterisco, della schwa, della doppia dicitura, ecc.) sono stati accettati senza nessun tentativo redazionale di uniformità, che avrebbe comportato, su questo tema, un disciplinamento linguistico del tutto fuori luogo.
Note
1 Cfr. <https://journals.openedition.org/mimesis/2525> (ultima consultazione novembre 2023).
2 Theodor W. Adorno, Dialettica negativa [1966], Einaudi, Torino 1970, p. 331; e altrove: «scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie», Id. Prismi. Saggi sulla critica della cultura [1955], Einaudi, Torino 1972, p. 22.
3 Id., È serena l’arte?, in Id., Note per la letteratura [1974], Einaudi, Torino 1979, p. 277.
4 Cfr. Federico Vercellone, Dopo la morte dell’arte, Il Mulino, Bologna 2013.
5 Cfr. Georg W. Bertram, L’arte come prassi umana. Un’estetica [2014], a cura di F. Vercellone, Raffaello Cortina, Milano 2017 e Michel De Certau, L’invenzione del quotidiano [1990], Edizioni Lavoro, Roma 2001.
6 Federico Vercellone, Dopo la morte dell’arte cit., p. 17.
7 Cfr. Ilenia Caleo, Performance, materia, affetti. Una cartografia femminista, Bulzoni, Roma 2021.
8 Roberta Ferraresi, Per una “storia delle storie” della nascita degli studi in danza nell’università italiana fra pratiche di disciplinizzazione e tendenza agli sconfinamenti, infra, p. 32.
9 Cfr. Alva Noë, Strani strumenti. L’arte e la natura umana [2015], Einaudi, Torino 2022.
10 Georg W. Bertram, L’arte come prassi umana cit., p. 121.
11 Alva Noë, Strani strumenti cit., p. 38.
12 Jacques Rancière, La partizione del sensibile. Estetica e politica [2000], DeriveApprodi, Roma 2016, p. 7.
13 Pietro Montani, Introduzione, in Id. (a cura di), L’estetica contemporanea. Il destino delle arti nella tarda modernità, Carocci, Roma 2004, pp. 11-35.
14 Elena Ricci, The Performance Art of Carlos Martiel: The Political Body and Social Change, infra, pp. 151-166.
15 Cfr. Bojana Cvejić, Choreographing Problems. Expressive Concepts in European Contemporary Dance and Performance, Palgrave Macmillan, New York 2015.
16 Cfr. Maurice Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile [1964], Bompiani, Milano 1969.
17 Fabio Acca, Maria Lai, Maurizio Saiu e il rimosso coreografico. Il sasso e la parola, un caso di studio “archeologico”, infra, pp. 87-117.
18 Infra, p. 89.
19 Cfr. Judith Butler, L’alleanza dei corpi. Note per una teoria performativa dell’azione collettiva [2015], Nottetempo, Milano 2017.
20 Emanuele Regi, Danzare il paesaggio: pratiche ecologiche tra coreografia e territorio, infra, pp. 167-182.
21 Cfr. Flavia Dalila D’Amico, Lost in Translation. La disabilità in scena, Bulzoni, Bologna 2021.
22 Judith Butler, L’alleanza dei corpi cit., p. 19.
23 Cfr. Laura Budriesi, Performare la natura: dal dispositivo rappresentazionale al ‘teatro delle specie’. Tra pratica e teoria in Donna Haraway, Una Chaudhuri e Marta Cuscunà, «Comunicazioni sociali», 2 (2023), pp. 386-405; Ead. (a cura di), Animal Performance Studies, aAccademia University Press, Torino 2022.
24 Rosi Braidotti, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte [2013], DeriveApprodi, Roma 2014.
25 Cfr. Mårten Spångberg, Post Dance, an Advocacy, «Spangbergianism», 9 aprile 2017, <https://spangbergianism.wordpress.com/2017/04/09/post-dance-an-advocacy> (ultima consultazione novembre 2023).
26 Rosi Braidotti, Per Amore di Zoe. Intervista di Massimo Filippi ed Eleonora Adorni, «Liberazioni. Rivista di Critica Antispecista», VI, 21 (2015), p. 9.
27 Ilenia Caleo, Queerizzare le epistemologie. Materie ibride e disidentificazione nella scena performativa, infra, p. 119.
28 Irene Pipicelli, Corporeità e processi di soggettivazione: aspetti biopolitici delle pratiche coreografiche, infra, pp. 135-149.
29 Jacques Derrida, Mal d’archivio. Un’impressione freudiana [1995], Filema, Napoli 2005.
30 Michel Foucault, L’archeologia del sapere (1969), Rizzoli, Milano 2017.
31 Susanne Franco, Marina Nordera (a cura di), Ricordanze. Memorie in movimento e coreografie della storia, UTET Università, Torino 2010.
32 Susanne Franco, Tracce di un’esperienza, memoria di uno spettacolo. Cosa resta di Café Müller di Pina Bausch nei ricordi degli spettatori, «Mimesis Journal», VIII, 2 (2019), p. 108.
33 Piersandra Di Matteo, Coreomanie e correnti affettive. Rilievi su The Dancing Public di Mette Ingvartsen, infra, p. 39.
34 Miriana Pelosi, Matteo Tamborrino e Andrea Zardi, I cigni non muoiono mai. Variazioni sulla Morte del cigno nel terzo millennio, infra, pp. 59-86.
35 Xiao Huang, Tra danza, video e museo: strategie dialogiche in un incontro a più voci, infra, pp. 183-204.
36 Un recente convegno ha affrontato questo problema da diverse angolature e da punti di vista disciplinari complementari: Plasticity, Soft Skill e Human transitions. What cultural development for a new social plasticity?, a cura di Maria Luisa Iavarone, Napoli, Università degli Studi di Napoli Parthenope, 18 maggio 2023. Cfr. la mia relazione: Danza e sfide del presente, in corso di pubblicazione per gli Atti.
37 Roberta Ferraresi, Per una “storia delle storie” cit., infra, pp. 183-204.
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Riferimento cartaceo
Alessandro Pontremoli, «Coreografie del riconoscimento», Mimesis Journal, 12, 2 | 2023, 5-15.
Riferimento elettronico
Alessandro Pontremoli, «Coreografie del riconoscimento», Mimesis Journal [Online], 12, 2 | 2023, Messo online il 01 janvier 2024, consultato il 15 mai 2025. URL: http://journals.openedition.org/mimesis/2775; DOI: https://doi.org/10.4000/mimesis.2775
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