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Femminismi, tra teoria e creazione artistica

Femminismi e movimenti delle donne nell’Italia del Duemila

Alessandra Montalbano
p. 31-47

Testo integrale

1Nell’ottimo saggio Femminismo e generazioni (2004)1, la sociologa Marina Cacace si domanda perché il termine femminismo sia diventato una brutta parola riferendosi al fatto che le nuove generazioni di donne, pur vivendo a livello individuale le conquiste ottenute dal movimento femminista, spesso non solo rifiutano di definirsi loro stesse femministe ma prendono le distanze da un passato che nemmeno conoscono. Il libro di Cacace risulta particolarmente efficace in quanto, basandosi su una vasta ricerca empirica, analizza da una prospettiva di genere e con gli strumenti del discorso accademico internazionale femminista, post-femminista, e postcoloniale, i dati sulle difficili condizioni in cui si trovano a vivere oggi le donne su scala globale e in Italia. Di qui la necessità, secondo la sociologa, di superare la “disaffezione” verso il femminismo e di riuscire a trasformare in azione collettiva e movimento le azioni individuali delle giovani donne che isolate non potrebbero affrontare una situazione di natura politica. Guardando all’Italia dell’ultimo quindicennio il mio saggio si propone di rovesciare la domanda posta da Cacace. Sono le donne che non si avvicinano al femminismo o è il femminismo che si allontana dalle donne? Negli ultimi anni la società civile femminile italiana si è più volte mobilitata manifestando numerosa contro la violenza di genere, il sessismo, la precarietà, e ha aderito in massa al movimento “trasversale, aperto e plurale” Se non ora quando? (Snoq) nato nel 2011 dall’iniziativa di alcune “per reagire al modello degradante ostentato da una delle massime cariche dello Stato, lesivo della dignità delle donne e delle istituzioni”2. Le azioni collettive non sono dunque mancate.

  • 3 Bonomi Romagnoli, Barbara, Irriverenti e libere. Femminismi del nuovo millennio, Roma, Editori Inte (...)

2La prima sezione di questo saggio esamina la posizione critica presa da una parte del femminismo italiano rispetto alla manifestazione organizzata da Snoq il 13 febbraio 2011 ricostruendo parzialmente il dibattito svoltosi a riguardo su web e giornali e analizzando successivamente da vicino l’articolo di Luisa Muraro, “Il grande errore è andare in piazza per conto di altri”, pubblicato sul Corriere della Sera (10 febbraio 2011), che permetterà di far risalire il “no alla piazza” di questo femminismo alla sua intrinseca idea di prassi politica. La seconda sezione esplora invece il femminismo italiano più attivista e giovane attraverso le lenti di una sua cronista, Barbara Bonomi Romagnoli, che nel suo libro Irriverenti e libere. Femminismi del nuovo millennio (2014)3 dà voce a una realtà totalmente ignorata dai media. Seguendo il tema della piazza e dell’azione collettiva, il saggio offre perciò un confronto tra prospettive femministe profondamente diverse (soprattutto per quanto riguarda, come vedremo, il modo di intendere la sessualità, il concetto di autorità e il linguaggio) cercando di rispondere a partire da tali prospettive al suo interrogativo di fondo: qual è la relazione tra femminismi e donne nell’Italia contemporanea?

Un femminismo altrove

  • 4 De Gregorio, Concita, “Le altre donne”, l’Unità, 18 gennaio 2011, disponibile in http://concita.blo (...)

3Sull’onda degli scandali dell’ex-primo ministro Silvio Berlusconi legati alla prostituzione, un milione di cittadine italiane sono scese in piazza per dire basta a una situazione inaccettabile e per opporsi a una diffusa e radicata cultura sessista. Parte del femminismo italiano si è dichiaratamente dissociato da questa iniziativa organizzata dal movimento delle donne Snoq. Motivo iniziale del dissenso femminista non è stata la manifestazione in sé ma l’appello dal titolo “Le altre donne” scritto dalla giornalista Concita De Gregorio pubblicato su l’Unità il 18 gennaio 20114. Tale appello chiamava le donne a mobilitarsi in occasione di un’altra manifestazione che ha di poche settimane preceduto quella di Snoq e che si è tenuta con successo a Milano il 29 gennaio. Invitata da un’amica a firmare il testo di De Gregorio, la filosofa e “femminista storica” Luisa Muraro ha rifiutato rendendo pubbliche le sue motivazioni:

  • 5 Il breve testo di Luisa Muraro, dapprima pubblicato sul sito della Libreria delle donne, viene poi (...)

Non lo firmo per due ragioni principali. Per cominciare, sono molto critica verso la separazione fatta da Concita De Gregorio fra quelle che non si prostituiscono, alle quali lei si rivolge, e quelle che si prostituiscono, escluse da ogni considerazione. Io sono impegnata politicamente per la libertà femminile e lotto contro ciò che la ostacola: la ostacolano gli uomini che usano i loro tanti soldi per ridurre il corpo femminile a merce; ma le donne che vanno a questo mercato, io sostengo, hanno una soggettività che non mettono in vendita e perciò vanno prese in considerazione. Altrimenti, dalla politica si scade nel moralismo.
In secondo luogo, l’indignazione contro la miseria sessuale di uomini al potere deve venire principalmente da uomini loro vicini, se hanno il senso della decenza, anzi doveva venire al primo scandalo e non è venuta, chissà perché. Ricorrere alle donne è un espediente di vecchio stampo, quando alle donne si assegnava un ruolo convenzionale, ora per la pace, ora per l’infanzia... Meglio questi ruoli, comunque, che quello che ci assegna questo appello, di truppe ausiliarie di una politica inefficace5.

  • 6 Bertoncin, Barbara, “Mai state zitte. Intervista a Luisa Muraro”, Accademia apuana della pace, 20 m (...)

4In questa lettera di risposta all’invito dell’amica, e circolata in rete, Muraro individua le ragioni della sua non adesione all’iniziativa: il rischio di dividere le donne tra “per bene” e “per male” con il conseguente moralismo che ne deriva; l’indignazione verso una miseria sessuale che anziché femminile dovrebbe essere maschile. Viste da questa seconda prospettiva, le donne diventano nelle parole della filosofa “truppe ausiliarie di una politica inefficace”. In un’intervista rilasciata a Barbara Bertoncin (Mai state zitte, 20 marzo 2011), Muraro sostiene che “con qualche correzione, questo spirito perbenista si ritrova anche nel documento successivo che indice le manifestazioni del 13 febbraio”6, dissociandosi così dal movimento Snoq.

  • 7 Fossati, Franca, “Rubygate, le donne che non firmano”, Europa, 2 febbraio 2011, disponibile in http (...)

5La posizione di Luisa Muraro non è stata isolata. Nei giorni tra le due manifestazioni di gennaio e febbraio si è acceso anzi un intenso dibattito tra chi sosteneva le ragioni dello scendere in piazza e chi invece si opponeva. Nell’articolo “Rubygate, le donne che non firmano” pubblicato su Europa, Franca Fossati cita in apertura la lettera di Muraro e afferma che “dietro i comprensibili e legittimi appelli all’indignazione organizzata, come quelli reiterati su Repubblica, al riparo dalle grandi testate che lo ignorano, si svolge un dibattito appassionato e spregiudicato sul rapporto tra sesso e potere”7. Segue un elenco delle non firmatarie tra le quali compaiono Marina Terragni, Laura Balbo, le redattrici del sito ingenere.it, Anna Bravo, Lea Melandri, Emma Baeri, e Manuela Fraire, le quali, in linea con Muraro, rifiutano di manifestare per dover dire “noi non siamo prostitute” e di indignarsi di fronte a fatti che dovrebbero far indignare gli uomini. Due sono gli aspetti che emergono dall’articolo di Fossati: primo che il cuore della critica a Snoq riguarda la prostituzione; secondo che tale critica si svolge altrove, lontana e libera dalle semplificazioni moralistiche dei movimenti e dei giornali principali. Rispondendo alle accuse di essere “femministe di altri tempi” mosse da una sua “giovane amica” alle voci oppositrici, Fossati espone i motivi del suo “no alla piazza” in un altro testo dal titolo “B se ne vada ma non voglio essere usata”. Per prima cosa ribadisce la critica alla divisione tra donne per bene e per male aggiungendo:

  • 8 Fossati, Franca, “B se ne vada ma non voglio essere usata”, Europa, 9 febbraio 2011, disponibile in (...)

se mai mi interessa capire perché tante spendono in questo modo la loro libertà. Basta la domanda a spiegare l’offerta? Vecchia questione e antico tabù nei movimenti delle donne la prostituzione. Se nessun uomo può dichiararsi estraneo allo stupro, possiamo negare noi che la prostituzione abbia a che fare con la storia delle donne?8

6L’atteggiamento di Fossati verso le donne che si prostituiscono richiama e supera quello visto sopra di Muraro secondo la quale tali donne vanno prese in considerazione in quanto “hanno una soggettività che non mettono in vendita”, affermazione questa che implicitamente condanna lo scambio sesso denaro. Nelle parole di Fossati questa condanna si accentua in modo iperbolico. Le sue parole mettono difatti sullo stesso piano stupro e prostituzione come fossero i rispettivi degradi sessuali maschile e femminile. Al di là di questo infelice accostamento, il suo intervento risulta tuttavia particolarmente interessante in quanto illumina la prostituzione come “vecchio tabù” rimasto in sospeso nel discorso femminista. Gli altri motivi di dissenso di Fossati riguardano invece l’utilizzazione delle donne da parte di uno “schieramento politico/giornalistico” che se ne occupa solo quando è in difficoltà, nonché la scelta del nome datosi dal movimento.

  • 9 Chiaromonte, Franca, Paolozzi, Letizia, “Sulla manifestazione del 13. Non a spese delle donne”, Gli (...)

7Quello di una strumentalizzazione delle donne in senso antiberlusconiano da parte dei partiti di sinistra e delle loro testate giornalistiche è un elemento centrale di distanza di alcune femministe dall’iniziativa di Snoq. Nell’articolo dal titolo “Sulla manifestazione del 13. Non a spese delle donne”9, pubblicato da Gli Altri, Franca Chiaromonte e Letizia Paolozzi parlano di “appropriazione delle donne” da parte degli uomini del centrosinistra che risulta evidente dal linguaggio dei cartelli dei loro sit-in (“non mettere le mani su mia figlia”, oppure, “non ti darò la mia donna”) e dalla retorica semplificatrice con cui i loro giornali narrano le donne. Ciò che Chiaromonte e Paolozzi denunciano in particolare è la totale indifferenza dei media rispetto alle oppositrici della manifestazione. Dal loro punto di vista, non rappresentare la differenza e i contrasti tra le donne ha come fine quello di rappresentarle eguali e di chiedere loro di “testimoniare” in piazza l’unica diversità concessa: l’essere diverse dalle ragazze di Arcore. Quello che Chiaromonte e Paolozzi sembrano rimproverare al centrosinistra è di aver dimenticato il linguaggio femminista.

8Moralismo, indignazione ingiustificata perché riguardante la sessualità maschile e non quella femminile, dibattito altrove sul rapporto tra sesso e potere non considerato dai media, e linguaggio della differenza ignorato sono stati dunque gli argomenti che hanno separato una parte importante del femminismo italiano dal movimento Se non ora quando? I ruoli giocati dall’appello di Concita De Gregorio e dalla risposta di Luisa Muraro sono motivo, anche se non certo unico ma per lo meno iniziale, della distanza femminista dalla manifestazione del 13 febbraio. Il bisogno di ripensare il tabù prostituzione ha limitato di molto e ha impedito di comprendere la portata dell’evento. Ha ignorato la necessità e l’iniziativa delle donne italiane di scendere in piazza per essere innanzitutto visibili al mondo diversamente da come rappresentate dai media in Italia e non solo (si pensi ad esempio alla rappresentazione fattane dall’elogiato Videocracy del regista italo-svedese Erik Gandini). Il successo della manifestazione, alla quale hanno partecipato numerosissime cittadine e molti cittadini, dimostra che l’appello di Snoq più che strumentalizzare ha saputo dar voce a un’urgenza presente nel paese molto prima degli scandali dell’ex-premier e a essi non esclusivamente legata. Si tratta di un fenomeno politico che andrebbe studiato da una prospettiva storica come movimento di donne nato in seno alla società civile italiana per porre fine a un governo e a un sistema mediatico sessisti.

  • 10 Muraro, Luisa, “Il grande errore è andare in piazza per conto di altri”, Corriere della Sera, 10 fe (...)

9Lo scopo della mia indagine non è quello di entrare nel merito dei contenuti del no alla piazza che possono essere, come si è visto, motivati anche se discutibili, ma quello di riconoscere in questo rifiuto la prassi politica tipica di quel particolare femminismo identificato a lungo come femminismo italiano. A questo proposito intendo analizzare da vicino l’articolo di Muraro, “Il grande errore è andare in piazza per conto di altri”, per due motivi. Prima di tutto perché, pubblicato sul Corriere della Sera, ha potuto raggiungere un ampio pubblico. Secondo perché il testo ci permette di decostruire il suo approccio alla piazza da una prospettiva teoretica più che contenutistica. Muraro apre l’articolo scrivendo “Viva le manifestazioni che sono l’espressione collettiva di un pensiero e di un sentire, garantita costituzionalmente. E ben vengano”10. La sua intenzione è chiaramente quella di non schierarsi contro la giornata del 13 febbraio. Tuttavia aggiunge subito un ammonimento: “sia chiaro però che non esiste pensiero collettivo: si pensa in prima persona o non si pensa. Le masse fatte di persone che non pensano in prima persona, sono cieche o manipolate”. In questa seconda frase Muraro cita esplicitamente Simone Weil affidando così all’autorità della filosofa la prospettiva del suo discorso.

  • 11 Esponente principale di tale pensiero è la comunità filosofica Diotima fondata negli anni ottanta p (...)
  • 12 Per un confronto tra femminismo italiano e internazionale vedi Cavarero, Adriana, Restaino, Franco, (...)
  • 13 Per un approfondimento sulla non neutralità del linguaggio vedi Diotima, Il pensiero della differen (...)
  • 14 Sul concetto di autorità nel pensiero della differenza rimando al saggio di Re, Lucia, “Diotima’s D (...)

10Ciò che Muraro compie nel primo passo del suo articolo è quella che possiamo definire la metodologia del “pensiero della differenza”, corrente quest’ultima con cui viene identificato il femminismo italiano sul panorama internazionale11. Caratteristica prima del suo femminismo è quella di essere non solo teorico ma una pratica politica12. Secondo questo pensiero, la soggettività femminile si trova in una posizione di alienazione rispetto al linguaggio che anziché essere neutro, come pretende di essere quando si parla su un registro universale, porta invece il marchio della sessualità maschile permettendo così solo al soggetto maschio di riconoscersi nella lingua13. Il linguaggio è perciò uno spazio di senso maschile o altrimenti detto un simbolico maschile. Per accedere a un simbolico femminile per la donna è necessaria la relazione con altre donne. Solo dalla mediazione del dialogo tra donne è possibile un’autocoscienza femminile. L’esperienza dei gruppi di autocoscienza del femminismo degli anni settanta ha chiaramente la sua influenza. Tuttavia, diversamente dai gruppi di autocoscienza che si fondavano sull’egualitarismo tra le donne, la pratica del pensiero della differenza implica il riconoscimento dell’autorità di una figura femminile (sostituzione simbolica della madre) a cui le altre si affidano. Attraverso la pratica dell’“affidamento” all’autorità (o maternage) si accede a un simbolico femminile e si pensa così a partire dalla propria differenza sessuale rispetto al simbolico maschile del potere patriarcale. Nell’articolo di Muraro l’autorità femminile scelta è Simone Weil, filosofa e mistica, madre simbolica per eccellenza delle femministe della differenza14.

  • 15 Muraro, Luisa, “Il grande errore è andare in piazza per conto di altri”, cit.

11Il testo dell’articolo di Muraro continua con un secondo ammonimento: “E pensare non è reagire con un sì o con un no, ma situarsi con il proprio desiderio e interesse nei confronti di quello che accade”15. Nel pensiero femminista possiamo tradurre quest’affermazione con l’espressione “partire da sé”, luogo d’inizio della politica delle donne che si fonda sul desiderio e sul situarsi nel qui e ora. Il senso della politica si trova dunque nell’agire in prima persona. Muraro avanza quindi i suoi dubbi sulla manifestazione del 13 febbraio e critica in modo generico e vago la classe dirigente. Se la piazza è necessaria, cosa che non dovrebbe essere, afferma, ciò si deve all’incompetenza dell’opposizione che intende usarla per adempiere quello che avrebbe dovuto fare ma non ha fatto:

  • 16 Ibid.

A questo punto della faccenda si fa appello alle donne. Che senso ha? Come altre, io ci ho visto una strumentalizzazione dei loro sentimenti. Il sentire femminile, per me, è una cosa profonda e delicata che attiene alla vita del corpo sociale. Comunemente le donne, e io sono una di loro, detestano la prostituzione. Ed è su questo sentire che, dopo l’ultimo scandalo berlusconiano, si è fatto leva: gesto criticabile perché il nostro sentire immediato, in sé giusto, non può tradursi in atti politici senza le necessarie mediazioni. Queste sono mancate. Le critiche avanzate da alcune femministe in proposito sono state accolte, per fortuna. Andando avanti in questa direzione, deve diventare chiaro che lo scambio tra soldi e sesso, sesso e potere è una pratica diffusa tra gli uomini, compresi i politici sia di destra che di sinistra. E che il capo del governo, da questo punto di vista, non è un’eccezione. Grazie a quella presa di coscienza accanto alle donne scenderanno in piazza anche uomini a manifestare la loro distanza da un sessismo che ancora imbeve di sé la cultura politica e non soltanto16.

  • 17 Bertoncin, Barbara, “Mai state zitte. Intervista a Luisa Muraro”, cit.
  • 18 Muraro, Luisa, “Il grande errore è andare in piazza per conto di altri”, cit.

12Più che strumento di analisi della realtà delle donne italiane e della loro urgenza a scendere in piazza (le presenta esclusivamente come ferite nei loro sentimenti dalla prostituzione), il femminismo di Muraro si pone come mediatore del senso di una manifestazione alla quale rifiuta di partecipare. L’azione politica di tale femminismo coincide con il suo dibattito interno su sesso e potere, il cui scopo è quello di rendere le donne coscienti affinché non diventino “truppe ausiliarie di una politica inefficace”, come l’appello di Concita De Gregorio, secondo la lettera di Muraro incontrata all’inizio, le aveva presentate. Nella menzionata intervista rilasciata a Bertoncin, Mai state zitte, Muraro dice difatti di non essersi schierata contro la manifestazione ma di aver contribuito dando “l’impronta della soggettività femminile e della politica delle donne”17. Non è scesa in piazza, e dall’articolo del Corriere possiamo capire il perché: “l’essere altrove e altrimenti, è una figura fondante del femminismo: marca la differenza femminile e opera una rottura nei confronti di cose già decise da altri”18. E conclude il suo testo con un riferimento al passato scrivendo:

  • 19 Ibid.

La rivolta femminile degli anni ’70 è nota per le sue manifestazioni pubbliche ma il suo aspetto non appariscente è stato e rimane molto più efficace. Questo aspetto riguarda l’esserci in prima persona con il proprio desiderio, non delegare niente di essenziale ad altri ma creare relazioni di fiducia e trasformare la propria esistenza in una libera impresa. Insomma, dare vita a un’economia di mercato non dominata dal profitto ma dalla forza dei desideri. Una manifestazione come quella di domenica prossima entra in questo gioco? Ci vai, per te. Non andarci contro qualcuno per conto di altri19.

13La piazza non appartiene al femminismo dell’altrove ma rimane legata alle esperienze politiche giovanili degli anni settanta. Viste dalla prospettiva del femminismo proposto da Muraro, le donne risultano essere soggettività sentimentali contese tra il potere patriarcale (per il quale rischiano erroneamente di marciare in corteo) e l’autorità delle madri simboliche capace di indirizzare correttamente il loro dissenso emotivo. Una tale visione non solo nega alle donne la dignità di essere soggetti politici in grado di autodeterminarsi, ma si dimostra cieca rispetto all’azione collettiva messa in atto da un vasto movimento femminile. Nel caso di Muraro è dunque il femminismo storico (o parte di esso) ad allontanarsi dalle donne italiane che uniche sono riuscite a mobilitare una protesta partecipata e nazionale contro la politica dell’epoca berlusconiana. Ma sono stati davvero gli anni settanta l’ultima volta che le femministe sono scese in piazza in Italia?

I nuovi femminismi plurali

14La poca attenzione da parte dei media nei confronti della realtà femminista contemporanea italiana è stata la motivazione che ha spinto Barbara Bonomi Romagnoli a scrivere il suo recente libro Irriverenti e libere. Femminismi del nuovo millennio, capace di aprire una finestra insolita sull’Italia dal 2000 al 2013. Scrive l’autrice nel capitolo introduttivo:

  • 20 Bonomi Romagnoli, Barbara, Irriverenti e libere, cit., pp. 19-20.

Dal Duemila in poi ho messo da parte volantini, mail, documenti, ricordi, interviste e appunti sparsi, convinta che queste storie di femminismi e movimenti di donne debbano diventare patrimonio comune. Sono esperimenti, a volte ben riusciti, a volte un po’ meno, pezzi di vita collettiva, frammenti di discussioni e confronti, parole e azioni sul territorio o il racconto di reti nazionali talora nate virtualmente sul web e spesso capaci di innovazione, soprattutto rispetto al linguaggio e al significato simbolico che nutre il senso comune. […] È indubbio che l’andamento carsico dei femminismi italiani, con il loro continuo oscillare sopra e sotto la superficie, senza mai scomparire del tutto, ma senza neanche essere costanti nella visibilità, non favorisce un impatto forte sul pensiero dominante. Negli anni Settanta l’esperienza femminista diffusa ha reso possibili mutamenti profondi nella società che hanno portato alla conquista di diritti e spazi di libertà per tutti, oggi il compito è molto più gravoso e sono a rischio i diritti nel campo dell’autodeterminazione sul proprio corpo, sul lavoro e nella sfera delle relazioni private e pubbliche, dall’aborto a tante forme di violenza e stalking, dal costo sociale della crisi, maggiormente pagato dalle donne, alla mancata totale parità nei salari20.

15Se la strategia narrativa di Irriverenti e libere è quella di scrivere il non detto dei femminismi del nuovo millennio seguendone e disegnandone una mappa cronologica e topografica, ciò che Romagnoli difatti traccia è la novità del discorso femminista in Italia che come si vedrà non coincide e anzi vuole liberarsi dall’univocità del simbolico materno costruito dal pensiero della differenza come alternativa al simbolico patriarcale.

  • 21 Ibid., p. 26.
  • 22 Ibid., p. 30.

16Non è un caso che il libro inizi proprio con il tema della prostituzione incontrato sopra ma non lo tratti affatto come un tabù. Romagnoli apre il millennio intervistando le Lucciole di Pordenone (fondatrici del Comitato per i diritti delle prostitute) che nel 2000 scrivono un documento per rivendicare la libertà di autodeterminazione delle loro scelte sessuali. Anziché costruire un dibattito sull’argomento, l’autrice sceglie dunque di affrontarlo raccontando l’azione politica di prostitute attiviste. Lungi dal giustificarsi sostenendo di non vendere la loro soggettività e di non ridurre perciò il loro essere donna a oggetto o merce, le Lucciole affermano che “quando non c’è violenza, sopraffazione, sfruttamento, ma libera scelta, la prostituzione è un’espressione della sessualità”21. Lo scambio sesso denaro fra adulti consenzienti diventa nelle loro parole una delle infinite declinazioni del piacere. Giovani femministe sono scese in piazza più volte accanto alle lavoratrici del sesso con slogan irriverenti, scrive Romagnoli, come “Ci pagherete care, ci pagherete tutte”, partecipando nel 2008 a una manifestazione nazionale a Roma contro il Ddl Carfagna (voluto dal governo Berlusconi) che criminalizza severamente la prostituzione22. La scelta e i contenuti che aprono Irriverenti e libere gettano dunque subito luce sul diverso modo di intendere la sessualità della nuova generazione femminista rispetto al femminismo del pensiero della differenza. Il corpo non è più pensato come biologicamente sessuato e luogo d’origine di un’ontologia femminile e di una soggettività politica universale Donna. La sessualità è performativa e il desiderio di fare politica diventa, come vedremo, politica di corpi desideranti, di soggettività sessuate secondo il proprio desiderio.

  • 23 Ibid., p. 33.

17Momento storico decisivo che ha determinato questo cambiamento di rotta sono state secondo Romagnoli le giornate di protesta tenutesi a Genova nel 2001 in occasione del G8 alle quali dedica ampio spazio in due capitoli i cui titoli, “Dieci anni di Punto G” e “La disobbedienza ha le zinne”, restituiscono immediatamente ciò che è rimasto oscurato nella cronaca e nella memoria di quell’evento ossia l’elaborazione di una voce di genere contro il neoliberismo. “Oltre mille donne in rappresentanza di centoquaranta associazioni e movimenti femministi e femminili da tutto il mondo”23 hanno partecipato nei mesi che precedevano l’incontro del G8 a “Punto G: genere e globalizzazione”, uno spazio di discussione condotto in sintesi su due piani: quello della condizione di sfruttamento e violenza contro le donne da parte di un’economia neoliberista che pur poggiandosi sul loro lavoro di cura non le retribuisce, non le riconosce e le considera spesso al servizio dei bisogni degli uomini; quello di una modalità di lotta femminile diversa e separata dal modello maschile bellicista che adotti una “frivolezza tattica”, “pink”, sensuale e disarmante. Romagnoli articola certo in modo più approfondito l’esperienza di Genova presentando i documenti e gli appelli originali di Punto G e discutendoli con le promotrici. Ciò che tuttavia interessa la nostra analisi è il fatto che oltre a scendere in piazza le femministe abbiano dato inizio a una stagione in cui agire politicamente non coincide più con la pratica dell’autocoscienza ma riprende invece il separatismo degli anni settanta. Aver fatto parte del Movimento dei movimenti (il movimento no-global nato a Seattle a fine anni novanta) e soprattutto del coordinamento politico (Genova social forum) organizzatore delle giornate di protesta di luglio ha fatto scontrare il femminismo con il maschilismo imperante dei movimenti misti.

  • 24 Ibid., pp. 47-53.

18Se Genova segna così la volontà delle femministe di autodeterminarsi a partire dalla performance della protesta, gli anni successivi offrono numerosi esempi che vanno in questa direzione. Dalla manifestazione “colorata” di tremila donne a Bologna nel 2001 (contro il tentativo del governo di centrodestra di mettere in discussione la legge 194 sull’interruzione di gravidanza e contro la decisione della giunta di centrosinistra di un comune nel bolognese di far entrare il Movimento per la vita in un consultorio) nascono “Le Betty”, ironiche, leggere e come esse stesse amano definirsi sexy, che creano un laboratorio politico per donne chiamato “Sexyshock” che mette al centro sessualità e desiderio. Nel 2004 il collettivo A/matrix, formatosi subito dopo “le giornate genovesi”, organizza una campagna mediatica contro la legge sulla procreazione assistita che equipara l’embrione a persona disseminando in giro per Roma uova d’oro con lo slogan “viene prima la gallina dell’uovo” e diffondendo in rete un testo ironico in difesa dell’autodeterminazione delle donne dal titolo “Il manuale delle galline ribelli” che spinge altre a partecipare alla divertente ed efficace campagna24. Sono solo due accenni di ciò che Irriverenti e libere riporta e che per motivi di spazio mi limito a citare soffermandomi invece su quello che dei femminismi del duemila emerge dalla mappa che il testo traccia.

19I nuovi femminismi sono plurali, rifiutano radicalmente l’autorità che sempre ricalca la struttura verticale del potere, adottano l’egualitarismo, spesso il separatismo e si associano orizzontalmente. Alla differenza preferiscono la diversità che usano come arma contro il pensiero normalizzante di un patriarcato (o post-patriarcato) che si pretende neutro ma che invece mantiene intatte strutture di potere e rinforza modelli economici su scala globale escludenti le minoranze, gli abietti, le donne, così come i paesi postcoloniali e neocoloniali. I tempi sono cambiati, sembra dirci Romagnoli, l’impatto della globalizzazione e della post-modernità si avverte anche in Italia e parlando del collettivo le Acrobate scrive:

  • 25 Ibid., p. 72.

Usano il lessico delle teorie femministe “queer”, parola sempre più frequente sia nell’accademia che nei movimenti femministi, divenuta un po’ la cifra dei femminismi italiani di nuova generazione, la cosiddetta terza ondata25.

20Queer e intercultura sono i termini che ritornano più spesso nel testo, motori di un femminismo “contaminato” che crea alleanze allargate con i collettivi Lgbtqi e apre spazi di “incontro e interazione” che permettono di intrecciare relazioni fuori dalle dinamiche abitate quotidianamente. La politica della relazione tra donne è difatti il secondo filo rosso riconoscibile nel testo (oltre a quello della sessualità) che lega iniziative e realtà presenti in diverse città d’Italia come la scuola estiva Raccontar(si) di Villa Fiorelli, vicino Prato, un laboratorio di genere e intercultura in seno al quale il collettivo le Acrobate si è formato; la “Scuola politica Giacche Lilla” organizzata dal gruppo le Sconfinate di Bergamo; e il centro Interculturale e di genere Trama di Terre di Imola.

21Le giovani femministe parlano e praticano un lessico non solo queer ma anche animalista, ecologista, postcoloniale, postfemminista, e transfemminista. Danno vita a centri, blog, incontri nazionali, campagne mediatiche, welfare solidali, laboratori post-porno e proteste. I loro riferimenti sono i testi di Donna Haraway, Rosi Braidotti, Adrienne Rich, Judith Butler, Teresa de Lauretis, Vandana Shiva, Paul B. Preciado, Barbara Duden, la letteratura fantascientifica di Octavia Butler e Joanna Russ, solo per citarne alcuni. Quello che balza all’occhio leggendo di questa terza ondata di femminismo è un mosaico di linguaggi differenti che si rispecchia già nei nomi che sceglie. Oltre alle Acrobate, Le Betty, A/matrix, le Sconfinate e Trame di Terra troviamo il gruppo Le Lady organizzatrici della Ladyfest di Roma, il collettivo “Cagne sciolte”, il Gruppo Sconvegno, la rete nazionale le Sommosse, Smaschieramenti, Facciamo Breccia, il SomMovimento NazioAnale, la “meteora del web” Ella de Riva, le TerreMutate di L’Aquila, il blog collettivo Femminile Plurale. È chiaramente adottando una lingua altra rispetto agli anni ottanta e novanta che la nuova generazione reinterpreta sessualità, desiderio, relazione e separatismo per lottare contro ciò che affligge le donne del nuovo millennio: il diritto calpestato all’autodeterminazione sul corpo, la precarietà, il lavoro di cura e la violenza.

22Con il suo testo Romagnoli mira dunque a far conoscere la realtà del femminismo italiano mostrandone il lato innovativo e potenzialmente efficace e lo fa nella consapevolezza della necessità di dover coinvolgere più donne affinché il femminismo possa diventare un movimento esteso, visibile e capace, come negli anni settanta, di rendere possibili “mutamenti profondi nella società”. Tuttavia la domanda iniziale va posta anche a Irriverenti e libere: sono le donne che non si avvicinano al femminismo o è il femminismo che si allontana dalle donne? L’analisi ravvicinata di quello che può essere considerato il capitolo centrale del libro, “Le Sommosse turbolente”, permetterà di tentare alcune risposte. Si tratta delle pagine in cui Romagnoli racconta di una vera e propria “sollevazione” femminista che il 24 novembre 2007 è riuscita a riversare sulle strade di Roma duecentomila donne in corteo contro l’impressionante dimensione raggiunta dal fenomeno della violenza di genere in Italia. Quattro anni prima rispetto alle piazze di Se non ora quando? il nuovo femminismo coglie dunque una delle urgenze più gravi del paese alla quale le donne rispondono in massa. La manifestazione è stata organizzata in breve tempo dalla rete nazionale Sommosse (una mailing list a cui hanno aderito in seicento da tutta Italia) nata da un incontro tenutosi presso la Casa internazionale delle donne di Roma il 21 ottobre 2007, convocato da un gruppo di donne, tra le quali la stessa Romagnoli, che volevano per l’appunto dar vita a una mobilitazione su scala nazionale contro la violenza e il femminicidio. Se il successo della piazza è stato quello di riuscire a dare forma per un momento a un possibile movimento delle donne, la successiva stesura da parte delle Sommosse di un documento che a tal movimento vorrebbe dar voce ha messo in luce a mio avviso il rischio che il femminismo corre di allontanarsi dall’apertura mostratagli dalla società civile.

  • 26 Ibid., p. 109.
  • 27 Ibid.

23Il documento, dal titolo Fuori dal lavoro, fuori dalla famiglia, reddito per l’autodeterminazione, è stato discusso e finalizzato tra il 23 e il 24 febbraio 2008 a Roma durante un incontro del “sommovimento” chiamato Flat (Femministe e Lesbiche ai Tavoli). Romagnoli lo presenta per intero indicandolo come “una sorta di manifesto generazionale dei femminismi del Duemila, anche se a scriverlo non sono solo le giovanissime”26. Il testo risente difatti di vecchie e nuove prospettive che convergono, secondo l’autrice, nella formulazione di “proposte concrete e non soltanto elaborazioni teoriche”27. È tuttavia proprio questa pretesa di concretezza che risulta assente nel lungo e linguisticamente complesso manifesto del Flat che rimane legato a una visione interna al discorso femminista più che alle esigenze di trasformazione della società civile italiana. Nel loro documento le Sommosse individuano nella famiglia e nel lavoro gli ostacoli all’autodeterminazione delle donne e propongono una soluzione pratica e neutra per “uscire” da entrambi: un reddito individuale e incondizionato garantito a tutte e tutti a partire dalla nascita. Detto in sintesi, le Sommosse rifiutano la famiglia perché pur essendo il luogo dove si radica la violenza di genere – in quanto serbatoio dei modelli culturali “maschile” e “femminile” – rimane tutelata sia dal Vaticano che dai pubblici poteri che ne fanno il riferimento principale sul quale basare il welfare, la legge sulla Procreazione medicalmente assistita, e il revisionismo diffuso della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza faticosamente ottenuta.

24Il rifiuto del lavoro si lega invece alla sua tipica divisione sessuale che si traduce nella divisione tra lavoro produttivo e ri-produttivo (esclusivamente femminile e non retribuito) con l’aggravante che, a differenza del passato, il lavoro produttivo non rappresenta più uno strumento di emancipazione e di valorizzazione delle donne le quali, penalizzate dal mercato, ricevono salari più bassi, ruoli di responsabilità e prestigio inferiori, e sono obbligate, a causa del loro ruolo sociale, a farsi carico della dimensione privata della cura. Ci si trova oltretutto in una situazione di “femminilizzazione” del lavoro produttivo stesso, affermano le Sommosse, che coincide con le condizioni dettate dalla precarietà e con la scarsa tutela da parte della legge di lavoratori e lavoratrici costretti a dipendere economicamente dalle loro famiglie. Per queste ragioni (elencate nel documento sotto le voci “Fuori dalla famiglia” e “Fuori dal lavoro” rispettivamente) le Sommosse presentano le loro proposte pratiche che si riassumono tuttavia in un’unica richiesta:

  • 28 Ibid., p. 107.

noi oggi chiediamo un reddito per l’autodeterminazione per tutt@ come strumento per sovvertire la divisione sessuale del lavoro e per scardinare l’impianto familista, lavorista e nazionalista dello stato sociale. Per potere uscire dalla famiglia e dal lavoro è necessario pretendere un reddito sin dal momento della nascita, scisso da ogni stato civile e condizione produttiva. Inoltre solo il riconoscimento del reddito anche ai minorenni svincolerebbe le donne dall’essere confinate in ruoli stereotipati, fra tutti la cura dei figli. Infine, la possibilità di liberarsi dal lavoro percependo un reddito potrebbe favorire il diffondersi di stili di vita improntati alla decrescita e liberi dal consumismo compulsivo causato da lavori poco gratificanti, che “risucchiano” l’intero tempo di vita. Dunque per rifiuto del lavoro non intendiamo il rifiuto di qualsiasi attività, ma quello dei rapporti produttivi codificati dalla società capitalistica e patriarcale. Non c’è sciopero che tenga di fronte alla possibilità stessa di sottrarsi al lavoro! Il reddito è lo strumento più robusto di cui lavoratori e lavoratrici possono servirsi per ridisegnare le regole del lavoro stesso28.

25La non concretezza di questa pretesa non sta tanto nella sua impraticabilità (la sua realizzazione dipenderebbe, secondo Romagnoli, da un eventuale risparmio della spesa pubblica destinata allo Stato e all’esercito) ma nell’assenza di un referente e un destinatario precisi (a chi si rivolgono o danno voce le Sommosse?) e soprattutto nelle premesse radicali dalle quali scaturisce.

  • 29 Ibid., p. 104.

26Sono l’idea di famiglia e lavoro ciò che questo femminismo italiano del Duemila sembra rifiutare per rifugiarsi in un fuori che richiama tanto l’altrove delle “vecchie” femministe quanto la soggettività politica queer non codificata delle “nuove”. Non è a partire dall’inaccettabile realtà italiana che la richiesta di reddito appare difatti in tutta la sua necessità, ma è a partire da un pensiero che rifacendosi a tale realtà tende a voler dimostrare le sue verità sull’economia del desiderio (un’economia che permette di scegliere le proprie attività) e sulle relazioni codificate considerate privilegio (in quanto riconosciute e sostenute dal welfare). Come potrebbe essere l’urgenza di un’Italia in crisi quella di uscire da un lavoro che nella concretezza manca o non paga? Non è forse il diritto calpestato alla retribuzione di lavoratori e lavoratrici ciò che affligge il paese? A proposito della famiglia, le Sommosse scrivono che “la diversità delle forme familiari (alternative nei vincoli che le tengono unite e/o nel sesso di chi le compone) non ha comportato il superamento dei ruoli e di una complementarietà binaria e asimmetrica”29. Quando è avvenuto in Italia il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali? Su quali evidenze si fonda questo loro giudizio? La pretesa di un reddito individuale e incondizionato garantito a tutte e tutti a partire dalla nascita può essere considerata il correlativo di un pensiero femminista italiano che non volendo tradizionalmente far coincidere il suo fare politica con una politica dei diritti finisce con il richiedere il riconoscimento di un unico diritto: quello materiale dell’esistenza e di “tempi di vita” liberi. Si potrebbe definire una sorta di bio-femminismo assistenzialista che rischia di lasciare al reddito garantito il potere di risolvere i conflitti di genere della società civile e di affidare alla dipendenza materiale degli individui dallo Stato la già difficile mediazione con esso affinché tutte e tutti possano vedersi riconosciuti i diritti all’autodeterminazione.

27Quello delle Sommosse è un documento che apre chiaramente molti interrogativi rimasti purtroppo irrisolti dato che la rete nazionale si è sciolta poco dopo aver scritto il suo manifesto. Restano l’audacia e la forte provocazione della sua denuncia che se tuttavia si limita a voler “uscire dal mondo” che le donne abitano corre il rischio di dar voce a un femminismo radicale che allontana più che a un movimento femminista esteso. Ma ancora di più resta il fatto che le Sommosse siano riuscite attraverso la rete (e senza l’appoggio delle grandi testate giornalistiche che non le considerano e che loro stesse rifiutano) a mobilitare centinaia di migliaia di donne che chiamate all’azione collettiva hanno prontamente risposto.

  • 30 Mi rifaccio al termine usato da Cacace, Marina (Femminismo e generazioni, cit.).
  • 31 Cfr. Pezzuoli, Giovanna, “Noi femministe distanti dalle donne”, intervista a Luisa Muraro, blog la (...)
  • 32 Ibid.
  • 33 Ibid.
  • 34 Romagnoli ha risposto duramente a Muraro in un commento del 9 dicembre, dal titolo “Un muro di gomm (...)

28Nell’Italia degli ultimi quindici anni le giovani generazioni di donne non hanno dimostrato “disaffezione”30 verso il femminismo (o per lo meno verso le tematiche che gli appartengono) e non si sono nemmeno limitate a vivere individualmente le sue storiche conquiste rispondendo invece con azioni collettive alla crisi socio-politica ed economica del paese. Questo saggio ha voluto gettare luce sulla relazione inversa, ha voluto cioè guardare come si sia posto il femminismo nei confronti di un possibile movimento delle donne in occasione di due manifestazioni nazionali di grande rilievo (quelle di Snoq e delle Sommosse), scegliendo le prospettive di Luisa Muraro e Barbara Bonomi Romagnoli, le quali danno voce a posizioni molto diverse (il pensiero della differenza e il femminismo queer) soprattutto per quanto riguarda il modo di intendere il legame corpo/politica. La piazza e le varie performance prese in esame da Romagnoli hanno permesso di conoscere nella pratica il modo innovativo di concepire la sessualità, la relazione, i linguaggi espressivi, dei femminismi del Duemila di cui ha messo in evidenza l’efficacia. Il problema che allontana entrambe le prospettive da un possibile movimento delle donne sembra tuttavia essere l’autoreferenzialità dei loro discorsi politici, come ho cercato di far emergere. Mentre scrivevo queste pagine, Luisa Muraro e Barbara Bonomi Romagnoli si sono confrontate per la prima volta in un acceso scambio di opinioni svoltosi sui siti del Corriere della Sera e della Libreria delle donne di Milano (a cui rimando ma su cui non mi soffermo), il quale ha assunto i toni di un vero e proprio scontro generazionale tra femministe, riflettendo il problema posto da Cacace in Femminismo e generazioni all’interno del femminismo stesso, che rischia anche esso di essere motivo di autoreferenzialità. Muraro ha annunciato la chiusura della storica rivista femminista Via Dogana da lei stessa fondata venticinque anni fa31, scelta che Romagnoli ha prontamente criticato. La ragione della chiusura sta nell’“esigenza di fare vuoto, fare silenzio”32 perché, come dice il titolo dell’intervista, “Noi femministe distanti dalle donne”, il femminismo ha bisogno “di ascoltare e di capire”33 come mai non sia riuscito a diffondere le sue idee. Gli ultimi quindici anni hanno dunque avuto un forte impatto sul pensiero della differenza di Muraro che da Mai state zitte dell’intervista a Bertoncin passa ora al silenzio di Via Dogana34.

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Note

1 Cacace, Marina, Femminismo e generazioni, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2004.

2 Cfr. il sito del movimento: http://www.senonoraquando.eu/

3 Bonomi Romagnoli, Barbara, Irriverenti e libere. Femminismi del nuovo millennio, Roma, Editori Internazionali Riuniti, 2014.

4 De Gregorio, Concita, “Le altre donne”, l’Unità, 18 gennaio 2011, disponibile in http://concita.blog.unita.it/le-altre-donne-1.266857.

5 Il breve testo di Luisa Muraro, dapprima pubblicato sul sito della Libreria delle donne, viene poi integralmente citato da Dominijanni, Ida, “Il diritto e il rovescio di una mobilitazione”, Il Manifesto, 3 febbraio 2011, disponibile in http://www.libreriadelledonne.it/_oldsite/news/articoli/Manif030211.htm

6 Bertoncin, Barbara, “Mai state zitte. Intervista a Luisa Muraro”, Accademia apuana della pace, 20 marzo 2011, disponibile in http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1272:mai-state-zitte-intervista-a-luisa-muraro&catid=162:violenza-di-genere&Itemid=124

7 Fossati, Franca, “Rubygate, le donne che non firmano”, Europa, 2 febbraio 2011, disponibile in http://www.donnealtri.it/2011/02/rubygate-le-donne-che-non-firmano/

8 Fossati, Franca, “B se ne vada ma non voglio essere usata”, Europa, 9 febbraio 2011, disponibile in: http://www.donnealtri.it/2011/02/b-se-ne-vada-ma-non-voglio -essere-usata/

9 Chiaromonte, Franca, Paolozzi, Letizia, “Sulla manifestazione del 13. Non a spese delle donne”, Gli Altri, 10 febbraio 2011, oggi disponibile in http://www.universitadelledonne.it/altri 0.pdf

10 Muraro, Luisa, “Il grande errore è andare in piazza per conto di altri”, Corriere della Sera, 10 febbraio 2011, disponibile in: http://www.corriere.it/cronache/11_febbraio_10/muraro-errore-scendere-in-piazza-per-conto-altri_3957321a-34e9-11e0-b824-00144f486ba6.shtml

11 Esponente principale di tale pensiero è la comunità filosofica Diotima fondata negli anni ottanta presso l’Università di Verona dalle filosofe Luisa Muraro e Adriana Cavarero.

12 Per un confronto tra femminismo italiano e internazionale vedi Cavarero, Adriana, Restaino, Franco, Le filosofie femministe, Milano, Bruno Mondadori, 2002.

13 Per un approfondimento sulla non neutralità del linguaggio vedi Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, Milano, La Tartaruga, 2003 (prima edizione 1987).

14 Sul concetto di autorità nel pensiero della differenza rimando al saggio di Re, Lucia, “Diotima’s Dilemma: Authorship, Authority, Authoritarianism”, in Parati, Graziella, West, Rebecca (a cura di), Italian Feminist Theory and Practice. Equality and Sexual Difference, Madison, Fairleigh Dickinson University Press, 2002.

15 Muraro, Luisa, “Il grande errore è andare in piazza per conto di altri”, cit.

16 Ibid.

17 Bertoncin, Barbara, “Mai state zitte. Intervista a Luisa Muraro”, cit.

18 Muraro, Luisa, “Il grande errore è andare in piazza per conto di altri”, cit.

19 Ibid.

20 Bonomi Romagnoli, Barbara, Irriverenti e libere, cit., pp. 19-20.

21 Ibid., p. 26.

22 Ibid., p. 30.

23 Ibid., p. 33.

24 Ibid., pp. 47-53.

25 Ibid., p. 72.

26 Ibid., p. 109.

27 Ibid.

28 Ibid., p. 107.

29 Ibid., p. 104.

30 Mi rifaccio al termine usato da Cacace, Marina (Femminismo e generazioni, cit.).

31 Cfr. Pezzuoli, Giovanna, “Noi femministe distanti dalle donne”, intervista a Luisa Muraro, blog la ventisettesima ora del Corriere della Sera, 7 dicembre 2014, disponibile in http://27esimaora.corriere.it/articolo/noi-femministe-distanti-dalle-donne/. In questa intervista, Muraro mette in evidenza che Via Dogana “gode di una costante attenzione, ha un bilancio in attivo e soprattutto è un punto di riferimento per il femminismo della differenza”.

32 Ibid.

33 Ibid.

34 Romagnoli ha risposto duramente a Muraro in un commento del 9 dicembre, dal titolo “Un muro di gomma: risposta a Luisa Muraro”, postato sotto l’intervista sul Corriere: critica alcune sue dure considerazioni sulle donne, le rimprovera di non voler riconoscere i nuovi femminismi a causa della diversa considerazione che hanno di sessualità e autorità e non appoggia la decisione di avere rinunciato a uno spazio libero e aperto come quello di Via Dogana. Muraro ha risposto a sua volta con un intervento pubblicato nel sito della Libreria delle donne di Milano dal titolo “Che cosa significa quell’osso? Tre ipotesi”, nel quale cerca di interpretare l’accusa lanciata da Romagnoli alle Femministe di non volere appunto “mollare l’osso”; cfr. Muraro, Luisa, “Che cosa significa quell’osso? Tre ipotesi”, Libreria delle donne di Milano, 12 dicembre 2014, disponibile in http://www.libreriadelledonne.it/che-cosa-significa-quellosso-tre-ipotesi/

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Alessandra Montalbano, «Femminismi e movimenti delle donne nell’Italia del Duemila»Narrativa, 37 | 2015, 31-47.

Notizia bibliografica digitale

Alessandra Montalbano, «Femminismi e movimenti delle donne nell’Italia del Duemila»Narrativa [Online], 37 | 2015, online dal 01 mars 2022, consultato il 13 février 2025. URL: http://journals.openedition.org/narrativa/964; DOI: https://doi.org/10.4000/narrativa.964

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Autore

Alessandra Montalbano

Loyola University Maryland

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