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Saggi

Danzare il paesaggio: pratiche ecologiche tra coreografia e territorio

Dancing the Landscape: Ecological Practices bewteen Choreography and Territory
Emanuele Regi
p. 175-190

Riassunto

The article investigates how dance and landscape relate by adopting an interdisciplinary perspective that integrates landscape disciplines, and sustainability sciences, with performance studies and dance disciplines. Applying this lens, it intends to include some significant phenomena and processes that dance has undertaken in the last century concerning natural environments. From the ‘pioneers’ of modern dance Isadora Duncan and Rudolf Laban to Anna Halprin’s research in the second half of the 20th century, the movement of the body has confronted natural spaces in various ways, acting together with the landscape and not simply occupying it. In the 1990s, the development of ecological research within the performing arts further confirmed this investigation through ecoperformance (Maura Baiocchi) and ecodance, highlighting how artistic work could be constituted by integrating natural elements while denying the centrality of the body. A dynamic that will have a considerable influence on subsequent generations. We will focus on the ‘third dance landscape’ in Italy, as Acca defines it, where some artists investigate the possibilities of inhabiting natural and public space through dance such as DOM- and Fabrizio Favale. In order to better define the latter, we will focus on the processuality of two works created within the project Bodyscape di Danza Urbana (2022): Sull’irrequietezza del divenire by Elisa Sbaragli, Edoardo Sansonne and Fabio Brusadin and La möa. Danza per corpo e torrente by Lorenzo Morandini. Both these projects are realised in public spaces and integrate a strong relationship with the landscape understood as a cultural and natural element.

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Testo integrale

Premessa

  • 1 Tema già ampiamente individuato alla fine degli anni Novanta da Bonnie Marranca nel volume Ecologi (...)
  • 2 Basti pensare ai finanziamenti del pnrr o a bandi regionali che individuano nell’attivazione di lu (...)

1A partire dagli anni Novanta le arti performative hanno guardato sempre di più ai luoghi naturali in modo costante e organico nella loro modalità produttiva. Questo per una necessità artistica ampiamente motivata dal nuovo pensiero ecologico applicato alla performance,1 mentre, più di recente, per rispondere agli importanti investimenti2 della politica culturale verso quella direzione.

2L’interesse di danzatori e danzatrici, coreografe e coreografi, nei confronti degli spazi naturali non si esaurisce, dal punto di vista storico, in queste recenti realizzazioni. Anzi. L’universo della danza ha avuto, da sempre, meno resistenze a rapportarsi con gli spazi aperti e naturali rispetto al teatro, forse ostacolato dal limite della dispersione del suono.

3Il contributo si aprirà, infatti, con una serie di riferimenti ad alcune centrali esperienze del Novecento, limitandoci alla modern e alla postmodern dance, che si caratterizzano proprio per l’inserimento del corpo nel paesaggio naturale sviluppando una ricerca sul movimento in relazione allo spazio. A questi pionieri seguiranno una serie multiforme di pratiche contemporanee (Maura Baiocchi, Virgilio Sieni, Fabrizio Favale e DOM - e altri). Per analizzare queste creazioni nelle loro caratteristiche processuali e progettuali ci si focalizzerà su due case-studies, realizzati nel contesto del progetto Bodyscape di Danza Urbana. L’obiettivo sarà quello di comprendere alcune modalità creative in atto della danza contemporanea, aggiornando un linguaggio in cui rientra una relazione politica, ecologica e progettuale con il territorio e le sue comunità.

1. Fondamenti novecenteschi di danza nel paesaggio

  • 3 Rossella Mazzaglia, Danza e spazio. Le metamorfosi dell’esperienza artistica contemporanea, Mucchi (...)
  • 4 Cfr. Eugenia Casini Ropa, La danza e l’agit-prop, Cue Press, Imola 2016 (1a edizione: 1988).
  • 5 Cfr. Alexandra Carter, Rachel Fensham (eds.), Dancing Naturally. Nature, Neo-Classicism and Modern (...)

4La danza del Novecento ha impostato, sin dai primi decenni, una riflessione sulla questione dello spazio che diventa «strumento conoscitivo di un’esplorazione motoria consapevole e stimolo coreografico, nonché tramite di una ricerca sul senso della rappresentazione che si approfondisce nel momento in cui […] la performatività prevale sulla teatralità delle opere».3 In particolare, l’attenzione ricade sul concetto di naturale, legato anche alla riscoperta del corpo,4 sia per quello che concerne una qualità del movimento che per una relazione con quella tipologia spaziale.5 Proprio per questo, sin dalla modern dance, accanto alla ricerca artistica emerge anche una elaborazione teorica.

  • 6 Samuel Thornton, Laban’s Theory of Movement. A New Perspective, Plays. Inc, Boston 1971, pp. 27-28
  • 7 Isadora Duncan, The Art of the Dance, Shaeldon Cheney (ed. by), Thearte Arts, Malvern 1928 [trad. (...)

5Samuel Thornton ci ricorda come Laban – nel contesto della comunità di Monte Verità dal 1913 al 1919 – arrivi all’elaborazione di modelli di movimento nello spazio fatti in accordo con la dimensione naturale. «Laban credeva», riporta Thornton, «che esistesse anche un ritmo naturale e universale e un’armonia naturale nella vita» in cui ogni cosa, dall’elemento più piccolo a quello più grande, «fosse la manifestazione di una legge di natura mirata».6 Isadora Duncan, invece, parte dal «movimento in Natura» individuando il moto «dell’onda» come «suo principio fondamentale».7

  • 8 Ivi, p. 80.

Guardando attraverso gli alberi, mi sembra che anch’essi formino un disegno di onde. Possiamo allora considerarle da un altro punto di vista e pensare che tutta l’energia si esprima attraverso questo movimento a onde. Non viaggiano anche il suono e la luce sotto forma di onde? E se consideriamo i movimenti degli esseri viventi, ci sembra che tutti i movimenti naturali e liberi si conformino alla stessa legge: il volo degli uccelli […] o il saltare degli animali. Ciò che causa questo movimento ondulatorio è l’alternanza tra l’attrazione e la resistenza della legge di gravità. Io scorgo in ogni cosa che mi circonda dei motivi di danza. Ogni vero movimento di danza di cui il corpo umano è capace, esiste originariamente in natura.8

6Non scenderemo nel dettaglio delle loro applicazioni, ma ci basti sottolineare come in entrambi si presenti una concezione universale che deve essere applicata alla costruzione coreografica basata sul rapporto tra azione del corpo e il principio di movimento dello spazio-mondo. Tanto Laban quanto Duncan, inoltre, individuano una certa caratteristica performativa dello spazio naturale: ritmo e moto ondoso.

  • 9 Cfr. Annalisa Metta, Il paesaggio è un mostro. Città selvatiche e nature ibride, DeriveApprodi, Ro (...)

7Questo concetto di una performatività intrinseca nello spazio è oggi ampiamente analizzato nel contesto dei landscape studies. Annalisa Metta, architetta paesaggista, parla di una effervescenza interna al paesaggio intuibile da una serie di processi che non appaiono a un’osservazione esterna e bidimensionale, ma che si presenta in tutti gli elementi (dall’acqua alla terra, dalla vegetazione all’aria) di un dato ambiente.9 Rita Messori, riprendendo il concetto di ritmo già usato da Laban, sottolinea come questo possa attivare un movimento non convenzionale del corpo (la danza) che riscopre una nuova relazione con il paesaggio.

  • 10 Rita Messori, Il ritmo performativo del paesaggio, «Studi di estetica», XLIX, 4 (2021), p. 1 segg.

Il ritmo del paesaggio consiste in questa cosmogenesi di cui avvertiamo tutto il potere formativo e performativo, tutta la sua capacità di far essere creando delle unità che non sono assemblaggi ma concatenazioni energiche e vitali di parti portatrici di possibilità abitative ancora non realizzate. […] Se vogliamo riappropriarci del nostro movimento solo apparentemente più semplice, quale modalità fondamentale di interazione col mondo-ambiente, cioè il camminare, dobbiamo girare a vuoto, inciampare o cadere. […] Solo così potremo interrompere gli automatismi che rendono il nostro corpo una macchina e l’ambiente uno spazio di mero attraversamento. Il fine non è il raggiungimento di un luogo ma il movimento in sé come riattivazione della relazione originaria che rende noi stessi e il mondo una unità animata.10

  • 11 Rossella Mazzaglia, Danza e spazio cit., pp. 11-12.

8Le intuizioni della modern dance procederanno nel corso del Novecento integrando il pensiero spaziale come «elemento drammaturgico decisivo» attivo e reagente al corpo e al movimento – principale campo d’indagine del secolo scorso – consentendo anche una progressiva liberazione (come il caso di Duncan ricorda) da «referenti culturali esterni, come la musica e il racconto», favorendo un «mutamento generale dell’idea della danza e della sua funzione sociale».11

9È la postmodern dance, infatti, a ereditare l’attenzione a un approccio integrato natura-spazio e corpo-movimento. Figura assolutamente centrale in questo senso è Anna Halprin, nella cui ricerca focalizziamo tre punti di indagine che proseguono questa traccia: il primo è la relazione con lo spazio nella costruzione del movimento, il secondo sta nell’approccio scientifico e interdisciplinare nell’elaborazione di progettualità legate al luogo con l’rsvp circle e, infine, i progetti comunitari che caratterizzano il suo percorso artistico.

10Il primo punto si pone in continuità con quanto abbiamo visto in Laban e Duncan, ovvero la relazione tra il movimento e il paesaggio. Un momento chiave per individuare l’inizio di questa ricerca è il 1952 quando, assieme a suo marito l’architetto paesaggista Lawrence Halprin, si trasferisce a Kentfield lasciando San Francisco dove aveva fondato il Dancers’ Workshop due anni prima. Qui il marito costruisce per lei il Dance Deck, una sorta di palco di legno incastonato nel bosco, che diventa fondamentale base per la sua relazione con lo spazio naturale.

  • 12 Annalisa Metta, Passo a due. Paesaggi corpo a corpo, in Ead., Benedetta Di Donato (a cura di), Ann (...)

Per Anna il Dance Deck diventa un insostituibile strumento di lavoro: la sua totale immersione nello spazio aperto, l’assenza di quinte chiuse o pareti, la forma irregolare del palco, il baldacchino di alberi che prende il posto del proscenio, l’interferenza con gli agenti atmosferici, stimolano il lavoro di esplorazione non convenzionale dello spazio, che ella conduce con sempre maggiore convinzione attraverso la danza.12

  • 13 Libby Worth, Helen Poynor, Anna Halprin, Routledge, New York 2004, p. 32.
  • 14 Ivi, p. 87.

11Il Dance Deck pone quindi le premesse per una relazione della danza con lo spazio aperto, Anna Halprin «stabilisce uno strumento di lavoro con la natura che integra la fascinazione per i processi e i modelli che si verificano in natura e per le storie, le immagini e le emozioni personali e collettive suscitate da tali incontri».13 La natura caratterizzerà fortemente il lavoro di Anna Halprin in un’interrogazione continua su come i «processi naturali» si possano porre come «principi base per le nostre sensibilità estetiche» e «come fare danza riflettendo dei principi della natura».14 In questo senso elabora uno stare preciso nell’ambiente.

  • 15 Cit. Anna Halprin in Annalisa Metta, Metodo, in Id., Benedetta Di Donato (a cura di), in Anna e La (...)

12La relazione tra ambiente e costruzione coreografica – causata anche dalla reciproca influenza con il marito – viene pienamente ripresa e strutturata negli Experiments in the Environment realizzati dal 1966 al 1969. Si tratta di workshop aperti a danzatori e ad architetti in cui esplorare una creatività collettiva condivisa in vari luoghi, urbani e naturali: la downtown di San Francisco, la foresta di Kentfield e la costa del Sea Ranch. In questa esperienza l’obiettivo di Anna Halprin è quello di educare alla consapevolezza dello spazio ai fini del progetto e lo strumento che utilizza per questa ricerca è il corpo in movimento: «Lo spazio è per il progetto ciò che il movimento è per la danza o il suono per la musica. Come il movimento, lo spazio è qualcosa che usiamo ogni giorno in ogni nostra attività. […] Il nostro scopo in questo corso è prima di tutto diventare consapevoli dello spazio attraverso il nostro corpo».15 Il corpo, in tutte le esperienze che Halprin condurrà in natura, resta il filtro fondamentale con cui interagire nell’ambiente.

  • 16 Libby Worth e Helen Poynor, Anna Halprin cit., pp. 89-90.

Il punto di partenza per il lavoro nell’ambiente di Halprin è sempre fisico. Un ‘ciclo esperienziale’ che consisteva di tre fasi (Contatto, Esplorazione, Risposta) fornisce la struttura base per tutto il suo lavoro in natura. […] Le tre fasi di questo processo consentono ai partecipanti di fare esperienza di un senso di identificazione con l’elemento nella natura e di esplorare e di esprimere la loro personale ‘mitologia’ in relazione ad essa.16

  • 17 Laura Colomban, Anna e Lawrence Halprin: il ciclo RSVP, «Danza e ricerca. Laboratorio di studi, sc (...)
  • 18 Ivi, p. 178.
  • 19 Ivi, p. 179.
  • 20 Libby Worth, Helen Poynor, Anna Halprin cit., pp. 111-112.

13In Experiments in the Environment è insito l’obiettivo progettuale del lavoro dei coniugi Halprin, sistematizzato, già dal 1959, con la creazione del cerchio rsvp acronimo per: resource (r), score (s), valuaction - valutation and action (v), performance (p). Colomban lo definisce come «un mondo trasversale, tra architettura del paesaggio e danza, basato su un comune approccio allo spazio, alle forme, al movimento, alla creazione e al processo, oltre che sulla condivisa attenzione per l’ambiente e le diversità».17 Particolarmente interessante l’approfondimento di Colomban riguardo la dimensione dello score, in cui è possibile individuare tutta la dinamica ecologica e relazionale del processo creativo. Lawrence Halprin parla nello specifico di ecoscore come «un modo di definire, attraverso la notazione, lo sviluppo di una data configurazione dell’ambiente naturale in un determinato periodo di tempo»18 a cui quindi il processo si deve adattare. Mentre è la psicologia gestaltica a gestire la fase relazionale con sé stessi, con gli altri partecipanti e l’ambiente circostante: «Sia ecologia che psicologia gestaltica osservano, peraltro, il percorso della spinta vitale, che è sempre orientata alla sopravvivenza e mai al decesso, attraverso un procedimento dinamico in continua interazione con l’esterno».19 Il ciclo rsvp verrà utilizzato con costanza da Anna e Lawrence Halprin per la creazione dei workshop sociali e nella ricreazione di ritualità collettive poiché «consente anche a gruppi larghi di conservare lucidità in quello che potrebbe essere un processo caotico».20

  • 21 Ivi, p. 98.
  • 22 Byung-Chul Han, Vom Verschwinden der Rituale. Eine Topologie der gegenwart, Ullstein Hardcover, Be (...)

14A partire dal 1981, infatti, gli Halprin iniziano un progetto con la comunità locale del Monte Tamalpa: “A Search for Living Myths and Rituals through Dance and Environment”. I primi tentativi sono i laboratori con i danzatori di Anna Halprin “Mountain Performances” (In the Mountain e On the Mountain) che «usavano l’arte, il movimento e l’ambiente per riunire i partecipanti della comunità, creando un contesto e condividendo un linguaggio per favorire l’emergenza di una mitologia di gruppo».21 Da sottolineare è la relazione triplice alla base di queste esperienze tra luogo, comunità e rito/performance. «Il raduno», sostiene Byung-Chul Han, «è il tratto essenziale del luogo»,22 la sua chiusura e unicità lo distingue dai non-luoghi che sono aperti al traffico comune. Su questa forza di raduno intrisa nel luogo, gli Halprin innestano la ripetitività rituale e l’attività performativa per restaurare un genius loci che coinvolge e protegge tutta la comunità, spaventata – nel caso dei primi esperimenti – dal serial killer che aveva ucciso nei vari sentieri del luogo molte donne.

  • 23 Libby Worth, Helen Poynor, Anna Halprin cit., p. 99.

La performance rituale [In the Mountain] era divisa in tre parti, Iniziazione, Offerta e Rigenerazione, concepita per avere luogo nel cuore della montagna. Era dedicata allo spirito della montagna, il Miwaks, alle persone indigene che vivevano prima sotto di lei sotto di lei, compresi quelli tra loro che avevano perso la vita e le donne che erano state uccise lungo i sentieri.23

15L’omicida viene arrestato tre settimane dopo l’evento. Senza inoltrarci nelle dietrologie, non ci rimane che sottolineare il senso di una comunità ritrovata attraverso il rito e la performance che portò gli Halprin a ripetere l’azione fino alla chiusura del ciclo nel 1985 con Circle the Mountain, a Dance in the spirit of Peace. Da questo progetto emerge Circle of Earth (1985) una creazione rituale con 100 performer che ha girato in Germania, Svizzera, Italia e Australia terminando nel 1991. Dalla sua sezione interna ‘Earth Run’ sviluppa The Planetary Dance (1987-1996), realizzata in trentasette paesi diversi coinvolgendo 2000 persone.

2. Il “Terzo paesaggio della danza”: pratiche anfibie con la natura

  • 24 Marco Revelli, Umano Inumano Postumano. Le sfide del presente, Einaudi, Torino 2020, p. 95.
  • 25 Cfr. Roberto Marchesini, Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino (...)
  • 26 Alessandro Pontremoli, La danza 2.0, Laterza, Roma-Bari 2018, pp. 18-19.

16Spostandoci ai paradigmi della contemporaneità, le dinamiche compositive di danzatori e coreografi si interfacciano con una nuova impostazione dello spazio naturale. In questo si integrano anche nuovi approcci filosofici. In primis, la discussione del modello antropocentrico come fallimentare e la necessaria adesione a un sistema-pensiero di riconsiderazione del naturale. In altri casi la vicinanza rispetto alle teorie post-umane porta l’artista ad agire oltre i suoi confini di bios e di specie ibridandosi tramite un «riallineamento» con il vivente e un’«elezione a un grado “superiore” di potenza»24 attraverso il tecnologico. Quindi uno spettro ampio e spesso irrisolto se pensiamo alle diatribe tra tecnofili e tecnofobi.25 A prescindere dalla diversità di questi due pensieri resta indubbia una messa in discussione rispetto al Novecento del posizionamento del corpo – tendenza a cui Anna Halprin si è avvicinata con Returning Home (2003) – nella sua centralità (post-antropocentrismo) o nei suoi confini prestabiliti (post-umanesimo). La nuova danza 2.0 ridiscute il corpo come «dimensione patologica, sadomasochistica, scatologica, orrorifica ed escrementizia, senza trascurare, comunque, la [sua] condizione fisiologica» per orientarsi verso un approccio che conduca «dal post-umano, come necessaria pars destruens […] alla costruzione di nuove identità».26 Alle tendenze di decentramento corporeo segue una focalizzazione costante sui paradigmi spaziali, intesi nella loro dinamica ecologica, ovvero di studio degli scambi che gli organismi hanno in un dato ambiente.

  • 27 Gabriella Giannachi and Nigel Stewart, Introduction, in Iid. (ed. by), Performing Nature. Explorat (...)
  • 28 Cfr. Maura Baiocchi and Wolfgang Pannek, Choreographic Theatre of Tensions: Forces & Forms, Transc (...)
  • 29 Wolfgang Pannek, Ecoperformance, «Ecoperformance», I, 1 (2022), pp. 25 segg.
  • 30 Ivi, pp. 26-28.
  • 31 Ibid.
  • 32 Ivi, p. 29.
  • 33 Per approfondire: Rossella Mazzaglia, Virgilio Sieni. Archeologia di un pensiero coreografico, Edi (...)
  • 34 Come i nuovi landscape studies sottolineano anche gli spazi urbani sono luogo di sperimentazione e (...)
  • 35 Cfr. Károly Kerényi, Dionysos. Urbild des unzerstörbaren Lebens, Langen Müller, München 1976 [trad (...)
  • 36 Rosi Braidotti, The Posthuman, Polity, Cambridge 2013 [trad. it. Angela Balzano, Il postumano, Der (...)

17Già a partire dagli anni Novanta, gli artisti rispondono a un certo riallineamento del performativo con il vivente attraverso una scelta specifica dei luoghi (anche naturali). Un processo che pone al centro le relazioni ecologiche per farle emergere, ma anche per «interrogare, criticare e reinventare»27 questi scambi con nuove posture di rapporto. In questo senso ci riferiamo all’ecodanza o, all’ecoperformance in generale, come una prospettiva di una compartecipazione compositiva con l’ambiente e una conseguente ibridazione assoluta del linguaggio performativo. Maura Baiocchi, danzatrice e coreografa brasiliana fondatrice della compagnia Taanteatro, a partire dal 1988 ha cominciato a realizzare le sue environmental performances, dove alternava il riferimento ad alcune danzatrici della modern e postmodern dance in spazi naturali, Isadora Duncan and the Bull o Martha Graham in the Forest, a creazioni impegnate come When the Butterflies Get Lost – Transparent Dance, Forest e Himalaya, the Ancestral.28 A partire dal 1991 l’ecoperformance emerge nel suo lavoro come «una ricerca per la trasformazione della danza»,29 anche se il termine viene coniato nel 2010. L’ecoperformance si basa sul principio di tensione, ovvero «l’assunzione dell’energia dell’interrelazione tra tutte le forze e le forme di vita (performance inclusa) e postula le tensioni come necessario principio della creatività».30 Il corpo non occupa il ruolo centrale, ma si configura come «convertitore, catalizzatore e diffusore di tensioni», ma anche «poroso e interattivo» capace di divenire «paesaggio naturale, cittadino, di luce, di colore e sonoro che a turno diventano parte del corpo».31 In questo sistema performativo «il corpo è ambiente», mentre i «performers non sono agenti centrali ma importanti componenti del gioco».32 In definitiva, l’umano e il suo corpo non occupano più una loro centralità nel paesaggio, ma al contrario assumono i contorni e le modalità di una relazione con l’ambiente circostante. L’ecodanza contemporanea italiana ha dimostrato una certa sensibilità a queste dinamiche, inaugurando un suo filone di ricerca in spazi naturali, dove rientrano anche progetti comunitari. Già dagli anni Novanta Virgilio Sieni sviluppa una importante linea d’indagine sulla relazione con la natura attraverso il triplice legame territorio-gesto-memoria affrontato con progetti laboratoriali e comunitari. Nel 1992 inaugura queste pratiche con il ciclo della fiaba e la creazione L’entrare dalla porta senza nome (1999-2000), realizzato in differenti boschi nel Monte Amiata. Nel 2007 affianca alle attività l’Accademia del gesto che esporta in tutto il mondo varie pratiche laboratoriali anche in spazi naturali, come nel caso de Nel bosco e Discesa di un giovane danzatore nella natura.33 Se il Novecento, quindi, ha posto il corpo nello spazio come strumento politico, nuove processualità creative lo fanno nella scelta dello spazio (ora naturale, ma anche urbano).34 In questo caso ad essere centrale non è solo il rapporto di un soggetto o di una comunità, ma il luogo stesso, inteso come raduno rituale di esseri umani e oltre-umani riuniti in una stessa sfera performativa per rigenerare la zoé, quell’antica vita infinita (senza limiti) che apparteneva a Dioniso35 e che oggi Rosi Braidotti indica come «forza trasversale che taglia e ricuce le specie, domini e categorie precedentemente separate».36

  • 37 Fabio Acca, Introduzione, in Id., Scena anfibia, «Culture Teatrali», 30 (2021), pp. 9 segg.
  • 38 Id., TANZMESSE 2016. Quando la danza italiana va in fiera, «Culture teatrali. Osservatorio della s (...)
  • 39 Id., Introduzione cit., p. 13.

18Negli ultimi anni la spinta costante delle tendenze post-antropocentriche e post-umane ha reso ancor più complesso il paesaggio dell’ecodanza italiana come si evince dal volume Scena anfibia curato da Fabio Acca. Qui vengono analizzate alcune compagnie di recente formazione mediante due paradigmi coniati negli anni dallo stesso curatore: anfibietà che «comporta la catalizzazione del performativo nel coreografico»37 e terzietà (con riferimento al Manifesto del Terzo Paesaggio di Gilles Clément) per intendere «un territorio intermedio, di confine, fatto di posizionamenti interstiziali rispetto ai codici performativi, di inedite relazioni tra linguaggi ed elementi che concorrono alla ideazione scenica».38 Tale approccio, sottolinea Acca, si applica spesso in quei «luoghi di confine, in quelle faglie “di nessuno e di tutti” in cui è possibile inventare inedite forme di “accampamento”»39 con specifico riferimento anche alla danza con il paesaggio e alla sua inevitabile ricaduta politica a proposito della danza urbana.

  • 40 Alessandro Pontremoli, La danza del nuovo millennio fra dissenso e partecipazione, in F. Acca (a c (...)

Il corpo che danza liberamente nei luoghi della città scoprendone scorci sconosciuti è una delle possibili pratiche per riappropriarsi dello spazio organizzato, mediante la produzione culturale di arte pubblica. Si tratta di invenzioni della creatività del quotidiano o del festivo, di proposte per la democratizzazione dei corpo attraverso l’attivazione di processi di relazione e di recupero dei miti; trame di anti-disciplina, tattiche di liberazione e resistenza per sfuggire ai processi di incorporazione di modelli comportamentali uniformi e omologanti.40

19L’ecodanza contemporanea nel paesaggio risente di tutte queste influenze, sviluppando una linea d’azione, spesso anche con specifiche posture politiche.

  • 41 Roberto Stigliano intervista Fabrizio Favale, Noi e il mondo. La poesia, il dialogo, il carattere (...)
  • 42 Giulia Romanini ben nota come in Die Klage der Kaiserin, Bausch costruisca un duplice rapporto tra (...)

20In questa direzione si muove Fabrizio Favale che individua il lavoro negli spazi aperti come luogo privilegiato della sua ricerca: «Per me è una continua esplorazione che ormai non ha quasi più nulla a che vedere con la creazione di coreografie per il teatro. È come se mi fossi messo lo zaino in spalla. Lo appoggerò solo quando farò ritorno a casa».41 Questa ricerca si individua nel lavoro Le Stagioni Invisibili – Ciclo Coreografico Infinito realizzato con la sua compagnia Le Supplici. A partire dall’ottobre 2018 fino a maggio 2019 il coreografo ha prodotto quattro performance annuali per il passaggio di ogni stagione (qualcosa che ci ricorda anche il film Die Klage Der Kaiserin di Pina Bausch, in cui la danza abita il paesaggio42 sebbene mediata dalla telecamera) in zone extraurbane e naturali. Giuseppe Distefano individua il principio, già affrontato nell’ecoperformance, del corpo come trasmissione di una serie di elementi del paesaggio.

  • 43 Giuseppe Distefano, Danza. Le quattro stagioni itineranti di Fabrizio Favale, «Artribune», <https: (...)

In ciascuno di questi [spazi] i danzatori hanno respirato il luogo, la sua energia, la sua bellezza, gli elementi naturali circostanti. Di essi hanno catturato la luce, i suoni, le forme; vi hanno percepito le figure nascoste, mimetizzandosi e restituendoci in movimenti e in sequenze gestuali un immaginario epifanico, sconosciuto, nascosto, quel “sentire” il paesaggio con tutto il corpo che è anzitutto dei performer le cui azioni si fanno veicolo di trasmissione di stati meditativi e contemplativi.43

  • 44 Tra i loro cicli più lunghi ispirato all’omonima graphic novel di Jiro Taginuchi, aperto nel 2015 (...)

21Ulteriori pratiche di abitazione e attraversamento del paesaggio sono costituite dal collettivo DOM - di Roma, fondato da Leonardo Delogu e Valerio Sirna nel 2013. Una formazione interdisciplinare che mescola danza, teatro di ricerca e architettura del paesaggio (da Careri a Clément). Le azioni messe in campo dal gruppo spaziano dalle performance itineranti (L’uomo che cammina), e dalle passeggiate (Moto Celeste) alle pratiche di abitazione (ciclo Gardens). In particolare L’uomo che cammina44 in cui gli spettatori seguono, a debita distanza, una figura-flâneur che li conduce attraverso un diverso modo di percorrere il paesaggio, dove è l’ambiente stesso a suggerire una forma di performatività.

  • 45 Valerio Sirna, Appunti per un teatro di paesaggio, in Daniela Alloca e Gaia Del Giudice (a cura di (...)

Era dunque possibile fare teatro camminando? Forzare le discipline e ripensare i formati? Come disinnescare il potere di una regia centripeta e singolare, e rendere il disegno più permeabile all’ascolto del presente, più plurale, lasciando ampi spazi di manovra all’imprevedibile? Era possibile andare oltre l’umano e la sua centralità per far parlare gli agenti non umani e renderli co-attori nella performatività fluida dell’opera? Abbiamo provato a definire la tensione di questa ricerca estetica e formale con l’espressione «teatro di paesaggio».45

  • 46 Ivi, p. 177.

22Ma è nel paesaggio che viene insinuato dal gruppo l’artificio creativo poi disseminato nel percorso da «persone e organizzazioni alleate» attraverso «apparizioni di performer mimetizzatə nella città e di animali complici […] la ricorrenza di motivi musicali che provengono da fonti e luoghi diversi […] e una serie di tenui manomissioni del reale» con lo scopo di «far dubitare, di produrre una sfasatura tra realtà e artificio».46

3. Nel progetto creativo: il bando Bodyscape di Danza Urbana47

  • 47 Questa sintesi è possibile grazie a un percorso di osservazione scientifica condotto da chi scrive (...)
  • 48 Il bando, interno al progetto Dancescapes di Danza Urbana, si rivolge «agli autori/autrici nell’am (...)

23L’emersione di nuovi linguaggi ibridi di relazione con il paesaggio, contribuisce all’interesse progettuale di numerose realtà. Danza Urbana a Bologna, diretta da Massimo Carosi, attraverso il bando Bodyscape mette a disposizione residenze artistiche per quegli artisti che hanno un interesse specifico nella relazione con il paesaggio.48 I risultati sono stati ospitati nella XXVI edizione di Danza Urbana, in un luogo naturale vicino al fiume Reno a Bologna.

  • 49 Gilles Clément, Manifeste du Tiers paysage, Sujet/Objet, Montreuil 2004 [trad. it. Filippo De Pier (...)

24Per individuare la parte processuale interna a questo progetto analizzeremo i due lavori selezionati nel bando 2021-2022. Il primo è Sull’irrequietezza del divenire di Elisa Sbaragli, Edoardo Sansonne e Fabio Brusadin che si è costituito come un progetto multiforme unendo diverse modalità e luoghi: site-specific (Polo di Marghera a Venezia), laboratorio (Monte Mesma, Novara) e, infine, installazione (Museo del Paesaggio di Verbania). La riflessione del gruppo ruota attorno agli spazi residuali, ovvero quelli derivati «dall’abbandono di un terreno precedentemente sfruttato».49 Nella versione site-specific la danzatrice parte sdraiata a terra e si rialza con movimenti lentissimi per poi aumentare di intensità fino a un finale in cui il movimento viene sostituito da convulsioni simulate e sostenute dal tappeto sonoro. Il “tavolo di regia”, letteralmente posizionato sulle spalle di Brusadin e Sansonne, segue la performer proponendo immagini di elementi del terreno al microscopio e un suono elettroacustico acquisiti precedentemente.

25Il secondo è La möa di Lorenzo Morandini e nasce come progetto di danza lungo il torrente Travignolo. Per möa si intende, infatti, uno specchio d’acqua frequentato da giovani in Trentino Alto-Adige. Il focus riguarda, quindi, luoghi naturali come spazi d’aggregazione. Il danzatore compare al pubblico vestito in abiti tirolesi, a richiamare le figure umane del suo paesaggio d’origine. Dopo aver condotto gli spettatori fino alla riva del fiume comincia a spogliarsi dei vestiti e inizia la sua danza per corpo e torrente. Emerge una dimensione ecologica della performance in cui il corpo del danzatore viene messo in trasmissione con tutti gli elementi ambientali circostanti (il fiume, gli alberi, le pietre e persino i rifiuti). La funzione sociale si individua nella gestione del gruppo da parte del danzatore soprattutto nella fase iniziale, in cui conduce il pubblico in riva al fiume. Gli spettatori si dispongono liberamente sulla riva mentre il danzatore si muove tra di loro, restaurando un’ecologia di relazioni umane con quella ambientale circostante.

26Entrambi i processi partono da un approccio analitico e interdisciplinare per approfondire la conoscenza specifica degli spazi in cui opereranno. In questa fase gli strumenti fondamentali sono l’osservazione e la mappatura dei luoghi. Il gruppo Sansonne-Brusadin-Sbaragli indaga ogni elemento del paesaggio in cui possa emergere la relazione pedagogica tra uomo e natura, in seguito viene elaborata una mappa in cui individuano gli spazi antropici e residuali. Morandini parte da un’osservazione soggettiva, a misura d’uomo, che lo porta a riscoprire i corsi d’acqua del Trentino come luoghi d’aggregazione. La sua mappatura stratifica gli elementi del paesaggio (alberi, fiumi, animali ed edifici ecc.) in cui si inserisce il corpo danzante.

27Terminata la fase analitica si inserisce un approccio di costruzione performativa che utilizza vari strumenti. Sull’irrequietezza del divenire acquisisce materiali visivi da scatti ingranditi in cui emergono elementi naturali e antropici, quegli ibridi di una città selvatica, all’interno di spazi residuali e materiali sonori attraverso il campionamento degli impulsi elettrici delle piante con il galvanometro poi tradotti in MIDI, rielaborato dal musicista Sansonne in dialogo corporeo con la danzatrice e performer Sbaragli. Morandini, invece, pone al centro il suo corpo come strumento in una pratica che potremmo descrivere come porosa nella relazione con l’ambiente circostante.

  • 50 Emanuele Regi, Le parole per danzare il paesaggio cit..

Inizialmente osserva e permane con il corpo nello spazio, calibrando le temperature e le sensazioni. Successivamente dà inizio a un contatto con l’ambiente, lavorando attraverso elementi di sensibilità del luogo circostante. Infine, attua una imitazione e incarnazione del paesaggio, tale procedimento può avvenire anche in forma di gioco; per esempio, racconta che in un canneto presso la residenza Crevalcore fingeva di essere uno tra gli anfibi nascosti tra i rami.50

  • 51 Lorenzo Morandini intervistato da chi scrive, 10 settembre 2022.

28Dopo la tappa bolognese, per entrambi i progetti la residenza è proseguita a Saragozza in Spagna, dove hanno potuto sperimentare nuove pratiche di adesione e progettazione artistica nel territorio, variando alcune modalità in base al luogo. Nel caso di Morandini questo ha voluto dire l’incontro con il fiume Ebro messo in connessione con «la relazione sociale che emergeva sotto il ponte dove v’erano tantissimi graffiti e firme».51 Sbaragli, invece, racconta il beneficio di un «percorso itinerante» nella ricerca individuando come la categoria di spazio residuale possa manifestarsi in molteplici forme.

  • 52 Elisa Sbaragli intervistata da chi scrive, 10 settembre 2022.

È stato molto interessante con il percorso di studio andare ad analizzare le differenti dinamiche che ci sono in territori diversi. A Bologna abbiamo condotto un’osservazione sul canale che dopo un abbandono è in stato di rigenerazione. […] A Saragozza abbiamo lavorato in un giardino che era luogo di passaggio per la comunità. Careri in Walkscapes sottolinea come sia importante incontrare luoghi nascosti, ma anche di passaggio quotidiano.52

  • 53 Wolfgang Pannek, Ecoperformance cit., p. 29.
  • 54 Elisa Sbaragli intervistata da chi scrive, 10 settembre 2022.
  • 55 Lorenzo Morandini intervistato da chi scrive, 10 settembre 2022.

29Seppur in modo differente, questi lavori sviluppano una relazione con il paesaggio circostante acquisendo l’aspetto politico dell’ecoperformance secondo quel modo di pensare che «genera e problematizza forme di vita e coesistenza degli esseri naturali e culturali e del loro ambiente».53 In entrambi i casi c’è una riflessione sul rapporto tra il luogo e le relazioni sociali (ed ecologiche) che esso ospita e di cui è parte integrante. Sull’irrequietezza del divenire pone lo sguardo degli spettatori sui luoghi residuali «considerando anche la relazione che la comunità costruisce dopo aver visto la performance facendo nuova attenzione agli spazi che proponiamo»,54 mentre La möa, nonostante la varietà dei fiumi affrontati, richiama con continuità «il rapporto sociale di una comunità e del corso d’acqua che gli sta a fianco»55 come pratiche di convivenze ecologiche del paesaggio.

30In entrambi i casi il processo ha uno scopo volutamente sociale e comunitario di rivalorizzazione dei luoghi attraverso una metodologia complessa e interdisciplinare che intreccia osservazione, mappatura, acquisizione e rielaborazione dei dati poi disposti in un criterio progettuale di composizione artistico-coreografica sul territorio.

4. Conclusioni

31La linea diacronica qui tracciata, pur nella sua inevitabile incompletezza, vuole riflettere su un elemento fondamentale per comprendere queste esperienze. Per quanto, infatti, l’approccio con gli spazi naturali sia multiforme e risenta notevolmente delle influenze di un dato periodo (relazione con la natura nella modern dance, centralità del rapporto corpo-ambiente nella postmodern e, in ultimo, rivalutazione ecologica della performance), tutte queste esperienze hanno maturato approcci teorici e metodologie specifiche nelle loro dinamiche processuali e progettuali: moto ondoso/ritmo, rsvp, definizione di ecoperformance, Accademia del gesto ecc. Perfino nei due recenti case studies è possibile individuare un processo e delle tecniche di relazione chiare (fase analitica, acquisizione dati e performance). In altri termini, il rapporto con gli spazi naturali non solo prevede una continua messa in discussione del corpo in relazione a un sistema spaziale, ma il costante approfondimento di metodi che nella coesistenza necessaria con un dato ambiente vengono resi parte di un pensiero creativo.

  • 56 Cfr. Gianfranco Bologna, Manuale della sostenibilità. Idee, concetti, nuove discipline capaci di f (...)

32Questa consapevolezza e metodologia artistica diventa un filtro fondamentale per leggere il territorio, in linea con il necessario approccio sistemico che oggi si richiede per affrontare problemi complessi nel quadro ampio di uno sviluppo sostenibile per sua natura interdisciplinare.56 Ecco perché la presenza capillare di artisti sul territorio, la progettazione di festival virtuosi e le residenze possono essere integrate a piani di gestione complessi come soluzioni efficaci. Una logica di progettazione che attraverso l’ecodanza rende visibili gli elementi invisibili dello spazio naturale e pone gli spettatori in una condizione di riscoperta dei luoghi utilizzando il filtro operativo dell’arte, capace di rigenerare le disposizioni spaziali dello sguardo.

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Note

1 Tema già ampiamente individuato alla fine degli anni Novanta da Bonnie Marranca nel volume Ecologies of Theatres, dove indica un’impostazione critico-ecologica per analizzare la scena: «Leggendo le narrazioni di culture e paesaggi, ho iniziato a chiedermi se non ci fosse un modo più autentico di vivere il teatro. In che modo la geografia e il clima influenzano il lavoro? Quali sono i modi in cui la vita vegetale e animale, le entità animate e inanimate, il dramma naturale e quello artificiale? Come la biologia e il corpo determinano un dramma umano? [...] Ecologies of Theatres è l’inizio della mia ricerca di una ‘scrittura teatrale’ più consapevole dell’ampiezza dei mondi performativi in cui il paesaggio, il mito e la memoria culturale creano e testimoniano tutte le storie di vita». Bonnie Marranca, Ecologies of Theatres. Essays at the Century Turning, The Johns Hopkins University Press, Baltimore 1998, p. xiv (dove non specificato la traduzione in italiano è di chi scrive). D’altra parte anche Una Chaudhuri suggerisce di connettere «le preoccupazioni ecologiche con i protocolli del teatro ‘site-specific’, creando opere che coinvolgono direttamente i problemi ecologici reali di particolari ambienti», Una Chaudhuri, There Must Be a Lot of Fish in That Lake. Toward an Ecological Theatre, «Theater», XXV, 1 (1994), pp. 22 segg.

2 Basti pensare ai finanziamenti del pnrr o a bandi regionali che individuano nell’attivazione di luoghi decentrati e spazi naturali sedi opportune in cui gli artisti dovrebbero direzionare la propria attenzione ai fini di una nuova progettazione sul territorio. Gran parte dei fondi destinati alla cultura riguarda infatti la rigenerazione dei piccoli siti culturali, con particolare attenzione all’attrattività dei borghi (1,02 mld) e alla tutela e valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale (0,60 mld). A questi bisogna affiancare anche le linee di investimento di Capacity buliding per gli operatori della cultura nella gestione di una transizione digitale e verde (0,16, mld). Il totale corrisponde a 1, 78 mld su 6,68 mld per le linee di finanziamento “turismo e cultura”. Cfr. <https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR.pdf> (ultima consultazione: 30 settembre 2023).

3 Rossella Mazzaglia, Danza e spazio. Le metamorfosi dell’esperienza artistica contemporanea, Mucchi Editore, Modena 2012, p. 11.

4 Cfr. Eugenia Casini Ropa, La danza e l’agit-prop, Cue Press, Imola 2016 (1a edizione: 1988).

5 Cfr. Alexandra Carter, Rachel Fensham (eds.), Dancing Naturally. Nature, Neo-Classicism and Modernity in Early Twentieth-Century Dance, Palgrave Macmillan, New York 2011.

6 Samuel Thornton, Laban’s Theory of Movement. A New Perspective, Plays. Inc, Boston 1971, pp. 27-28.

7 Isadora Duncan, The Art of the Dance, Shaeldon Cheney (ed. by), Thearte Arts, Malvern 1928 [trad. it. Chiara Bertotti, Lettere dalla danza, La Casa Usher, Firenze 1980, p. 79].

8 Ivi, p. 80.

9 Cfr. Annalisa Metta, Il paesaggio è un mostro. Città selvatiche e nature ibride, DeriveApprodi, Roma 2022.

10 Rita Messori, Il ritmo performativo del paesaggio, «Studi di estetica», XLIX, 4 (2021), p. 1 segg.

11 Rossella Mazzaglia, Danza e spazio cit., pp. 11-12.

12 Annalisa Metta, Passo a due. Paesaggi corpo a corpo, in Ead., Benedetta Di Donato (a cura di), Anna e Lawrence Halprin. Paesaggi e coreografie del quotidiano, Libria, Melfi 2014, p. 49 segg.

13 Libby Worth, Helen Poynor, Anna Halprin, Routledge, New York 2004, p. 32.

14 Ivi, p. 87.

15 Cit. Anna Halprin in Annalisa Metta, Metodo, in Id., Benedetta Di Donato (a cura di), in Anna e Lawrence Halprin. Paesaggi e coreografie del quotidiano cit., pp. 97-163.

16 Libby Worth e Helen Poynor, Anna Halprin cit., pp. 89-90.

17 Laura Colomban, Anna e Lawrence Halprin: il ciclo RSVP, «Danza e ricerca. Laboratorio di studi, scritture, visioni», IX, 9 (2017), pp. 173 segg.

18 Ivi, p. 178.

19 Ivi, p. 179.

20 Libby Worth, Helen Poynor, Anna Halprin cit., pp. 111-112.

21 Ivi, p. 98.

22 Byung-Chul Han, Vom Verschwinden der Rituale. Eine Topologie der gegenwart, Ullstein Hardcover, Berlino 2019 [trad. it. Simone Aglan Buttazzi, La scomparsa dei riti. Una topologia del presente, Nottetempo, Milano 2021, p. 63].

23 Libby Worth, Helen Poynor, Anna Halprin cit., p. 99.

24 Marco Revelli, Umano Inumano Postumano. Le sfide del presente, Einaudi, Torino 2020, p. 95.

25 Cfr. Roberto Marchesini, Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino 2002.

26 Alessandro Pontremoli, La danza 2.0, Laterza, Roma-Bari 2018, pp. 18-19.

27 Gabriella Giannachi and Nigel Stewart, Introduction, in Iid. (ed. by), Performing Nature. Explorations in Ecology and the Arts, Peter Lang, Bern 2005, p. 20.

28 Cfr. Maura Baiocchi and Wolfgang Pannek, Choreographic Theatre of Tensions: Forces & Forms, Transcultura, San Paolo, 2020.

29 Wolfgang Pannek, Ecoperformance, «Ecoperformance», I, 1 (2022), pp. 25 segg.

30 Ivi, pp. 26-28.

31 Ibid.

32 Ivi, p. 29.

33 Per approfondire: Rossella Mazzaglia, Virgilio Sieni. Archeologia di un pensiero coreografico, Editoria&Spettacolo, Spoleto 2015; Ead., Danza e spazio cit., pp. 93-110.

34 Come i nuovi landscape studies sottolineano anche gli spazi urbani sono luogo di sperimentazione e ibridazioni di specie: «La città selvatica è un mostro che allerta e attrae, perché sovverte l’isomorfismo del nostro habitat, popolato da esseri umani e loro derivati, e scommette un nuovo diverso posizionamento che ammette condizioni di esistenza inclusive e multispecifiche». Annalisa Metta, Il paesaggio è un mostro cit., p. 13.

35 Cfr. Károly Kerényi, Dionysos. Urbild des unzerstörbaren Lebens, Langen Müller, München 1976 [trad. it. Lia Del Corno, Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile, Adelphi, Milano 1992].

36 Rosi Braidotti, The Posthuman, Polity, Cambridge 2013 [trad. it. Angela Balzano, Il postumano, DeriveApprodi, Roma 2014, vol. 1, p. 64].

37 Fabio Acca, Introduzione, in Id., Scena anfibia, «Culture Teatrali», 30 (2021), pp. 9 segg.

38 Id., TANZMESSE 2016. Quando la danza italiana va in fiera, «Culture teatrali. Osservatorio della scena contemporanea», 10 ottobre 2016, <https://cultureteatrali.it/tanzmesse-2016-quando-la-danza-italiana-va-in-fiera/> (ultima consultazione: 30 settembre 2023).

39 Id., Introduzione cit., p. 13.

40 Alessandro Pontremoli, La danza del nuovo millennio fra dissenso e partecipazione, in F. Acca (a cura di), Scena anfibia cit., p. 31 segg.

41 Roberto Stigliano intervista Fabrizio Favale, Noi e il mondo. La poesia, il dialogo, il carattere della danza. Intervista a Fabrizio Favale, «Theatron», 7 settembre 2020, <https://webzine.theatronduepuntozero.it/noi-e-il-mondo-la-poesia-il-dialogo-il-carattere-della-danza-intervista-a-fabrizio-favale/> (ultima consultazione: 30 settembre 2023).

42 Giulia Romanini ben nota come in Die Klage der Kaiserin, Bausch costruisca un duplice rapporto tra azione performativa e paesaggio: da una parte «spazio teatrale e spazio quotidiano si contaminano creando un effetto straniante, di decontestualizzazione, di dislocazione»; dall’altra, lo spazio non teatrale «modifica e condiziona il comportamento scenico dei danzatori» (Giulia Romanini, Danza e paesaggio: Die Klage der Kaiserin di Pina Bausch, in Roberta Gandolfi e Franco Acquaviva (a cura di), Agire il paesaggio. Teatri, pensieri, politiche del ‘luogo’, Dossier 1, «Ricerche di S/confine», 2013, pp. 91-107). Cfr. anche AA. VV., Die Klage der Kaisarein, L’Arche, Paris 2011.

43 Giuseppe Distefano, Danza. Le quattro stagioni itineranti di Fabrizio Favale, «Artribune», <https://www.artribune.com/arti-performative/teatro-danza/2019/06/fabrizio-favale-le-stagioni-invisibili/>, 8 giugno 2019, (ultima consultazione: 30 settembre 2023).

44 Tra i loro cicli più lunghi ispirato all’omonima graphic novel di Jiro Taginuchi, aperto nel 2015 e ancora in fertile aggiornamento. Mentre scrivo il gruppo è a Bologna per il progetto BodYZ di Danza Urbana che sta ultimando di lavorare su Porpora che cammina. Segnale di un ulteriore direzionamento della compagnia che sottrae il ruolo del flâneur ad un uomo, consegnandolo all’attivista trans Porpora Marcasciano.

45 Valerio Sirna, Appunti per un teatro di paesaggio, in Daniela Alloca e Gaia Del Giudice (a cura di), Camminare e/è cartografare beyond Eco*walking, Trame. Pratiche e saperi per un’ecologia politica situata, Tamu, Napoli 2021, p. 173.

46 Ivi, p. 177.

47 Questa sintesi è possibile grazie a un percorso di osservazione scientifica condotto da chi scrive sui processi di Bodyscape di cui era stata pubblicata una prima considerazione seguita da un’intervista agli artisti in occasione di Dancescapes Academy. Emanuele Regi, Le parole per danzare il paesaggio – Il Glossario di Bodyscape, «Il blog di Danza Urbana», 28 febbraio 2022, <http://danzarelacitta.danzaurbana.eu/le-parole-per-danzare-il-paesaggio/> (ultima consultazione: 30 settembre 2023).

48 Il bando, interno al progetto Dancescapes di Danza Urbana, si rivolge «agli autori/autrici nell’ambito della danza contemporanea per spazi urbani o naturali/paesaggistici» al fine di ottenere «una borsa di residenza creativa e di ricerca e un periodo di residenza (7-10 gg) da svolgersi nell’area della città metropolitana di Bologna». Sito Danza Urbana, <https://www.danzaurbana.eu/associazione/dancescapes/scheda-bodyscape/> (ultima consultazione: 30 settembre 2023).

49 Gilles Clément, Manifeste du Tiers paysage, Sujet/Objet, Montreuil 2004 [trad. it. Filippo De Pieri, Manifesto del terzo paesaggio, Quodilibet, Macerata 2016, p. 7 (1a edizione: 2005)].

50 Emanuele Regi, Le parole per danzare il paesaggio cit..

51 Lorenzo Morandini intervistato da chi scrive, 10 settembre 2022.

52 Elisa Sbaragli intervistata da chi scrive, 10 settembre 2022.

53 Wolfgang Pannek, Ecoperformance cit., p. 29.

54 Elisa Sbaragli intervistata da chi scrive, 10 settembre 2022.

55 Lorenzo Morandini intervistato da chi scrive, 10 settembre 2022.

56 Cfr. Gianfranco Bologna, Manuale della sostenibilità. Idee, concetti, nuove discipline capaci di futuro, Edizioni Ambiente, Milano 2008 (1a edizione: 2005).

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Per citare questo articolo

Riferimento cartaceo

Emanuele Regi, «Danzare il paesaggio: pratiche ecologiche tra coreografia e territorio»Mimesis Journal, 12, 2 | 2023, 175-190.

Riferimento elettronico

Emanuele Regi, «Danzare il paesaggio: pratiche ecologiche tra coreografia e territorio»Mimesis Journal [Online], 12, 2 | 2023, Messo online il 01 janvier 2024, consultato il 17 mai 2025. URL: http://journals.openedition.org/mimesis/2840; DOI: https://doi.org/10.4000/mimesis.2840

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Autore

Emanuele Regi

Da gennaio 2022 è dottorando PON presso l’Università di Bologna per il corso di Arti visive, performative e mediali. Attualmente svolge un progetto che riguarda le relazioni tra arti performative e spazi naturali nel contesto delle Riserve MAB UNESCO. Presso il medesimo Ateneo collabora come cultore della materia per le cattedre di Storia del teatro e dello spettacolo (prof. Matteo Paoletti) e Organizzazione ed economia dello spettacolo (prof. Matteo Casari). È membro della redazione di «Antropologia e Teatro».

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