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Saggi

Corporeità e processi di soggettivazione

Aspetti biopolitici delle pratiche coreografiche: Manzotti e Lombardo a confronto1
Corporeality and processes of subjectification: biopolitical aspects of choreographic practices
Irene Pipicelli
p. 143-157

Riassunto

The article intends to contribute to reconnecting the concept of biopolitics to the discourse on dance, both as a tool for the investigation of past eras and as a contribution to the analysis of practices in the present. After a brief survey of the concept, the article reviews some significant examples of dance theorists who have opened up this dialogue. The first two paragraphs lay the groundwork for the case study analysis of Luigi Manzotti’s trilogy consisting of Ballo Excelsior (1881), Amor (1886), Sport (1897), and its contemporary remediation by choreographer Salvo Lombardo.

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Testo integrale

  • 1 Ringrazio il gruppo di ricerca DAMS dell’Università degli Studi di Torino che, nell’ambito del pro (...)

«Après tout, le corps du danseur n’est-il pas justement un corps dilaté selon tout un espace qui lui est intérieur et extérieur à la fois?»
Michel Foucault, Le corps utopique, 1966

Gestione della vita e soggettivazione

  • 2 La biopolitica, definita da Foucault come il «modo con cui si è cercato, dal XVII secolo, di razio (...)
  • 3 Laura Bazzicalupo, Ambivalenze della biopolitica in Laura Bazzicalupo e Roberto Esposito (a cura d (...)

1Con il termine biopolitica, ripreso dalla tradizione foucaultiana si intende l’insieme dei dispositivi, dei discorsi e delle infrastrutture politiche che, a partire dalla nascita della società moderna, fa del suo centro primario di interesse la gestione della vita, la sua conservazione o dissipazione e la sua riproduzione.2 Nell’analisi di Foucault con il passaggio alla modernità e in stretta cooperazione con l’affermarsi del liberalismo si sfalda una concezione del potere legato alla sovranità imperniato sul monopolio della gestione della morte – il sovrano incarna colui che decide se sottrarre o mantenere la vita dei sudditi – e si passa a un modello che concepisce la vita dei cittadini come bene essenziale per l’avanzamento dello Stato: «nasce quel sociale, ibrido di pubblico e privato, affollato di gente che chiede protezione, sicurezza, governo e amministrazione, per produrre e riprodursi e quindi sopravvivere e, nella logica della vita, incrementare la vita stessa […] dunque politica come polizia e come benessere».3

  • 4 Roberto Esposito, Biopolitica, immunità, comunità, in Laura Bazzicalupo e Roberto Esposito (a cura (...)
  • 5 Roberto Esposito, Biopolitica, immunità, comunità cit., p. 130.

2Roberto Esposito definisce la biopolitica come un concetto pervaso da «inquietudine», 4 che nella stessa concettualizzazione foucaultiana attraversa diverse geografie e fluttuazioni. L’ambiguità e la potenzialità di adattamento a nuove letture ne sono costitutive e possiamo accedere a molteplici reinterpretazioni di tale concetto ancora capaci di interrogarci. La biopolitica, infatti, può essere intesa non solo come un tipo di potere soverchiante che annienta la potenzialità agentiva e di autodeterminazione dell’esistenza, ma come una rete a maglie strette di pratiche e istituzioni che ne ridefiniscono l’orizzonte. La corporeità, però, oppone nella sua materialità una resistenza, ed è proprio nel corpo che si radica la possibilità di sovvertire l’ordine biopolitico, oppure di immaginarsi, seguendo la proposta di Esposito, una «biopolitica affermativa»5 non come politica sulla vita, ma politica della vita. A partire dalla complessità e trasformatività dell’esperienza del vivente nelle sue molteplici manifestazioni, verso una politica di cui la vita sia soggetto anziché oggetto. È questo scarto che ci permette di individuare dinamiche critiche e sovversive, capaci di aprire nuovi scenari e immaginari. Questa trasformazione della politica, che per Foucault prende avvio con la modernità, è strettamente correlata alla nascita di un nuovo modello di Stato – o meglio, di nazione – di individuo e a una nuova relazione tra società e legge.

  • 6 Georges Vigarello, Le corps redresée. Histoire d’un pouvoir pédagogique, Editions du Félin, Paris (...)

3La storia della danza, in quanto forma organizzata e collettiva di espressione culturale attraverso la corporeità, si intreccia in modo interessante con la nascita e lo sviluppo della biopolitica, benché questo rapporto non sia ancora stato oggetto di un’indagine organica. Per provare a ricostruire una linea di contaminazione, l’articolo analizza come si incarna la relazione tra danza e biopolitica nel lavoro di Luigi Manzotti e nella sua ri-mediazione contemporanea proposta da Salvo Lombardo. L’apporto degli studi di danza intesi come strumento teorico originale per pensare la corporeità a partire da un paradigma non logocentrico e oculocentrico, ma profondamente corporeo è particolarmente fruttuoso per ripensare la biopolitica in modo complesso ed evocativo nella contemporaneità. L’aspetto più interessante per un’analisi che intenda prendere in considerazione le potenziali connessioni tra danza e biopolitica è l’importanza di quest’ultima nella strutturazione e irregimentazione delle corporeità. Infatti, la vita di cui la biopolitica si cura rappresenta un certo tipo di vita soggetta a una norma che si esprime attraverso dispositivi, infrastrutture, discorsi e pratiche. Il corpo, la sua vitalità, la sua mobilità, rappresentano l’oggetto di massima attenzione da parte della biopolitica che si dota di strategie per gestirla e direzionarla. Come messo in luce da Georges Vigarello, si tratta di un vero e proprio dressage della corporeità che prende le mosse ancor prima della nascita di un individuo e lo accompagna per tutta la sua esistenza.6 L’idea di dressage proposta dal filosofo francese è complementare alla biopolitica in quanto entra esplicitamente nella descrizione della manipolazione materiale del corpo attraverso pratiche e dispositivi, mostrando quali effetti, anche plastici, la dimensione di gestione della vita può avere nella storia della civilizzazione. Il teorico francese approfondisce magistralmente il ruolo di concetti come igiene, salute e postura nella cultura e nelle pratiche della modernità nell’ottica biopolitica, dimostrando come molti aspetti della quotidianità sociale e individuale siano stati catturati all’interno di questa riprogrammazione della corporeità nell’ottica di gestirla in modo più utile e produttivo.

4L’articolo intende riannodare il destino della biopolitica al discorso sulla danza come ambito di indagine, osservazione e pratica della corporeità nel suo apparire e svolgersi storico. Proprio per questa ragione biopolitica e danza possono parlarsi, dando luogo nell’incontro reciproco a nuove e originali contaminazioni. Nelle parole di Mark Franko:

  • 7 Mark Franko, Danza e politica: stati di eccezione, in Susanne Franco, Marina Nordera (a cura di), (...)

La consapevolezza stessa della storia politica trasmessa con il corpo ci permette di pensare il rapporto tra danza e politico in termini coreografici e, quindi, in una logica interna al movimento e alla sua performance. Il rapporto coreografico tra danza e politico diviene critico in relazione alla propria storia. In questo contesto, le metodologie di studio della danza e della politica potrebbero essere interpretate in chiave interdisciplinare».7

5A partire dalle esperienze contemporanee, che fanno della riflessione politica sul corpo una delle proprie direttrici fondamentali, è possibile dare spazio a quella rinegoziazione affermativa o critica di una politica della vita.

Coreografia e biopolitica: un dialogo

  • 8 Per un approfondimento sul rapporto tra filosofia e danza sull’idea di corporeità e corpo cfr. Ale (...)
  • 9 Sulla nozione di territorio vedi anche Michel Foucault, Sécurité, territoire, population: cours au (...)
  • 10 Cfr. Roberto Esposito, Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi, Torino 1998; Id., Im (...)
  • 11 Stefan Apostolou-Holscher, Dance Today: Between Biopower and Biopolitics, «Maska», 29, 165-168 (20 (...)

6Riprendendo Esposito, una politica della vita intesa come una biopolitica affermativa integra un’ispirazione spinoziana: una continua rinuncia al potere che rimanda alla vita organica, per esempio quella del corpo, dove ogni parte si associa armonicamente nel tutto.8 Da qui proviene la dialettica tra comunità e immunità che caratterizza questa visione del potere e si esprime relativamente a un territorio, ovvero uno spazio – fisico o simbolico – che si autodelimita regolandosi attraverso norme che contribuiscono a farlo perdurare come unità.9 Ogni territorio che abbia una delimitazione che si riconosce come propria, separa due forme di vita: la nuda vita e la vita politica. L’ultima è proprio quella che descrive la remissione del potere di una singola parte a vantaggio del tutto organico. In questo panorama, a partire dagli spunti del teorico Stefan Apostolou-Holscher, possiamo parlare di danza e coreografia come pratiche che partecipano nella costruzione di forme di relazione tra corpi attraverso i concetti di comunità e immunità, contrapponendo una politica immunitaria sulla vita e una politica comunitaria della vita.10 La coreografia rappresenta «a set of rules framing the dancing bodies and as such operating like the law in sovereign power. Taken literally, choreo-graphy is the inscription of codes and their meanings into spaces in order to define them as a choerent territory».11

7Dalla sua creazione nel 1661, la danza accademica con la metodologia di produzione coreografica e di insegnamento formalizzata da Luigi XIV era esplicitamente parte della dimensione normativa della corte francese che comportava la prescrizione di un certo tipo di comportamenti e di corporeità e allo stesso tempo rappresentava una precisa idea di relazione con il territorio e con la sovranità. Nelle parole del coreografo e trattatista francese Raoul-Auger Feuillet, a cui dobbiamo proprio la prima trascrizione dei movimenti della danza accademica, secondo Apostolou-Holscher, è possibile cogliere quella spinta caratteristica della biopolitica: l’imprimersi del potere su una materia viva, pronta a cogliere impartizioni e posture, e ad adattarsi alle forme proposte dal potere sovrano. La coreografia è quindi pensata come una pratica attiva che si iscrive su una materia viva, ma considerata inerte, che deve essere formata per produrre significato.

  • 12 Stefan Apostolou-Holscher, Dance Today: Between Biopower and Biopolitics cit., p. 159.

in Feuillet an individual body’s life is nothing but a derivative of its choreographic protection. Representing and continuously reharsing the sovereign order at the court of Luis XIV, the dancing body is considered to have no capacity of its own and no faculties that might escape its overcoding through the rules set forth in the dance book. The dancers shall merge entirely with the law that is given to them by choreography’s écriture. In Feuillet, there is no indication of determinable bodies, there are no bodily potentials, and everybody is completely determined by the sovereignty of the steps, tracts and positions written down as a prescription in the dance book.12

  • 13 L’autore prosegue la sua analisi sul rapporto tra danza e biopolitica fino alla contemporaneità, c (...)
  • 14 «La danza teatrale occidentale ha inizio nella sfera politica. Il teatro di stato seicentesco si c (...)
  • 15 Ivi, p. 7.
  • 16 Ibid.

8In scritture successive sulla danza è possibile rintracciare una crescente attenzione verso la vitalità del corpo, cambiamenti culturali che ricalcano quello che per Foucault rappresenta il passaggio alla piena governamentalità della vita. In particolare, guardando a Jean Georges Noverre, Apostolou-Holscher suggerisce che nell’ambito della disciplina della danza la vitalità del corpo ricompaia come forza fondamentale di cui la coreografia può nutrirsi.13 Il rapporto tra danza e politica può dunque rappresentare un ambito rivelatore per il discorso sulla danza.14 Mark Franko nota come nella storia della danza sia possibile rintracciare alcuni momenti nodali nell’incontro con la dimensione politica, delle «circostanze congiunturali [...] in cui forme di movimento e vita sociopolitica si configurano simultaneamente, seppure in maniera apparentemente indipendente».15 Uno di questi momenti può essere identificato con il passaggio storico che vede la creazione degli Stati-nazione europei e l’espansione coloniale. In questo frangente «la danza è stata usata per proiettare e plasmare immagini della monarchia e di identità nazionali, identità razziali, identità ritualizzate e identità di genere. […]il corpo in movimento divenne la pietra di paragone in termini coreografici dell’identità nazionale. I coreografi cercarono temi e materiali che celebrassero l’identità nazionale in tipologie fisiche e qualità particolari di energia e risolutezza, tutte costruite con connotazioni razziali».16

  • 17 Franko individua un terzo modo della danza, che è quello della protesta come forma di resistenza. (...)
  • 18 Cfr. Michel Foucault, L’archéologie du savoir, Gallimard, Paris 1969 [L’archeologia del sapere, tr (...)

9Franko individua due comportamenti contrapposti della danza come pratica che si relaziona con la politica: normativo o sovversivo o, come li chiama l’autore, di persuasione ideologica o decostruzione.17 La danza come pratica critica fa un’operazione riflessiva di decostruzione della corporeità: pone delle domande sul corpo e sulle sue potenzialità, anche ri-abitando opere del passato. Non è possibile separare le pratiche coreografiche dalle conformazioni sociali delle comunità all’interno delle quali vengono create e fatte circolare e a questo è necessario aggiungere un livello di analisi che riguarda le tecniche e i protocolli di dressage del corpo alle quali le persone danzanti vengono sottoposte nelle diverse epoche. Franko propone di pensare al passato nei termini di «genealogie foucaultiane». Attraverso l’idea di archeologia prima e genealogia poi Foucault individua una modalità di attingere alla storia in un senso non lineare e teleologico che prenda in conto la natura patica, dinamica e contestuale.18 Lavorare genealogicamente o archeologicamente sul binomio passato e danza consente di pensare alla citabilità della storia, a una sua potenziale espansione e riattivazione. Questo avviene in particolar modo attraverso la pratica del re-enactment o della rimediazione, come vedremo nel prossimo paragrafo.

  • 19 Oltre alla produzione teorica di Mark Franko a cui si è già fatto riferimento, si rimanda a titolo (...)
  • 20 Mark Franko, Archaeological choreographic practices: Foucault and Forsythe, «History of the Human (...)

10Foucault non parla direttamente della danza come forma di disciplinamento del corpo, ma influenza la danza attraverso il recupero della sua filosofia da parte degli studi di danza e in particolare della riflessione sulla corporeità.19 Con disciplina nel pensiero foucaultiano si indica un ampio ventaglio di oggetti e significati che vanno dalle pratiche di allenamento e addestramento fisiche (comprendendo perfino la scrittura come pratica collettivamente organizzata) fino alle scienze come spazi occupati dai discorsi e che operano in modo disciplinante. Con Foucault per “discorso” intendiamo sempre anche una pratica, qualcosa che ha il potere di creare e distruggere: un fare che ha degli effetti materiali sulla realtà. Il discorso come qualcosa che si fa, si abita, agisce e si agisce: un elemento performativo. Si tratta di un insieme di dispositivi e pratiche che imbrigliano la potenza vitale del corpo per utilizzarla, mediarla e gestirla. Il pensiero di Foucault sul corpo e sul disciplinamento è stato significativo per il lavoro di divers* coreograf* contemporane*. Si tratta di leggere il discorso coreografico in quello teoretico e viceversa.20 In particolare, si riconduce il rapporto tra biopolitica e danza alla nascita della danza accademica per la sua collocazione storica e per il suo modo di intendere e produrre un certo tipo di corporeità. Franko si concentra sul lavoro di William Forsythe, coreografo statunitense, il quale rappresenta per l’autore l’emblema della ripresa di una biopolitica affermativa nel contesto della danza contemporanea. Il coreografo infatti tratta la danza accademica come una disciplina (in senso foucaultiano) e lavora all’interno di essa. Si tratta di un punto di partenza con il quale confrontarsi produttivamente, non con un’ideologia statica e rigida: con un discorso che imbriglia la materialità del corpo. In questo senso, Franko parla di consapevolezza storica che garantisce la possibilità di accedere ai diversi livelli di significazione della danza accademica e uscire da una concezione normativa, ideologica o conservazionista.

  • 21 Ibid.
  • 22 Ivi, p. 99.
  • 23 Cfr. Alessandro Pontremoli, La danza 2.0. Paesaggi coreografici del nuovo millennio, Laterza, Bari (...)
  • 24 Mark Franko, Archaeological choreographic practices: Foucault and Forsythe cit., p. 99.
  • 25 Ivi, p. 100.

11Secondo Franko la danza accademica è paradigmatica di come emergono e funzionano le discipline in senso foucaultiano nel XVIII secolo, nonostante il filosofo non ne parli mai: «Ballet, indeed, is that art of the body whose historical advent in the classical age is a model for all the others, and which Foucault passes over in silence».21 Il corpo si trova preso in un campo politico, le maglie del potere lo riguardano da vicino e lo avvincono in modalità molteplici. «For Foucault, power inscribes its effect on the body, and for dance scholars influenced by Foucault, choreography (and, to a lesser degree, technique) is the prototype of that inscription».22 La coreografia per Forsythe rappresenta la morsa di una tecnica sul desiderio della danza e va ripensata come forma di presa in carico dell’insieme delle libertà danzanti delle persone presenti sul palco. Foucault non si è occupato della danza, ma la danza si è sicuramente occupata di lui e della sua concezione biopolitica. Infatti, la riflessione sulla gestualità e sulla stratificazione del disciplinamento corporeo che comprende l’affinare alcune serie di movimenti ad uso sociale e collettivo, per esprimere un insieme di significati condivisi è intimamente connessa all’idea di coreografia e di danza.23 Foucault, come molti pensatori occidentali è vittima di un pregiudizio logocentrico che riduce il corpo alla parola. Parlando in termini disciplinari della scrittura: «The analysis of the act of writing provides insight into dance where the body itself is the disciplinary subject, and its gesture the apparatus of production, an idea that is already implicit in the relationship Foucault evokes between the body and its gesture as definitive for a “well-disciplined body” in the act of writing. The body is gesture’s host, as it were, so that an art of the body would require a stabilizing platform or stage for gesture’s emergence».24 Secondo Franko, questo tipo di descrizione della preparazione disciplinare del corpo alla scrittura risuona con l’estetica della danza classica. Si può qui recuperare la nozione di dressage concepita da Georges Vigarello nella descrizione del ruolo della verticalità della postura umana nella storia della nostra civilizzazione. Il corpo è il luogo materiale nel quale si iscrive la legge, come processo di un addestramento che ha anche delle declinazioni etiche ed estetiche, il che ci porta nuovamente alla danza e a Forsythe, il cui ambito di ricerca è «the organization of the human body as an art form».25 Il sistema di studio di Forsythe per indagare la danza accademica è proprio quello di lavorare con danzator* che hanno avuto una formazione classica, soggetti sui quali questo disciplinamento si esprime in maniera più completa e vivida. Il coreografo descrive la sua pratica come una forma di manipolazione della conoscenza pregressa dell* danzator*. Allo stesso modo, una tecnica di danza non è solo una forma di disciplinamento del corpo, ma è anche un insieme di saperi che predispongono una precisa concezione dello spazio e del tempo, del movimento e della relazione:

  • 26 Ibid.

their knowledge is inscribed in their bodies, yet they are also led to take their own bodies as objects of transformable knowledge and language as material for different arrangements of corporeality. This is properly the (new) role of the choreographer, and the new shape of choreography. Forsythe’s curation of the dancer’s body takes that body out of the carceral condition of discipline and into culturally generative field of creative activity.26

12Così Forsythe può rappresentare il passaggio tra una politica sulla vita a una politica della vita, come immaginata da Esposito, un passaggio dal disciplinamento alla sovversione, dall’iscrizione al gioco creativo.

  • 27 Questo aspetto verrà parzialmente colmato dalla rilettura butleriana di Foucault con l’idea di per (...)
  • 28 Mark Franko, Archaeological choreographic practices cit., p. 108.
  • 29 Ciò che emerge dall’analisi del lavoro di Forsythe proposta da Franko, nonostante non sia messo in (...)

13In Foucault c’è poco accento sulle potenzialità agentive del corpo nel ricomporsi sovversivamente o in contrapposizione rispetto alla disposizione biopolitica: 27 la possibilità, vista da Franko nell’integrare l’analisi coreografica nel quadro della biopolitica permette di considerare altri aspetti e strategie attraverso cui la corporeità riguadagna spazio di agentività. La proposta di Franko è quella di pensare il corpo come un medium per uscire dall’ambiguità in cui Foucault si trova preso, cioè di concepire il corpo a un tempo come entità biologica pre-discorsiva e come luogo dove si deposita la storicità: «the body as medium emerges here as an aesthetic positivity or sensuous practice».28 Non si tratta di immaginare una corporeità utopisticamente sciolta dal disciplinamento, ma, a partire dalla capacità della materialità viva e agentiva del corpo, di rispondere in modo inatteso al disciplinamento e aprire uno spazio impensato e caotico dove riorganizzare parzialmente la corporeità e le relazioni tra i corpi.29

Manzotti e Lombardo: consapevolezza storica e coreografia

  • 30 Sergia Adamo, Dancing for the World: Articulating the National and the Global in the Ballo Excelsi (...)
  • 31 Mark Franko, Danza e politica: stati di eccezione cit., p. 14.
  • 32 Franko riconduce direttamente i processi di soggettivazione alle rappresentazioni coreografiche: « (...)
  • 33 Per uno studio approfondito sul Ballo Excelsior cfr. Flavia Pappacena (a cura di), Excelsior. Docu (...)

14La coreografia come abbiamo visto può incarnare proprio la disciplina emblematica dell’ri-organizzazione politica sulla corporeità, in quanto pratica di organizzazione e pianificazione del movimento e delle affettività del corpo, della relazione tra corpi, spazio e tempo. Per approfondire il rapporto tra danza e biopolitica nel suo aspetto disciplinante/negativo o nella sua potenzialità sovversiva/affermativa, emblematico è il caso della trilogia di balli scritta da Luigi Manzotti e musicata da Romualdo Marenco alla fine del XIX secolo e della sua ripresa ri-mediata da parte del coreografo contemporaneo Salvo Lombardo. La trilogia è composta da Ballo Excelsior (1881), Amor (1886), e Sport (1897), il cui spettacolo di apertura viene descritto da Sergia Adamo come «one of the most popular Italian nineteenth-century cultural artifacs».30 La trilogia incarna un dispositivo di produzione e circolazione di soggettività, con un impeto prescrittivo diretto al pubblico sia per quanto riguarda la corporeità vera e propria, sia in riferimento alle caratteristiche identitarie che riguardano la razza e il genere, connesse a un afflato nazionalista “necessario” alla neonata Italia. Secondo Franko «Quando parliamo di danza e politica, parliamo del potere che ha la danza di fare e disfare le identità. Poiché la danza plasma il corpo e il suo modo di muoversi, essa non può che proporre modelli di soggettività in un senso affermativo o negativo».31 La trilogia manzottiana, attraverso la rappresentazione performativa, suggerisce un certo tipo di soggettivazione,32 secondo le declinazioni specifiche di ogni spettacolo – nel caso del Ballo Excelsior attraverso la celebrazione del progresso, mostrando i successi tecnologici italiani e le conquiste coloniali con la ripresa della logica celebrativa delle esposizioni universali; con Amor attraverso la ricostruzione di una genealogia dell’identità italiana che risale alla romanità classica, ponendosi come standard della cultura; con Sport attraverso l’esaltazione della classe borghese, dei suoi valori e delle sue attività grazie alle pratiche sportive come elemento disciplinante del corpo in senso morale.33

  • 34 Sergia Adamo, Dancing for the World cit., p. 144.
  • 35 Mark Franko, Danza e politica: stati di eccezione cit., p. 28.

15Si trattava di opere che ambivano a una dimensione monumentale e celebrativa, servendosi di imponenti scenografie e di scene che vedevano coinvolti grandi gruppi di danzator*. Tali scelte vengono ricondotte da Adamo, nella sua analisi del Ballo Excelsior, proprio alla volontà di produrre un dispositivo di coinvolgimento delle masse attraverso lo spettacolo, funzionale alla costruzione di una identità nazionale forte, fondata sul progresso e sulla superiorità culturale dell’italianità sulle altre nazioni.34 «La rappresentazione della realtà politica è ciò che ci permette di capire l’estetica proprio come forma di comprensione storica. Il potere non può agire fuori dal campo della rappresentazione, e la rappresentazione (con tutte le sue crisi) è materia estetica»,35 dunque anche le rappresentazioni danzate partecipano, come abbiamo visto, nella più ampia operazione di disciplinamento del sentire volta a costruire il “cittadino italiano”: proprio come sottolineato da Foucault, a un processo di individualizzazione si accompagna la creazione di una identità collettiva fondata sulla nazione.

  • 36 Ivi, p.12.
  • 37 Mark Franko, “Introduction: The Power of Recall in a Post-Ephemeral Era, in Id. (a cura di), The O (...)

16Un esempio che nel contemporaneo testimonia il tentativo di affondare le mani nella storia della danza per recuperarne un segmento criticamente è la trilogia del danzatore e coreografo Salvo Lombardo composta da Excelsior (2020), AMOЯ (2022) e Sport (titolo provvisorio) (2023) che ricalca la trilogia manzottiana. Si tratta di una operazione archeologica, nel senso foucaultiano: volgere lo sguardo al passato per richiamarlo a un nuovo impatto con il presente che possa fare emergere significati inattesi. Mark Franko, citando ad esempio le rimesse in scena di Le Sagre du Printemps ad opera di Pina Bausch e del Lago dei Cigni di Matthew Bourne, nota come in certi casi «la presenza di un’opera del passato [può] funzionare da contrasto per una rielaborazione delle potenzialità politiche non realizzate nell’originale».36 Questa possibilità diventa ancora più concreta, dirompente e consapevole nel caso di re-enactment, rimessa in azione e ri-mediazione: pratiche attraverso le quali il legame tra danza e storiografia diventa più saliente. Incarnano direttamente la possibilità di usare la danza stessa come forma e metodo di produzione della storia: la coreografia come espressione non logocentrica dell’indagine storica. Le corporeità, in quanto elementi stratificati prodotti da molteplici “scritture”, risuonano con il farsi della storia e interagiscono con essa attivamente partecipando al coro delle storiografie diagonalmente. Attraverso il re-enactment un’opera si riattiva nel presente, dando la possibilità a nuovi strati di significato di riemergere: strati che non erano disponibili o accessibili nel momento in cui l’opera è stata creata, significati che interagiscono con la biografia dell’opera e possono quindi emergere solo a un certo punto. Attraverso una temporanea ma radicale sovrapposizione di temporalità diverse, caratteristica propria del danced re-enactment, «the notion of historical time as chronicle time becomes destabilized by an uncertain historicity hinging on gesture. One of the allmarks of dances reenactments is that historicity is always invested in complex temporalities whose modalities are those of spatiality rather than narrative».37 Il tempo lineare diventa un tempo “incerto” che si poggia sulla gestualità. Si tratta di una storicità fatta di temporalità complesse che riemerge attraverso linee spaziali (cioè coreografiche, appunto) invece che narrative.

17Salvo Lombardo recupera come spunto e pungolo la trilogia di Manzotti attivando processi creativi e di ricerca differenti per ognuna delle tre opere. Se in Excelsior è ancora possibile rintracciare, benché sporadici, prestiti e citazioni semi letterali dalla coreografia del Gran Ballo tardottocentesco, in AMOЯ e Sport il processo creativo e storiografico si è quasi del tutto spostato sul contesto socioculturale dal quale l’opera di Manzotti emergeva. A partire da questo incipit le opere si sviluppano in particolare nel caso di AMOЯ sulla fenomenologia del potere in relazione alla classicità, ponendo il corpo come elemento che ne mostra i segni rendendolo manifesto; nel caso di Sport sulla relazione tra danza dimensione sportiva alla luce dell’atto performativo, al tempo stesso simile e dissimile, e sulla performatività come imperativo che istruisce e condiziona le corporeità.

  • 38 Giulia Grechi, Rovesciare l’archivio: Excelsior, l’esemplare capovolto, in Decolonizzare il museo. (...)
  • 39 Ivi, p. 247.

18Descrivendo l’esperienza della visione di Excelsior, la studiosa Giulia Grechi evoca l’immagine dell’archivio: si tratta della convocazione di molteplici archivi della nostra cultura e civilizzazione, analisi che può essere estesa all’intera trilogia di Lombardo. Il coreografo attinge a materiali disparati per ricostruire immagini e immaginari, proponendo al tempo «il doppio e il capovolgimento di quell’archivio, il suo rovesciamento (come l’immagine dello specchio), come un enorme “cassetto svuotatasche” della memoria e dell’identità, ma contemporaneamente è il riuso di quell’archivio come strumento, dispositivo, gesto desiderante».38 Lombardo definisce appunto il suo Excelsior come «un tentativo di ri-mediazione culturale della sua matrice classica»; «un dispositivo scenico di ri-emergenze»39 che intrattiene con la sua origine, il Ballo Excelsior, un rapporto ricco di tensioni. Vi è dunque, seguendo Foucault, un esplicito rapporto archeologico tra il Ballo Excelsior e il suo rovesciamento che coinvolge, mettendo in risonanza, nella società italiana contemporanea una serie di aspetti costitutivi della costruzione ideologica dell’italianità presente nell’opera di Manzotti. L’archeologia, messa in atto attraverso la ri-mediazione, sperimentata con Excelsior e poi riproposta nelle due opere successive, costituisce una metodologia di produzione storiografica, una storia che viene dal corpo e al corpo ritorna. Una storia che emerge dalla complicità tra forme di linguaggio differenti e dall’andirivieni tra diverse temporalità.

  • 40 Ivi, p. 254.

19La trilogia di Manzotti mostra come la danza entri a pieno titolo in un programma ideologico normativo che incarna un processo di soggettivazione del cittadino italiano. La forma collettiva e magniloquente di questo genere di balli, che impiegavano scenografie imponenti e grandi masse di ballerin* proprio al fine di impressionare il pubblico e aumentare la percezione di coinvolgimento, si presta non solo ad illustrare, ma proprio ad incarnare l’immagine di una nuova civiltà: il ruolo dell’italianità tra le grandi nazioni che guidano il progresso culturale e scientifico mondiale; il luminoso destino della nazione italiana profeticamente riannodato alla sua supposta radice nella romanità classica; le istanze dell’emergente classe borghese legate all’esigenza di una corporeità sana e igienica, pronta a ben servire lo Stato. Giulia Grechi sottolinea come il potere usi il corpo per riprodurre se stesso, attraverso la circolazione di una serie di «coreografie gestuali normative […]. Così un certo sapere egemonico viene ri-prodotto attraverso una serie di rituali (atteggiamenti, gesti, abitudini che sono anche delle “predisposizioni affettive”), e attraverso la performatività dei corpi che li mettono in scena».40 Nella ri-mediazione di Lombardo l’aspetto ideologico che informa le corporeità presenti in scena si esplicita e diventa materiale concettuale e coreografico per costruire un nuovo spazio spettacolare dove i corpi de* danzator* agiscono sulle complesse dinamiche attraverso le quali una certa corporeità appare come naturale e sugli aspetti gestuali, patici e affettivi che contribuiscono a prescrivere processi di soggettivazione. Quello che il coreografo propone è quindi un esercizio coreografico di lettura attraverso il quale far emergere la natura biopolitica della rappresentazione, svelandone il carattere ideologico e aprendo nuove possibilità per riaffermarle le potenzialità creative della corporeità.

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Note

1 Ringrazio il gruppo di ricerca DAMS dell’Università degli Studi di Torino che, nell’ambito del progetto Laboratorio Excelsior. Ricerca e coreografia su identità, potere e nazione, ha nutrito le riflessioni che compongono questo articolo.

2 La biopolitica, definita da Foucault come il «modo con cui si è cercato, dal XVII secolo, di razionalizzare i problemi posti alla pratica governamentale dai fenomeni specifici di un insieme di esseri viventi costituiti in popolazione: salute, igiene, natalità, longevità, razze», ha avuto una fortuna teorica ampia. Alcune delle riletture più note sono quella del filosofo Giorgio Agamben, incentrata sul potere soverchiante e legata al concetto di «nuda vita» e quella di Toni Negri che rivaluta la capacità di resistenza espressa da forme collettive e legata al concetto di «moltitudine». Cfr. Michel Foucault, Naissance de la biopolitique: cours au Collège de France (1978-1979), Gallimard, Paris 2004 [Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), trad. it. Mauro Bertani, Valeria Zini, Feltrinelli, Milano 2005, p. 261]; Giorgio Agamben, Homo sacer: il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 2005; Toni Negri, Michael Hardt, Empire, Harvard University Press, Cambridge (MA) 2000 [Impero: il nuovo ordine della globalizzazione, trad. it. e cura di Alessandro Pandolfi, Daniele Didero, Rizzoli, Milano 2002]; Iid., Multitude: War and Democracy in the Age of Empire, Penguin Books, London 2004 [Moltitudine: guerra e democrazia nel nuovo ordine imperiale, trad. it. e cura di Alessandro Pandolfi, Rizzoli, Milano 2004].

3 Laura Bazzicalupo, Ambivalenze della biopolitica in Laura Bazzicalupo e Roberto Esposito (a cura di), Politica della vita, Laterza, Bari-Roma 2003, pp.134-144, p. 137.

4 Roberto Esposito, Biopolitica, immunità, comunità, in Laura Bazzicalupo e Roberto Esposito (a cura di), Politica della vita, cit., pp.123-133, p. 123.

5 Roberto Esposito, Biopolitica, immunità, comunità cit., p. 130.

6 Georges Vigarello, Le corps redresée. Histoire d’un pouvoir pédagogique, Editions du Félin, Paris 2018.

7 Mark Franko, Danza e politica: stati di eccezione, in Susanne Franco, Marina Nordera (a cura di), I discorsi della danza. Parole chiave per una metodologia della danza, UTET, Torino 2005, pp. 5-29, pp. 28-29.

8 Per un approfondimento sul rapporto tra filosofia e danza sull’idea di corporeità e corpo cfr. Alessandro Pontremoli, La danza. Storia, teoria, estetica nel Novecento, Laterza, Bari-Roma 2004, in particolare pp. 32-61. Di particolare interesse per una decostruzione dell’idea di corporeità che sia anti-logocentrica e anti-oculocentrica cfr. Michel Bernard, De la corporeité fictionnaire, «Revue Internationale de Philosophie», 56, 222 (2002), pp. 523-534.

9 Sulla nozione di territorio vedi anche Michel Foucault, Sécurité, territoire, population: cours au Collège de France (1977-1978), Gallimard, Paris 2004 [Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France 1977-1978, trad. it. Paolo Napoli, Feltrinelli, Milano 2005].

10 Cfr. Roberto Esposito, Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi, Torino 1998; Id., Immunitas. Protezione e negazione della vita, Einaudi, Torino 2002.

11 Stefan Apostolou-Holscher, Dance Today: Between Biopower and Biopolitics, «Maska», 29, 165-168 (2014), pp. 154-161, p. 159.

12 Stefan Apostolou-Holscher, Dance Today: Between Biopower and Biopolitics cit., p. 159.

13 L’autore prosegue la sua analisi sul rapporto tra danza e biopolitica fino alla contemporaneità, citando le coreografie di Xavier le Roy e Mette Ingvarsten come esempi di coreografia con corpi postumani, nei quali individua la capacità di resistenza e di agentività comunitaria suggerite da Esposito per una biopolitica affermativa : «we are confronted with monstrous, effervescent bodies, bodies that do not fit anymore into an organism, bodies that are not framed by their contour, may it be that of political or libidinal framed by their contour, may it be that of political or libidinal economy. They express a released life, a life that is no longer dominated by sovereign forms but acts itself as a bearer of ever new potential forms. […] while biopower tries to integrate the body into its calculus, producing new regimes of sovereign choreography excluding the individual body’s singular capacities and faculties again, dance as affirmative biopolitics inscribes a life into the unified life and therefore renders its organism inorganic. The inorganic is exactly what might be called a communitary potential in contrast to the new immunitary tendencies of biopower nowadays»: Stefan Apostolou-Holscher, Dance Today: Between Biopower and Biopolitics cit., pp. 160-161.

14 «La danza teatrale occidentale ha inizio nella sfera politica. Il teatro di stato seicentesco si chiama così perché in esso le azioni reali del teatro avevano un significato politico diretto. È un luogo comune che i balletti di corte, in particolare quelli francesi, rispecchiassero le manovre diplomatiche e le mete ideologiche della monarchia. Al centro di questi mezzi di comunicazione della prima età moderna, dai quali emana il controllo sul territorio dei primi stati nazionali, c’è il corpo stesso del re: un luogo privilegiato di interazione tra danza e potere»: Mark Franko, Danza e politica: stati di eccezione cit., p. 20.

15 Ivi, p. 7.

16 Ibid.

17 Franko individua un terzo modo della danza, che è quello della protesta come forma di resistenza. In questo senso, attraverso un’analisi micrologica possiamo individuare momenti in cui la danza funziona in modo strettamente politico, faccio riferimento alle analisi di Susan Leigh Foster e di André Lepecki. Cfr. Susan Leigh Foster, Choreographies of Protest, «Theatre Journal», 55, 3 (2003), pp. 395-412; André Lepecki, Choreopolice and Choreopolitics, «TDR: The Drama Review», 57, 4 (2013), pp. 14-27.

18 Cfr. Michel Foucault, L’archéologie du savoir, Gallimard, Paris 1969 [L’archeologia del sapere, trad. it. Giovanni Bogliolo, Rizzoli, Milano 1971]; Id, Nietzsche, la genealogia, la storia, in Il discorso, la storia, la verità. Interventi 1969-1984, a cura di Mario Bertani, Einaudi, Torino 2001, pp. 43-64.

19 Oltre alla produzione teorica di Mark Franko a cui si è già fatto riferimento, si rimanda a titolo di esempio agli scritti di Susan Leigh Foster e Ramsay Burt. Cfr. Susan L. Foster, Choreographing History, in Ead. (a cura di), Choreographing History, Indiana University Press, Bloomington 1995, pp. 3-21; Ramsay Burt, Memory, Repetition and Critical Intervention. The Politics of Historical Reference in Recent European Dance Performance, «Performance Research», 8, 2 (2003), pp. 34-41; Id., Genealogy and Dance History: Foucault, Rainer, Bausch, and de Keersmaeker, in André Lepecki (a cura di), Of the Presence of the Body: Essays on Dance and Performance Theory, Wesleyan University, Middletown 2004, pp. 29-46; Id., Ungoverning Dance. Contemporary European Theatre Dance and the Commons, Oxford University Press, Oxford 2017, in particolare pp. 1-30.

20 Mark Franko, Archaeological choreographic practices: Foucault and Forsythe, «History of the Human Sciences», 24, 4 (2011), pp. 97-112, p. 98.

21 Ibid.

22 Ivi, p. 99.

23 Cfr. Alessandro Pontremoli, La danza 2.0. Paesaggi coreografici del nuovo millennio, Laterza, Bari-Roma 2018.

24 Mark Franko, Archaeological choreographic practices: Foucault and Forsythe cit., p. 99.

25 Ivi, p. 100.

26 Ibid.

27 Questo aspetto verrà parzialmente colmato dalla rilettura butleriana di Foucault con l’idea di performatività. Anche in questo caso però verrà messo in luce, significativamente dalle teoriche femministe neomaterialiste, come nonostante venga riconosciuto un maggior spazio di sovversione e un campo per rigiocare le norme in un senso che resiste al dispositivo, la corporeità rimane in secondo piano rispetto alla dimensione ancora decisamente logocentrica della teorizzazione di Butler. In questo senso è rilevante il contributo degli studi di danza e in particolare il contributo originale che la dimensione coreografica può apportare alla riflessione sulla presa del potere sul corpo e sulla performatività di genere, come già espresso da Susan Leigh Foster. Cfr. Judith Butler, Questioni di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, Laterza, Bari-Roma 2013; Ead., Corpi che contano. I limiti discorsivi del “Sesso”, Feltrinelli, Milano 1996; Susan Leigh Foster, Choreographies of gender, «Signs», 2, 1 (1998), pp. 1-33; Karen Barad, Posthumanist Performativity. Towards un Understanding of How Matter comes to Matter, «Signs», 28, 3 (2003), pp. 801-831. Sempre sul contributo degli studi di danza e della coreografia a una nuova concezione dei processi di materializzazione della corporeità e del genere cfr. Irene Pipicelli, Svelare il corpo. Un dialogo a venire tra coreografia, femminismo e genere, «Culture Teatrali», 32, 2023, in corso di pubblicazione.

28 Mark Franko, Archaeological choreographic practices cit., p. 108.

29 Ciò che emerge dall’analisi del lavoro di Forsythe proposta da Franko, nonostante non sia messo in luce dal teorico, riguarda la riemersione di una dimensione collettiva della rinegoziazione tra il disciplinamento e la costruzione processuale di un nuovo spazio, altro aspetto poco presente nella teorizzazione foucaultiana recuperato invece dalla rilettura di Esposito. Infatti non si tratta delle singole corporeità che agiscono disgiuntamente, ma della continua oscillazione tra il coreografo portatore di un’istanza di riscrittura della tecnica e le persone danzanti che abitano le proprie corporeità al tempo stesso disciplinate e dotate di capacità improvvisativa: «Forsythe works on disciplined bodies both to extend them to unexpected limits, and to undo the expectations of their disciplinary past»: Mark Franko, Archaeological choreographic practices cit., p. 108.

30 Sergia Adamo, Dancing for the World: Articulating the National and the Global in the Ballo Excelsior’s Kitsch Imagination, in Guido Abbattista (a cura di), Moving Bodies, Displaying Nations. National Cultures, Race and Gender in World Expositions 19th to 21st Century, EUT, Trieste 2014, pp. 143-172, p. 143. È interessante notare che per la ricorrenza del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia l’Accademia Nazionale di Danza ha ri-presentato la trilogia di Manzotti, avvalendosi di coreografi come Adriana Borriello, Ismael Ivo, Roberto Zappalà, Michela Lucenti.

31 Mark Franko, Danza e politica: stati di eccezione cit., p. 14.

32 Franko riconduce direttamente i processi di soggettivazione alle rappresentazioni coreografiche: «Il carattere pubblico della rappresentazione ha l’effetto di “rendere soggetto” lo spettatore, nel senso di conferire a chi guarda la propria soggezione, il che è il fine dell’assoggettamento. [...] Michel Foucault vede in maniera non dissimile l’esercizio diretto dell’autorità monarchica nella sfera politica come una forma di assoggettamento. La danza si presta facilmente all’applicazione di questa teoria, poiché è ben lontana dalla violenza punitiva e allo stesso tempo è quanto di più caratterizzato dalla pubblica esposizione del corpo del sovrano»: Mark Franko, Danza e politica: stati di eccezione cit., p. 21.

33 Per uno studio approfondito sul Ballo Excelsior cfr. Flavia Pappacena (a cura di), Excelsior. Documenti e saggi, Di Giacomo, Roma 1998. Sebbene la produzione teorico-critica si sia concentrata prevalentemente sull’ Excelsior, è da segnalare il saggio di Patrizia Veroli, Ballare per “Sport”. Nell’Italia del 1897 il Teatro alla Scala divenne una palestra, «Lancillotto e Nausica», XXI, 1 (2004), pp. 46-63.

34 Sergia Adamo, Dancing for the World cit., p. 144.

35 Mark Franko, Danza e politica: stati di eccezione cit., p. 28.

36 Ivi, p.12.

37 Mark Franko, “Introduction: The Power of Recall in a Post-Ephemeral Era, in Id. (a cura di), The Oxford Handbook of Dance and Reenactment, Oxford University Press, New York 2017, pp. 1-18, p. 2.

38 Giulia Grechi, Rovesciare l’archivio: Excelsior, l’esemplare capovolto, in Decolonizzare il museo. Mostrazioni, pratiche artistiche, sguardi incarnati, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2021, pp. 243-259, p. 245.

39 Ivi, p. 247.

40 Ivi, p. 254.

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Per citare questo articolo

Riferimento cartaceo

Irene Pipicelli, «Corporeità e processi di soggettivazione»Mimesis Journal, 12, 2 | 2023, 143-157.

Riferimento elettronico

Irene Pipicelli, «Corporeità e processi di soggettivazione»Mimesis Journal [Online], 12, 2 | 2023, Messo online il 01 janvier 2024, consultato il 15 mai 2025. URL: http://journals.openedition.org/mimesis/2825; DOI: https://doi.org/10.4000/mimesis.2825

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Autore

Irene Pipicelli

È dottoranda in Spettacolo e Musica (Università degli Studi di Torino). Il suo approccio interdisciplinare emerge dagli intrecci tra studi di danza, estetica e pensiero femminista. La sua ricerca di dottorato si concentra sulle nozioni di acquisizione, conservazione e curatela della danza contemporanea. Dal 2019 si occupa di curatela nel campo delle pratiche performative e della danza contemporanea in Italia.

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