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Nordest di Massimo Carlotto: ascesa e declino del capitalismo tra sangue e misteri familiari

Maria Pia De Paulis-Dalembert
p. 137-157

Testo integrale

  • 1 Le pagine delle citazioni sono tratte da questa edizione. Il romanzo è stato tradotto in francese c (...)
  • 2 Bagnasco, Arnaldo, Tre Italie: la problematica territoriale dello sviluppo italiano, Bologna, Il Mu (...)

1Il romanzo Nordest, pubblicato dalle edizioni e/o nel 2005, è scritto a quattro mani da Massimo Carlotto e dallo sceneggiatore Marco Videtta1. Attraverso il filtro generico del noir, esso indaga alcune delle realtà soggiacenti all’esplosione produttiva e al declino recente del Triveneto (Veneto, Friuli-Venzia Giulia e Trentino). Con l’acume antropologico di cui ha dato prova nel ciclo dell’Alligatore, Carlotto propone un quadro problematico della ricchezza economica del Nordest in cui interagiscono, negli anni critici del 2000, molteplici fattori: rapporti contraddittori tra i padri fondatori di quel benessere e i figli, eredi improvvidi; crisi epocale nella logica del libero mercato che sconvolge le regole di coesione sociale; strategie per ovviare alla concorrenza; delocalizzazioni forzate; mafie internazionali che collidono con il potere locale delle famiglie. L’imprenditoria presentata da Carlotto non riposerebbe più su idee, passioni, sacrifici dei padri affrancatisi dalla miseria del dopoguerra, ma su fattori in cui la menzogna e la ricchezza traggono il loro supporto dalla sfera oscura dell’economia. Quest’ultima sembrerebbe aver fagocitato nelle sue spire di illegalità, immoralismo e corruzione le pulsioni inconsce dell’individuo nel suo rapporto con la collettività. Insomma l’economia come cartina di tornasole per analizzare le spinte sociologiche e culturali, in senso lato, della trasformazione di un territorio, il Nordest. Questo è stato per lunghi decenni inteso come metafora di un modello di società, di solidarietà civile e di produzione economica non solo per l’Italia ma anche per il resto del mondo, intrappolati come erano, negli anni Ottanta, nella difficoltà di continuare il sistema fordista di creazione di beni di consumo e attirati dalle risorse innovanti della piccola e media impresa (“il piccolo è bello”) di quella che venne chiamata da Arnaldo Bagnasco la “Terza Italia”2. Da lì nasce l’offuscamento causato dalla corsa all’arricchimento promesso dal liberalismo e la perversione dei valori di solidarietà. Specialista nell’inversione delle prospettive di quelli che per lui sono gli pseudovalori della civiltà capitalista occidentale, Carlotto tende a far apparire il lato nascosto, perverso, di quello che veniva additato come un modello degno di essere esportato nel mondo intero.

  • 3 Le Tumelin, Yann, “Une interview de Massimo Carlotto”, 26 novembre 2008, in http://www.culturopoing (...)
  • 4 Ferri, Sandro, Massimo Carlotto: professione scrittore, in www.edizionieo.it, marzo 2005 (consultat (...)
  • 5 Morro, Olivier, “Entretien avec Massimo Carlotto”, in Roman policier et histoire. Italie, Cahiers d (...)
  • 6 Luperini, Romano, “‘Dire la verità’. Riflessioni sulla odierna letteratura realistica”, in Chichibì (...)

2 Nelle sue molteplici interviste, Carlotto non ha mai lesinato sul concetto di impegno civile e politico che caratterizzerebbe la sua scrittura letteraria di genere e sulla funzione del noir di colmare la lacuna lasciata dal giornalismo di inchiesta nel tentativo di scandagliare i problemi che attanagliano la società italiana intesa come emblema delle perversioni di quella occidentale3. A questa “visione esplicitamente politica del ruolo della letteratura”4 egli aggiunge il partito preso di riavvicinarsi alla realtà dopo decenni di postmodernismo ironico, dedito al gioco intertestuale e al pastiche. Carlotto intende la scrittura come uno strumento pedagogico, in quanto non rifiuta la valenza “a tesi” dei suoi romanzi in cui il progetto narrativo si confonde con quello informativo che, insieme, sosterrebbero un progetto politico propedeutico5. Rappresentante illustre della letteratura di genere che tanto successo ha avuto nel fotografare l’Italia dagli anni Novanta ad oggi, Carlotto non disdegna quella mimesis tanto cara ad Auerbach che sembra di ritorno nella letteratura occidentale in seguito alla diffusione del neostoricismo americano e dei cultural studies. Secondo Luperini, anche gli scrittori italiani degli ultimi due decenni hanno messo l’accento “sul carattere documentario e conflittuale dei testi considerati in rapporto a concrete situazioni di potere”6. Secondo il critico, che cita Edward Said, “dire la verità” tradurrebbe

  • 7 Ibid., p. 2. Il testo di Edward Said cui rimanda Luperini è Dire la verità. Gli intellettuali e il (...)

il nuovo mandato degli intellettuali che, spossessati dalla funzione centrale di mediatori delle ideologie che avevano in passato, e relegati in una condizione di marginalità, si configurerebbero ormai come dilettanti, degli outsider, degli esiliati, come uomini di confine condannati alla precarietà, ma proprio per questo disposti piuttosto all’opposizione che al compromesso. Anzi il nuovo intellettuale tanto più può dire la verità quanto più può “trovare la propria ragione d’essere nel fatto di rappresentare tutte le persone e le istanze che solitamente sono dimenticate o censurate”7.

  • 8 Luperini, Romano, “‘Dire la verità’”, cit., p. 2. Sulla tendenza della narrativa al realismo, si ve (...)

3 Nella letteratura italiana dagli anni Novanta in poi, e soprattutto in quella di genere, si assiste, secondo Luperini, al ricongiungimento del “senso oggettivo della realtà” e dell’“esigenza soggettiva di dire la verità”. Riconfrontarsi con la materialità del reale nei suoi processi storico-sociali ed economici si articolerebbe dunque con “l’impegno personale di tipo etico e politico”8. Tale articolazione si rivela fruttuosa nelle implicazioni di lettura, in quanto il lettore, costretto dal nuovo patto di realtà, condividerebbe la funzione di denuncia e di testimonianza della verità presa a suo carico dalla letteratura.

4 Nel caso specifico di Carlotto, ma forse il discorso può estendersi alla pratica “realista” della letteratura attuale, occorre ridefinire la categoria stessa del “realismo”. Esso si situa al di qua e aldilà del testo, input e termine di riflessione che condiziona l’organizzazione strutturale e stilistica (scrittura asciutta, essenziale, con incursioni anarrative riflettenti le letture dei quotidiani o della letteratura scientifica che gli hanno suggerito le problematiche da sviluppare). Più che nel senso tradizionale e superato del termine, occorrerebbe piuttosto parlare, come propone Luperini, di confronto con la realtà. La ricontestualizzazione e la risemantizzazione del “realismo” in funzione dei nuovi codici e strutture testuali consente di leggere la narrativa di questi anni non già in funzione di modelli desueti ma come espressione di realtà scrittorie eterogenee e funzionali alla realtà contemporanea.

  • 9 “Le journalisme d’enquête n’existe plus. Aussi, le roman policier veut occuper le vide laissé par c (...)
  • 10 “Le cose che scrivo partono sempre da un’idea e si svolgono su uno schema. Voglio ‘dimostrare’ qual (...)
  • 11 Pellegrini, Franca, “Il ‘giallo’ italiano contemporaneo: memoria e rappresentazione dell’identità ‘ (...)
  • 12 “Le lieu est stratégique dans le roman noir. Il est le point fondamental à partir duquel raconter. (...)

5 Forte è infatti in Carlotto il legame tra letteratura e identità regionale, per cui il noir, scelto come filtro per dire altro e di più che non il compimento di un delitto e la sua risoluzione9, è alla base un “giallo sociale”, sulla scorta del principio già enucleato da Sciascia10, ma diventa, come dice Franca Pellegrini, “memoria viva di un vissuto quotidiano e culturale”11, in cui si riarticolano in modo serrato le categorie di spazio e tempo intesi come fattori determinanti per comprendere situazioni locali, nella fattispecie il Nordest divenuto simbolo di una condizione nazionale capace di simbolizzare altresì la tendenza più globale della realtà contemporanea. La strategia narrativa del noir consente agli autori di inserire lo sviluppo frenetico del Nordest nel quadro di ragioni non solo economiche ma soprattutto familiari e comportamentali. La definizione editoriale posta in copertina (“un giallo folgorante che scava nella torbida realtà del Nordest italiano ispirandosi a fatti reali”) rimanda proprio a questa tipologia ibrida della letteratura degli ultimi anni, in cui fiction e non fiction, cronaca e invenzione si mescolano per creare un “romanzo-inchiesta”, in cui, date certe premesse politico-culturali, si tenta di formulare una risposta agli sconvolgimenti del mondo attuale, nel nostro caso quelli inerenti all’economia liberale fondata solo in apparenza sulla libertà d’azione individuale, secondo modalità di profondo radicamento in uno spazio-tempo precisi12. Carlotto afferma:

  • 13 In Giaretta, Fabio, “Nordest tra ‘noir’ e realtà”, in Il Giornale di Vicenza, 27 settembre 2005.

Da tempo mi stavo chiedendo che cosa fosse importante raccontare oggi di questa Italia. Nel nostro paese c’è una grandissima produzione di noir, però manca una risposta a questa domanda. [...] secondo noi è importante usare il noir per costruire storie di ampio respiro che documentino le trasformazioni di questa Italia oggi in profondo sommovimento. Inoltre, a forza di scrivere romanzi ambientati in quest’area, i lettori provenienti da altre parti del paese mi chiedevano che cosa fosse questo Nordest. Così mi son detto: cerchiamo di dare una risposta13.

  • 14 Le Tumelin, Yann, “Une interview de Massimo Carlotto”, cit.

6 Il noir ha per Carlotto la specificità di raccontare un fatto la cui comprensione passa per una ricostruzione documentata dei fattori che entrano in gioco: partire da fatti e dati concreti per arrivare a una visione ibrida, romanzesca ma anche saggistica, che, rispetto al giornalismo, ha il merito di proporre un punto di vista e un’articolazione più globali grazie ai quali sfuggire all’ostacolo della censura14:

  • 15 Melis, Andrea, “Nel profondo Nordest. Intervista a Massimo Carlotto e Marco Videtta”, in La Nuova S (...)

Il lavoro di preparazione di Nordest è durato tre anni in cui Videtta ed io abbiamo letto con pazienza le pagine economiche dei quotidiani del Nordest. Quello che accade ed è accaduto in questi anni mostra una “violenza” nel mondo economico che ben si adatta a un noir. Se nel mondo marginale e malavitoso [...] è necessario descrivere la violenza fisica, in questo mondo alcuni meccanismi che svelano rapporti di forze e scontri di potere sono altrettanto efficaci15.

  • 16 Si legga Gouchan, Yannick, “L’Italie contemporaine en noir: Massimo Carlotto et Marco Videtta, Nord (...)

7 In questo sostrato antropologico, la storia criminale costituisce l’ossatura che rinsalda l’organizzazione narrativa secondo la tecnica dell’imbricazione di tante microstorie emblematiche, rese omogenee dall’intento di denuncia che Carlotto affida al suo romanzo16. Un delitto che potrebbe rientrare nello schema classico di una vicenda privata, propria alla pulsione criminale alla base della letteratura di genere: in una notte di nebbia tipica del Nordest, la bella avvocatessa Giovanna Barovier, appartenente a una ricca famiglia oggi decaduta, viene trovata morta dal suo futuro marito nella vasca da bagno a qualche giorno dal loro matrimonio. Le analisi svelano che giusto prima di morire, Giovanna ha avuto un rapporto sessuale con il presunto amante e assassino. Il futuro sposo, Francesco, rampollo di una delle due famiglie industriali più importanti del paese, si ritrova a indagare parallelamente alla polizia che manifesta il suo ossequio alla forza politico-economica di suo padre, il famoso avvocato Antonio Visentin, factotum dell’economia, della politica e della giustizia locali. L’inchiesta viene segretamente presa in mano da Francesco e Carla, amica di Giovanna, allarmata dalla frase che quest’ultima le aveva detto poco prima di venire uccisa: “sono diventata la puttana dell’uomo che mi ha rovinato la vita”. L’inchiesta tesa a trovare l’amante-assassino si rivela un pretesto che permette in realtà di trovare altro. Dietro un omicidio in apparenza passionale, si nasconde una serie di eventi tenuti segreti dalle due famiglie più potenti, i Visentin e i Calchi Renier, incarnati, quest’ultimi, sul piano narrativo dalla potente e temibile contessa Selvaggia, complice del traffico economico e politico controllato dall’avvocato Visentin.

  • 17 Milanesi, Claudio, “L’Alligatore: il nordest come metafora”, in Humour, ironie, impertinences, Ital (...)

8 Secondo lo schema dei romanzi di Carlotto, in particolare quelli del ciclo dell’Alligatore, la verità è scoperta alla fine, l’avvocato Visentin si suiciderà sotto gli occhi del figlio, in quanto era lui l’amante-assassino. Ma nessuna giustizia toccherà i grandi colpevoli: chi fuggito, chi scomparso, essi restano impuniti al livello della giustizia superiore. In questo senso, Carlotto non segna nessuna discontinuità rispetto al ciclo menzionato, anch’esso situato sullo sfondo di un Nordest, luogo simbolico delle perversioni della modernità socioeconomica e geopolitica. Con la conclusione solo in parte positiva, Carlotto non si distacca dalla sua poetica, sottolineata da Claudio Milanesi: offrire una visione critica e disincantata della società attuale. Proprio in virtù di tale etica del disincanto, Carlotto confonde la frontiera tra Bene e Male, scardina i parametri costruttivi del giallo-noir, depotenzia il pathos narrativo, mettendo in crisi i presupposti etici legati al trionfo della giustizia e dell’eroe17. Quello che conta nella sua strategia narrativa è mostrare altro: nel ciclo dell’Alligatore, il trionfo dei valori della nuova malavita internazionale che controlla il Nordest, nel romanzo eponimo, la realtà economico-sociologica percepita come antivalore e antimodello. Il noir è una modalità scrittoria che sottende una presentazione critica di ciò che costituisce, nei suoi romanzi, una costante spazio-temporale:

  • 18 Ibid., p. 679.

Una realistica ricostruzione della geografia e della sociologia di quel Nordest additato dai media e dagli studi economici come il miracoloso motore della modernizzazione dell’economia italiana degli ultimi vent’anni, indagandone il lato oscuro, fatto di economia sommersa, di complicità tra potere economico, magistratura e criminalità, di sviluppo parallelo di traffici e attività illegali [...], di perdita di identità collettive, di sfrenata corsa al profitto e di rottura dei legami familiari e sociali18.

  • 19 Ibid.

9Se nel ciclo dell’Alligatore il Nordest era sfondo essenziale per situare e comprendere gli sviluppi della malavita internazionale attirata, dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo del sistema sovietico, nella piattaforma strategica del Nordest, nel romanzo omonimo questo concetto-metafora diventa, oltre lo schermo noir, il soggetto dell’attenzione politica di Carlotto. Questa zona di frontiera è diventata un non-luogo indifferenziato posto a metà strada tra, da una parte, la metafora di un’Italia che, “abbandonate le speranze collettive e cancellatane la memoria digerita la bufera delle inchieste di Mani Pulite e dei maxi processi alla Mafia, abbandonatasi felicemente al sogno del profitto e dell’arricchimento personale”, è diventata “un enorme terreno di scontro e/o complicità fra lobby e poteri”19, e dall’altra un fenomeno che ha catalizzato per la sua specificità economica l’attenzione di sociologici, economisti e politologi italiani e stranieri.

  • 20 Diamanti, Ilvo (a cura di), Idee del Nordest. Mappe, rappresentazioni, progetti, Torino, Edizioni d (...)
  • 21 Barlucchi, M. Chiara, recensione al volume di Ilvo Diamanti publicata sulla rivista Polis, n. 3, di (...)
  • 22 Diamanti, Ilvo (a cura di), Idee del Nordest, cit., p. 221.
  • 23 Barlucchi, M. Chiara, recensione al volume di Ilvo Diamanti, cit.
  • 24 Cfr. Diamanti, Ilvo, “Nordest: si può crescere senza politica?”, in Il Mulino, Bologna, n. 6, nov.- (...)

10 Ilvo Diamanti, l’esperto per antonomasia del problema, nel volume Idee del Nordest. Mappe, rappresentazioni, progetti20, ha voluto “accertare se il Nordest sia effettivamente una realtà o un’astrazione creata più che altro per via mediatica, così ‘da mettere in luce la definizione e l’ampiezza dello spazio che fa da sfondo alle strategie e ai comportamenti degli attori politici, economici e istituzionali di quest’area’”21. Ricomporre il profilo socio-economico è alla base di qualunque studio su questo territorio inteso sempre più come vero “soggetto-fenomeno Nordest”, spazio di problematiche sociologico-economiche all’origine del “modello sociale-produttivo” degli anni Ottanta-Novanta in Italia, in virtù dell’alternativa proposta all’assetto anacronistico del fordismo, e ora in profonda crisi nello “scenario competitivo dell’economia globale”22. La radiografia del territorio mira a individuare pregi e debolezze di esso (crescita economica e occupazionale, penetrazione nei mercati internazionali, basso livello di istruzione23), al fine di trovare in questi aspetti riscontri reali e stereotipi più o meno infondati. L’attenzione critica è comunque segno di attrazione positiva da parte del fenomeno Nordest. Esso viene studiato quasi fosse un malato di cui si misuri la temperatura per verificarne la resistenza alle bufere del libero mercato. A ciò provvede Demos, l’Osservatorio sul Nordest, curato da Demos & Pi diretto da Ilvo Diamanti. Grazie al Gazzettino settimanale di questo Osservatorio, studiosi quali Fabio Bordignon, Diamanti stesso e Giorgio Brunetti valutano l’impatto della crisi finanziaria sul Nordest e la sua resistenza proprio in virtù ancora del “piccolo è bello”. Il Nordest non è ancora morto, anzi non solo reagisce meglio del resto del Paese alla crisi mondiale, ma cerca una nuova rappresentatività politica al livello nazionale ed europeo24.

  • 25 Tutte le informazioni relative alla Fondazione si trovano nel sito www.fondazionenordest.net.
  • 26 Ibid.

11 I problemi presentatisi al Nordest in quanto spazio economico di frontiera sono stati anche alla base della creazione nel 1999 della Fondazione Nordest, una sorta di laboratorio autoctono volto ad assicurare il successo e l’autonomia di quest’area. Basata su principi di fondo quali la centralità e la specificità del Nordest con la sua piccola e media impresa, la cosiddetta economia diffusa, l’apertura internazionale, la Fondazione si prefigge di far riconoscere il Nordest come area forte, capace di discutere con l’Europa per le politiche regionali e di fornire strumenti di analisi, comprensione e informazione sui temi centrali della zona. È grazie ad essa che viene pubblicato ogni anno il Rapporto sulla società e l’economia cui partecipano i grandi nomi della sociologia economica. Scopo di tali Rapporti è proporre un appuntamento annuale “per offrire strumenti utili ai decisori pubblici e privati al fine di prefigurare gli scenari dello sviluppo del Nordest e del Paese”, nonché di offrire “un approfondimento su alcuni temi strategici utili alla crescita e alla competitività dell’area”25. È sotto l’egida della Fondazione che ogni anno vengono organizzati convegni internazionali sulle problematiche relative a questo soggetto politico-economico. Alcuni titoli mostrano la convergenza, proprio negli anni di preparazione di Nordest, con le interrogazioni che Carlotto vi ha tradotto narrativamente: I giovani e le nuove droghe: atteggiamenti e consumo (2004); Responsabilità d’impresa e coscienza sociale (2004); Stili di vita e di consumo in Veneto: identità, socialità e mercato (2003); Gli imprenditori del Nordest e il Mezzogiorno (2002); Immigrazione e cittadinanza in Europa (2000); Balcani. Scenari di ricostruzione. Ruolo del sistema economico e associativo del Nordest (1999)26. Quali che siano gli approcci alla questione, il Nordest continua a imporsi nella letteratura scientifica come un soggetto positivo, un modello cui guardare.

12 Carlotto ha nel suo romanzo un approccio essenzialmente economico, ma non disdegna di iscrivere le problematiche scaturite dalla dérégulation del mercato per via della crisi e dei cambiamenti rapidi in un quadro storico-antropologico più complesso, che diventa a sua volta specchio delle modificazioni subite dall’Italia dopo la fine della Prima Repubblica. È in quest’ottica che si può leggere l’epigrafe scelta a mo’ di chiave interpretativa del testo:

A Padana city, morti i partiti e le parrocchie, non comandano parlamentari, prefetti, sindaci, presidenti di banche e associazioni, direttori, giudici e colonnelli. Comandano le famiglie. È l’arengo composto da pochi gruppi privati con alla testa i capi che si relazionano tra di loro a costituire l’ossatura del potere. Giuliano Ramazzina, Fuori Mercato, Spazio Libri 2002.

  • 27 Antonini, Checchino, “La locomotiva del Nordest si schianta in Romania”, in Liberazione, 16 ottobre (...)
  • 28 “Il cavalcavia di Mestre, in piena notte, era ancora un serpentone di mezzi pesanti che avanzavano (...)
  • 29 “Altri quattro capannoni vuoti con la scritta affittasi, tradotta anche in cinese. Di capannoni ave (...)
  • 30 “Ormai nel Nordest i capannoni avevano cancellato memoria alla terra e identità agli abitanti. E di (...)

13 Se negli anni Ottanta i distretti industriali hanno rappresentato non solo la locomotiva economica del made in Italy ma anche l’alternativa alla grande industria degli anni Settanta è anche in virtù di una concezione del lavoro come creatività in armonia con le qualità estetiche del popolo italiano, impiantato in un territorio salvaguardato dalla coesione ideologica promossa da DC e PCI, i partiti di massa fondatori dell’assetto politico dell’Italia uscita dal secondo conflitto mondiale. Dopo la Prima Repubblica, la morte di quelli e lo sfrenato affermarsi negli anni Novanta dell’unico credo della postmodernità italiana, il profitto, la costruzione di un’economia di mercato non ha avuto altri cardini cui attaccarsi che le famiglie industriali tese soltanto all’arricchimento. La famiglia, istituzione fondatrice dell’etica nazionale, si erge nel romanzo di Carlotto a antimodello in quanto portatrice di corruzione e di perdita dei valori societali trasmessi dalla Chiesa nonché dalla Repubblica. L’economia non sarebbe più il frutto di un’etica sociale coesa, ma l’espressione del sovvertimento di alcuni punti nodali della società prima tenuti sotto controllo da quegli stessi partiti: il radicamento nel territorio, il rispetto di questo, la solidarietà civile. Nordest vuole essere una “biografia delle trasformazioni di un territorio” i cui intenti rientrano nell’estetica del Noir mediterraneo, cioè “raccontare grandi storie di malavita, storie di criminalità per fotografare insieme le trasformazioni sociali altrettanto profonde”27. L’attenzione critica di Carlotto coglie l’intreccio di fattori che hanno portato al pervertimento dei valori della società contadina cattolica (“bianca”) del Nordest. Il prologo del romanzo costituisce la tela sulla quale riposa il racconto di un delitto originato dalla volontà di salvaguardare la ricchezza acquisita con sotterfugi e strategie oculate ma illegali. I dati relativi alla realtà economica nordestina sono reali e spaventosi. Essi prendono in conto un inquinamento oltre i limiti di legge, un traffico che nasconde zone oscure28, lo stravolgimento del territorio che, da agrario quale era, ha lasciato il posto agli anonimi capannoni industriali un giorno fecondi ma oggi scheletri vuoti, abbandonati, causa la crisi, all’acquisto da parte dei cinesi29; la fine dei codici culturali e identitari30; la prospettiva delle “invasioni barbariche” da parte di altri popoli che, semplicemente col potere del denaro, cancellano la storia sedimentata nella lingua e nella terra.

14 Il Nordest è dunque sfondo e materia del dire romanzesco. Proprio perché “soggetto-fenomeno” collettivo, simbolo di una società e un’economia date, il Nordest è uno spazio indistinto, onnicomprensivo. È proprio per via di tale indistinzione che Carlotto ha chiamato “Paese” il luogo dell’azione narrativa: esso può rappresentare una qualunque città, ma anche un qualunque grosso centro provinciale del Triveneto. L’economia è dato statistico ma soprattutto realtà vissuta dal lettore nel suo farsi storia umana e privata. Nell’oggettività narrativa affidata per lo più ai dialoghi e all’enunciazione di un narratore-personaggio implicato affettivamente nel narrato, il lettore è preso nella rete di un giudizio etico che coinvolge la rimessa in questione di uno sviluppo economico, dimentico dei valori di solidarietà e rispetto di un territorio inteso non più come base dell’identità collettiva, ma come uno spazio uniformizzato, privo di memoria. Dice Carlotto:

  • 31 Morro, Olivier, “Entretien avec Massimo Carlotto”, cit., p. 287.

Le rapport au territoire a changé. Cela n’a donc plus de sens de parler de ville, à tel point qu’il existe un projet conçu par la droite universitaire de fonder une grande métropole appelée « Patreve », qui réunirait Padoue, Trévise et Venise. Désormais, il n’existe plus d’aire métropolitaine, seule une division entre des petites villes, reliées par des usines le long de ces routes de province. Le Nord-Est a purement et simplement été dénaturé du point de vue urbain. Les villes ont été dénaturées. La dimension sociale qu’avaient les villages a été dénaturée, et aujourd’hui, la dimension métropolitaine n’existe que du point de vue de la marchandise, de la distribution de la marchandise et de sa production31.

15 Carlotto presenta un Triveneto senza speranza: un territorio saccheggiato, un’atmosfera livida nella nebbia costante, un’industria destinata o alla svendita ai cinesi o alla delocalizzazione in Romania, in Cina, lasciando dietro di sé capannoni vuoti, utili solo per le rave party dei giovani senza prospettive, e discariche tossiche seppellite dalle stesse famiglie industriali nei terreni dell’area, in una sorta di auto-avvelenamento momentaneo, in attesa che i rifiuti delle imprese del “benessere” siano smaltiti nel Sud d’Italia32. Queste sono alcune delle problematiche affrontate ex abrupto nel prologo che ricapitola le letture preparatorie fatte a partire dalle pagine dei quotidiani economici del Nordest. Esse portano alla luce lo stravolgimento dei riferimenti storici e umani provocati da una globalizzazione intesa non già quale avvicinamento dei popoli, ma quale adeguamento dell’economia di piccola e grande scala ad una giungla di interessi prevaricanti:

  • 33 Carlotto, Massimo, Nordest, cit., p. 8.

Era stata annunciata la delocalizzazione di 44 aziende del settore calzaturiero. Colpa dei cinesi, era stato detto. L’import delle calzature in pelle dal paese asiatico era aumentato del 700% nell’ultimo anno. [...] la Coldiretti aveva espresso la sua preoccupazione per l’importazione selvaggia dalla Cina di fagioli secchi e ortaggi in salamoia, produzioni importanti in alcune zone del Nordest. [...] Da anni culture criminali provenienti dall’est e dal sud del mondo si erano insediate nel territorio, la criminalità organizzata italiana era solo un ricordo dei cronisti di nera. Le prostitute [...] la droga33.

16 Tali problematiche convergono nel tema strutturale del divorzio fra i padri fondatori del benessere industriale e i figli incapaci di assumere, da una parte, la ricchezza prodotta e, dall’altra, il pervertimento dei valori degli stessi padri. A questo proposito, partendo da un’inchiesta inquietante, Carlotto ha voluto capire le ragioni di questa disaffezione:

  • 34 Russo Massimo, “Nordest, la crisi si veste di giallo”, cit.

Ci aveva incuriosito il risultato di una ricerca per la quale i figli nel Nordest spesso si rifiutano di portare avanti l’impresa fondata dai padri. Un fatto secondo me positivo, perché testimonia la volontà di cambiare strada rispetto ad un modello che sta lasciando solo macerie34.

  • 35 Carlotto, Massimo, Nordest, cit., p. 183.
  • 36 Vecchi, Benedetto, “Il cuore nero del miracolo infranto”, in Il Manifesto, 29 settembre 2005.
  • 37 Cfr. Gouchan, Yannick, “L’Italie contemporaine en noir”, cit., p. 230.

17 Se il giornale di cui si riporta l’inchiesta situa l’abbandono dei giovani sul terreno economico (“cresciuti nella certezza del successo e adesso incapaci di affrontare la crisi economica”35), Carlotto predilige la dimensione sociologica di riscatto dalle perversioni che impone l’economia, anche quella familiare, per definizione salda nei suoi principi. Ebbene i figli fuggono dalla fabbrica, scelgono l’università, si distaccano dal senso di sacrificio e dall’etica di un lavoro che esige accordi illegali. E allora o vengono a rafforzare le file della nuova intellettualità nordestina (in conflitto con lo stereotipo della bassa scolarizzazione propria all’area geografica) o precipitano, incapaci, nella perdita di sé nelle discoteche del sabato sera, nell’alcol o nelle droghe pesanti e quindi negli incidenti mortali sulle strade del Triveneto. Il quadro proposto da Carlotto acquista il rilievo di una diagnosi pesante della responsabilità generazionale rappresentata da padri ossessionati dal successo. L’ascesa di un capitalismo dal volto umano precipita, negli anni di crisi portati dalla globalizzazione, in un declino in cui la competizione selvaggia si articola con le ragioni più private del rapporto padri-figli: tale divorzio prende tuttavia nel romanzo una piega drammatica, in quanto i figli cadono nella follia-nevrosi, nella perdita di identità, nella rapina, nel pestaggio razzista contro i negri venditori ambulanti36. Solo Francesco e Carla, figli anch’essi di quei padri, assicurano, grazie al loro lavoro di inchiesta sull’omicidio di Giovanna, un riscatto che li porterà lontani dalle terre del miracolo dei distretti industriali. Solo la rivolta e la fuga permettono di sfuggire (denunciandolo) al legame tra mondo economico e criminalità organizzata. Ma tale snodo è al centro di una crisi identitaria che rimette in causa la nozione di continuità generazionale e la funzione della famiglia, intesa come nucleo non più di affetti ma di potere, di controllo sul territorio37. È tale incrocio di sensi a provocare nell’avvocato Visentin, malgrado la sua responsabilità nel crimine commesso, la crisi di coscienza dinanzi alla decisione di Selvaggia di far internare suo figlio Filippo per incapacità mentale, ma in realtà al fine di mantenere sotto il suo proprio controllo la ricchezza familiare accumulata:

  • 38 Carlotto, Massimo, Nordest, cit., p. 175.

Ma i figli, per Visentin, erano la possibilità di vivere oltre la propria morte, di continuare attraverso loro nel futuro. Far interdire Filippo avrebbe significato recidere le radici più profonde, interrompere quell’asse ereditario che aveva consentito alle loro famiglie di governare e prosperare attraverso qualunque contingenza storica, qualunque regime politico. Ogni trasformazione politica e sociale del Nordest era stata accompagnata e controllata dalle loro famiglie. [...] Selvaggia stava violando l’unico, vero tabù: quello ereditario. [...] Per quante trasformazioni stesse subendo il Nordest, il potere delle famiglie doveva rimanere intatto. Altrimenti sarebbe stato per tutti l’inizio della fine38.

  • 39 Marcoaldi, Franco, “Una rabbia da Nordest”, in La Repubblica, 17 settembre 2005.
  • 40 Per i tre concetti, si legga l’intervista a Carlotto di Cicala, Marco, “Il Nordest in decadenza, av (...)
  • 41 Bossi, Lise, “Gendarmes et voleurs à l’heure de la globalisation dans les romans noirs de Massimo C (...)

18 Carlotto articola in un intreccio fecondo economia e trasformazione della società attraverso il prisma della famiglia. Grazie a questa connessione, l’ambito familiare diventa il pretesto capace di illuminare “gli oscuri assetti di potere di un’intera comunità”39, tanto che il romanzo, per la presenza di numerosi personaggi-figurine, acquista piuttosto lo statuto di romanzo collettivo. La “crisi di una cultura industriale” un tempo radicata nel territorio va cercata nella decadenza delle radici borghesi, nella “malattia morale” (la corruzione) da cui è scaturita la “malattia economica”40. Nella sua logica sovvertitrice dei punti di vista, incline a mostrare i risvolti negativi della “positività” del liberalismo, Carlotto già nel ciclo dell’Alligatore aveva operato un rovesciamento nella lettura abituale dei fenomeni socioeconomici attuali. Tramite la sua dialettica rovesciata, aveva dimostrato come non sia l’affluenza delle nuove realtà umane ed economiche dall’Est europeo ad avere corrotto il Nordest, simbolo dell’Occidente, quanto il contrario: è l’Occidente ad aver pervertito il resto del mondo. Lise Bossi ha mostrato bene la sottigliezza di tale rovesciamento di prospettive: è a partire dalla rivoluzione neoliberale degli anni Ottanta che si è affermata una società dedita al lusso, al lucro; cosicché la “dérégulation morale” ha provocato la “dérégulation économique” e non l’inverso41. Ma il male affonda le sue radici ancor più nel passato. Col suo acume e la sua conoscenza della storia italiana, Carlotto individua già nella Ricostruzione il “peccato originale” di cui si scontano oggi le conseguenze:

  • 42 In Cicala, Marco, “Il Nordest in decadenza”, cit.

Dalla fondazione di Porto Marghera, negli anni Cinquanta, si sono inanellati errori che hanno portato alla crisi attuale. Errori di una classe dirigente e imprenditoriale che non ha mai saputo pensare uno sviluppo che andasse al di là del suo portafoglio. A differenza delle dinastie industriali del Nordovest anch’esse in crisi, ma per altre ragioni, in Veneto ci si è limitati a una politica di piccolo cabotaggio, navigando a vista. E oggi resta un mucchio di macerie. [...] La corruzione è diffusa. [...] Quel modello produttivo è sorto da una commistione tra economia legale ed illegale. Molte richezze sono nate con soldi che non si capiva bene da dove venissero. L’evasione fiscale è ampia. Nel libro parliamo anche di inquinamento. È noto che gli industriali veneti si sono affidati alla camorra per risparmiare sui costi dello smaltimento di rifiuti nocivi. Ora vanno in Romania e in Cina. Per risparmiare, e perché lì possono inquinare senza problemi42.

19 Nel Nordest si mescolano così il globale e il locale, la realtà e la fiction, l’Italia e l’Europa dell’Est venuta alla ribalta dopo la fine della guerra fredda. Questo territorio emblematico si presenta, da una parte, come un laboratorio non più di un’economia modello, ma della nuova criminalità internazionale e, dall’altra, come piattaforma strategica, zona di frontiera tra due mondi:

  • 43 Ibid.

Qualcuno lo ha definito il più grande laboratorio criminale d’Europa. Se, in un giorno, i blitz della polizia scoprono 28 laboratori clandestini, dove i cinesi in stato di semischiavitù passano dodici ore a cucire jeans, la cui tela è fornita da grandi aziende che poi su quei pantaloni mettono il marchio, e li vendono nei negozi, allora significa che si tratta di una catena complessa, tutta da studiare. [...] Oggi i malavitosi italiani lavorano al servizio di culture criminali straniere. Soprattutto dell’Est europeo. Il cavalcavia di Mestre è forse lo snodo del commercio illegale più importante d’Italia. Da lì transita ogni genere di merce dalla Turchia o dalla Bulgaria43.

  • 44 Bossi, Lise, “Gendarmes et voleurs”, cit., p. 177.

20 Esso accoglie dunque la dimensione sconfinata degli scambi, dei nuovi interessi, una globalizzazione sregolata dove le vecchie forme di potere o di produttività vengono scalzate da ritmi spietati. Ma più che essere percepito come la vittima della presenza aggressiva dei nuovi soggetti economici, il Nordest subisce l’effetto boomerang di prospettive lanciate decenni prima. Questo sembra essere il messaggio di Carlotto. Nella sua dialettica del qui e dell’altrove, tutto si rovescia. La malavita dell’Est si fonde con quella autoctona, ne diventa complice. Parafrasando Lise Bossi, è l’Occidente con i suoi meccanismi economici sregolati dall’incontrollata corsa al denaro, dalla morte dei suoi principi socio-economici ad offrire a quelle che Carlotto ha definito “culture criminali straniere” “opportunità insperate”44. In altri termini, mai il Nordest ha rappresentato un modello, anzi già ai suoi albori conteneva i fattori endogeni della sua crisi: illegalità e corruzione. E questi sono legati al modello produttivo piccolo, miope, basato sul denaro immediato. In un primo momento tale sistema ha funzionato, mai poi è stato schiacciato dai ritmi sfrenati dell’economia globale. Dice ancora Carlotto:

  • 45 In Melis, Andrea, “Nel profondo Nordest”, cit.

Il corto circuito culturale è avvenuto all’inizio quando la locomotiva economica del Nordest ha travolto il proprio territorio, modificandone il tessuto sociale e urbanistico. La possibilità di accedere a un mercato globale è stato un effetto collaterale. In realtà lo sviluppo economico della zona è sempre stato miope, nel senso che non prevedeva la globalizzazione, pensando a un’espansione nei confronti degli Stati limitrofi, da un lato Germania e Austria, dall’altro l’Est europeo. La crisi è iniziata quando è arrivata la concorrenza da Cina e India e il facile arricchimento è diventato oggetto di contesa. Truffe e altre forme illegali legate alla produzione sono ormai un aspetto specifico di questo modello economico. La legalità è vista come un ostacolo alle attività produttive45.

  • 46 Giurisatti, Paolo, “Nordest, è l’ora di andare a scuola”, Nautilus Economia, in www.nautilus.tv/97 (...)
  • 47 Ibid.
  • 48 Ibid.

21 Quali prospettive allora per il Nordest? Delocalizzare. Dove? In Romania (come nel romanzo) o in Cina. Per fare cosa? Qui sorge il quesito sul futuro dell’area. Nel 1997, la questione di un modello da esportare era già nel cuore delle interrogazioni degli studiosi del fenomeno. In un articolo di quell’anno, Paolo Giurisatti aveva colto il nocciolo del problema: seppur all’origine del miracolo economico degli anni Ottanta, il Nordest non riesce a proporsi come modello riproducibile altrove, a diventare “egemonia culturale”46. Secondo l’economista, pur avendo una “buona reputazione produttiva” legata a qualità ed efficienza del modello di organizzazione del lavoro e dell’impresa, il Nordest non riesce a creare “un sistema codificato ed esportabile di gestione dell’impresa e dell’economia”47. La sua debolezza consiste nell’essere ancora una ricetta appetibile incapace, tuttavia, di riprodursi secondo una modellizzazione applicabile altrove. Resta, come ha detto Ilvo Diamanti, “un modello senza borghesia”48.

  • 49 “La Fondazione Torrefranchi. Era nata con fini culturali ma quando il Nordest era diventato la loco (...)
  • 50 Pellegrini, Franca, “Il ‘giallo’ italiano contemporaneo”, cit.
  • 51 Morro, Olivier, “Entretien avec Massimo Carlotto”, cit., p. 286. Lo scrittore afferma: “Plus haut e (...)

22Cosciente di questo handicap, Carlotto mette al centro del suo romanzo la delocalizzazione, in Romania, della Fondazione Torrefranchi, cartello economico-politico creato dall’avvocato Visentin e da Selvaggia Calchi Renier per controllare l’attività imprenditoriale del “Paese”49. Luogo di tutti i compromessi e corruzioni, la Fondazione simbolizza il “sistema economico non trasparante e malavitoso” del Nordest, un “sistema autoreferenziale che controlla i meccanismi della giustizia ed è al di sopra di ogni sospetto”50. È l’espressione di quella “società criminogena”51 bisognosa di una facciata di rispettabilità e filantropia per esercitare le sue funzioni nella società odierna.

  • 52 “I camion abbandonarono la provinciale e si inoltrarono nella campagna di Nola. In mezzo ai campi c (...)
  • 53 Pellegrini, Franca, “Il ‘giallo’ italiano contemporaneo”, cit.
  • 54 Le Tumelin, Yann, “Une interview de Massimo Carlotto”, cit.

23 La Fondazione opera a due livelli. In primo luogo, assicura il legame tra Nord e Sud d’Italia. Collusa con i media locali, partecipa al business dei rifiuti controllato dalla Camorra, sotterrando i rifiuti tossici delle imprese del cartello per poi trasportarli di nascosto nella terra dei fuochi, nella provincia di Nola52. Incarna il “sistema” economico attuale che trae i suoi profitti dall’ecomafia. Tale sistema è onnivoro: governa il territorio locale e nazionale, uccide se necessario, domina i poteri locali. Francesco e Carla scoprono tutte queste connessioni e gli interessi all’origine dell’omicidio di Giovanna. Carlotto denuncia la facciata presentabile del Nordest, anzi sembra scavare nel sostrato di orrore e perversioni di cui essa ha bisogno per esistere. L’autore non fa distinzioni tra, da un lato, produttività esibita e vincente del Nord e, dall’altro, economia strangolata dalla Camorra nel Sud: l’imprenditoria riposa su una stessa base che annulla lo stereotipo della differenza produttiva tra le due estremità dell’Italia. Nella sua scrittura impegnata, si rinsalda, secondo quanto ha mostrato Franca Pellegrini53, il legame tra localismo, regionalismo e dimensione nazionale. In un’intervista, infatti, Carlotto ha rivendicato la sua premonizione nell’aver anticipato nel romanzo alcuni scandali, tra cui quello dei rifiuti nella provincia di Napoli54. Il suo intento è svelare le connessioni tra criminalità ed economia “legale” e come la produttività sia oggi il risultato di una corruzione che ha impaludato impresa, finanza e politica.

24 In secondo luogo, la Fondazione simbolizza la fenomenologia della piccola e media impresa del Nord. Incapace di vendere il suo modello, per nulla sistematizzato a livello di studi e ricerche, il Nordest ha un orizzonte corto. La sua sopravvivenza è legata alle esportazioni o alle delocalizzazioni. Giurisatti aveva già scritto nel 1997:

  • 55 Giurisatti, Paolo, “Nordest, è l’ora di andare a scuola”, cit.

Sul fronte esterno poi, salvo casi sporadici, gli investimenti in reputazione sono inesistenti. Pochissime imprese esportatrici sono in grado di portare con sé una immagine convincente del Nordest e delle sue istituzioni, dei fattori di forza del territorio. A chi domanda un modello di sviluppo e di cooperazione (ad esempio i discendenti degli emigrati veneti, friulani, marchigiani del Brasile e dell’Argentina) il Nordest risponde esportando merci55.

25 Carlotto mette il dito nella piaga delle delocalizzazioni. Esse sarebbero la manifestazione dell’intrinseca debolezza del sistema PMI dovuta soprattutto all’assenza di sviluppo e ricerca. Nell’intervista di Marco Cicala egli afferma:

  • 56 Cicala, Marco, “Il Nordest in decadenza”, cit.

Sta proprio qui il nocciolo del declino. Nessuna voglia di immaginare il futuro, nessun progetto a lunga scadenza. Lo vediamo nella politica e in un’economia come quella del Nordest che, per esempio, non ha mai investito nella ricerca. Ha sempre raccattato tecnologie a basso costo e oggi fugge all’Est o in Cina portando strumentazioni obsolete e sfruttando forza lavoro a buon mercato56.

  • 57 Carlotto, Massimo, Nordest, cit., p. 192.

26 La fuga (verso Cina, Polonia, Romania) rappresenterebbe dunque l’unica salvezza del Nordest. E, nel romanzo, la possibilità di mantenere gli stessi strumenti di produzione e di sfuggire alla giustizia per l’omicidio di Giovanna. Questo è il quadro che Carlotto ha voluto denunciare e su cui ha voluto dare un giudizio storico. Mettere in scena l’irresponsabilità dei piccoli imprenditori collusi che, a costo di salvare la loro vita e la produttività delle loro imprese, non si curano della disoccupazione nazionale (nordestini e immigrati inseriti nel tessuto lavorativo) provocata dalle delocalizzazioni, né del destino delle popolazioni del Nordest avvelenate dai rifiuti tossici, né tantomeno della decadenza etica dei paesi occupati (“forse il Nordest sarebbe tornato a essere terra di contadini, mentre la Romania sarebbe diventata un polo industriale infestato da gas velenosi, con città pullulanti di immigrati italiani”57). Il romanzo termina infatti con questa prospettiva: morto l’avvocato Visentin, Selvaggia, unica superstite, è riuscita a trasferire la Fondazione Torrefranchi a Timisoara (Romania), sfuggendo alla giustizia italiana.

  • 58 Ibid., p. 204.
  • 59 Ibid., p. 205.

27 La pagina finale del romanzo, con Selvaggia che rilascia un’intervista sui motivi dell’installazione del cartello nordestino in Romania, su attese e progetti di esso in quel paese, risponde ironicamente a tutte le domande sollevate da Carlotto. La delocalizzazione è la soluzione a tutto: giustizia impotente, debolezza intrinseca del sistema PMI del Nordest, decadenza societale dell’inizio del secondo millennio, sfruttamento a oltranza dei poveri da parte di chi possiede le chiavi dell’economia. Carlotto non smette di interrogarsi sull’universo a lui caro, spaccato tra potenti e diseredati. Nulla cambia nel sistema economico attuale: si assiste solo allo spostamento dei problemi, ma il funzionamento liberale persiste. La nuova provincia nordestina a Timisoara, basata sul savoir faire d’origine, cerca maggiore libertà di movimento cui la Romania dovrà piegarsi: “per continuare a essere concorrenziali abbiamo bisogno di un mercato del lavoro sempre più flessibile”58, risponde Selvaggia al giornalista rumeno. E tanta è la libertà del cartello nel nuovo territorio che esso si occuperà da sé dello “smaltimento dei [propri] rifiuti”59. È la vittoria dell’ironica filantropia del cartello al servizio, in realtà, solo dei propri interessi economici.

  • 60 Milanesi, Claudio, “Franchir les frontières, subvertir les règles. Deux romans et une nouvelle de M (...)

28 Con questo romanzo noir, Carlotto è riuscito a dire ciò in cui le scienze sociali sembrano aver fallito: descrivere i mutamenti economici ed antropologici, esprimere una denuncia etica sulle sfaldature delle strutture portanti della società italiana. In questo senso, egli persegue il progetto ormai consolidato nella sua scrittura di genere: andare oltre il noir, sovvertire le regole generiche per arricchire lo schema narrativo di un intento sociale e politico allo scopo di capire i disfunzionamenti della società, i rapporti tra gli individui e i gruppi sociali, dipingere il quadro delle trasformazioni della società italiana e in particolare del Nordest60. Raccontare un territorio situandolo in un momento storico, politico ed economico. Questo giallo-noir è non solo il romanzo di una collettività territoriale a immagine di una famiglia sovvertitrice dei valori di base, ma anche l’emblema di una letteratura capace di rimettere la realtà nel cuore dell’immaginario. Il testo narrativo sottintende e richiede tuttavia il sapere collaterale che abbiamo cercato di mettere in risalto in questo studio. Il romanzo da solo non basta a capire la complessa realtà del Nordest. La letteratura paratestuale di Carlotto è un supporto imprescindibile per il realismo della letteratura di genere: essa incarna una nuova scrittura che si nutre della realtà, ma che richiede conoscenze extratestuali necessarie per coglierne la tenuta narrativa. Se tuttavia nel ciclo dell’Alligatore, Carlotto aveva dato prova di una scrittura esperienziale (per la sua conoscenza dall’interno del mondo malavitoso e carcerario), in Nordest ritorna a una letteratura dell’inesperienza. La conoscenza del territorio e dei suoi fenomeni economici non è interna alla sua realtà individuale, ma è il frutto di un interesse e di uno sguardo critico sul divenire della società italiana.

  • 61 Per questi concetti, cfr. Crotti, Ilaria, La “Detection” della scrittura. Modello poliziesco ed att (...)

29 L’inchiesta poliziesca, fondendosi con quella sociologica, rende più icastica, in quanto elaborata dall’interno, la radiografia di un’intera società in crisi. Se tale foto coglie l’impasse di una generazione, quella dei figli, senza orizzonti né valori, grazie al rovesciamento delle prospettive caro a Carlotto paradossalmente essa offre una via d’uscita. Il futuro può riprendere un volto umano solo se il lavoro viene riportato nell’alveo della dimensione locale, genuina di una comunità coesa. La fuga deve trasformarsi di nuovo in radicamento nel territorio, in armonia tra coscienza del passato, azione nel presente e costruzione del futuro. Riavvicinare queste tre dimensioni è l’intento di Carlotto. E ciò grazie ai valori che solo i padri possono trasmettere alle generazioni successive: senza educazione civica, senza rispetto per un lavoro e una progettualità sociale in cui esso si sviluppa non ci può essere futuro. Occorre ridare ai giovani la dimensione del futuro e ciò anche grazie a un lavoro a dimensione umana. Grazie ai sensi plurali di cui si fa portatore, il romanzo Nordest va oltre il genere, anzi mette in rilievo i suoi elementi allotropici61 che risemantizzano la struttura canonica del genere, dandogli una nuova vita con nuovi orizzonti e nuove possibilità espressive.

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Note

1 Le pagine delle citazioni sono tratte da questa edizione. Il romanzo è stato tradotto in francese col titolo Padana city da Laurent Lombard per le edizioni parigine Métailié nel 2008.

2 Bagnasco, Arnaldo, Tre Italie: la problematica territoriale dello sviluppo italiano, Bologna, Il Mulino, 1977.

3 Le Tumelin, Yann, “Une interview de Massimo Carlotto”, 26 novembre 2008, in http://www.culturopoing.com/livres/Carlotto+Massimo+Entretien+-1416 (consultato il 4 febbraio 2009).

4 Ferri, Sandro, Massimo Carlotto: professione scrittore, in www.edizionieo.it, marzo 2005 (consultato il 12 settembre 2007).

5 Morro, Olivier, “Entretien avec Massimo Carlotto”, in Roman policier et histoire. Italie, Cahiers d’études romanes, Université de Provence, nouvelle série, n. 15/1, 2006, pp. 286-287.

6 Luperini, Romano, “‘Dire la verità’. Riflessioni sulla odierna letteratura realistica”, in Chichibìo, Palermo, anno X, n. 46, gennaio-febbraio 2008, p. 1.

7 Ibid., p. 2. Il testo di Edward Said cui rimanda Luperini è Dire la verità. Gli intellettuali e il potere, Milano, Feltrinelli, 1995.

8 Luperini, Romano, “‘Dire la verità’”, cit., p. 2. Sulla tendenza della narrativa al realismo, si veda Bertoni, Federico, Realismo e letteratura. Una storia possibile, Torino, Einaudi, 2007.

9 “Le journalisme d’enquête n’existe plus. Aussi, le roman policier veut occuper le vide laissé par ce dernier, et donc cherche à informer le lecteur tout en lui donnant des éléments de réflexion. C’est le pari actuel du roman policier italien. […] le roman noir […] me permet de parler d’autre chose. Raconter une histoire criminelle qui se déroule dans un lieu déterminé à un moment déterminé est de plus en plus une excuse pour raconter autre chose” (Morro, Olivier, “Entretien avec Massimo Carlotto”, cit., pp. 286 et 290).

10 “Le cose che scrivo partono sempre da un’idea e si svolgono su uno schema. Voglio ‘dimostrare’ qualcosa servendomi della rappresentazione di un fatto immaginato o inventato; e dico inventato nel senso di trovato: trovato nella storia e nella cronaca. [...] La mia è dunque una materia saggistica che assume i ‘modi’ del racconto, si fa racconto. Il processo di trasformazione non è facile: e io sono particolarmente attento ed assorto nella tecnica del raccontare. [...] Spesso anzi mi servo della tecnica narrativa in un certo senso più sleale nei riguardi del lettore, quella che impedisce al lettore di lasciare a metà un libro; la tecnica, voglio dire, del romanzo poliziesco” (Mauro, Walter, Sciascia, Firenze, La Nuova Italia, 1970, pp. 1-2).

11 Pellegrini, Franca, “Il ‘giallo’ italiano contemporaneo: memoria e rappresentazione dell’identità ‘nazional-regionale’”, in Quale memoria per il noir italiano?, convegno tenutosi all’università di Louvain-la-Neuve i 15-16-17 maggio 2008, atti in via di pubblicazione.

12 “Le lieu est stratégique dans le roman noir. Il est le point fondamental à partir duquel raconter. À moins qu’on ne prenne des sujets absolus, tels que la vengeance par exemple, on ne peut pas aujourd’hui raconter une quelconque transformation sans la caractériser du point de vue du lieu. [...] la force de notre genre réside dans la capacité d’analyser la réalité à partir de données précises” (Morro, Olivier, “Entretien avec Massimo Carlotto”, cit., p. 288).

13 In Giaretta, Fabio, “Nordest tra ‘noir’ e realtà”, in Il Giornale di Vicenza, 27 settembre 2005.

14 Le Tumelin, Yann, “Une interview de Massimo Carlotto”, cit.

15 Melis, Andrea, “Nel profondo Nordest. Intervista a Massimo Carlotto e Marco Videtta”, in La Nuova Sardegna, 6 settembre 2005.

16 Si legga Gouchan, Yannick, “L’Italie contemporaine en noir: Massimo Carlotto et Marco Videtta, Nordest”, in Roman policier et Histoire. Italie, Cahiers d’études romanes, cit., pp. 221-238.

17 Milanesi, Claudio, “L’Alligatore: il nordest come metafora”, in Humour, ironie, impertinences, Italies, Université de Provence, n. 4/2, 2000, pp. 683-684.

18 Ibid., p. 679.

19 Ibid.

20 Diamanti, Ilvo (a cura di), Idee del Nordest. Mappe, rappresentazioni, progetti, Torino, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 1998.

21 Barlucchi, M. Chiara, recensione al volume di Ilvo Diamanti publicata sulla rivista Polis, n. 3, dicembre 1999, pp. 490-491. La citazione interna è tratta dal volume di Diamanti, p. 5.

22 Diamanti, Ilvo (a cura di), Idee del Nordest, cit., p. 221.

23 Barlucchi, M. Chiara, recensione al volume di Ilvo Diamanti, cit.

24 Cfr. Diamanti, Ilvo, “Nordest: si può crescere senza politica?”, in Il Mulino, Bologna, n. 6, nov.-dic. 1997, pp. 1061-1073 e “Il Nordest vuole le preferenze per ‘riprendersi’ la politica”, in Gazzettino dell’Osservatorio Nordest, 3 febbraio 2009, pp. 3-5. Brunetti, Giorgio, in “Crisi a Nordest, le famiglie sono meno pessimiste” (ibid., 10 febbraio 2009, pp. 3-4), scrive: “Nel Nordest il sistema delle piccole e medie imprese finora ha tenuto anche se il futuro è sempre incerto. [...] la recessione ancora non si fa particolarmente sentire. La casa di proprietà, i risparmi, la famiglia e l’occupazione che ancora tiene, sono tutti fattori che aiutano”. Si legga anche Bordignon, Fabio, “La crisi persiste ma i conti di casa si salvano”, ibid., pp. 5-6.

25 Tutte le informazioni relative alla Fondazione si trovano nel sito www.fondazionenordest.net.

26 Ibid.

27 Antonini, Checchino, “La locomotiva del Nordest si schianta in Romania”, in Liberazione, 16 ottobre 2005.

28 “Il cavalcavia di Mestre, in piena notte, era ancora un serpentone di mezzi pesanti che avanzavano lentamente nei due sensi di marcia. Merci legali e illegali che andavano e venivano dai paesi dell’est” (Carlotto, Massimo, Nordest, cit., p. 7).

29 “Altri quattro capannoni vuoti con la scritta affittasi, tradotta anche in cinese. Di capannoni aveva parlato nella mattina un docente di urbanistica della Facoltà di architettura di Venezia. Ai suoi studenti aveva spiegato che, a forza di costruire 2.500 capannoni l’anno, erano stati sottratti al paesaggio agrario ben 3.500 chilometri quadrati [...]. Il docente era preoccupato, aveva affermato che la devastazione del territorio era ampia e profonda. Forse irreparabile” (ibid.).

30 “Ormai nel Nordest i capannoni avevano cancellato memoria alla terra e identità agli abitanti. E di identità locale si era parlato in un’altra università. Tre persone su quattro continuavano a usare il dialetto, anche in ambito professionale. Un dato confortante, lo avevano definito: il dialetto rappresentava un elemento di grande importanza per la coesione della comunità” (ibid.).

31 Morro, Olivier, “Entretien avec Massimo Carlotto”, cit., p. 287.

32 Cfr. Russo, Massimo, “Nordest, la crisi si veste di giallo”, in http://www.kataweb.it/spec/home_speciale.jsp?ids=1120778, con video dell’intervista a Massimo Carlotto “Tramonti noir a Nordest”, http://www.kataweb.it/spec/articolo_speciale.jsp?ids=1120778&id=1120788 (entrambe le pagine consultate il 4 febbraio 2009).

33 Carlotto, Massimo, Nordest, cit., p. 8.

34 Russo Massimo, “Nordest, la crisi si veste di giallo”, cit.

35 Carlotto, Massimo, Nordest, cit., p. 183.

36 Vecchi, Benedetto, “Il cuore nero del miracolo infranto”, in Il Manifesto, 29 settembre 2005.

37 Cfr. Gouchan, Yannick, “L’Italie contemporaine en noir”, cit., p. 230.

38 Carlotto, Massimo, Nordest, cit., p. 175.

39 Marcoaldi, Franco, “Una rabbia da Nordest”, in La Repubblica, 17 settembre 2005.

40 Per i tre concetti, si legga l’intervista a Carlotto di Cicala, Marco, “Il Nordest in decadenza, avanguardia di un’Italia che non sogna il futuro”, in Il Venerdì di Repubblica, 2 settembre 2005.

41 Bossi, Lise, “Gendarmes et voleurs à l’heure de la globalisation dans les romans noirs de Massimo Carlotto”, in Images littéraires de la société contemporaine (3), Novecento… e dintorni, Cahiers d’études italiennes, Université Stendhal-Grenoble 3, n. 7, 2008, p. 177.

42 In Cicala, Marco, “Il Nordest in decadenza”, cit.

43 Ibid.

44 Bossi, Lise, “Gendarmes et voleurs”, cit., p. 177.

45 In Melis, Andrea, “Nel profondo Nordest”, cit.

46 Giurisatti, Paolo, “Nordest, è l’ora di andare a scuola”, Nautilus Economia, in www.nautilus.tv/97 (consultato il 28 marzo 2009).

47 Ibid.

48 Ibid.

49 “La Fondazione Torrefranchi. Era nata con fini culturali ma quando il Nordest era diventato la locomotiva dell’economia italiana, si era trasformata in un formidabile consorzio di aziende, in grado di spaziare in ogni campo e fare affari con chiunque. [...] ‘Mafia?’, azzardai. Annuì. ‘Come tutte le altre organizzazioni ha basi nel Nordest. Questo è il posto giusto per riciclare il denaro sporco in attività legali. Basta andare al bar per trovare imprenditori disposti a far affari senza preoccuparsi della fedina penale dei soci’ [...]. La Fondazione rappresenta il più importante gruppo industriale della zona. Le aziende investono una fortuna nelle pubblicità sui giornali” (Carlotto, Massimo, Nordest, cit., pp. 23 e 178).

50 Pellegrini, Franca, “Il ‘giallo’ italiano contemporaneo”, cit.

51 Morro, Olivier, “Entretien avec Massimo Carlotto”, cit., p. 286. Lo scrittore afferma: “Plus haut est le niveau culturel de la criminalité, plus celle-ci a la capacité de s’insérer confortablement dans le tissu productif, ce qui signifie être cachée par la société. Nous vivons dans une société criminogène. Le crime a envahi tous les secteurs de la société et a besoin d’une façade”.

52 “I camion abbandonarono la provinciale e si inoltrarono nella campagna di Nola. In mezzo ai campi coltivati si levava il fumo di numerosi falò. La terra dei fuochi [...] ‘Vedi, usano balle di stracci impregnati di solventi o alogenati come base per i fuochi’, [Carla] continuò a spiegare. ‘Fingono di distruggere gli stracci e intanto si liberano di rifiuti velenosi a un costo bassissimo.’ Ripartimmo e vedemmo in lontanza una fattoria e bufale che pascolavano pigramente. ‘Mozzarella alla diossina’ ironizzò con amarezza. ‘Qui la gente si ammala e muore. Cancro al fegato, leucemia’” (Carlotto, Massimo, Nordest, cit., p. 153).

53 Pellegrini, Franca, “Il ‘giallo’ italiano contemporaneo”, cit.

54 Le Tumelin, Yann, “Une interview de Massimo Carlotto”, cit.

55 Giurisatti, Paolo, “Nordest, è l’ora di andare a scuola”, cit.

56 Cicala, Marco, “Il Nordest in decadenza”, cit.

57 Carlotto, Massimo, Nordest, cit., p. 192.

58 Ibid., p. 204.

59 Ibid., p. 205.

60 Milanesi, Claudio, “Franchir les frontières, subvertir les règles. Deux romans et une nouvelle de Massimo Carlotto”, in www.massimocarlotto.it/français/milanesi.html (consultato il 4 febbraio 2009).

61 Per questi concetti, cfr. Crotti, Ilaria, La “Detection” della scrittura. Modello poliziesco ed attuazioni allotropiche nel romanzo del Novecento, Padova, Editrice Antenore, 1982.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Maria Pia De Paulis-Dalembert, «Nordest di Massimo Carlotto: ascesa e declino del capitalismo tra sangue e misteri familiari»Narrativa, 31/32 | 2010, 137-157.

Notizia bibliografica digitale

Maria Pia De Paulis-Dalembert, «Nordest di Massimo Carlotto: ascesa e declino del capitalismo tra sangue e misteri familiari»Narrativa [Online], 31/32 | 2010, online dal 01 juin 2022, consultato il 12 mai 2025. URL: http://journals.openedition.org/narrativa/1575; DOI: https://doi.org/10.4000/narrativa.1575

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Autore

Maria Pia De Paulis-Dalembert

Université Sorbonne Nouvelle-Paris 3

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