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Saggi

Per una “storia delle storie” della nascita degli studi in danza nell’università italiana fra pratiche di disciplinizzazione e tendenza agli sconfinamenti

The rise of Dance Studies in the Italian university: a “history of histories” between disciplining practices and breakouts
Roberta Ferraresi
p. 17-41

Riassunto

The essay aims to investigate the distinctive aspects in the generative processes of Dance Studies and History in Italy at the time of their definition as a scientific and academic discipline. These key-features are examined through the analysis of the Italian scholars who have recently tried to retrace the genealogies or to build a possible history of the field, putting them in connection to similar evidences shared at an international level. The development of the discipline in Italy is contextualised and explained in relation to the artistic, social and scientific trends characterising the specific period in which it was first established in the university, between the end of the 1980s and the 1990s; and in this particular perspective, it becomes also possible to re-read the choices and orientations underlying the “self-historicisations” considered within the paper.

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Testo integrale

0. Premessa

Un “terzo” luogo fra scena e spazio pubblico, arte e realtà

1Fra arte e realtà: la call diramata per questo numero di «Mimesis Journal» individua un campo estremamente saliente per le arti performative contemporanee che si colloca al centro di una dialettica fondante in tutta la storia dello spettacolo così com’è stata costruita in Occidente; invitando a declinare tale questione in rapporto alla scena e allo spazio pubblico, suggerisce ragionamenti di più vasta portata su cosa si possa considerare entro tali cornici di azione e di pensiero.

  • 1 Cfr. Ferdinando Taviani, Uomini di scena uomini di libro [1995], Officina, Roma 2010.

2All’incrocio fra tali coppie di territori d’indagine si può intravvedere un terzo “luogo” (fisico e concettuale) di ricerca che spesso rimane implicito nei percorsi di studio: l’università è al contempo una delle aree della scena e uno degli spazi pubblici che maggiormente frequentiamo nella quotidianità in quanto studiose e studiosi, e in un certo senso lo sono pure i saperi che concretizziamo a viva voce o su carta.1 Anche negli ambienti accademici e scientifici si può osservare la dialettica fra arte e realtà che la rivista propone di esaminare, anzi essi rappresentano oggi uno dei territori in cui le traiettorie provenienti dall’uno e dall’altro versante hanno molteplici possibilità d’incontrarsi e intrecciarsi; inoltre, i processi artistico-culturali e socio-antropologici hanno nel tempo concorso in maniera sostanziale alla costruzione dei saperi accademicamente e scientificamente strutturati, mentre, viceversa, questi ultimi hanno contribuito a plasmare tanto l’arte quanto la realtà (e non solo in prospettiva teorica). In questo senso, anche gli studi possono sollevare le “domande urgenti” di cui «Mimesis Journal» sta andando alla ricerca e possono essere considerati come campi d’indagine che aiutano a comprendere le complesse dinamiche – non solo scientifiche – che attraversano il presente. Una su tutte mi sembra particolarmente importante, perché pone una questione delicata ma alla quale credo sia indispensabile far fronte: consiste nell’interrogativo su quale sia la posizione da cui si prende la parola, sul modo in cui si strutturano e trasmettono i sistemi di conoscenza condivisi, insomma su cosa stiamo facendo in quanto comunità di studiosi e studiose, e come, con quali motivazioni e obiettivi.

  • 2 Cfr.: Fabio Acca, Scena anfibia e nuova danza, in C. Tafuri, D. Beronio (a cura di), Ivrea Cinquan (...)

3Per questo invito, osserverò la storia degli studi in danza da un’angolazione particolare, determinata dalla natura “anfibia”2 delle esperienze coreiche che ho attraversato fin dai tempi della mia formazione e dalla specificità che caratterizza la materia nel contesto in cui lavoro. Sono cresciuta (anche professionalmente) all’inizio degli anni Duemila, in un ambiente in cui le pratiche artistiche esprimevano una particolare tendenza all’ibridazione e opero in un settore disciplinare in cui – a differenza di altre culture di studio – le arti dello spettacolo vengono coltivate in un’accezione ampia che include teatro, danza, pratiche performative in genere, consentendo spesso di attraversare confini disciplinari altrove più netti. È in questo quadro che ho maturato uno dei miei filoni di ricerca: la storia e gli sviluppi degli studi e della critica. Dunque, le traiettorie d’indagine che seguo non intercettano tanto o solo le opere performative, le tendenze estetiche, le poetiche quanto piuttosto i modi in cui sono state osservate; mi interessano le modalità in cui le conoscenze vengono costruite, raccontate e trasmesse all’interno di determinate comunità, in particolare – anche se non soltanto – in contesto istituzionale e prevalentemente in campo teatrologico. Sono limiti che, in questa sede, cercherò di rispettare.

4Oggetto del presente articolo sono i modi in cui i saperi in danza in Italia si sono ripensati come disciplina al momento del loro ingresso nell’università, a partire dalle “auto-narrazioni” che nel tempo hanno provato a indagare tali processi, ponendo domande e problemi di fondo importanti anche al di fuori degli ambiti in cui sono sorti: agli studi di spettacolo, ad altri campi del sapere e, non da ultimo, in rapporto alla scena e alla società.

Per una “storia delle storie” degli studi in danza in Italia

  • 3 Michael Huxley, Dance Studies in the UK 1974-1984: A Historical Consideration of the Boundaries of (...)
  • 4 Cfr.: Michel Foucault, L’archeologia del sapere [1969], Rizzoli, Milano 1971; Id., Le parole e le (...)

5Se gli studi in danza esistevano ben prima del loro incardinamento scientifico e accademico, tanto che la loro storia «non si può circoscrivere cronologicamente»,3 è altrettanto evidente che – come testimoniano le ricercatrici e i ricercatori stessi – negli ultimi decenni del XX secolo tale passaggio segna una differenza decisiva, presiedendo l’emersione di una materia autonoma, forte di una produzione crescente, di paradigmi condivisi e dei relativi dibattiti teorici, di pratiche formative consolidate e di proprie comunità scientifiche.4

6Questo tipo di percorsi saranno esaminati per quanto possibile limitatamente all’Italia, il che potrebbe sembrare a prima vista paradossale, se si considera l’alto grado di transnazionalità caratterizzante il campo in questione. Va da sé che la disciplina, anche nel nostro Paese, nasce come internazionale – anzi forse sarebbe meglio dire “antinazionale” – e non è possibile livellarne le diverse impronte soggettive secondo criteri generalizzanti aprioristicamente impostati. Ma il luogo in cui concretamente ogni giorno si opera determina in maniera consistente le condizioni concettuali e materiali di lavoro: esiste una storia degli studi in danza in Italia, perlomeno per chi ha provato a raccontarla, seppur con gli inevitabili sforamenti in ottica comparativistica.

  • 5 Cfr. Alessandro Pontremoli, “Il bel danzar che con virtù s’acquista...”. Note sugli studi della da (...)

7Entro la cornice così delineata, mi concentrerò su un fenomeno particolare che è al tempo stesso oggetto e strumento d’indagine: negli ultimi vent’anni una larga parte del settore si è distinta per una spiccata vocazione all’auto- e meta-analisi disciplinare che da un certo punto in poi diventa talmente copiosa da giungere a rappresentare in certi casi un vero e proprio filone di indagine.5 In questo contesto, in Italia, sono state prodotte varie imprese di “auto-storicizzazione” in special modo riguardo alle fasi (ri)generative della materia, non solo – com’è naturale – agli albori del processo del suo riconoscimento accademico-scientifico fra anni Ottanta e Novanta ma soprattutto nei primi anni del nuovo millennio.

8Dunque, il tema dell’articolo non è tanto o soltanto la “vera” storia della disciplina in statu nascendi così com’è accaduta in tutta la sua complessità – attraverso reclutamenti universitari, progetti di ricerca, produzioni scientifiche etc. – ma come essa è stata percepita, costruita e trasmessa dagli studiosi e dalle studiose che hanno provato a narrarla. Pur nelle loro ovvie, fertili parzialità, si tratta di prospettive che possono spiegare con precisione le motivazioni alla base degli sviluppi del campo di ricerca e non soltanto: seguendole è possibile identificare i momenti e i luoghi in cui scena e spazio pubblico, danza e realtà si sono incrociati contribuendo a plasmare la – nuova o rinnovata – materia; riflettere sulle specificità della disciplina in rapporto alle modalità tramite cui è stata accademicamente e scientificamente strutturata; nonché, più ampiamente, aprire un ragionamento che individui – a partire da questo particolare punto di vista – i tratti salienti nei processi di definizione dei saperi fra Novecento e presente anche al di fuori del campo di studio in questione.

Un percorso fra “sconfinamenti” e pratiche di disciplinizzazione

9Il presente articolo parte da una ricognizione generale sulle caratteristiche del territorio disciplinare basata sulle descrizioni di volta in volta condivise da varie autrici e autori, con almeno due propositi. Il primo è provare a ricostruire le genealogie che nel tempo sono state tracciate per spiegare il processo di strutturazione universitaria di una materia accademicamente molto recente. Il secondo obiettivo è identificare gli aspetti salienti nella definizione della disciplina ai suoi albori, anche tenendo conto di altri campi del sapere, tradizioni di studio, culture. Rivendico con sicurezza questa posizione d’ascolto e questa impostazione: la storiografia è sempre anche un fatto collettivo e pure questo articolo in un certo senso è uno spazio pubblico; quando si parla di questioni sensibili come la storia delle mentalità, dei sistemi di conoscenza e di potere, di vicende che spesso toccano corde molto personali, ritengo che la prima cosa da fare sia dare la parola ad altre voci, al fine – forse utopico ma necessario – di provare a restituire per quanto possibile i termini di un dibattito ancora in divenire e i lineamenti delle comunità artistiche, sociali, scientifiche che vi si aggregano intorno. Emergerà di qui un possibile “ritratto” della disciplina a livello transnazionale, tracciato a partire dagli aspetti e dai passaggi sentiti come potenzialmente condivisi da studiosi e studiose di diversa provenienza e formazione.

  • 6 Cfr. Marina Nordera, Sconfinamenti disciplinari e non tra studi, studenti e studiosi della danza i (...)

10In secondo luogo, procederò – fra convergenze e differenze – a valutare le caratteristiche manifestatesi come distintive dei primi studi in danza strutturati nell’università italiana, inquadrando il processo di autonomizzazione della materia su di un piano relazionale: vale a dire tenendo conto, da un lato, del profondo legame che essa coltiva con la tradizione degli studi di spettacolo e, dall’altro, del dialogo che instaura con alcune correnti della ricerca a livello internazionale. In particolare, mi concentrerò sulle pratiche di “disciplinizzazione” di consueto messe in atto dai nuovi campi del sapere nelle loro fasi aurorali al fine di individuare dati di specificità che ne garantiscano l’indipendenza, ponendole in rapporto – si potrebbe dire anche “in contrasto” – con la tendenza agli “sconfinamenti”6 disciplinari da sempre caratterizzanti i territori coreici e coreologici.

11Nella terza parte dell’articolo tenterò di rileggere tali processi sullo sfondo dei contesti scientifici, artistici, sociali nei quali si sono concretizzati fra anni Ottanta e Novanta, al momento della strutturazione accademico-scientifica della disciplina nel nostro Paese. È proprio in questo periodo che si manifestano i primi “sintomi” delle attuali dinamiche di interrelazione fra arte e realtà che «Mimesis» invita a indagare. Tali condizioni “ambientali” consentono di spiegare almeno in parte le ragioni (e le ricadute) della differenza degli studi coreologici italiani, nonché – riallargando infine lo sguardo – di motivare alcuni aspetti trasversalmente identificati come salienti nella storia degli studi e, addirittura, di provare a rivalutarli, cambiandone il peso ma non il senso, alla luce delle tendenze ibridative che segnano oggi le scene e gli spazi pubblici attraverso le pratiche, le azioni e i pensieri di natura performativa.

1. Lineamenti degli studi in danza in una storia a più voci

Aspetti e caratteri di una disciplina in statu nascendi

12Come vedremo, gli studi italiani in danza hanno una storia molto peculiare che si declina anche in relazione ai percorsi delle ricercatrici e dei ricercatori che l’hanno osservata e che hanno provato a raccontarla. Tuttavia, essa va a svolgersi sullo sfondo di più vaste mutazioni artistiche, culturali, sociali ben diffuse nel cosiddetto Occidente con le quali si colloca o almeno si sente in profonda connessione. È necessario tenere conto di tali elementi verso cui sembrano convergere gli itinerari di chi ha provato a ricostruire delle possibili storie della disciplina: queste risultano naturalmente informate anche in modo esplicito dalla particolare traiettoria di ognuno e ognuna, ma al tempo stesso paiono singolarmente aperte all’identificazione di una vicenda almeno in parte comune.

  • 7 Alexandra Carter, General Introduction, in Ead. (ed.), The Routledge Dance Studies Reader, Routled (...)

13Se è vero che «in un certo senso la danza è sempre stata “studiata” attraverso i secoli nella maggior parte delle culture» – come annuncia l’incipit di una delle prime ricognizioni complessive sui Dance Studies pubblicata da Routledge alla fine degli anni Novanta –, coloro che nel tempo si sono cimentati con la storia della materia notano come è soltanto dal Novecento che essa ha rivendicato una propria specificità, in quanto campo del sapere indipendente e per quanto possibile omogeneo.7 Le ragioni e le modalità di un simile percorso di emancipazione sono molteplici a seconda dei diversi contesti in cui si sviluppa, ma l’esito è tutto sommato il medesimo: la creazione di una disciplina che fino a un certo punto non esisteva, quantomeno non in alcuni termini in cui oggi si presenta.

14Praticamente tutte le “auto-narrazioni” che ne ricostruiscono una possibile storia iniziano da qui. Anzi, cominciano da quello che c’era prima, andando a comporre un babelico quanto condiviso cahier de doléances al fine di spiegare sia il ritardo nel riconoscimento (anche accademico) degli studi in danza nella seconda metà del XX secolo, sia la posizione ancillare in cui si collocavano in precedenza nell’alveo delle tradizioni di pensiero europee e nordamericane.

  • 8 Le riflessioni – puramente indicative di una serie di problemi nel tempo individuati come caratter (...)
  • 9 Eugenia Casini Ropa, Note sulla nuova storiografia della danza, in Storia e storiografia del teatr (...)

15La concezione della danza come una «actividad primitiva, instintiva, tradicional»; «les préjugés qui en font un art futile et, à choisir, un divertissement élitiste ou un divertissement populaire», la sua «catégorisation féminine» e più in generale la sua «féminisation symbolique»; «its very nature as an activity of body rather than mind and the Western dualism which privileges the cognitive over the corporeal»; «the everlasting discourse on the relationship between theory and practice», con le correlate conseguenze sui processi di formazione come sul mondo del lavoro; e, non da ultima, la retorica dell’effimero che pare aver a lungo ammantato la definizione di un possibile oggetto d’indagine…8 Nel complesso, questi (e altri) elementi avrebbero determinato la storica condizione di «sottovalutazione», di «sudditanza ad arti storicamente “maggiori”» e «di semivolontaria auto-ghettizzazione difensiva» dei saperi coreutici; nonché un correlato, «difficile e lento percorso di legittimazione», risalente almeno al Rinascimento e in certi casi ancora persistente.9

  • 10 E. Casini Ropa, Note sulla nuova storiografia della danza cit., p. 97; A. Pontremoli, “Il bel danz (...)

16Lungo il Novecento si manifestò invece una «rifondazione della concezione della danza» che – anche col contributo di altre discipline – avrebbe avuto l’esito di collocarla sempre più «al centro di riflessioni che le restituivano un rigenerato valore umanistico etico-estetico». Tale mutazione «ha segnato l’avvio di una vera rivoluzione artistica e, più lentamente, di una presa di coscienza» che condurrà, in coincidenza all’ingresso della materia nell’università – prima in contesto anglosassone e poi in tutta Europa –, a una «inedita e sempre più consistente fioritura di nuovi studi storico-critici». In seguito, «è venuta via via consolidandosi una prassi di indagine relativa agli strumenti metodologici della ricerca in danza e un progressivo affinamento dei suoi strumenti di lavoro», mentre «parallelamente una letteratura di impostazione filosofica ha contribuito a delineare gli orizzonti teorici di riferimento e di conseguenza il paradigma del campo di indagine».10

Dalla strutturazione della materia al consolidamento: una genealogia in due passaggi

  • 11 Cfr. inoltre: Fiona Bannon, Dance: the Possibilities of a Discipline, «Research in Dance Education (...)

17Assieme ai caratteri che distinguono la disciplina al momento della sua formazione, si identifica così una possibile genealogia condivisa a livello internazionale che, dal punto di vista storico, si articola almeno in due tappe.11

  • 12 Cfr.: E. Casini Ropa, Verso una nuova cultura della danza cit., p. 32; H. Marquié, Regard rétrospe (...)

18Anzitutto, si trova il passaggio dal riconoscimento di tali saperi alla loro strutturazione accademica e scientifica, processo che viene individuato come sistematico dalla fine degli anni Settanta nel mondo angloamericano e dagli Ottanta in quello continentale. Le ricercatrici e i ricercatori che hanno indagato tali fenomeni ne ritracciano l’innesco a partire da percorsi per lo più individuali, distinti da una straordinaria varietà di provenienze (su tutte, musicologia, etnologia, inizialmente anche educazione fisica), ma accomunati da un’intensa interlocuzione, collaborazione, anche coinvolgimento diretto con le pratiche coreiche.12

  • 13 Cfr.: E. Casini Ropa, Note sulla nuova storiografia della danza cit.; Rachel Fensham, Research Met (...)

19In secondo luogo, sta il consolidamento della materia, in cui – dalla fine degli anni Ottanta, sempre a partire dagli Stati Uniti – si rileva un processo di forte rinnovamento teorico-metodologico, anche grazie all’avvento del discorso post-strutturalista in ambito umanistico. In questo contesto, la diffusione delle nuove teorie critiche, da una parte, potenzia alcuni tratti originari del campo di studio (su tutti, l’interdisciplinarità) e, dall’altra, introduce nuovi orizzonti a tutt’oggi altrettanto distintivi per certe zone di ricerca: per esempio, una singolare vocazione all’auto-analisi critica, un interesse verso le dinamiche contestuali di natura socio-politico-culturale, in generale una sensibilità per le pratiche decostruttive.13

  • 14 Alessandro Pontremoli, Greetings from Italy, in C. Nocilli, A. Pontremoli, Introduzione, in Iis. ( (...)
  • 15 Cfr. Gabriele Brandstetter, Gabriele Klein, Dance [and] Theory. Introduction, in Iis. (eds.), Danc (...)

20È questo il profilo – certo «dai contorni sfumati» ma proprio perciò ben riconoscibile14 – attraverso cui gli studi in danza si manifestano come disciplina al momento del loro incardinamento nell’università. Ovviamente, si tratta di snodi generici che ricorrono in buona parte dei percorsi intrapresi dalle nuove materie emergenti almeno dal secondo Novecento in avanti, ma la prospettiva muta sensibilmente quando si vanno a innestare tali passaggi genealogici all’interno delle specifiche cronologie (individuali, geografico-culturali etc.): com’è stato riconosciuto proprio in ambito coreologico, la teoria è sempre culturalmente determinata, così le storie della disciplina, altrove, sono (anche) sensibilmente diverse.15

2. La “nascita” degli studi in danza in Italia

Tra coreologia e teatrologia: una matrice dialettica

  • 16 Rossella Mazzaglia, La disciplina coreologica in Europa cit., p. 193. I primi corsi di Storia del (...)

21In Italia, la strutturazione accademica e scientifica degli studi in danza presenta alcune particolarità che la differenziano da altre culture di studio, rendendola per certi versi un unicum rispetto alle linee genealogiche condivise che abbiamo appena illustrato. Tutte le prospettive sulla storia della materia convergono anche su questo punto. Soprattutto, evidenziano due dati: che la neo-disciplina nel nostro Paese affiora più tardi che altrove, in un periodo segnato dal vivace dibattito teorico che darà vita ai Dance Studies, con cui una parte della materia intrattiene un dialogo sempre più intenso; e che «vive un rapporto problematico e in divenire» anche «con la tradizione teatrologica», ossia con il settore da cui ha origine e all’interno del quale a tutt’oggi opera.16

  • 17 Cfr. E. Casini Ropa, Verso una nuova cultura della danza cit., pp. 31-32. E inoltre: Silvia Carand (...)

22Dunque, nonostante anche in questo caso si tratti di una «storia d’autore» forte delle specificità che la compongono e declinata nei molteplici percorsi che le danno vita, i primi docenti in danza incardinati all’interno dell’università italiana condividono una matrice disciplinare nel complesso omogenea. Tale aspetto distingue profondamente questo percorso di “disciplinizzazione” rispetto alle varie spinte extra-territoriali e alle correlate tattiche di territorializzazione caratterizzanti la formazione del campo di studio all’estero. Se altrove la gran parte delle auto-storicizzazioni individua la giustapposizione fra la varietà dei background come il tratto distintivo della materia in statu nascendi – il che determina fin da subito una sua suddivisione in zone disciplinari diverse –, nel nostro Paese invece i primi professori e professoresse vengono quasi tutti dagli studi di teatro e spettacolo. Come riflette Eugenia Casini Ropa – pur rilevando appunto anche le peculiarità di ciascun percorso –, è così per «chi iniziò l’insegnamento della storia della danza all’università, i primi “pionieri”» della disciplina: lei stessa, Vito Di Bernardi e Alessandro Pontremoli. Potremmo aggiungere che è il caso anche di altre figure che hanno iniziato a occuparsi di questi temi all’incirca nel medesimo periodo e che successivamente hanno continuato a coltivare al contempo interessi teatrologici e coreologici – da Silvana Sinisi a Silvia Carandini o Elena Randi –, nonché per certi versi di tante studiose e studiosi che tuttora si formano nel settore.17 Insomma, in Italia, danza e teatro convivono accademicamente in territori comuni.

  • 18 Cfr.: Eugenia Casini Ropa, La danza e l’agitprop. I teatri non teatrali nella cultura tedesca del (...)

23Di conseguenza, oltre alle evidenti singolarità, fra i primi volumi pubblicati negli anni Ottanta-Novanta da coloro che poi si struttureranno all’interno dell’università si possono rintracciare alcune convergenze importanti che definiscono le peculiarità della nuova coreologia italiana degli albori.18 Tali elementi – anche al di là delle naturali esigenze di accreditamento della neo-disciplina, ben identificate da coloro che ne hanno ricostruito la vicenda – si possono collegare almeno in parte a due fenomeni scientifici coevi di rilievo: da un lato, il rinnovamento epistemologico in atto sugli scenari internazionali e, dall’altro, le traiettorie teorico-metodologiche che attraversavano all’epoca i settori dello spettacolo a livello nazionale.

  • 19 V. Di Bernardi, Problemi di antropologia della danza. Tradizione e ricerca, in C. Nocilli, A. Pont (...)

24Per fare solo qualche esempio, osservate le indispensabili specificità, nei volumi di Casini Ropa sul primo Novecento, nei lavori di Di Bernardi sui teatri-danza asiatici, nelle ricerche di Pontremoli sulla danza storica – tutti pubblicati fra la seconda metà degli anni Ottanta e la prima metà dei Novanta – si nota anzitutto una concentrazione su fenomeni o momenti che non è forzato definire “eversivi” rispetto alla storia delle arti performative, in quanto vanno a collocarsi “a monte”, “a valle” o anche «altrove» rispetto all’elaborazione, fra XVI e XIX secolo, del modello teatrale professionistico poi egemonico in Europa (comprese le sue sub-articolazioni in diversi generi, tipologie etc.).19

  • 20 Non è questa la sede per ricostruire in dettaglio i processi di rinnovamento in corso nelle discip (...)

25Di qui si origina una domanda apparentemente scontata ma profonda, soprattutto per una disciplina agli esordi: che cos’è la danza (o il teatro), anche nella storia? O, meglio, che cosa si può considerare in questi termini dal punto di vista scientifico? Che significato hanno queste categorie e come cambiano nel tempo? Sono questioni con cui la nuova storia del teatro e teatrologia italiana si stava confrontando sistematicamente fra anni Settanta e Ottanta,20 e che preparano un terreno fertile per intercettare interrogazioni affini che stavano sorgendo sugli scenari internazionali. Almeno in parte, si spiega così la precoce vocazione all’auto-analisi teorico-metodologica della nuova coreologia italiana, altro significativo aspetto condiviso fra i primi volumi pubblicati negli anni Ottanta-Novanta.

Un imprinting comune: fra teoria, pratica e storia

26Il Dams di Bologna, la Sapienza di Roma, la Cattolica di Milano – dove si plasma la neo-disciplina – sono fra i centri di ricerca protagonisti del processo di rifondazione che consente il riconoscimento accademico e il rinnovamento degli studi di spettacolo nel nostro Paese. In simili contesti, fra anni Sessanta e Settanta, si registra in varia misura il tentativo di ripensare l’oggetto delle indagini teatrologiche al di là dei canoni imposti nella cultura occidentale: cioè, da un lato, oltre il predominio del testo letterario e, dall’altro, anche mettendo in discussione la dimensione oggettuale del prodotto-spettacolo, la cui definizione aveva cadenzato la strutturazione del campo di studio all’estero. In stretto rapporto tanto con i nuovi o rinnovati saperi umanistici, quanto con le punte delle neo- e post-avanguardie artistiche, l’ottica si sposta progressivamente sui processi di creazione, di fruizione, di vita che s’irradiano intorno all’evento performativo, con particolare attenzione tanto alle sue implicazioni socio-culturali-antropologiche quanto alla corporeità.

  • 21 Cfr. Marvin Carlson, Introduction. Perspective on Performance: Germany and America, in Erika Fisch (...)
  • 22 Cfr., oltre ai riferimenti già menzionati: Vito Di Bernardi, Il teatro e la danza di Giava e Bali. (...)

27Le nozioni di teatro e di danza che maturano in simili ambienti sono decisamente ampie, ed è questo un terzo elemento potenzialmente condiviso che si può rintracciare fra i primi libri dei nuovi studi in danza italiani. Senza dubbio, è perché il concetto di spettacolo in Europa è da sempre molto più aperto che nel mondo anglosassone, dove i vari generi risultano più rigidamente suddivisi nella storia come nel presente.21 Ma la pluralità in questione è legata anche alla vicenda di ibridazione estetica-sociale che investe le arti performative nel secondo Novecento e che radica massicciamente in Italia, mentre non a caso i centri di ricerca menzionati sono fra i primi a coltivare intensi rapporti con tali percorsi di ripensamento delle pratiche artistiche. Per esempio, non si discrimina eccessivamente fra teatro e danza all’interno dell’International School of Theatre Anthropology di Eugenio Barba strettamente legata al Dams, nelle indagini sul campo nelle culture spettacolari asiatiche come negli spazi del Centro Teatro Ateneo di Roma, nei laboratori di pensiero della “Cattolica” o al Crt di Milano. Al di là delle significative differenze, in tutti questi casi dagli anni Settanta il teatro diventa qualcosa che trascende di molto i limiti del palcoscenico, fino a estendersi ad abbracciare il complesso delle dinamiche relazionali delle esperienze performative (in contesto spettacolare e non solo).22

  • 23 Cfr.: Mark Franko, Danza e politica: stati di eccezione, in S. Franco, M. Nordera (a cura di), I d (...)
  • 24 Per una possibile declinazione “continentale” di tali dicotomie teorico-metodologiche – comprese a (...)
  • 25 Cfr.: S. Carandini, Identità debole di una “danza teatrale italiana” nel Novecento? cit.; E. Casin (...)

28Da tale impostazione discende un’ulteriore particolarità dei percorsi coreologici italiani degli albori. Qui, di norma non si percepiscono le divisioni che marcano altrove la gemmazione della disciplina – un esempio su tutti, la dicotomia originaria fra approcci storici ed etnologici – e che nel tempo si declineranno secondo ulteriori polarizzazioni teoriche (fra le altre, quella che distingue “formalisti” e “contestualisti”, “poetica e politica”, e così via).23 Anzi, nel nostro Paese, fin dagli esordi si avvertono tendenze che su questi fronti non è eccessivo definire “ricompositive”, nel senso che il termine assumerà trasversalmente più avanti, quando in altre culture di studio si inizierà a provare a mediare tali divaricazioni teorico-metodologiche fondative.24 Se eventuali contrasti di questo genere si rendono tangibili negli studi italiani, essi assumono connotazioni del tutto peculiari e comunque esterne ai processi di disciplinizzazione della materia: al limite, le auto-storicizzazioni tracciano dei confini fra un prima e un dopo l’incardinamento universitario oppure fra le diverse provenienze di ricercatrici e ricercatori (università, accademia, critica etc.).25

29In pratica, estetica e politica, scena e società, scienze sociali e fenomenologiche molto spesso concorrono insieme a plasmare gli approcci della nuova teatrologia come della nuova coreologia in Italia. C’è però un elemento ancor più decisivo che distingue questi nuovi studi in danza italiani, sempre capace di evidenziare la natura delle relazioni tanto con la loro specifica genealogia quanto col dibattito teorico internazionale: si tratta del singolare approccio che dimostrano alla dimensione storica.

Il rapporto con la storia: una questione a parte

  • 26 Cfr. Marco De Marinis, Capire il teatro. Lineamenti di una nuova teatrologia [1988], Bulzoni, Roma (...)
  • 27 Cfr. rispettivamente e indicativamente: Marvin Carlson, Performance: A Critical Introduction [1996 (...)

30Al momento del suo ingresso nell’università, com’è usuale, la materia cerca di definire un proprio oggetto di studio il più possibile scientificamente solido e concreto; in vari contesti – non da ultimo nel mondo anglosassone, uno dei primi in cui s’incardina –, l’impresa viene sostenuta da impostazioni di carattere storico-ricostruttivo, mentre già in precedenza esistevano “storie” della danza orientate in ottiche di questo tipo. Fin dagli esordi, però, il rapporto con la storia può provocare qualche contrasto: sia per quanto riguarda l’esigenza di differenziare la neo-disciplina dalle modalità d’indagine preesistenti, sia rispetto all’altra genealogia di riferimento a livello internazionale, rappresentata dai saperi etno-antropologici. La relazione con le discipline storiche rimane problematica anche in seguito, nelle fasi del consolidamento accademico-scientifico: tanto in coincidenza alla rapida ma segnante sperimentazione di matrice semiologica nell’alveo della dance analysis, quanto, poi, col dialogo che in certe esperienze s’instaura con gli studi culturali. A titolo indicativo, basterà richiamare l’iniziale “rimozione” della dimensione storica sull’uno e sull’altro versante (non solo in danza); o, più nello specifico, il successivo fronteggiarsi di una “vecchia” storia della danza o del teatro e la rigenerazione provocata dall’avvento dei Performance e dei Dance Studies.26 In ogni caso, in altre culture coreologiche – soprattutto in quella statunitense – il nodo della storia ha sempre rappresentato una criticità che si è cominciato a sciogliere soltanto di recente: in coincidenza alla “svolta performativa” che fra Novecento e Duemila ha spinto le discipline dello spettacolo a passare dal “cosa” al “come” del proprio oggetto di studio, cioè dall’originaria concentrazione sull’analisi dell’evento scenico alla perlustrazione delle sue dinamiche di funzionamento e dei processi artistici, culturali, sociali sottesi.27

  • 28 Cfr., per quanto riguarda la nuova coreologia italiana: E. Casini Ropa, Note sulla nuova storiogra (...)

31Invece, nel nostro Paese – come abbiamo visto già attraversato da forti tendenze performative ante litteram – si imposta fin da subito un approccio storiografico fortemente relazionale, nutrito dalle imprese di rifondazione del metodo storico promosse lungo il XX secolo dalle Annales, dalla microstoria e dalla storia culturale, a cui una parte degli studi di spettacolo nazionali aveva guardato con attenzione fin dalla propria rifondazione.28 Non si tratta “solo” di una particolarità che marca la produzione scientifica. La questione ha ricadute di più vasto valore epistemologico sugli sviluppi stessi del paradigma della neo-disciplina.

  • 29 Cfr.: Y. Wong, J.R. Giesdorf, Introduction cit.; Ferdinando Taviani, Lettera su una scienza dei te (...)

32Se proviamo a riassumere la storia degli studi in danza fra Europa e Stati Uniti, non dal punto di vista storico-cronologico (come abbiamo fatto in apertura), ma osservando le mutazioni del loro paradigma scientifico, si manifesta una traiettoria articolata almeno in tre passaggi. All’inizio, viene definito un oggetto di indagine, in gran parte dei casi incentrato sulla ricostruzione – in chiave storico-filologica o etno-fenomenologica – dell’evento performativo. In secondo luogo, l’approfondimento in ottica semio-strutturalistica del fatto spettacolare favorisce l’analisi mirata e specifica delle sue componenti, promuovendo l’innesco di un dialogo con altre aree del sapere e circoscrivendo, così, non un oggetto, ma più ampiamente un campo di studio articolabile in diversi temi e zone. Infine, con la diffusione della logica post-strutturalista e gli spunti gemmati dagli studi culturali, alcune porzioni della materia verificano come gli strumenti testati in precedenza possano essere applicati a ulteriori e diversi ambiti di ricerca (anche non strettamente legati all’oggetto di studio di partenza); a questo punto, la danza viene ripensata nei termini di un metodo d’indagine, utilizzabile anche in altri contesti.29 Come in vari processi di disciplinizzazione che si sviluppano nel secondo Novecento, è un itinerario che parte dall’emancipazione e definizione di una nuova materia, alla ricerca di una sua possibile specificità; passa dalla sperimentazione di varie forme di interdisciplinarità accogliendo la proposta di altri sistemi di conoscenza; per giungere alle attuali posture trans- o post-disciplinari, dove i saperi cooperano orizzontalmente anche al di là delle specificità dei propri percorsi, dialogando di volta in volta, a seconda delle necessità, intorno a problemi e argomenti comuni.

33In Italia, la situazione si presenta sensibilmente diversa, in quanto anche su questi fronti gli step appena delineati si comprimono in un processo epistemologico unitario. È perché la disciplina si struttura successivamente, ma non soltanto. La sua originaria sensibilità processuale e relazionale, la cangianza della nozione di spettacolo su cui poggia, le diffuse tendenze auto- o meta-analitiche e, non da ultimo, il peculiare rapporto sviluppato con la storiografia, conducono nel complesso – e quasi fin da subito – i nuovi studi in danza italiani degli anni Ottanta-Novanta alla messa a punto, non di un oggetto o di un campo d’indagine, ma direttamente di un metodo di ricerca, anzi di vari metodi, al plurale, concepiti in ottica transdisciplinare. Da questo punto di vista, l’intento (o quantomeno l’esito) non pare tanto o soltanto quello di delimitare un possibile territorio d’autonomia per la neo-disciplina, ma, quasi al contrario, di rinvenire una sua possibile specificità nel contributo che può venire da e – soprattutto – che può offrire ad altri ambiti del sapere. Per una materia in statu nascendi è quasi un paradosso che, però, può risultare prezioso; ed è proprio la questione della storia a favorire questo tipo di posizionamenti.

  • 30 Cfr. S. Franco, M. Nordera (a cura di), Ricordanze. Memoria in movimento e coreografie della stori (...)
  • 31 A. Pontremoli, Idee per una metodologia della ricerca coreologica cit., p. 28 (un’ipotesi affine è (...)
  • 32 Cfr. almeno: Raimondo Guarino, Il teatro nella storia, Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 62-65 (e inolt (...)
  • 33 Cfr.: Marina Nordera, Generi in corso. Note per storie ancora da scrivere, in S. Franco, M. Norder (...)

34Un esempio in questo senso è rappresentato dai lavori che s’irradiano intorno alla condizione (presunta) effimera del fatto performativo, antico pregiudizio anti-teatrale a lungo discusso nelle materie di spettacolo, nel nostro Paese e non solo. I nuovi studi in danza italiani – strutturatisi proprio nel momento in cui si rinfocolava tale dibattito – reagiscono rivendicando la peculiarità della (solo apparente) evanescenza del proprio oggetto di studio.30 Tale visione, presente in nuce fin dagli albori della disciplina, nel tempo si sviluppa considerevolmente: dalla proposta, formulata da Alessandro Pontremoli, di una coreologia intesa come «filologia del corpo danzante», capace di «produrre avanzamenti della conoscenza storica generale» anche attraverso la re-incorporazione delle danze del passato; fino al percorso intrapreso da Susanne Franco sulle pratiche di reenactment, che di recente ha condotto la studiosa a constatare come «la danza e la performance, proprio per la loro originale capacità e possibilità di archiviare pratiche e saperi, poss[a]no contribuire alla concezione di nuove tipologie di archivi e all’esplorazione di nuove forme di conoscenza».31 Se le premesse teoriche alla base di simili ipotesi si possono rintracciare all’interno del paradigma degli studi italiani di spettacolo,32 la loro declinazione in danza – forse anche per via della peculiare relazione con le pratiche, da sempre trasversalmente diffusa33 – può provocare ricadute sistemiche.

  • 34 Per i rapporti fra la specifica matrice storica degli studi in danza in Italia e questo tipo d’app (...)
  • 35 Cfr.: Janelle G. Reinelt, Joseph R. Roach, Preface to Second Edition, in Iis. (eds.), Critical The (...)
  • 36 Cfr. almeno Peter Burke, Performing History: The Importance of Occasions, «Rethinking History», 9 (...)

35Coltivare la storia dello spettacolo come storia particolare di una storia globale – un appello metodologico derivante dalla nouvelle histoire e fondante per una parte importante degli studi teatrali italiani34 –, dunque, non è “soltanto” un altro degli orizzonti condivisi in partenza nelle genealogie delle prime ricercatrici e dei primi ricercatori in danza strutturati all’università nel nostro Paese. Si tratta anche di un punto di arrivo. Perché parallelamente, in contesto internazionale, si assiste a un duplice movimento che avvicina non poco le diverse tradizioni coreologiche: se, da un lato, nei Cultural, Performance e Dance Studies si manifesta una inaspettata quanto saliente “svolta storica”,35 dall’altro lato, anche le discipline storiche – a cui è così legata la coreologia italiana degli albori – sono investite dalla “svolta performativa” di derivazione post-strutturalista che trasforma significativamente gli orizzonti delle materie socio-umanistiche alla fine del Novecento, portandole a valorizzare gli aspetti processuali, relazionali, transdisciplinari dei loro oggetti e metodi di studio, i fenomeni di norma considerati marginali, le tematiche di natura socio-politica, le prospettive critiche e autocritiche.36

36Dunque, fra l’imprinting storiografico determinato da una particolarissima matrice disciplinare e gli omologhi tentativi sviluppati parallelamente all’estero, parte degli studi in danza italiani si può fruttuosamente ricongiungere ai nuovi orientamenti storico-performativi affioranti a livello internazionale. Da questo punto di vista, si potrebbe affermare, non solo che una porzione della nuova coreologia italiana fa parte dei discorsi dei Dance Studies, ma più ampiamente che nasce già orientata in quell’ottica, anzi, ancor più precisamente, lungo le direttrici che tali correnti stanno tracciando attualmente. Le motivazioni, le impostazioni, gli orizzonti, però, sono tutt’altre – ed è arrivato il momento di provare a capire come e perché: cioè quale significato possa avere oggi la differenza rappresentata dagli studi in danza in Italia.

3. Il paradigma degli studi in danza fra passato e futuro: elementi di contesto e ulteriori piste di ricerca

La gemmazione della nuova coreologia italiana sullo sfondo degli anni Ottanta

37Per comprendere e spiegare meglio le particolarità rintracciabili nella “nascita” delle discipline coreologiche in Italia occorre allargare lo sguardo e considerare i molteplici elementi di contesto in rapporto ai quali tali processi si sviluppano. La strutturazione accademica e scientifica della disciplina, infatti, si profila e poi si concretizza in un periodo da tanti punti di vista a dir poco particolare.

  • 37 Cfr.: A. Carter, General Introduction cit., p. 9 sgg.; E. Casini Ropa, Note sulla nuova storiograf (...)
  • 38 A. Pontremoli, La danza 2.0 cit., p. IX (cfr. inoltre Id., Il possibile e il cambiamento. Trent’an (...)
  • 39 Cfr.: Giovanni Calendoli, Storia universale della danza, Mondadori, Milano 1985, pp. 8-10; Sisto D (...)

38Lungo gli anni Ottanta – quando si prepara l’emersione della nuova materia – le pratiche coreiche vivono un’eccezionale fioritura e attenzione in contesto scientifico così come artistico e socio-culturale, anche nel nostro Paese.37 Tali fenomeni almeno in apparenza sembrano contrastare con le pulsioni di normalizzazione in quel momento avvertite in altri ambiti e settori (non da ultimi quelli teatrali-teatrologici), che molti mettono in relazione alla progressiva espansione della “società dello spettacolo”. Viceversa, gli studi coreologici sembrano trarre anche di qui il proprio slancio, e forse è proprio per tali ragioni che una danza – intesa anche come disciplina – “della resistenza” si forma proprio in questo momento:38 per farsene un’idea, si possono rileggere le presentazioni che motivano la coeva pubblicazione dei primi volumi coreologici italiani, rilevando l’accento posto sulla dialettica fra la crescente attenzione per la corporeità negli studi di spettacolo e il senso di smaterializzazione che si andava diffondendo con l’avvento dei nuovi media (non a caso, un tema oggetto di precoce attenzione all’interno del settore).39

  • 40 La dinamica non si manifesta solo in contesto italiano: cfr., per esempio, Jon McKenzie, Perform o (...)

39I secondi anni Ottanta, inoltre, corrispondono al consolidamento degli studi italiani di spettacolo, anch’essi strutturatisi “in ritardo” e perciò materia tutto sommato giovane, fino a quel punto ancora alle prese con la ridefinizione del proprio paradigma in senso allargato. Ma in questa fase paiono venir meno le spinte eversive che ne avevano presieduto l’insorgenza, fra la proliferazione e sub-articolazione dei campi di ricerca, l’incardinamento degli studiosi e la formazione di nuove generazioni, un’inedita tendenza divulgativa, e così via; mentre l’originaria radicalità della disciplina sembra trasferirsi sul piano del dibattito teorico che si sviluppa in maniera consistente intorno all’auto-analisi della sua vicenda e della sua cornice metodologica.40 È anche in questo contesto che si sviluppa la vocazione alla riflessione epistemologica della nuova coreologia italiana. Non solo.

  • 41 Cfr. François Cusset, French Theory. Foucault, Derrida, Deleuze & Co. all’assalto dell’America [20 (...)

40Come abbiamo visto, va aggiunto che in quel medesimo periodo e ancora di più negli anni Novanta – proprio nel momento in cui gli studi in danza iniziano a strutturarsi nell’università italiana –, si assiste all’avvento internazionale della cosiddetta “teoria critica”, che esercita uno straordinario impatto sulla neo-disciplina e con cui una parte della materia in Italia trova consistenti punti di contatto. Ma, al contempo, occorre tenere conto che il fenomeno s’incrocia con le peculiari modalità di radicamento del pensiero postmoderno nel nostro Paese: se in contesto statunitense varie proposte d’area post-strutturalista vengono rielaborate nel quadro di un corpus teorico unitario – appunto entro la Critical (o French) Theory41 –, in altre culture quelle stesse idee approdano prima, spesso autonomamente e quindi anche mantenendo, al di là delle possibili convergenze, le loro (talvolta forti) specificità.

Divenire disciplina in epoca post-disciplinare

  • 42 Cesare Segre, La critica semiologica in Italia, «L’immaginazione», 121 (1995), p. 6 (cfr. inoltre (...)
  • 43 Cfr. Marco De Marinis, Capire il teatro: per una semiotica storica come epistemologia delle discip (...)
  • 44 Cfr. Monica Jansen, Il dibattito sul postmoderno in Italia. In bilico tra dialettica e ambiguità, (...)

41Con Cesare Segre, potremmo affermare che «in Italia lo strutturalismo è nato come post-strutturalismo».42 Gli indizi di una simile situazione epistemologica sono innumerevoli: per esempio, si possono rintracciare nella riformulazione in chiave già pragmatica delle teorie analitiche di stampo strutturalistico fra anni Settanta e Ottanta (un caso eclatante è quello della semiologia, anche teatrale, che quasi fin da subito si orienta verso l’estetica della ricezione o la critica del soggetto);43 oppure nel modo a dir poco dialettico in cui viene recepita la “condizione postmoderna”, mettendo a confronto – anche in termini molto concreti – la visione di Lyotard con l’alternativa habermasiana dell’incompiutezza, anziché del fallimento, del progetto della modernità.44 La riflessione di Segre, inoltre, pare trovare riscontro nelle discipline dello spettacolo, dove le nuove teorie critiche avevano già attecchito in maniera per lo più implicita nel medesimo periodo, passando quasi paradossalmente dalle materie storiche e in special modo dall’ultima ondata di loro rinnovamento.

  • 45 Per un inquadramento generale di tali fenomeni negli studi di arti performative, cfr. M. Shevtsova (...)

42Dunque, gli studi italiani in danza, facendo il proprio ingresso nell’università negli anni Novanta nascono già sostanzialmente orientati in ottica post-strutturalista. Di più, si rigenerano in una fase che viene comunemente definita come “post-disciplinare”: perché è segnata dal radicamento della critica alle convenzionali istituzioni e formazioni della conoscenza sorta intorno al Sessantotto e ormai ampiamente diffusa in contesto accademico; da forti slanci ricompositivi che raccordano prospettive, saperi e percorsi fino a quel momento ben separati; da politiche accademiche che non vanno più nella direzione dell’autonomizzazione delle discipline ma si muovono nell’ottica di una loro aggregazione in macro-strutture (concrete e concettuali).45

  • 46 Cfr., nell’ordine: Claudio Meldolesi, Fondamenti del teatro italiano. La generazione dei registi [ (...)

43Da questo punto di vista, è possibile osservare come anche gli snodi storico-genealogici caratterizzanti la vicenda della disciplina a livello internazionale si approssimino fino quasi a sovrapporsi: l’incardinamento accademico-scientifico delle materie coreologiche in Italia per certi versi corrisponde al loro consolidamento, mentre – riprendendo l’analoga “compressione” registrata per quanto concerne gli sviluppi del paradigma scientifico – il loro slancio teorico istitutivo risulta già sostanzialmente impregnato dai nuovi orientamenti teorico-critici, anche laddove dovessero rimanere impliciti, non da ultimo nelle pratiche politico-accademiche. Così, anche qui ritengo produttivo parlare, più che di un “ritardo” dei nostri studi di teatro, danza, spettacolo, di una possibile “anomalia” della cultura performativa italiana, richiamando la proposta formulata da Claudio Meldolesi e poi articolata da Mirella Schino intorno alle peculiari condizioni dell’avvento della regia nell’Italia della prima parte del XX secolo (rilevante segnalare su questi fronti come di recente vari studiosi e studiose stiano riflettendo sulle conseguenze di una analoga, seppur specifica, “rimozione” del modernismo coreico italiano).46 In teatro come in danza, negli studi sul secondo Novecento, ciò ha spesso determinato sia il primato attribuito alla relazione con le ricerche internazionali – soprattutto statunitensi –, sia la correlata adozione di schemi che, non aderendo sempre perfettamente ai contesti in cui vengono applicati, talvolta non riescono a rendere conto delle complessità delle varie culture performative e soprattutto del contributo che da esse può venire a una revisione della storia delle arti fra Novecento e Duemila. È forse anche per questo che, in Italia, le realtà del nuovo teatro o della nuova danza appaiono così “nuove”, ed è possibile fare un ragionamento simile anche per la nuova coreologia e teatrologia.

Un paradigma scientifico definito fra pratiche disciplinizzazione e sconfinamenti

44Dunque, la storia della strutturazione accademico-scientifica degli studi coreologici italiani può raccontare molto delle varie modalità di diffusione del discorso post-strutturalista alla fine del XX secolo. Inoltre, entro la cornice contestuale appena delineata si rivelano le radici epistemologiche di tante imprese di storicizzazione della vicenda del campo di studio: sono tutte prodotte – non solo nel nostro Paese – a partire dalla fine degli anni Novanta e quindi risultano improntate da posizionamenti teorici che le indirizzano con forza a valorizzare gli aspetti di discontinuità, di autocritica e di interdisciplinarità caratterizzanti le fasi generative della materia. Quindi, le loro motivazioni di fondo non sono legate solo alla necessità di stabilire la specificità di una disciplina agli esordi in ambito universitario: si tratta anche delle inedite impostazioni teorico-metodologiche di stampo post-strutturalista che all’epoca stavano radicando nei saperi socio-umanistici, nelle arti e nella cultura. È così che gli studi in danza si ridisegnano come una materia nuova, eversiva rispetto all’esistente, indisciplinata, posizionandosi in between fra diverse zone di norma ben distinte nelle tradizioni di pensiero nordatlantiche, prendendo le distanze anzitutto da come le pratiche coreiche erano state pensate e studiate fino a quel punto.

45Però, le nozioni di novità, ritardo, anche subalternità presuppongono un’ottica comparativa: cioè il confronto con altri domini che ovviamente non sono già dati, ma vengono scelti più o meno consapevolmente come interlocutori. Se in conclusione riprendiamo le ricostruzioni della storia degli studi esaminate in questo articolo, è dunque necessario chiedersi rispetto a cosa le discipline coreologiche arrivino dopo e si sentano in condizioni di minorità, valutando – come abbiamo cercato di fare – tanto le esigenze proprie dei processi di rifondazione dei saperi quanto lo specifico contesto in cui avvengono.

  • 47 M. Nordera, Sconfinamenti disciplinari e non cit. (a cui si rimanda anche per la visione esposta i (...)
  • 48 Cfr. H. Marquié, Regard rétrospectif sur les études en danse en France cit.

46La tendenza agli «sconfinamenti» fra aree, prassi, convenzioni consolidate; la ridefinizione – se non estensione – di un settore «sempre in continua trasformazione e in compromissione con quelle realtà complesse di cui esso è il riflesso, o che contribuisce a creare», l’«incessante destrutturazione» dei suoi statuti; la natura «anfibia» dei temi come dei metodi di ricerca:47 questi caratteri, affiorati esplicitamente in coincidenza alla riformulazione critico-performativa di una parte campo di studio, costituiscono l’ossatura di un paradigma per certi versi solo apparentemente nuovo. In realtà, a guardare à rebours, prima e oltre la vicenda dell’incardinamento accademico-scientifico della disciplina, esso sembra avere radici precise, antiche e solide.48 Anch’esse fondamentali da perlustrare, affondano proprio nella secolare condizione di (spesso percepita) marginalità della danza, che si manifesta in questi termini nel momento in cui viene raffrontata – com’è usuale – ai modi convenzionali di istituzione dei domini della conoscenza, consolidati fin da quel generale processo di sistematizzazione della cultura europea che prende il nome di Illuminismo. Ma tali approcci, sistemi, modalità impliciti nel funzionamento dei saperi sono ormai da tempo in crisi. Dunque, è ora possibile cambiare di segno e di senso alle qualità storicamente caratterizzanti gli studi in danza e più in generale di spettacolo, riconoscendole e valorizzandole diversamente: oggi, essere altro o altrove rispetto ai centri tradizionalmente riconosciuti come maggioritari nei processi di formazione della cultura può rappresentare un’opportunità decisiva.

  • 49 A. Carter, General Introduction cit., p. 13. Cfr.: M. Franko (ed.), Dance, the Disciplines, and In (...)

47Come hanno notato alcune ricercatrici e ricercatori, uno degli aspetti distintivi del campo di studio si rinviene nella dialettica originaria e tuttora ben viva fra le dinamiche di disciplinizzazione, di legittimazione, di autonomizzazione delle materie coreologiche e la loro altrettanto consolidata apertura extra-disciplinare, che ogni volta – nonostante siamo ormai «coscienti di come il concetto d’identità sia instabile» – pare rischiare potenzialmente di diluirne la possibile specificità.49 Inoltre, se osserviamo tale dialettica sul più ampio sfondo dei meccanismi che per lungo tempo hanno governato le dinamiche di costruzione dei saperi, la singolare vicenda della nuova coreologia permette sia di raccontare molto dei processi di disciplinizzazione in generale, sia di delineare modelli alternativi, capaci di mettere in dialogo le modalità consolidate del lavoro scientifico con approcci di carattere relazionale, processuale, transdisciplinare. Infine, è anche proprio in queste zone teorico-metodologiche di frontiera che forse è possibile rilanciare una parte importante della tradizione degli studi italiani di spettacolo. Non è un caso che, in questo momento, nel nostro Paese, siano proprio gli studi in danza a mantenere attiva una consistente, continuativa e sistematica riflessione di natura teorica, metodologica ed epistemologica: continuando a porre domande su cosa significhi oggi una disciplina; su come funzionino le sue dinamiche interne di sviluppo, anche in relazione ai vari contesti in cui opera; e soprattutto su quale possa essere la collocazione, il senso, il valore delle ricerche sui fenomeni performativi in questo presente in fortissima mutazione.

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Note

1 Cfr. Ferdinando Taviani, Uomini di scena uomini di libro [1995], Officina, Roma 2010.

2 Cfr.: Fabio Acca, Scena anfibia e nuova danza, in C. Tafuri, D. Beronio (a cura di), Ivrea Cinquanta. Mezzo secolo di Nuovo Teatro in Italia 1967-2017, atti del convegno (Genova, 5-7 maggio 2018), AkropolisLibri, Genova 2018, pp. 174-189; e soprattutto F. Acca (a cura di), Scena anfibia e pratiche coreografiche del presente, «Culture Teatrali», 30 (2021); nonché S. Mei (a cura di), La terza avanguardia. Ortografie dell’ultima scena italiana, «Culture Teatrali», 24 (2015), in special modo R. Ferraresi, Un “nuovo” nuovo teatro? I teatri degli anni Duemila dal punto di vista degli osservatori, pp. 25-42.

3 Michael Huxley, Dance Studies in the UK 1974-1984: A Historical Consideration of the Boundaries of Research, in A.R. David, M. Huxley, S. Whatley (eds.), Dance Fields: Staking a Claim for Dance Studies in the Twenty-First Century, atti del convegno (19-22 aprile 2017), DanceBooks, Hampshire 2020, p. 10 (ove non altrimenti specificato le traduzioni sono a cura di chi scrive).

4 Cfr.: Michel Foucault, L’archeologia del sapere [1969], Rizzoli, Milano 1971; Id., Le parole e le cose [1966], Rcs Libri, Milano 1967; Paul K. Feyerabend, Contro il metodo [1975], Feltrinelli, Milano 1979; Thomas S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche [1962], Einaudi, Torino 1969; Id., La tensione essenziale [1997-2000], Einaudi, Torino 2006. Per una declinazione della questione nel contesto dei saperi performativi, in Italia e non solo, cfr. Roberta Ferraresi, La rifondazione degli studi teatrali in Italia dagli anni Sessanta al 1985, Accademia, Torino 2019 (al volume si rimanda per le varie informazioni, riflessioni, questioni disciplinari ed epistemologiche citate nel presente articolo).

5 Cfr. Alessandro Pontremoli, “Il bel danzar che con virtù s’acquista...”. Note sugli studi della danza in Italia, «Il Castello di Elsinore», 56 (2007), pp. 129-153. Pur tenendo in considerazione gli indispensabili riferimenti al dibattito internazionale, i saggi di pregnanza teorico-metodologica e le frequenti riflessioni sullo stato dell’arte della materia diffuse nelle varie forme della produzione scientifica, l’indagine si limita alle ricostruzioni della storia della disciplina prodotte in Italia, inquadrando un fenomeno peculiare di auto-storicizzazione avviatosi nel Paese dai primi anni Duemila.

6 Cfr. Marina Nordera, Sconfinamenti disciplinari e non tra studi, studenti e studiosi della danza in Europa, in C. Nocilli, A. Pontremoli (a cura di), La disciplina coreologica in Europa. Problemi e prospettive, atti del convegno (27-29 settembre 2008), Aracne, Roma 2010, pp. 169-180 (riedito in L. Guilbert et al. (dir.), Être chercheur en danse, «Recherches en Danse», 1 (2014).

7 Alexandra Carter, General Introduction, in Ead. (ed.), The Routledge Dance Studies Reader, Routledge, London 1998, p. 1. Cfr. inoltre, per quanto riguarda l’Italia: Elena Cervellati, Nuova coreologia italiana? Percorsi e prospettive di ricerca, in I. Fried (a cura di), Prospettive culturali fra intersezioni, sviluppi e svolte disciplinari in Italia e in Ungheria, atti del convegno (3-4 maggio 2017), Ponte Alapítvány-Eötvös Loránd Tudományegyetem, Budapest 2018, p. 276; nonché, più ampiamente per quanto concerne gli studi di spettacolo, Fabrizio Cruciani, Problemi di storiografia, in Id., Nicola Savarese, Guide bibliografiche. Teatro, Garzanti, Milano 1991, p. 8.

8 Le riflessioni – puramente indicative di una serie di problemi nel tempo individuati come caratterizzanti il campo di studio – provengono, nell’ordine, da: Beatriz Martínez del Fresno, La investigación sobre danza en España, in C. Nocilli, A. Pontremoli (a cura di), La disciplina coreologica in Europa cit., p. 40; Hélène Marquié, Regard rétrospectif sur les études en danse en France, in L. Guilbert et al. (dir.), Être chercheur en danse, cit.; A. Carter, General Introduction cit., p. 1; Jens R. Giersdorf, Dance Studies in the International Academy: Genealogy of a Disciplinary Formation, in M. Franko (ed.), Dance, the Disciplines, and Interdisciplinarity, «Dance Research Journal», 1 (2009), p. 27 (per l’ultima questione, al cui riguardo le riflessioni ovviamente risultano consistenti e significative, cfr. infra n. 30).

9 Eugenia Casini Ropa, Note sulla nuova storiografia della danza, in Storia e storiografia del teatro, oggi. Per Fabrizio Cruciani, atti del convegno (14-16 novembre 2002), «Culture Teatrali», 7-8 (2002-03), pp. 97-98 (la studiosa, che aveva già introdotto il tema in Ead. (a cura di) Alle origini della danza moderna, Il Mulino, Bologna 1990, vi ritorna nella sua Introduzione all’edizione italiana, in Walter Sorell, Storia della danza. Arte, cultura, società [1991], Il Mulino, Bologna, 1994, pp. 7-10, e nella Scheda di aggiornamento bibliografico pubblicata in Gino Tani, La danza e il balletto. Compendio storico-estetico, Nuova Pratiche Editrice, Parma 1995, pp. 271-276); A. Pontremoli, “Il bel danzar che con virtù s’acquista...” cit., p. 129 (cfr. più specificamente Id., Introduzione, in Id., G. Poesio (a cura di), L’Italia e la danza. Storie e rappresentazioni, stili e tecniche tra teatro, tradizioni popolari e società, atti del convegno (13-15 ottobre 2006), Aracne, Roma 2008, pp. IX-XIV). Cfr. inoltre: A. Carter (ed.), The Routledge Dance Studies Reader cit.; H. Marquié, Regard rétrospectif sur les études en danse en France cit.

10 E. Casini Ropa, Note sulla nuova storiografia della danza cit., p. 97; A. Pontremoli, “Il bel danzar che con virtù s’acquista...” cit., p. 149. Cfr. inoltre gli ulteriori sviluppi pubblicati in: Id., La danza 2.0. Paesaggi coreografici del nuovo millennio, Laterza, Roma-Bari 2018; Eugenia Casini Ropa, Verso una nuova cultura della danza: il contributo dell’Università, in E. Cervellati, G. Taddeo (a cura di), La danza in Italia nel Novecento e oltre: teorie, pratiche, identità, atti del convegno (28-30 marzo 2019), Ephemeria, Macerata 2020, pp. 29-37.

11 Cfr. inoltre: Fiona Bannon, Dance: the Possibilities of a Discipline, «Research in Dance Education», 11 (2010), pp. 49-59; A.R. David, M. Huxley, S. Whatley (eds.), Dance Fields cit.; L. Guilbert et al. (dir.), Être chercheur en danse cit.

12 Cfr.: E. Casini Ropa, Verso una nuova cultura della danza cit., p. 32; H. Marquié, Regard rétrospectif sur les études en danse en France cit.; C. Nocilli, A. Pontremoli (a cura di), La disciplina coreologica in Europa cit. (in particolare M. Nordera, Sconfinamenti disciplinari e non cit., e Alessandro Pontremoli, Idee per una metodologia della ricerca coreologica, pp. 11-12; nonché le correlate riflessioni condivise da Rossella Mazzaglia nella recensione al volume pubblicata in «Danza e Ricerca», 1 (2011), pp. 193-200); Janet O’ Shea, Roots/Routes of Dance Studies, in A. Carter, J. O’ Shea (eds.), The Routledge Dance Studies Reader, Routledge, New York-Oxon 2010, pp. 1-16.

13 Cfr.: E. Casini Ropa, Note sulla nuova storiografia della danza cit.; Rachel Fensham, Research Methods and Problems, in S. Dodds (ed.) The Bloomsbury Companion to Dance Studies, Bloomsbury, London-New York 2019, pp. 35-78; Susanne Franco, Marina Nordera, Introduzione, in Eae. (a cura di), I discorsi della danza. Parole chiave per una metodologia della ricerca, atti del convegno (29 novembre-1 dicembre 2003), UTET, Torino 2005, pp. XI-XXIV; M. Franko (ed.), Dance, the Disciplines, and Interdisciplinarity cit. (oltre al già citato contributo di J.R. Giersdorf, anche Gay Morris, Dance Studies / Cultural Studies, pp. 82-100); A. Pontremoli, La danza 2.0 cit., p. 32 sgg.; Yutian Wong, Jens R. Giesdorf, Introduction, in Iis. (eds.), The Routledge Dance Studies Reader, Routledge, London-New York 2018; e, per un riesame critico del passaggio, cfr. J. O’ Shea, Roots/Routes of Dance Studies cit.

14 Alessandro Pontremoli, Greetings from Italy, in C. Nocilli, A. Pontremoli, Introduzione, in Iis. (a cura di), La disciplina coreologica in Europa cit., p. IX.

15 Cfr. Gabriele Brandstetter, Gabriele Klein, Dance [and] Theory. Introduction, in Iis. (eds.), Dance [and] Theory, atti del convegno (28-30 aprile 2011), Transcript, Bielefeld 2013, p. 11. E inoltre: Susanne Franco, Re-thinking Practice and Theory from an Italian Perspective, in Re-Thinking Practice and Theory / Repenser pratique et théorie, atti del convegno (21-24 giugno 2007), Society of Dance History Scholar, s.l. 2007, pp. 122-125; Ead., M. Nordera (a cura di), I discorsi della danza cit. (in special modo la già citata introduzione a firma delle curatrici); J.R. Giersdorf, Dance Studies in the International Academy cit.; M. Nordera, Sconfinamenti disciplinari e non cit., p. 179; Patrizia Veroli, Introduzione all’edizione italiana, in Mark Franko, Danza come testo. Ideologie del corpo barocco [1993], L’Epos, Palermo 2009, p. 13.

16 Rossella Mazzaglia, La disciplina coreologica in Europa cit., p. 193. I primi corsi di Storia del mimo e della danza – denominazione che conferma la singolare “filiazione” descritta – vengono attivati fra il 1991 e il 1992, rispettivamente all’Università della Calabria con Vito Di Bernardi e al Dams di Bologna con Eugenia Casini Ropa; cfr.: Ead., Note sulla nuova storiografia della danza cit.; Ead., Verso una nuova cultura della danza cit., p. 30; A. Pontremoli, “Il bel danzar che con virtù s’acquista...” cit.; Id., La danza 2.0 cit., p. 28 sgg.

17 Cfr. E. Casini Ropa, Verso una nuova cultura della danza cit., pp. 31-32. E inoltre: Silvia Carandini, Identità debole di una “danza teatrale italiana” nel Novecento? Diagnosi, varianti e persistenze, in E. Cervellati, G. Taddeo (a cura di), La danza in Italia nel Novecento e oltre cit., pp. 15-28; Danza e teatro. Storie, poetiche, pratiche e prospettive di ricerca, atti del convegno (24-25 settembre 2009), Bonanno, Acireale-Roma 2011; Stefano Tomassini, Entries on theory ossia l’armistizio dei libri, in F. Pedroni (a cura di), Identità e memoria. La generazione di mezzo: Bigonzetti, Cosimi, Horta, Maliphant, Preljocaj, Waltz, Teatro Municipale Valli, Reggio Emilia 2007, pp. 115-116..

18 Cfr.: Eugenia Casini Ropa, La danza e l’agitprop. I teatri non teatrali nella cultura tedesca del primo Novecento, Il Mulino, Bologna 1988; Ead. (a cura di), Alle origini della danza moderna cit.; Vito Di Bernardi, Introduzione allo studio del teatro indonesiano: Giava e Bali, La casa Usher, Firenze 1995; Alessandro Pontremoli, Patrizia La Rocca, Il ballare lombardo. Teoria e prassi coreutica nella festa di corte del XV secolo, Vita e Pensiero, Milano 1987; Iis., La danza a Venezia nel Rinascimento, Neri Pozza, Vicenza 1993.

19 V. Di Bernardi, Problemi di antropologia della danza. Tradizione e ricerca, in C. Nocilli, A. Pontremoli (a cura di), La disciplina coreologica in Europa cit., p. 260.

20 Non è questa la sede per ricostruire in dettaglio i processi di rinnovamento in corso nelle discipline dello spettacolo italiane nel secondo Novecento. Per un riscontro indicativo della rilevanza e della diffusione del tema storiografico in questione, cfr.: Fabrizio Cruciani, Lo spazio del teatro, Laterza, Roma-Bari 1992 (assieme alle riflessioni sui rapporti fra “ideologia teatrale” e “cultura materiale” in precedenza condivise con Ferdinando Taviani in «Quaderni di Teatro»); Umberto Artioli, Teorie della scena dal Naturalismo al Surrealismo. I. Dai Meininger a Craig, Sansoni, Firenze 1972 (per approfondimenti si rimanda nuovamente al mio La rifondazione degli studi teatrali in Italia, che ruota in gran parte proprio intorno all’argomento).

21 Cfr. Marvin Carlson, Introduction. Perspective on Performance: Germany and America, in Erika Fischer-Lichte, The Transformative Power of Performance: a New Aesthetics [2004], Routledge, London-New York 2008, p. 4.

22 Cfr., oltre ai riferimenti già menzionati: Vito Di Bernardi, Il teatro e la danza di Giava e Bali. La prospettiva interculturale degli studi italiani tra Antonin Artaud e Willi Rendra, «Biblioteca Teatrale», 104 (2012), pp. 129-142; Alessandro Pontremoli, Una testimonianza: il gruppo, la ricerca, la relazione, in Roberta Carpani, Laura Peja, Alessandro Pontremoli, Teatro e performance. Il contributo dell’Università Cattolica alla nascita della disciplina e al suo sviluppo. (Tavola rotonda) in A. Barzanò, C. Bearzot (a cura di), Cent’anni di ricerca umanistica in Università Cattolica: storia, temi, protagonisti, atti della Summer School 2021, EDUCatt, Milano 2022, pp. 45-50.

23 Cfr.: Mark Franko, Danza e politica: stati di eccezione, in S. Franco, M. Nordera (a cura di), I discorsi della danza cit., p. 18 sgg.; S. Tomassini, Entries on theory ossia l’armistizio dei libri cit., p. 122. E inoltre: Sherril Dodds (ed.) The Bloomsbury Companion to Dance Studies cit., p. 9; André Lepecki (ed.), Of the Presence of the Body. Essays on Dance and Performance Theory, Wesleyan University Press, Middletown 2004; J. O’ Shea, Roots/Routes of Dance Studies cit.

24 Per una possibile declinazione “continentale” di tali dicotomie teorico-metodologiche – comprese alcune potenziali prospettive ricompositive – cfr.: sempre all’interno del volume sui Discorsi della danza curato da Franco e Nordera, l’introduzione delle curatrici e Isabelle Ginot, L’identità, il contemporaneo e i danzatori, pp. 301-321; Rossella Mazzaglia, L’infanzia del gesto: prospettiva di ricerca e metodo storiografico, in Danza e teatro cit., pp. 179-193; Alessandro Pontremoli (a cura di), Drammaturgia della danza. Percorsi coreografici del secondo Novecento, EuresisEdizioni, Milano 1997.

25 Cfr.: S. Carandini, Identità debole di una “danza teatrale italiana” nel Novecento? cit.; E. Casini Ropa, Note sulla nuova storiografia della danza cit., p. 97; Elisa Guzzo Vaccarino, La postcritica. Riflessioni per una “critica della critica” dagli anni Ottanta a oggi, in E. Cervellati, G. Taddeo (a cura di), La danza in Italia nel Novecento e oltre cit., pp. 39-55; A. Pontremoli, “Il bel danzar che con virtù s’acquista...” cit., p. 130; Barbara Sparti, Patrizia Veroli, Dance Research in Italy, «Dance Research Journal», 2 (1995), pp. 73-77.

26 Cfr. Marco De Marinis, Capire il teatro. Lineamenti di una nuova teatrologia [1988], Bulzoni, Roma 2008, p. 71 sgg.; Helena Hammond, Dancing with Clio: History, Cultural Studies, Foucault, Phenomenology, and the Emergence of Dance Studies as a Disciplinary Practice, in A.R. David, M. Huxley, S. Whatley (eds.), Dance Fields cit., pp. 220-248; G. Morris, Dance Studies / Cultural Studies cit.

27 Cfr. rispettivamente e indicativamente: Marvin Carlson, Performance: A Critical Introduction [1996], Routledge, London-New York 2004; Susan Leigh Foster, New Areas of Inquiry, in S.J. Cohen (ed.), International Encyclopedia of Dance, vol. IV, Oxford University Press, New York 1998, pp. 376-379.

28 Cfr., per quanto riguarda la nuova coreologia italiana: E. Casini Ropa, Note sulla nuova storiografia della danza cit., p. 99; A. Pontremoli, Idee per una metodologia della ricerca coreologica cit., p. 13; Id., La danza 2.0 cit., p. 30.

29 Cfr.: Y. Wong, J.R. Giesdorf, Introduction cit.; Ferdinando Taviani, Lettera su una scienza dei teatri, «Teatro e Storia», 9 (1990), pp. 171-197.

30 Cfr. S. Franco, M. Nordera (a cura di), Ricordanze. Memoria in movimento e coreografie della storia, UTET, Torino 2010: il primo paragrafo del primo volume sistematico sull’argomento pubblicato in Italia s’intitola proprio Contro l’effimero.

31 A. Pontremoli, Idee per una metodologia della ricerca coreologica cit., p. 28 (un’ipotesi affine è presente fin da Il ballare lombardo (cit., cfr. p. 11), e, ancor più esplicitamente, nel successivo La danza a Venezia nel Rinascimento (cit., cfr. p. 5); Susanne Franco, Corpo-archivio: mappatura di una nozione tra incorporazione e pratica coreografica, «Ricerche di S/Confine», 5 (2019), p. 59 (oltre al volume Ricordanze cit.; al progetto Mnemedance, <www.mnemedance.com> (data ultima consultazione 28 ottobre 2023); e al più recente On Reenactment: Concepts, Methodologies, Tools, Accademia, Torino 2022, curato con Cristina Baldacci). Cfr. inoltre, per una ricognizione teorico-metodologica del campo in questione: Laure Guilbert, Brève historiographie de l’émergence des recherches en danse au sein de l’université française. Quel rôle pour l’histoire ? [2008], in Ead. et al. (dir.), Être chercheur en danse cit.; André Lepecki, Il corpo come archivio. Volontà di ri-mettere-in-azione e vita postuma delle danze [2010], «Mimesis Journal», 1 (2016), pp. 30-52; A. Pontremoli, La danza 2.0 cit., p. 32 e p. 57 sgg.; Id., Cataloghi, archivi… corpi, in P. Veroli (a cura di), Il libretto di ballo. Riflessioni storiche e teoriche in omaggio ad Alberto Testa, Piretti, Bologna 2017, pp. 91-96; S. Tomassini, Entries on theory ossia l’armistizio dei libri cit., p. 124 sgg.

32 Cfr. almeno: Raimondo Guarino, Il teatro nella storia, Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 62-65 (e inoltre Id., L’isola di Claudio Meldolesi. Sulla “microsocietà” e una storia a parte che diventa necessaria, «Teatro e Storia», 31 (2010), pp. 43-60); Richard Schechner, Sul recupero dei comportamenti passati [1981-83], in Id., La teoria della performance 1970-1983, Bulzoni, Roma 1984, pp. 213-301; Rebecca Schneider, Performing Remains: Art and War in Times of Theatrical Reenactment, Routledge, London-New York 2011; Diana Taylor, The Archive and the Repertoire: Performing Cultural Memories in the Americas, Duke University Press, Durham-London 2003 (e, inoltre, Fabrizio Deriu, Performatico. Teoria delle arti dinamiche, Bulzoni, Roma 2012, pp. 216-219).

33 Cfr.: Marina Nordera, Generi in corso. Note per storie ancora da scrivere, in S. Franco, M. Nordera (a cura di), I discorsi della danza cit., pp. 203-226; Barbara Sparti, «Oh, East is East, and West is West, and never the twain shall meet». La ricerca teorica e la pratica della danza storica: strade divergenti?, in C. Nocilli, A. Pontremoli (a cura di), La disciplina coreologica in Europa cit., pp. 153-168.

34 Per i rapporti fra la specifica matrice storica degli studi in danza in Italia e questo tipo d’approdo, cfr. E. Casini Ropa, Verso una nuova cultura della danza cit., pp. 33-34.

35 Cfr.: Janelle G. Reinelt, Joseph R. Roach, Preface to Second Edition, in Iis. (eds.), Critical Theory and Performance [1992], The University of Michigan Press, Ann Arbor 2007, pp. XI-XII; J. Enders (ed.), Theatre History in the New Millennium, «Theatre Survey», 2 (2004, soprattutto gli interventi di Carlson, Jackson, Postlewait e Roach); Shannon Jackson, Professing Performance. Theatre in the Academy from Philology to Performativity, Cambridge University Press, Cambridge 2004, pp. 146-175.

36 Cfr. almeno Peter Burke, Performing History: The Importance of Occasions, «Rethinking History», 9 (2005), pp. 35-52.

37 Cfr.: A. Carter, General Introduction cit., p. 9 sgg.; E. Casini Ropa, Note sulla nuova storiografia della danza cit. Più specificamente, per quanto concerne il rapporto fra la nascita della disciplina e il rinnovamento coreico in Italia dalla metà degli anni Ottanta, cfr.: E. Cervellati, Nuova coreologia italiana? cit., p. 283; E. Guzzo Vaccarino, La postcritica cit.; A. Pontremoli (a cura di), Ai confini della danza, «Comunicazioni Sociali», 4 (1999); Id., La danza 2.0 cit., p. 84 sgg.; Patrizia Veroli, Premessa, in A. Pontremoli, P. Veroli (a cura di), Passi, tracce, percorsi. Scritti sulla danza italiana in omaggio a José Sasportes, Aracne, Roma 2012, pp. 3-13.

38 A. Pontremoli, La danza 2.0 cit., p. IX (cfr. inoltre Id., Il possibile e il cambiamento. Trent’anni di danza contemporanea in Italia, in F. Acca, J. Lanteri (a cura di), Cantieri Extralarge. Quindici anni di danza d’autore in Italia 1995-2010, Editoria e Spettacolo, Roma 2011, pp. 115-136).

39 Cfr.: Giovanni Calendoli, Storia universale della danza, Mondadori, Milano 1985, pp. 8-10; Sisto Dalla Palma, Presentazione, in A. Pontremoli, P. La Rocca, Il ballare lombardo cit., pp. 1-6.

40 La dinamica non si manifesta solo in contesto italiano: cfr., per esempio, Jon McKenzie, Perform or Else: from Discipline to Performance, Routledge, London-New York 2001, che descrive il percorso dei Performance Studies statunitensi come una rideclinazione in termini di resistenza della loro originariamente “trasgressiva” logica dell’efficacia.

41 Cfr. François Cusset, French Theory. Foucault, Derrida, Deleuze & Co. all’assalto dell’America [2003], Il Saggiatore, Milano 2012.

42 Cesare Segre, La critica semiologica in Italia, «L’immaginazione», 121 (1995), p. 6 (cfr. inoltre Id., Una crisi anomala, in Id., Notizie dalla crisi. Dove va la critica letteraria?, Einaudi, Torino 1993, pp. 3-20).

43 Cfr. Marco De Marinis, Capire il teatro: per una semiotica storica come epistemologia delle discipline teatrali, «Versus», 33 (1982), pp. 111-130.

44 Cfr. Monica Jansen, Il dibattito sul postmoderno in Italia. In bilico tra dialettica e ambiguità, Cesati, Firenze 2002.

45 Per un inquadramento generale di tali fenomeni negli studi di arti performative, cfr. M. Shevtsova (ed.), Theatre and Interdisciplinarity, «Theatre Research International», 2 (2001, in particolare, oltre all’introduzione della curatrice, Sue-Ellen Case, Feminism and Performance: a post-disciplinary couple, pp. 145-152). E inoltre almeno: Antonio Attisani, L’invenzione del teatro. Fenomenologie e attori della ricerca, Bulzoni, Roma 2003, p. 75 sgg.; Josette Féral, Every Transaction Conjures a New Boundary, in J.G. Reinelt, J.R. Roach (eds.), Critical Theory and Performance cit., pp. 49-66; Jill Dolan, Geographies of Learning. Theory and Practice, Activism and Performance, Wesleyan University Press, Middletown 2001, pp. 65-91.

46 Cfr., nell’ordine: Claudio Meldolesi, Fondamenti del teatro italiano. La generazione dei registi [1984], Bulzoni, Roma 2008, pp. 3-7; Mirella Schino, Sul “ritardo” del teatro italiano, «Teatro e Storia», 4 (1988), pp. 51-72; S. Carandini, Identità debole di una “danza teatrale italiana” nel Novecento? cit.; A. Pontremoli, La danza 2.0 cit., p. 84 sgg.

47 M. Nordera, Sconfinamenti disciplinari e non cit. (a cui si rimanda anche per la visione esposta in questo paragrafo, cfr. p. 180); A. Pontremoli, “Il bel danzar che con virtù s’acquista...” cit., pp. 152-153; F. Acca, Scena anfibia e nuova danza cit.

48 Cfr. H. Marquié, Regard rétrospectif sur les études en danse en France cit.

49 A. Carter, General Introduction cit., p. 13. Cfr.: M. Franko (ed.), Dance, the Disciplines, and Interdisciplinarity cit.; L. Guilbert, Brève historiographie de l’émergence des recherches en danse cit.; S. Manning, J. Ross, R. Schneider (eds.), Futures of Dance Studies, The University of Wisconsin Press, Madison 2020; R. Mazzaglia, La disciplina coreologica in Europa cit.; M. Nordera, Sconfinamenti disciplinari e non cit., p. 170. Fra i molti esempi possibili, un indizio dell’attuale “nomadismo” o “dinamismo” degli studi in danza – come viene variamente definita tale qualità negli interventi menzionati – è la “incertezza terminologica” che li domina, per cui cfr. inoltre: E. Cervellati, Nuova coreologia italiana? cit.; C. Nocilli, A. Pontremoli (a cura di), La disciplina coreologica in Europa cit. (in particolare, oltre all’appena menzionato contributo di Marina Nordera, l’introduzione del curatore e l’intervento di José Sasportes, La storia al centro degli studi coreologici, pp. 195-206).

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Per citare questo articolo

Riferimento cartaceo

Roberta Ferraresi, «Per una “storia delle storie” della nascita degli studi in danza nell’università italiana fra pratiche di disciplinizzazione e tendenza agli sconfinamenti»Mimesis Journal, 12, 2 | 2023, 17-41.

Riferimento elettronico

Roberta Ferraresi, «Per una “storia delle storie” della nascita degli studi in danza nell’università italiana fra pratiche di disciplinizzazione e tendenza agli sconfinamenti»Mimesis Journal [Online], 12, 2 | 2023, Messo online il 01 janvier 2024, consultato il 17 mai 2025. URL: http://journals.openedition.org/mimesis/2780; DOI: https://doi.org/10.4000/mimesis.2780

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Autore

Roberta Ferraresi

È Professoressa associata in Discipline dello spettacolo presso il Dipartimento di Lettere, Lingue e Beni culturali dell’Università di Cagliari, dove insegna presso diversi Corsi di Studio della Facoltà di Studi umanistici. È membro del Comitato Editoriale della rivista “Mimesis Journal” e del Comitato scientifico dell’omonima collana pubblicata dai tipi di Accademia University Press. Collabora con il progetto Ormete - Oralità Memoria Teatro. I suoi temi di ricerca riguardano i movimenti poetici-politici di ripensamento delle arti performative nel Novecento e nel contemporaneo; la storia e gli sviluppi degli studi e della critica; la storiografia teatrale, anche nelle sue intersezioni con il web. Parallelamente al percorso accademico, da sempre coltiva un’operatività attiva nella scena contemporanea: occupandosi di critica su alcune riviste, fra cui “Doppiozero” e “La falena”; di politiche culturali-teatrali, prestando consulenza per vari enti pubblici (Regioni e MiC); di progetti di approfondimento, ricerca, formazione alla scrittura e alla spettatorialità, in collaborazione con alcune realtà teatrali italiane (Biennale di Venezia, Piccolo Teatro di Milano, Festival di Santarcangelo etc.).

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