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HomeNumeri95 - LXVIIIla società contemporanea / Valuta...Sulle spalle di giganti di sabbia

la società contemporanea / Valutazione della ricerca: dai progetti agli effetti

Sulle spalle di giganti di sabbia

La credibilità della ricerca scientifica e la trasformazione dell’editoria accademica
On the shoulders of sand giants. The credibility of scientific research and the transformation of academic publishing
Paolo Parra Saiani
p. 155-182

Abstract

Credibility in the production and circulation of scientific knowledge is not absolutely guaranteed, but pursued through the adoption of practices that are considered right and good, as emphasised by Merton. Knowledge production has been extensively analysed in terms of various aspects such as replicability, transparency of procedures and methodological correctness. However, less attention has been paid to the circulation of knowledge and the role of peer review in this process. The peer review process, which involves the judgement of external experts on the authenticity of a scientific article, is crucial for the credibility and reputation of published research: it not only filters knowledge but also legitimises it, helping to establish a boundary between science and non-science, as many have pointed out. Today, however, the peer review system is being challenged by two main phenomena: the introduction of quantitative evaluation criteria and the rise of new publishing groups with aggressive commercial practices are affecting the number of scientific publications, thus altering the balance that has historically ensured the credibility and quality of research.

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Testo integrale

Ringrazio Paola Borgna e Ambrogio Santambrogio per avermi invitato al Seminario CRIS (Coordinamento Riviste Italiane di Sociologia) del 13 ottobre 2023 e i presenti per i loro utili commenti su alcune delle idee qui presentate, nonché il pubblico della sessione «Publish, or Perish. Is that the question?» del Second Joint Meeting della Society for Social Studies of Science (4S) e della Asociación Latinoamericana de Estudios Sociales de la Ciencia y la Tecnología (ESOCITE), 8 dicembre 2022, per i preziosi suggerimenti. Grazie anche ai due revisori anonimi per l’attenta lettura e le loro utili indicazioni.

1. Introduzione

1Senza credibilità non c’è conoscenza, scriveva Shapin (1995, 257). Nella storia della scienza molti sono stati i tentativi di individuare i modi migliori per garantirla; più in generale, la credibilità può essere se non garantita, per lo meno perseguita, attraverso due classi di norme: da un lato le norme tecniche, i canoni metodologici che specificano cosa e come studiare; dall’altro le norme morali, espresse come prescrizioni e proibizioni riguardanti gli atteggiamenti e il comportamento degli scienziati in relazione gli uni agli altri e alla loro ricerca. Entrambi i tipi di norma regolamentano l’attività scientifica, e «sono vincolanti, non perché sono proceduralmente efficienti, ma perché sono ritenute giuste e buone» (Merton, 1942, 118; cfr. anche Mulkay, 1976; Zuckerman, 1977, 87).

2Il tema della credibilità è stato analizzato in letteratura prevalentemente dal lato della produzione della conoscenza: la avalutatività dello scienziato, la replicabilità e la trasparenza delle procedure, l’adeguatezza degli strumenti per la raccolta delle informazioni e la correttezza dei tipi di analisi dei dati, sono le dimensioni che ricorrono più frequentemente nei testi di epistemologia e di metodologia della ricerca. Minore attenzione è stata invece riservata alla circolazione della conoscenza, sebbene l’editoria accademica dovrebbe svolgere un ruolo centrale nella difesa dei confini tra scienza e non-scienza e quindi nella salvaguardia della fiducia nella scienza.

3Il presente lavoro si soffermerà su una delle fasi più importanti e delicate per la circolazione della scienza, la peer review: Ziman scriveva che il referee è il perno su cui ruota l’intera attività della scienza, perché un articolo di una rivista scientifica non contiene solo le opinioni del suo autore ma porta con sé l’imprimatur dell’autenticità scientifica conferitale dall’editor e dai referees consultati (Ziman, 1968, 111; analogamente Chubin, Hackett, 1990, 89). La peer review non si limita a filtrare la conoscenza, ma la legittima (Lamont, Huutoniemi, 2011, 209), conferendole quindi credibilità e reputazione (Gieryn, 1983; Lamont, 2009; Maistry, 2019, 17). La peer review è oggi al centro dei vari processi di trasformazione dell’accademia e del mercato editoriale: da una parte l’affermazione di sistemi valutativi basati su criteri meramente quantitativi, dall’altro la nascita di nuovi gruppi editoriali dalle pratiche commerciali particolarmente aggressive, portando alla moltiplicazione del numero di articoli scientifici pubblicato ogni anno, stanno alterando i delicati equilibri alla base della stessa conoscenza scientifica.

2. Il ruolo della revisione tra pari nel mondo della ricerca scientifica attuale

4Nonostante le origini della revisione tra pari vengano generalmente fatte risalire alla decisione del Consiglio della Royal Society del 1664-65, quel sistema di referaggio aveva solo qualche vaga somiglianza con quello attuale e bisognerà aspettare la metà del XX secolo perché si diffonda (Boas Hall, 1984; Kronick, 1990; Johns, 1998; Baldwin, 2015, 2018, 2020; Moxham, Fyfe, 2018; Merriman, 2021, 342). Dall’analisi condotta da Batagelj et al. (2017) risulta che la stessa espressione “peer review” era relativamente sconosciuta prima del 1970 (referee era più frequentemente usato).

5Con il controllo dei pari si introduce un sistema di autogoverno che diventerà la spina dorsale dell’autonomia e dell’autorità della scienza (Ancarani, 1996, 31, mio corsivo): un modo organizzato per valutare il lavoro scientifico e la correttezza delle procedure, stabilire la plausibilità dei risultati e allocare risorse scarse (come lo spazio sulle riviste e i fondi di ricerca) (Chubin, Hackett, 1990, 2).

6Come è ben noto, secondo Merton (1938; 1942) i principali valori della scienza moderna sono il comunismo, l’universalismo, il disinteresse e lo scetticismo organizzato, ai quali ci si riferisce solitamente con l’acronimo Cudos. La peer review è al centro di ognuno di essi: il comunismo prescrive che «le scoperte sostanziali della scienza sono un prodotto della collaborazione sociale e sono assegnate alla comunità. Esse costituiscono una eredità comune in cui il diritto del produttore individuale è severamente limitato» (Merton, 1942, 121); i risultati della ricerca appartengono a tutta la comunità degli scienziati, e solo facendo tesoro dei risultati di studi precedenti la scienza può progredire, come nani «sulle spalle di giganti» (Merton, 1965). L’universalismo rimanda alla necessità che ogni pretesa di verità deve essere soggetta a criteri impersonali prestabiliti (Merton, 1942, 118). Il disinteresse troverebbe il suo fondamento nel carattere pubblico e controllabile della scienza, governato dallo scetticismo organizzato (ivi, 126), che, attraverso la peer review, è il principale meccanismo sociale per il controllo di qualità nella scienza accademica (Ziman, 1968; 2000, 42; Knorr-Cetina, 1981).

7La peer review ha subito inevitabilmente le conseguenze dei mutamenti avvenuti nel sistema-scienza e, di conseguenza, nel mercato editoriale scientifico: da poche case editrici che pubblicavano pochi numeri l’anno contenenti i pochi articoli dei pochi scienziati siamo passati ai mega-journals, riviste che pubblicano migliaia di articoli l’anno, agevolati anche dalla digitalizzazione. Tuttavia, se le pubblicazioni sono un mezzo per far progredire la conoscenza, queste sono anche un mezzo per migliorare le carriere dei ricercatori: sono una valuta cruciale nel mercato della ricerca scientifica, dentro e fuori l’accademia (Latour, Woolgar, 1979, 206; Kleinman, Vallas, 2006, 53), moneta attraverso la quale si acquisisce credibilità presso i pari, presso gli organi preposti alla valutazione e presso il grande pubblico (Bucci, 2020, 124); gli editori di riviste e libri partecipano attivamente alla produzione, circolazione, accumulazione e gestione di questa valuta (Mills, Robinson, 2022, 189-190), con lo scopo principale di mantenere e spesso aumentare i propri guadagni. La scienza, come la finanza, è un’economia del credito: si tratta di attività in cui, se si sottrae la credibilità, non rimane alcun prodotto: né una moneta né un corpo di conoscenze scientifiche (Shapin, 1995, 258). L’ethos mertoniano è stato duramente messo alla prova da una scienza che è ormai proprietary, local, authoritarian, commissioned, expert (Place, l’acronimo proposto da Ziman, 1983, 7). La ricerca scientifica da tempo è guidata da un’etica basata sulla produttività, da valutare attraverso risultati “misurabili”: brevetti, citazioni, numero di sovvenzioni (Turner, Chubin, 2000, 41). Le tensioni di valore nella scienza accademica si manifestano lungo diverse dimensioni, e una di queste è tra qualità e quantità del lavoro: per molti scienziati la quantità e la rapidità stanno diventando importanti quanto la qualità, a causa delle pressioni a concentrarsi sugli indicatori quantitativi di performance, della riduzione delle risorse, della competizione per lo spazio sulle riviste più importanti e della specializzazione e la propensione al rischio (Hackett, 1990, 268). E, come già ricordava Merton (1957, 166, mia traduzione), «qualsiasi enfasi estrema sul valore del successo – si tratti di produttività scientifica, di accumulazione di ricchezza personale […] – attenuerà la conformità alle norme istituzionali che governano il comportamento previsto per raggiungere la particolare forma di “successo”, specialmente tra coloro che sono socialmente svantaggiati per affrontare la competizione. È il conflitto tra gli obiettivi culturali e la disponibilità di mezzi istituzionali – qualunque sia il carattere degli obiettivi – che produce una tensione verso l’anomia». I processi di trasformazione dell’editoria accademica hanno fatto sì che anche il formato nel quale le riviste sono distribuite sia cambiato: stampare la rivista su carta obbligava a restringere gli spazi a disposizione per motivi economici; la rivista, ora distribuita in formato digitale tramite abbonamento da parte di biblioteche e consorzi universitari, rende irrilevante il tema dello spazio. Ma il tema della competizione resta, soprattutto, per le riviste più prestigiose, che rendono lo spazio a disposizione un bene di “scarsità artificiale”: il bene esiste in abbondanza ma viene presentato come raro e quindi caro. I bassi tassi di accettazione creano un’illusione di esclusività basata sul merito e una competizione più frenetica (Young et al., 2008, 1420).

8Il caso dell’editoria scientifica ci offre uno dei migliori esempi di trasposizione delle mete (Merton, 1957, 199), o – se vogliamo – di effetti emergenti, perversi ma non imprevisti: perseguendo l’obiettivo di migliorare la produttività della ricerca si è ottenuto il risultato di incentivare comportamenti opportunistici. Gli indicatori che mirano a quantificare la produzione scientifica inducono facilmente alla tentazione di “giocare con gli indicatori” (indicator games) (Biagioli et al., 2019; Sørensen, Traweek, 2022, 189): quando un indicatore diventa un obiettivo, smette di essere un indicatore valido (Goodhart, 1975a; 1975b; 1984; Strathern, 1997; Parra Saiani, 2009). Il nuovo regime basato sulla quantificazione «invita a imbrogliare, a seguire la folla, a conformarsi, a perdere qualità e a sottomettersi agli sponsor i cui fondi rendono possibile competere» (Turner, Chubin, 2000, 45).

9La gamma dei comportamenti devianti nella scienza oscilla tra le gravi violazioni delle norme morali e cognitive e le violazioni del galateo della scienza («etiquette of science») (Zuckerman, 1977, 119-120). Tra le deviazioni dal galateo Zuckerman inserisce l’eponimia, la sottovalutazione dei contributi dei collaboratori, gli attacchi ad hominem, la ricerca di pubblicità (ivi, 120-122); potremmo aggiornare l’elenco aggiungendo l’aggiramento della peer-review, la pratica di spezzettare i risultati di una ricerca e distribuirli in diversi articoli per aumentare il numero delle proprie pubblicazioni (Guzzetti, 2002, 152), noto anche come salami slicing.

10Il progressivo allontanamento dall’ethos mertoniano – pur nella sua forma idealtipica – è attribuito da Hackett (1990, 272; 1994, 248-249) alla sempre maggiore alienazione, che contribuirebbe all’erosione delle circostanze sociali necessarie per un efficace controllo sociale. La ricerca scientifica, a lungo considerata una vocazione che richiede un profondo impegno personale, sembrerebbe agli antipodi di una carriera alienante. Ma, prosegue Hackett, già Weber usava un’espressione tipicamente marxiana per descrivere i grandi istituti di medicina o di scienze naturali: «lì, come in ogni azienda capitalistica, si verifica la “separazione del lavoratore dai mezzi di produzione”» (Weber, 1917, [1996], 46). Cerroni (2009, 66) paventa il rischio di una «taylorizzazione dei ricercatori e di una depauperazione del patrimonio di tradizioni scientifico-culturali». Quando le ricompense e le soddisfazioni della scienza sono oscurate dalle esigenze organizzative, dai calcoli economici e dalle strategie di carriera, allora la scienza non è più una vocazione e la cattiva condotta potrebbe diventare consuetudine (Hackett, 1994, 249-250).

11In linea con i principi del New Public Management, si è prestata maggiore attenzione a procedure di valutazione standardizzate, dalla valutazione della didattica alla valutazione delle attività di ricerca (Sørensen, Traweek, 2022, 6). «Decenni di ricerca in molti campi hanno messo in discussione ciascuno di questi presupposti, ma molti continuano a crederci» (ivi, 40). Inoltre, molto spesso indicatori e indici usati dalla scientometria non rimandano alla qualità scientifica ma alla notorietà del prodotto scientifico (Bertaux, 2008; Baldissera, 2009, 27). Bucci (2020, 81) ricorda che il numero di spettatori di un certo spettacolo non è indicatore della sua qualità, ma solo della sua popolarità, e «la popolarità può essere raggiunta in tanti modi, persino comprata»; compravendita che, come vedremo nei paragrafi successivi, è ben più di una metafora.

12L’affermarsi di tali modalità di valutazione del lavoro accademico ha modificato in modo sostanziale le istituzioni scientifiche e le culture di produzione della conoscenza (Etzkowitz, 1983, 199; Hackett, 1990, 273; Power, 1997; Strathern, 1997; Slaughter, Rhoades, 2004; Burrows, 2012; Dahler-Larsen, 2012; Fochler, 2016). Spesso, tuttavia, l’uso degli indicatori viene descritto come una forma di coercizione da parte di una forza esterna, trascurando i modi in cui gli stessi attori accademici sono coinvolti nei “giochi degli indicatori” e le nuove possibilità strategiche che essi offrono, nelle istituzioni, nelle carriere e al di là di esse (Fochler, de Rijcke, 2017, 22, 29). Tutto ciò sta producendo delle conseguenze dirette sul Beruf dell’universitario, per il quale finisce per contare sempre meno la vocazione intellettuale alla ricerca del sapere (Borrelli, 2023, 55). Questi cambiamenti, noti da tempo, si inseriscono (e si rafforzano) con quanto sta avvenendo nel mercato editoriale scientifico.

3. Un mercato oligopolistico e poco trasparente

13Pochi editori, tra cui Elsevier, Taylor and Francis, Springer Nature e Wiley-Blackwell pubblicano circa il 75% degli articoli scientifici e stanno cambiando il panorama dell’editoria accademica (Mills, Robinson, 2022, 193; ISC, 2023, 12). Come ricorda Collyer (2018, 59-60), il tema ha suscitato scarso interesse, sebbene la diffusione della ricerca sia una componente cruciale, fondamentale per l’istituzionalizzazione e il sostentamento delle discipline poiché la pubblicazione è un processo che aiuta a strutturare la produzione di conoscenza.

  • 1 L’espressione “double dipping” indica la pratica illecita di accettare un compenso da due fonti che (...)

14Un rapporto della Deutsche Bank (2005; cit. in McGuigan, Russell, 2008) parla di un mercato bizzarro, un triple-pay-system nel quale gli accademici – il cui lavoro è generalmente finanziato da fondi pubblici (o perché percepiscono uno stipendio e/o perché ricevono contributi per la loro attività di ricerca) – consegnano il loro prodotto alle case editrici, se va bene gratuitamente, altrimenti dietro pagamento da parte dell’autore; altri accademici controllano la qualità del lavoro consegnato attraverso la peer review, quasi sempre gratuita; gli editori vendono il prodotto alle biblioteche universitarie, finanziate con denaro pubblico, affinché gli stessi accademici vi possano accedere1. Geniale, no? Come ha scritto Buranyi (2017), è come se il New Yorker o l’Economist chiedessero ai propri giornalisti di scrivere, facendo pagare al governo sia gli stipendi sia gli abbonamenti; o, scrive Smith (2024, XIII), come «compagnie petrolifere a cui viene data la benzina gratis […], inviata già ben confezionata e pronta per essere rivenduta a prezzi elevati con un intervento minimo».

15L’avvento della digitalizzazione ha infatti abbattuto i costi di produzione e di diffusione e ha consentito un aumento vertiginoso del numero di riviste e di articoli pubblicati, con ovvie ripercussioni sulla revisione tra pari in termini di aggravio di ore di lavoro. L’editoria scientifica ha margini di profitto molto ampi anche perché – solo nel 2020 – i reviewers hanno donato circa 100 milioni di ore del proprio tempo, per un valore stimato di 1,5 miliardi di dollari per gli Stati Uniti, 626 milioni di dollari per la Cina e 391 milioni di dollari per il Regno Unito – limitatamente ai tre Paesi che hanno contribuito al maggior numero di articoli (Aczel et al., 2021, 4-5). E ciò a fronte di un mercato globale dell’editoria accademica stimato nel 2020 per 26,5 miliardi di dollari, ulteriormente in crescita nei prossimi anni (Butler et al., 2023, 781).

  • 2 Sono invece disponibili dati (parziali) derivanti da una recente indagine che ha coinvolto 31 conso (...)
  • 3 Il Consiglio della UE «ASKS the Commission to monitor, together with Member States, the development (...)

16Purtroppo, non è possibile offrire dettagli sui costi legati alla pubblicazione di articoli e, più in generale, all’esborso finanziario sostenuto dai sistemi universitari nei confronti degli editori2. Il Consiglio dell’Unione Europea sottolinea la necessità di adottare misure concrete contro la proliferazione di contratti non sufficientemente trasparenti tra editori e istituzioni3 che rendono difficile avere un quadro chiaro (Council of the European Union, 2022, 8) e che rischiano di rendere i costi di pubblicazione insostenibili a lungo termine (ivi, 2023, 5). Uno studio commissionato dallo stesso Consiglio documenta la mancanza strutturale di informazioni su contratti e accordi con gli editori e raccomanda agli Stati di adottare specifiche azioni per aumentare la trasparenza relativamente ai costi di pubblicazione (Kramer, 2024).

17La commercializzazione dell’editoria scientifica ha una lunga storia (Fyfe et al., 2017), ma negli ultimi tre decenni si è assistito a un’accelerazione dei consolidamenti e delle acquisizioni (Mills, Robinson, 2022, 193), e all’espansione del loro monopolio dagli articoli di ricerca ai dati di ricerca e infine all’intero flusso di lavoro accademico, acquisendo o sviluppando servizi volti a sviluppare l’integrazione verticale dell’intero processo scientifico, dalla ricerca della letteratura all’acquisizione dei dati, all’analisi, alla scrittura, alla pubblicazione e alla divulgazione (Brembs et al., 2023, 3). Nuovi attori sono poi entrati nel mercato: le cosiddette “mega-riviste” (mega-journals), caratterizzate dall’alto numero di articoli pubblicati e dall’accesso aperto, sostenuto con le spese di elaborazione degli articoli (article processing charges, apc) (cfr. tab. 1), spesso con migliaia di special issues, conteggiate a parte. Se nel 1997 nel database Jcr comparivano 6.516 riviste, nel 2002 sono 7.291, nel 2012 10.936 e nel 2022 21.762.

18Fondata nel 1996, Mdpi passa dai 1.131 articoli pubblicati nel 2008 ai 279.500 nel 2023 (fig. 1), con un tasso di accettazione che dal 2016 si mantiene attorno a una media del 43% (con un picco del 50,3% nel 2022). Hindawi è stata fondata al Cairo nel 1997 e acquistata da Wiley nel 2020, si è basata sulla riduzione dei costi di produzione e sull’espansione in nuovi mercati accademici. Frontiers è stata fondata nel 2007, e la sua prima rivista Frontiers in Neuroscience ha ricevuto 17 articoli; nel 2021 ha pubblicato 125.204 articoli su 189 riviste (Frontiers, 2022, 9).

  • 4 Sul punto si veda anche Hanson et al. (2023, 6 e fig. 2, suppl. 1).

19Un altro dato che ci può dare un’idea delle dimensioni del fenomeno: nel 2022 l’International Journal of Environmental Research and Public Health (Ijerph) ha pubblicato circa 17.000 articoli originali o recensioni e Frontiers in Public Health 5043 articoli, mentre l’American Journal of Public Health, l’European Journal of Public Health, l’American Journal of Epidemiology ed Epidemiology hanno pubblicato rispettivamente solo 514, 238, 222 e 101 articoli (Ioannidis et al., 2023, 1254). Inoltre, Ijerph ha 3.099 (!) numeri speciali aperti per il 2023, più di 8 al giorno. Si tratta di numeri enormi, che fanno di Ijerph una delle più grandi mega-riviste ad accesso aperto del mondo4 (e però cfr. infra per il destino della rivista).

Tab. 1. Prime 15 riviste, ordinate in base al numero di articoli pubblicati nel 2022

Nome della rivista

Editore

eISSN

2022 JIF

Tot. articoli

Tot. citazioni

% of OA Gold

1.

Scientific Reports

Nature Portfolio

2045-2322

4.6

21,094

738,367

99.57%

2.

Sustainability

MDPI

2071-1050

3.9

15,824

187,953

99.36%

3.

Plos One

Public Library Science

1932-6203

3.7

15,595

886,919

96.67%

4.

Applied Sciences-Basel

MDPI

2076-3417

2.7

12,099

98,949

99.30%

5.

International Journal of Molecular Sciences

MDPI

1422-0067

5.6

11,956

281,932

99.51%

6.

Cureus Journal of Medical Science

Cureus Inc.

2168-8184

1.2

9,480

26,573

99.31%

7.

Sensors

MDPI

1424-8220

3.9

9,347

159,519

99.45%

8.

Ieee Access

IEEE-Inst Electrical Electronics Engineers Inc.

2169-3536

3.9

9,197

239,575

98.41%

9.

Energies

MDPI

1996-1073

3.2

8,569

103,643

99.47%

10.

Materials

MDPI

1996-1944

3.4

8,410

104,643

99.44%

11.

Molecules

MDPI

1420-3049

4.6

7,546

161,890

99.36%

12.

Frontiers In Psychology

Frontiers Media SA

1664-1078

3.8

7,422

108,118

99.39%

13.

Science of The Total Environment

Elsevier

1879-1026

9.8

7,198

372,205

16.32%

14.

Nature Communications

Nature Portfolio

2041-1723

16.6

6,934

675,323

99.66%

15.

Environmental Science And Pollution Research

Springer Heidelberg

1614-7499

5.8

6,511

144,869

5.42%

Fonte: Journal Citation Reports dataset, aggiornato al 18 ottobre 2023; interrogazione effettuata il 3/6/2024, mia elaborazione

Fig. 1 Articoli ricevuti e pubblicati (migliaia) da Mdpi, 2016-2023

Fig. 1 Articoli ricevuti e pubblicati (migliaia) da Mdpi, 2016-2023

Fonte: mia elaborazione su dati Mdpi (2016-2023)

20La struttura delle ricompense in accademia basata su sistemi di valutazione centrati su indicatori quantitativi ha portato al prevalere della logica del publish or perish, che a sua volta ha favorito il fenomeno del pay-to-publish e all’aumento di pubblicazioni di riviste che adottano un modello esclusivamente di mercato, indebolendo la peer review, spesso – quando c’è – limitata a pochi giorni, per favorire una maggiore redditività. Springer, ad esempio, presenta alcune riviste con «some of the quickest turnaround times in your field-while still maintaining the highest levels of peer and editorial review»: Letters in Spatial and Resource Sciences, «3 days submission to first decision»5; Mineral Economics, «5 days submission to first decision»6; European Journal of Law and Economics, «6 days submission to first decision»7, anche se poi non viene specificato il tempo di attesa che intercorre tra la prima decisione e la decisione finale dei revisori.

21Taylor & Francis offre due percorsi editoriali accelerati a fronte di una maggiorazione delle APC in cui si garantisce una pubblicazione veloce: 3.400 euro per pubblicare in 7-9 settimane dall’invio della proposta, 6.200 euro per ridurre il tempo necessario a 3-5 settimane8. Frontiers, per tutte le sue riviste, prevede addirittura sette (sette!) giorni per la fase di peer review indipendente e sette, dieci o quattordici giorni di tempo perché gli autori possano rispondere9.

22I legittimi interessi economici delle case editrici stanno inoltre influenzando anche le scelte editoriali. Esemplare è il caso di Theory & Society, fondato da Alvin Gouldner e pubblicato da Springer Nature, che nel 2023 decide unilateralmente di cambiare la direzione della rivista e comunicando alla struttura editoriale che non sarebbe più stata attiva a partire dal 1 gennaio 2024 (Kincaid, 2024)10. Una delle motivazioni è individuata nella necessità di accelerare il processo di pubblicazione degli articoli, ma anche – si legge nel nuovo Statement of Goals della rivista – rendere Theory and Society un «forum per una teoria migliore»11; nelle parole di McCaffree (uno dei due nuovi editors), l’editore avrebbe voluto rendere la rivista «more scientific, less political and more interdisciplinary» (ibidem).

23Le «academic credibility economies» (Shapin, 1995), centrali nelle pratiche quotidiane di produzione della conoscenza, vengono stravolte dalle nuove tecnologie che accelerano la pubblicazione e consentono una rapida diffusione. Le riviste online e le piattaforme di pubblicazione di e-book sono sempre più integrate negli assemblaggi commerciali di produzione, circolazione e divulgazione della conoscenza (Mirowski, 2018; Mills, Robinson, 2022, 188). Gli editori assumono quindi un ruolo sempre più rilevante in un sistema in cui la conoscenza e la credibilità vengono co-prodotte, perché organizzano le modalità secondo le quali la credibilità circola o viene contestata (Mills, Robinson, 2022, 190). Il confine tra scienza e non scienza rischia di diventare sempre meno presidiato.

4. L’inquinamento accademico

24L’intreccio tra la trasformazione del mercato editoriale scientifico e accademico e la diffusione pressoché globale dei sistemi di valutazione della ricerca basati su criteri esclusivamente quantitativi provoca danni a più livelli. L’aumento del numero di pubblicazioni che Sørensen e Traweek (2022, 189) definiscono «folle» provoca un vero e proprio “inquinamento accademico”, spesso legato alla scarsa (quando non del tutto assente) qualità della peer review12. La ricerca scientifica viene inquinata dalla scienza marginale (e dalla cattiva scienza), rendendo sempre più difficile all’editoria scientifica esercitare il ruolo di demarcazione. Come ricorda Bucci (2020, 83-84), l’enorme quantità di articoli scientifici facilita la pubblicazione di articoli fraudolenti perché è più facile nasconderli, “annegandoli” in un mare di articoli sempre meno letti, e ciò danneggia la scienza, sia nella sua pratica – perché rallentano la ricerca clinica e industriale – sia nella sua reputazione, riducendo la fiducia nella ricerca scientifica.

  • 13 Si veda Ritchie (2020).
  • 14 Per la denuncia della manomissione delle immagini (e altro), si veda Sholto (2024).
  • 15 Si vedano in particolare gli articoli alle pagine https://datacolada.org/98, https://datacolada.org (...)
  • 16 Così risulta, ancora il 4 giugno 2024, sul sito della Harvard Business School, https://www.hbs.edu/ (...)
  • 17 Il giudice ha respinto le accuse di diffamazione di Gino i colleghi di Data Colada e contro Harvard (...)

25Gli esempi abbondano13; per rimanere ai più recenti e ai più famosi, si possono citare lo studio sul legame tra vaccini e autismo (Wakefield et al., 1998), pubblicato da Lancet, così come quello sulle conversazioni che cambierebbero gli atteggiamenti verso il matrimonio omosessuale di Lacour e Green (2014) pubblicato da Science (successivamente ritrattati). Ancora, lo studio sull’ivermectina per trattare il Covid-19: farmaco miracoloso secondo i primi studi di laboratorio risultati poi l’esito di vere e proprie frodi, venne giustamente rifiutato dalle autorità mediche, ma gli oppositori al vaccino continuavano a indicare l’ivermectina come esempio di cura alternativa. Oppure il caso delle ricerche sull’Alzheimer condotte dal gruppo guidato Marc Tessier-Lavigne, Rettore di Stanford: un’indagine indipendente ha riscontrato la manipolazione inappropriata dei dati di ricerca e pratiche scientifiche carenti (Special Committee The Board of Trustees of the Leland Stanford Junior University, 2023, 21), portando alle sue dimissioni (Saul, 2023). Il Dana-Farber Cancer Institute dell’Università di Harvard ritratterà sei articoli e chiederà la correzione di altri 31, molti dei quali scritti da studiosi di punta, dopo che sono stati sollevati dubbi sulla manipolazione delle immagini14 (Dyer, 2024). Ancora ad Harvard, ma questa volta alla Harvard Business School, il “caso” di Francesca Gino, studiosa di fama mondiale accusata dal blog Data Colada15 di aver manipolato i dati, accusa che da una parte ha portato alla messa in congedo della docente16, dall’altra a una causa intentata dalla stessa Gino all’Università di Harvard e al blog per 25 milioni di dollari17.

26L’editoria accademica è sempre più simile alle pratiche dei nuovi social media nel diventare un’economia del click (Sørensen, Traweek, 2022, 189). Se per gli accademici ambiziosi è diventato fondamentale imparare a essere degni di questo tipo di attenzione, a veder “scaricato” e citato il proprio lavoro, non essere consapevoli della diversa qualità associata ai diversi canali di circolazione della conoscenza porta a creare un sistema sempre più dualistico, creando delle isole sempre più ai margini dei circuiti internazionali. Peggio ancora se tale ignoranza viene rafforzata dai propri sistemi di valutazione che inducono a pubblicare su riviste di bassa qualità.

  • 18 Il suo blog (scholarlyoa.com) è stato aggiornato fino a gennaio 2017, momento in cui è stato chiuso (...)

27Una delle conseguenze del publish or perish è la diffusione di riviste predatorie: riviste che pubblicano articoli – a pagamento – senza un’adeguata peer review. L’espressione “rivista predatoria” si deve a Jeffrey Beall, che con la sua omonima lista (messa offline all’inizio del 2017, ma reperibile comunque in quell’enorme e permanente archivio che è il web) ha attirato l’attenzione sulle loro attività18. Il primo uso del termine «predatorio» appare in un suo articolo (Beall, 2010), nel quale identifica alcune delle caratteristiche principali: apc inferiori alla media, l’uso di nomi e siti web molto simili a quelli delle riviste legittime. Diversi autori hanno proposto una serie di criteri per identificare le riviste predatorie: un nome molto simile a quello di altre riviste già affermate; nessuno o scarso controllo della qualità degli articoli; assenza dei soliti servizi editoriali; importo di costi da sostenere comunicati agli autori solo dopo che l’articolo è stato accettato; campagne promozionali aggressive per invitare gli studiosi a presentare articoli o a far parte dei comitati editoriali o – addirittura – inserirli come membri dei comitati editoriali senza il loro consenso; indicare una falsa sede; vantarsi di essere indicizzati da siti di social networking accademici (come ResearchGate) e da identificatori standard (come ISSN e DOI) come se fossero database bibliografici prestigiosi o rispettabili; pubblicare un articolo poco tempo dopo averlo ricevuto – tempo spesso contato in giorni o settimane (Beall, 2012; 2018; Shen, Björk, 2015; Björk, Catani, 2016; Dadkhah, Bianciardi, 2016, 2; Harzing, Adler, 2016; Eriksson, Helgesson, 2017, 165; Spezi et al., 2017; Memon, 2018, 1619-1620; Cukier et al., 2020a; 2020b; Siler, 2020).

28Una delle definizioni attualmente più diffuse considera predatori editori e riviste che privilegiano l’interesse commerciale a scapito della ricerca, che rilasciano informazioni false o fuorvianti, si allontanano dalle migliori pratiche editoriali, sono poco trasparenti e usano pratiche di sollecitazione aggressive e indiscriminate (Grudniewicz et al., 2019, 211). Analogamente si stanno diffondendo conferenze che invitano studiosi a presentare relazioni su campi a loro estranei, senza alcun processo di valutazione e selezione, dietro ovviamente il pagamento di una quota di iscrizione, solitamente alta.

29La questione è particolarmente problematica per chi è all’inizio della carriera, non a conoscenza del problema. Ma è solo ignoranza? Anche se secondo Beall (2012, 179) gli editori predatori pubblicavano riviste contraffatte per ingannare i ricercatori, soprattutto quelli inesperti, oggi chi pubblica su tali riviste è spesso consapevole del fatto che le riviste non rispettano gli standard abituali, ma scelgono di pubblicarvi comunque per aggiungere una riga al loro curriculum: è corretto parlare ancora di “predatori”, quando invece si è di fronte, spesso, a un comportamento strategico? Secondo Letki (2023), la situazione attuale è il frutto dell’opportunismo dei ricercatori che spendono un’enorme quantità di denaro pubblico in pubblicazioni su riviste predatorie. Se gonfiare il proprio curriculum con pubblicazioni scientifiche plagiate è paragonabile al doping in atletica, perché si sconfiggono avversari più validi ricorrendo a un mezzo illecito (Bucci, 2020, 51), pubblicare consapevolmente su riviste predatorie non è molto diverso. Per tale motivo alcuni propongono etichette alternative, es. “pseudo-riviste” (pseudo-journals) (McGlynn, 2013; Laine, Winker, 2017, 285): tuttavia, il termine “predatorio” è ormai diffuso e ampiamente riconosciuto nella comunità accademica.

  • 19 Krawczyk, Kulczycki (2021) propongono di riconsiderare il linguaggio usato per descrivere le rivist (...)
  • 20 A esser danneggiate sarebbero anche le ricerche innovative (Nightingale, Alister Scott, 2007; Siler (...)

30Hanafi (2011), Shen e Björk (2015) e Kulczycki (2023) evidenziano le dimensioni geopolitiche della credibilità accademica: un quarto di tutti gli editori predatori – o, come li definiscono Krawczyk e Kulczycki (2023), centri di comunicazione accademica dislocati19 – e oltre un terzo di tutti gli autori che vi pubblicano hanno sede in India, con Asia, Africa e Nord America che occupano un posto di rilievo (Xia et al., 2015; Xia, 2022). Ciò sarebbe conseguenza degli alti costi di accesso alla conoscenza imposti dal sistema delle pubblicazioni scientifiche, una barriera all’ingresso o una chiusura verso l’esterno (Weber, 1922, [1968], 340-343; Sylos Labini, 1961, 79-82) attuata dai paesi ricchi a scapito del cd. “Sud globale” e della conoscenza stessa. Questa è una critica nuova, che va al di là delle note accuse da tempo rivolte alla peer review, cioè di operare attraverso «pregiudizi, reti di vecchi amici, favoritismi, etc.» (Symington, Kramer, 1977, 19) che si intrecciano con strutture di potere consolidate che favoriscono la mascolinità, la bianchezza, l’eterosessualità cis-gender, la ricchezza, l’alta società e l’etnocentrismo occidentale20 (Wennerås, Wold, 1997; Bornmann et al., 2007; Ginther et al., 2011; Case et al., 2012; Warner, Shields, 2013; Larregue, Nielsen, 2023).

31La chiusura, come spesso accade, provoca una reazione da parte degli esclusi – o da parte di chi si sente escluso: come è ben noto, poco importa che la situazione sia reale od oggettiva perché si abbiano delle conseguenze reali (Thomas, Znaniecki, 1918). Frustrati da quelli che sono considerati gli aspetti discriminatori del gatekeeping editoriale del “Nord”, alcuni chiedono la creazione di circuiti editoriali alternativi (Collyer, 2018), mettendo in atto quella che Allman (2019, 421) chiama una forma di banditismo sociale per il benessere della propria comunità. Qualcuno sostiene anche che le accuse di essere coinvolti in pratiche commerciali predatorie sia dovuta alla minaccia che queste nuove riviste costituiscono agli occhi degli editori tradizionali (Mills, Robinson, 2022, 208).

  • 21 Nel 2014 Springer e l’Ieee hanno ritirato più di 120 articoli apparsi negli atti di conferenze dopo (...)

32Un caso particolare, ancor più allarmante – seppure, per il momento, limitato –, è quello delle cartiere (paper mills): organizzazioni che vendono l’autorialità di articoli che verranno poi proposti alle riviste (non necessariamente predatorie) (Hvistendahl, 2013; Else, Van Noorden, 2021; Cope, Stm, 2022; Mehregan, 2022; Pérez-Neri et al., 2022), generati anche grazie all’intelligenza artificiale21 (Kendall, Teixeira da Silva, 2023, 4). Il fenomeno è noto da tempo in campo biomedico (Hvistendahl, 2013), in quello della genetica (Byrne, Labbé, 2017), in informatica (Cabanac, Labbé, 2021). Secondo un recente studio congiunto del Committee on Publication Ethics e dell’International Association of Scientific, Technical and Medical Publishers (Cope, Stm, 2022), fino al 2% degli articoli presentati sono potenziali articoli falsi; e gli articoli problematici possono avere una enorme diffusione: 712 articoli di genomica, attribuibili probabilmente alle cartiere, pubblicati da 78 riviste diverse, hanno ricevuto oltre 17.000 citazioni, con un chiaro impatto negativo sullo sviluppo di terapie mediche (Park et al., 2022, 1).

33Già nel 2013 su Science l’editoriale dall’eloquente titolo China’s Publication Bazaar (Hvistendahl, 2013) ha smascherato la compravendita dell’autorialità di articoli. Come poi documentato da Abalkina (2023), International Publisher Llc ha offerto, tra il 2019 e il 2021, circa 2.000 articoli e venduto circa 6.000 co-autorialità: a settembre 2022 sono state identificate 451 pubblicazioni provenienti da questa fonte, pubblicate su riviste (predatorie e non). Il valore delle co-autorialità offerte da International Publisher LLC dal 2019 al 2021 è stimato in 6,5 milioni di dollari (ivi, 689).

5. È una questione di qualità

34È curioso che la maggior parte dei sistemi preveda di destinare una parte del proprio fatturato al controllo di qualità, tranne che quello del mondo della ricerca scientifica. I finanziamenti per la ricerca sostengono la produzione di nuova conoscenza, ma pochi sono quelli dedicati a individuare e correggere gli errori pubblicati: sarà così molto difficile eliminare dalla letteratura una ricerca fraudolenta. Il Committee on Publishing Ethics (Cope, 2024) sollecita un’azione immediata per affrontare la minaccia rappresentata dalle cartiere – che, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, può colpire anche le riviste più prestigiose – che porta all’inquinamento del dibattito scientifico, con ricerche false e imprecise, che mettono a rischio la fiducia del pubblico nella scienza e introducono pericoli per la salute pubblica e la medicina.

  • 22 Si veda, ad esempio, DOAJ come whitelist di riviste open access che rispettano criteri di qualità p (...)

35Molte sono le iniziative che, in modo più o meno sistematico e organizzato, stanno facendosi strada. Da un lato si punta a creare delle liste di “proscrizione”, cioè degli elenchi delle riviste considerate predatorie (la più famosa è quella già citata di Jeffrey Beall), dall’altro si creano delle liste di riviste ritenute valide (whitelist), che vanno però continuamente aggiornate, in entrata e in uscita22: il 20 marzo 2023 Web of Science ha cancellato 50 riviste dalla propria lista, un numero inusuale per un singolo anno (Brainard, 2023, 1283), tra le quali 19 riviste di Hindawi e 2 di Mdpi. Una di queste è il già citato International Journal of Environmental Research and Public Health (Ijerph): il suo impact factor è ora azzerato. È quindi evidente che i danni si manifestano anche a livello micro, individuale: il rischio di pubblicare su questo tipo di riviste, oltre a compromettere la possibilità di farlo altrove, è di vedersi cancellare da un momento all’altro un pezzo di curriculum.

  • 23 https://predatoryreports.org/news/f/list-of-all-mdpi-predatory-publications [link non disponibile 2 (...)
  • 24 Il Publication Forum (in finlandese spesso indicato come Jufo) è un sistema di valutazione e classi (...)
  • 25 Solo nel recente Regolamento per la classificazione delle riviste nelle aree Cun 8a, 10, 11a, 12, 1 (...)

36Alcune settimane prima, il sito predatoryreports.org aveva inserito tutte le riviste edite da Mdpi tra le riviste predatorie23. A novembre del 2022 i presidenti delle commissioni del finlandese Publication Forum24 hanno deciso di declassare la rivista Sustainability (pubblicata da Mdpi) dal livello 1 al livello 0 (Publication Forum-Panels, 2022), seguendo l’esempio della Norvegia (Universitets og høgskolerådet, 2022). Già oggetto di analisi nell’autunno 2021, la qualità della rivista è stata ritenuta molto, troppo, variabile: pur pubblicando anche articoli di alta qualità, la grande varietà di discipline trattate, l’alto volume di articoli e i tempi rapidi di pubblicazione hanno minato la fiducia nella possibilità che la rivista possa garantire la qualità scientifica. In particolare, si sottolinea il migliaio di numeri speciali, pratica comune anche ad altre riviste dello stesso editore. Le riviste predatrici hanno poi trovato il modo di infiltrarsi in questi elenchi (Grudniewicz et al., 2019, 211), come mostra il caso polacco (Kulczycki, 2023) o il caso italiano: alcune riviste considerate predatorie da alcuni sistemi di valutazione sono infatti presenti nelle liste ANVUR, alcune classificate addirittura in classe A25. L’affidabilità delle whitelist è quindi strettamente collegata alla consapevolezza del fenomeno delle riviste predatorie da parte di chi è deputato alla formazione delle liste stesse.

37Secondo Holcombe (2023) e Cochran (2024), invece, l’affidabilità della ricerca dovrebbe essere certificata a monte dall’istituzione di appartenenza, che dovrebbe garantire l’avvenuto controllo dell’integrità delle procedure, liberando le riviste dalla responsabilità di individuare, correggere e punire frodi e simili. Ma a questo punto, si chiede giustamente l’anonima/o revisora/e, a cosa servono le riviste? La risposta, da chi scrive non condivisa, si potrebbe trovare nelle posizioni di chi sostiene che i tempi sono maturi per sostituire le tradizionali e obsolete riviste accademiche con una moderna infrastruttura di informazione accademica aperta, interoperabile e gestita dalla comunità (Brembs et al., 2023).

38La questione approda anche ai tribunali: nell’aprile 2019, la Federal Trade Commission (Ftc) ha annunciato che un giudice di un tribunale distrettuale federale ha ordinato a Srinubabu Gedela e alle sue società (tra le quali Omics International) di pagare circa 50 milioni di dollari per aver pubblicizzato falsamente riviste e conferenze mediche come scientifiche e dotate di peer review e di aver nascosto le costose spese di pubblicazione che sarebbero state poi chieste agli autori (Federal Trade Commission, 2020).

39In reazione alla politica dei prezzi, più di 40 membri dei comitati editoriali di NeuroImage e NeuroImage: Reports pubblicate dal Elsevier si sono dimessi (Sanderson, 2023, 641). Per lo stesso motivo nel 2019 il comitato editoriale del Journal of Infometrics (ancora Elsevier) si è dimesso in segno di protesta lanciando una rivista free-to-read con la Mit Press Quantitative Science Studies, con lo stesso comitato editoriale (Waltman et al., 2020).

40L’opposizione più radicale agli alti costi degli apc è rappresentata da Sci-Hub, un sito nato nel 2011 che permette a chiunque di scaricare gratuitamente articoli scientifici. La sua creatrice, Alexandra Elbakyan, si nasconde accusata di hacking e violazione del copyright negli Stati Uniti; Elsevier e la American Chemical Association hanno ottenuto nei suoi confronti una condanna al pagamento di una multa rispettivamente di circa 15 e 5 milioni di dollari (Else, 2021, 370). È ovviamente una soluzione che risolve a breve termine il problema dell’accesso alla conoscenza, ma sicuramente non quello della qualità degli articoli e della ricerca scientifica.

41La Commissione Europea ha promosso la piattaforma Open Research Europe (Ore) per pubblicare ad accesso aperto e, per rendere più trasparente il sistema, aggiungendo informazioni sui revisori e i loro commenti. Il Consiglio europeo ha approvato un documento chiedendo agli Stati di appoggiare tale programma per favorire i sistemi senza fine di lucro, ad accesso aperto e senza costi né per gli autori né per i lettori.

42Le società scientifiche e le case editrici (tra cui Springer Nature) hanno contribuito a creare il sistema “Think. Check. Submit” per aiutare gli autori, specialmente quelli alle prime armi26, creato con il contributo e il supporto di diverse organizzazioni attive nel campo della pubblicazione scientifica come il Committee on Publication Ethics (Cope), Directory of Open Access Journals (Doaj), BioMed Central e molte altre.

43Altri, ancora, propongono di lavorare sull’etica degli scienziati e delle scienziate e più in generale sulla «scientific publishing literacy» (Beall, 2013; Grudniewicz et al., 2019, 212; Kharumnuid, Singh Deo, 2022; Ahmed et al., 2023) per raggiungere una «cittadinanza accademica» (Sørensen, Traweek, 2022, 189), visto che i problemi non sono causati solo da forze esterne.

44Ma ancora più importante dei tanti consigli e criteri che vengono proposti per evitare di cadere nella trappola è farsi un esame di coscienza: siamo così importanti, il nostro lavoro è così noto da spingere un perfetto estraneo dall’altra parte del mondo a invitarci a pubblicare, a curare una special issue, o addirittura entrare nel comitato scientifico? Se la risposta è sì, vale la pena continuare a porsi ulteriori domande: la rivista è conosciuta nel mondo accademico? Qual è la sua reputazione? Ormai è facile connettersi a un qualunque motore di ricerca, inserire il nome della rivista e se la rivista è predatoria è quasi sicuro accorgersene fin dai primi risultati perché tante altre colleghe e tanti altri colleghi avranno ricevuto il nostro stesso invito. Se la rivista accetta il nostro articolo molto velocemente, è perché probabilmente la peer review è stata saltata, o condotta in modo approssimativo: come chiunque sieda in un comitato editoriale o scientifico di una rivista sa, sta diventando sempre più difficile trovare persone disposte a fare un referaggio, men che meno in poco tempo, soprattutto se serio.

6. Conclusioni

45La conoscenza scientifica non è il prodotto del lavoro dei soli scienziati, ma il risultato delle loro interrelazioni con persone (colleghi, pubblico, attori di diversi campi) e oggetti (libri, biblioteche, tecnologie, in generale le infrastrutture di supporto alla ricerca) (Rodriguez Medina, 2014, 15): tra le persone, oltre ai ricercatori e agli scienziati in genere, dobbiamo considerare i manager delle case editrici (Östling, Larsson Heidenblad, 2023, 22). Il fenomeno delle riviste predatorie non scomparirà finché i sistemi di valutazione si affideranno al numero di pubblicazioni come criterio per la valutazione del lavoro di uno scienziato o di un accademico, motivo per cui da più parti si sostiene che l’unico modo per contrastare queste dinamiche sia abbandonare l’uso di metriche basate sulle pubblicazioni (DORA, 2012; Coalition for Advancing Research Assessment, 2022, 6; ISC, 2023, 6).

46L’invito di Beall ai ricercatori e ricercatrici di resistere alla tentazione di pubblicare velocemente e facilmente è destinato a cadere nel vuoto: il publish-or-perish è probabilmente più forte di qualunque richiamo all’etica da parte del singolo, e non sarà certamente sufficiente un’opera di educazione e formazione alla scientific literacy o alla cittadinanza accademica, soprattutto in una società regolata e coordinata «dalla silenziosa forza normativa delle leggi temporali, che si manifestano nella forma di scadenze di consegna, scansioni e confini temporali» (Rosa, 2010, [2015], 44).

47Concentrarsi esclusivamente su fattori esterni significa trascurare il fatto che scienziati e accademici partecipano agli stessi cambiamenti che si criticano. Siamo noi a “giocare” con gli indicatori, seppure in un gioco da noi non scelto: «siamo complici», come scrivono Sørensen e Traweek (2022, 186). Certo, la scientific literacy probabilmente non è sufficiente, ma se il fenomeno fosse largamente conosciuto, la reputazione di chi pubblica e di chi lavora in questo modo sarebbe indubitabilmente danneggiata, e il fenomeno scomparirebbe: chi sarebbe disposto a pagare (o anche, come talvolta capita, di pubblicare gratuitamente) per figurare su una rivista nota come spazzatura? Nessuno. Il problema è che molto spesso gli stessi accademici non conoscono la differenza tra editori legittimi ed editori che ne richiamano solo il nome, e che riviste dalla dubbia reputazione vengano inserite negli elenchi delle riviste considerate migliori.

48Il “gioco” di aumentare il numero di pubblicazioni – magari perché gli elenchi istituzionali lo facilitano, inserendo riviste dubbie tra le riviste più qualificate, invogliando e legittimandole come sede di pubblicazione – danneggia la collocazione della ricerca scientifica italiana nel contesto più ampio. Come ricordano Sørensen e Traweek (2022, 189), l’adagio publish or perish è ormai (in parte) superato: non è più sufficiente pubblicare, è essenziale farlo seguendo determinati formati e utilizzando specifici canali. Questi elementi influenzano sempre più il valore di una pubblicazione, mentre la quantità di pubblicazioni e citazioni è diventata solo uno tra i tanti indicatori considerati (tra l’altro, sempre più contestato a livello internazionale).

49Gli scienziati vedono più lontano stando sulle spalle dei giganti. Cosa succede quando questi giganti sono fatti di sabbia? Può anche essere vero che la storia dell’editoria accademica non è basata sulla meritocrazia delle idee ma è il riflesso di chi detiene privilegi nella società e posizioni di potere. Ma la soluzione può essere affidarsi a sistemi che sfiorano l’auto-pubblicazione? Se in libreria o su un catalogo online ci imbattiamo in un romanzo pubblicato grazie al sistema del self-publishing probabilmente avremo qualche perplessità nell’acquistarlo: è sufficiente pagare per pubblicare e immaginiamo che non ci sia alcun controllo di qualità. Perché allora gli stessi dubbi non sorgono a proposito dell’editoria scientifica?

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Note

1 L’espressione “double dipping” indica la pratica illecita di accettare un compenso da due fonti che si escludono a vicenda; si usa spesso per riferirsi alla pratica seguita dalle riviste che fanno pagare la pubblicazione dello stesso articolo due volte: una volta per l’abbonamento e una volta per l’accesso aperto (cfr., ad es., Asai, 2023). Qui, però, entra in gioco almeno un altro fattore, e cioè il lavoro dei valutatori (da qui il triple).

2 Sono invece disponibili dati (parziali) derivanti da una recente indagine che ha coinvolto 31 consorzi di 30 paesi europei, prevalentemente in ambito accademico e di ricerca, emerge che sono stati spesi per periodici circa 726 milioni di euro, il 72% dei quali sostenuto da bilanci universitari (Morais et al., 2019, 50); 475 milioni di euro all’anno sono spesi in contratti con cinque dei maggiori editori (Elsevier, Springer Nature, Taylor & Francis, Wiley, American Chemical Society) (ivi, 53). Le informazioni fornite dai consorzi non offrono il quadro completo del mercato europeo: i dati non coprono a) gli apc o altri costi di pubblicazione; b) i contratti con gli editori più piccoli; c) i singoli contratti tra istituzioni, o entità commerciali, ed editori perché i dati includono solo un gruppo selezionato di consorzi di negoziazione a livello nazionale, responsabili della maggior parte delle spese all’interno dei rispettivi Paesi; inoltre, alcuni dei consorzi intervistati hanno fornito informazioni solo parziali, ad esempio sui costi, a causa di vincoli legali (Morais et al., 2019, 53).

3 Il Consiglio della UE «ASKS the Commission to monitor, together with Member States, the development and diversity of scientific publishing in Europe and the practices and costs of scholarly publications, including the transparency of billing costs, taking stock of and sharing existing best procedures developed at national level, and, wherever possible, disclosing the findings, and to this end ENCOURAGES Member States or, where appropriate, research performing organisations, in cooperation with the Commission, to take concrete measures against the proliferation of insufficiently transparent contractual arrangements in their interactions with publishers».

4 Sul punto si veda anche Hanson et al. (2023, 6 e fig. 2, suppl. 1).

5 https://t.ly/-HIeB, accesso effettuato il 31/5/2024.

6 https://t.ly/8Fky6, accesso effettuato il 31/5/2024.

7 https://t.ly/IYE6L, accesso effettuato il 31/5/2024.

8 https://t.ly/c5i1T, accesso effettuato il 12/11/2024.

9 https://www.frontiersin.org/about/peer-review. Per garantire una critica costruttiva, si prevede che i revisori rimangano anonimi durante la prima fase, ma se il manoscritto viene accettato per la pubblicazione, i loro nomi – così come quello del redattore responsabile – appariranno sull’articolo pubblicato. Se un revisore raccomanda il rifiuto o si ritira durante una qualsiasi fase di questo processo, il suo nome non sarà reso noto. Frontiers gestisce un unico processo di peer review anonimo, quindi l’identità degli autori è nota ai revisori.

10 Cfr. in particolare il commento di Gil Eyal, uno dei componenti del precedente editorial board.

11 https://link.springer.com/journal/11186/updates/26605018.

12 Si può utilmente consultare il sito PubPeer (https://pubpeer.com/static/about), nato nel 2012 per raccogliere commenti (e soprattutto dubbi) sugli articoli già pubblicati.

13 Si veda Ritchie (2020).

14 Per la denuncia della manomissione delle immagini (e altro), si veda Sholto (2024).

15 Si vedano in particolare gli articoli alle pagine https://datacolada.org/98, https://datacolada.org/109, https://datacolada.org/110.

16 Così risulta, ancora il 4 giugno 2024, sul sito della Harvard Business School, https://www.hbs.edu/faculty/Pages/profile.aspx?facId=271812. Paradossalmente, il titolo di uno dei suoi ultimi libri (di grande successo di pubblico) è Rebel Talent. Why It Pays to Break the Rules at Work and in Life.

17 Il giudice ha respinto le accuse di diffamazione di Gino i colleghi di Data Colada e contro Harvard, acconsentendo però a che una parte della causa di Gino procedesse: la rivendicazione della violazione del contratto di Gino con Harvard, che l’avrebbe sottoposta ad azioni disciplinari ingiuste, con il rischio di vedersi revocare la cattedra. Gino, che ha negato tutte le accuse, ha rivisto la sua denuncia iniziale di discriminazione per incorporare quelle di discriminazione basata sul sesso in materia di disciplina e licenziamento sul posto di lavoro. In seguito all’indagine, Gino è stata posta in congedo amministrativo non retribuito per due anni, in conformità con la nuova “Politica e procedure provvisorie per rispondere alle accuse di cattiva condotta nella ricerca”, che però viene contestata perché – questa l’accusa – sarebbe stata elaborata appositamente per colpire la stessa Gino (Baek, Rem, 2024).

18 Il suo blog (scholarlyoa.com) è stato aggiornato fino a gennaio 2017, momento in cui è stato chiuso; una sua copia è conservata all’indirizzo https://beallslist.net/. Poco dopo Cabell ha avviato il progetto Journal Blacklist (ora denominato Predatory Reports), disponibile però solo tramite abbonamento istituzionale, https://cabells.com/.

19 Krawczyk, Kulczycki (2021) propongono di riconsiderare il linguaggio usato per descrivere le riviste predatorie, per evitare di condannare gli studiosi che vi pubblicano o i loro editori di cattive intenzioni; preferiscono parlare di «mislocated centres of scholarly communication» quando l’editore ha scarsa visibilità o è percepito come predatorio dalle istituzioni al centro del mondo accademico, ma considerato prestigioso dalle istituzioni periferiche (spesso perché si presenta come internazionale); la loro popolarità in un determinato Paese è funzione della distanza di quel Paese dal centro del mondo accademico. D’altronde, lo stesso Beall (2018, 285) riconosceva che l’espressione «editore predatorio» coniato nel 2010 non era perfetto, che forse l’espressione «questionable publisher» era migliore, ma che ormai la prima è la più diffusa a livello internazionale.

20 A esser danneggiate sarebbero anche le ricerche innovative (Nightingale, Alister Scott, 2007; Siler et al., 2015).

21 Nel 2014 Springer e l’Ieee hanno ritirato più di 120 articoli apparsi negli atti di conferenze dopo aver appreso che erano stati scritti da un generatore di testi computerizzato chiamato SCIgen (Labbé, Labbé, 2013; Van Noorden, 2014). Il programma consente di creare un articolo in cui testo e grafici hanno l’aspetto di un vero e proprio documento scientifico, ma sono parole senza senso. Il fatto che siano stati pubblicati indica che non sono nemmeno stati letti.

22 Si veda, ad esempio, DOAJ come whitelist di riviste open access che rispettano criteri di qualità predefiniti.

23 https://predatoryreports.org/news/f/list-of-all-mdpi-predatory-publications [link non disponibile 21/02/2025]. Predatory Reports è un’organizzazione composta da ricercatori volontari (anonimi) danneggiati da editori predatori e che vogliono aiutare i ricercatori a individuare editori e riviste affidabili per le loro ricerche. L’anonimato è stato scelto per non essere citati in giudizio da aziende le cui pratiche sono piuttosto aggressive (https://predatoryreports.org/about [link non disponibile 21/02/2025]). Ultimamente la stessa associazione è stata accusata di plagio da Cabell, non solo perché il suo rapporto è intitolato proprio “Predatory reports”, ma per aver ripreso nel suo blog – questa l’accusa – frasi dalle loro pubblicazioni senza citarne la fonte.

24 Il Publication Forum (in finlandese spesso indicato come Jufo) è un sistema di valutazione e classificazione a supporto della valutazione della qualità della produzione della ricerca. La classificazione include riviste accademiche, collane di libri, conferenze e case editrici. La classificazione a quattro livelli classifica i principali canali di pubblicazione esteri e nazionali di tutte le discipline assegnando 1 (livello base, «basic»), 2 (livello superiore, «leading»), 3 (avanzato, «highest»); lo zero è attribuito ai canali di pubblicazione che non soddisfano i criteri del livello 1.

25 Solo nel recente Regolamento per la classificazione delle riviste nelle aree Cun 8a, 10, 11a, 12, 13 e 14 (Approvato con Delibera del Consiglio Direttivo n. 306 del 21/12/2023) è stato inserito l’art. 14 (Riviste predatorie) che prevede l’esclusione delle riviste «che presentino in tutto o in parte le seguenti caratteristiche: a. assenza di procedure di revisione prestabilite, trasparenti ed effettive, ovvero presenza di procedure di revisione solo apparenti; b. tempi e costi di pubblicazione non allineati con le consuetudini del settore; c. azioni e comportamenti ingannevoli di promozione e pubblicità; d. scarsa chiarezza delle informazioni relative alla direzione e agli organi decisionali». È quindi possibile (e forse auspicabile) che alcune delle riviste ora presenti potranno uscire dall’elenco in un prossimo futuro.

26 http://thinkchecksubmit.org.

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Indice delle illustrazioni

Titolo Fig. 1 Articoli ricevuti e pubblicati (migliaia) da Mdpi, 2016-2023
Credits Fonte: mia elaborazione su dati Mdpi (2016-2023)
URL http://journals.openedition.org/qds/docannexe/image/7121/img-1.jpg
File image/jpeg, 141k
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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Paolo Parra Saiani, «Sulle spalle di giganti di sabbia»Quaderni di Sociologia, 95 - LXVIII | 2024, 155-182.

Notizia bibliografica digitale

Paolo Parra Saiani, «Sulle spalle di giganti di sabbia»Quaderni di Sociologia [Online], 95 - LXVIII | 2024, online dal 01 mars 2025, consultato il 19 mai 2025. URL: http://journals.openedition.org/qds/7121; DOI: https://doi.org/10.4000/13k0k

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Autore

Paolo Parra Saiani

Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali – Università di Genova

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