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Il paradosso dell’area sociologica: effetti dissociativi dei processi associativi all’epoca della VQR?

Maria Carmela Agodi
p. 199-211

Testo integrale

1Chi sono gli stakeholders della valutazione, quando essa si esercita sull’Università e sulle sue funzioni?

2Possiamo considerare tra questi anche le Associazioni scientifiche, la cui missione è quella di promuovere lo sviluppo delle singole discipline scientifiche?

  • 1 Le vicende della VQR mostrano quanto diversificato sia il modo in cui le diverse associazioni scien (...)

3Atenei, Dipartimenti, Corsi di laurea – strutture in cui si articola l’istituzione Università – sono oggetto diretto degli esercizi di valutazione. Discipline e saperi disciplinari ne sono invece potenzialmente una infrastruttura portante1, soprattutto – anche se non esclusivamente – in relazione alla valutazione della ricerca, dal momento che ai GEV e ai sub-GEV di area disciplinare – nominati dal Ministero senza un coinvolgimento delle rappresentanze delle aree stesse, è affidata la valutazione dei prodotti sottoposti a valutazione. In quanto interessate agli effetti diretti e indiretti che tali esercizi hanno sulle discipline di cui sono promotrici, le società scientifiche possono quindi a buon diritto essere riconosciute tra gli stakeholders della valutazione.

4In questo breve contributo proverò a dar conto della riflessività che gli esercizi VQR impongono alle Associazioni scientifiche e di ciò che a sua volta il sistema della valutazione universitaria potrebbe apprendere, riflessivamente, dai propri effetti sulle aree disciplinari e da una maggiore responsabilizzazione di tali stakeholders. In conclusione, utilizzerò come caso di studio un ambito disciplinare, quello della Sociologia, nel quale è dato osservare in forma magnificata e paradossale alcuni effetti dei meccanismi innescati dalla valutazione della ricerca sull’articolazione interna dei campi disciplinari.

  • 2 Tra le specificità della situazione italiana, vi è la vicarietà che il sistema della valutazione ha (...)

5In via preliminare, appare però opportuno un chiarimento sull’oggetto della valutazione universitaria – in quanto parte delle politiche pubbliche2.

6La ricerca scientifica è fatta oggetto di attenzione da parte delle politiche pubbliche soprattutto in quanto considerata coinvolta nel raggiungimento di obiettivi che non sono identificabili con l’aumento della conoscenza scientifica in quanto tale: la scienza non è, cioè, per le politiche pubbliche, un valore in sé, ma in quanto si ritiene dia un contributo – di volta in volta diversificato e variamente mediato – al controllo dell’incertezza e del rischio, all’innovazione tecnologica, alla crescita economica e sociale, alla potenza statuale, ecc. Se da quando si parla di politiche della scienza sono cambiate storicamente le logiche e le retoriche secondo cui si dà conto di tale contributo, le aspettative di ricadute – diverse dalla crescita di conoscenza – delle funzioni istituzionalmente attribuite alle Università sono sempre state presenti nella motivazione giustificativa della struttura di finanziamento delle università (Sarewitz, Pielke, 2007).

7Paradigmatico di tali aspettative è il rapporto presentato da V. Bush al Congresso americano nel 1945, cui pure può farsi risalire la concezione più idealizzata del rapporto tra scienza e società; a partire dal titolo Science, the Endless Frontier, evocativo dell’epopea fondativa della storia americana, la scienza veniva presentata come la nuova frontiera. In seguito allo shock provocato dalla finalizzazione della ricerca scientifica alla costruzione delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki, il rapporto Bush proponeva, per un’epoca che voleva definirsi di pace, una sorta di nuovo contratto tra scienza e società basato su sostegno finanziario pubblico, da una parte, in cambio, dall’altra, di piena autonomia istituzionale (dallo Stato, oltre che dal mercato), attribuendo all’Università la responsabilità del progresso della conoscenza scientifica e della formazione di professionisti per la società e l’industria. L’autonomia si realizzava con il finanziamento pubblico al sistema della ricerca accademica nel suo insieme e un sistema di allocazione interno delle risorse autoregolato e fondato sulla collaborazione tra pari, il cui principale meccanismo di decisione era affidato a una peer review gestita da comitati di scienziati indipendenti.

8Implicita in tale modello era la rappresentazione della scienza come motore del progresso, secondo una logica lineare per cui la crescita autonoma della conoscenza scientifica – guidata, cioè, da domande generate all’interno dello stesso processo di ricerca (ricerca fondamentale) – crea le basi per la ricerca applicata che, a sua volta, produce tecnologie e infrastrutture con un diretto valore economico e sociale. Il corollario era che dalla ricerca finanziata dai privati – che ha bisogno di un ritorno in termini di profitto, per essere sostenibile sul mercato – non fosse possibile attendersi le conoscenze fondamentali di cui non è dato prevedere né l’esito applicativo né i tempi necessari per il conseguimento di risultati attendibili. La ricerca scientifica prodotta nelle Università era quindi intesa come un bene pubblico – non soggetto ad alcun tipo di appropriabilità privata né di scrutinio esterno – che andava finanziato con la fiscalità generale, come la difesa e la sanità (Hart, 2021).

9La visione propugnata da Bush si diffuse su vasta scala anche fuori dagli Stati Uniti e in contesti con sistemi universitari eterogenei generando, anche attraverso l’operato di organismi internazionali come OCSE e UNESCO, un consenso diffuso intorno a un modello istituzionale di politiche della ricerca pubblica le cui caratteristiche principali andavano articolandosi in modo differenziato nei diversi contesti, ma che generalmente comprendevano: a) un coordinamento centralizzato; b) strutture di consulenza scientifica affiancate agli esecutivi; c) meccanismi formali di definizione delle priorità nell’allocazione delle risorse; d) creazione di agenzie per le politiche della ricerca distinte dagli istituti di ricerca veri e propri (Arnaldi, 2020, 80).

  • 3 Tra tali fattori vanno sicuramente considerati le difficoltà dei bilanci pubblici ed il venir meno (...)

10Alla diffusione del modello si accompagnava tuttavia un progressivo slittamento del suo senso originario che nel tempo, per una serie di fattori concomitanti3, ha portato al capovolgimento dell’originaria direzione della relazione implicata tra conoscenza scientifica e obiettivi sociali. Il modello science push – in cui la conoscenza era il primum mobile – si rovescia dando luogo al modello need pull, in cui la scienza – secondo una rappresentazione altrettanto lineare e semplificata di quella precedente – diventa destinataria di domande di risoluzione di problemi sociali: in questa mutata rappresentazione, lo sviluppo della conoscenza scientifica e dell’innovazione deve essere orientato non solo da domande generate all’interno dello stesso processo conoscitivo, ma in primo luogo dai bisogni sociali cui la scienza è tenuta a rispondere; a interpretare questi bisogni provvedono la politica – che le affida specifiche missioni, come nei bandi europei – e, soprattutto, il mercato. Cambia il fondamento del contratto tra istituzioni universitarie e società di cui fanno parte.

  • 4 La relativa autonomizzazione di queste funzioni, che le modalità di istituzionalizzazione della val (...)

11L’Università diventa, nelle sue diverse funzioni – didattica, ricerca, diffusione della conoscenza4 – e nelle sue strutture – Corsi di laurea, Dipartimenti, Atenei – oggetto diretto di valutazione pubblica. Il suo finanziamento è legato agli esiti di tale valutazione, perché dal momento che la conoscenza scientifica non è più considerata un bene pubblico il cui valore è indipendente dai suoi contenuti – che prima o poi genereranno, si immagina, risultati socialmente valorizzabili – il concetto che esprime la relazione tra istituzione universitaria e società di riferimento, modificando il significato dato a quello di autonomia, è accountability: la responsabilità delle scelte in merito alle direzioni che ricerca, didattica e diffusione della conoscenza devono assumere non è più in capo all’Università, ma ai rappresentanti delle constituency sociali cui essa deve dare conto dell’uso che fa delle risorse assegnatele – siano esse pubbliche o private. Il modello che si va affermando è quello che è stato chiamato di Università degli stakeholders (Amaral, Magalhaes, 2002; Slaba, 2015; Alarcón-del-Amo, 2016).

  • 5 La valutazione economico-finanziaria della gestione dei progetti di ricerca si riduce tuttavia solo (...)

12La ricerca (come anche la didattica, attraverso i Corsi di studio) è sottoposta ex ante a valutazione della rilevanza (sociale, politica ed economica) dei suoi obiettivi ed ex post a valutazione dell’efficacia ed efficienza delle risorse utilizzate5. La valutazione è condotta da funzionari o da scienziati che agiscono su mandato dell’autorità politica o amministrativa. L’enfasi sulla efficacia ed efficienza degli investimenti pubblici – accountability, appunto – giustifica l’estensione dell’oggetto delle politiche della scienza ai modi di diffusione e uso della conoscenza nell’economia e nella più ampia società (impatto e public engagement).

13Emerge un modello sistemico nel quale diventa priorità stimolare e indirizzare la collaborazione tra produttori e utilizzatori della conoscenza e dell’innovazione tecno-scientifica, con l’attribuzione di peso crescente alla funzione di intermediazione e riduzione dell’incertezza sulle ricadute applicative (dagli incubatori, ai fablab; dal foresight al technology assessment) (Arnaldi, 2020, 83).

14L’autonomia istituzionale della scienza accademica viene ridotta ad autonomia gestionale delle singole strutture organizzative (Atenei, Dipartimenti, Corsi di studio), con la progressiva introduzione di meccanismi di mercato nel funzionamento delle istituzioni scientifiche e di ricerca pubbliche e di strumenti di valutazione delle performance basati sull’analisi quantitativa della ‘produttività’ (attrazione di investimenti, pubblicazioni, brevetti, impatto misurabile).

15Gli scienziati che lavorano nelle Università vengono rappresentati come una soltanto tra le tante categorie – di agenti umani e non umani – operanti nei sistemi in cui la conoscenza e la sua elaborazione sono socialmente distribuite, con un conseguente allineamento della scienza agli obiettivi dello sviluppo (socio)-economico.

  • 6 Una sintesi recente del corpus degli Studi sociali sulla scienza e la tecnologia si trova nel recen (...)

16Gli ambiti di ricerca più fecondi in questo ambito – da quello più interdisciplinare degli Science & Technology Studies sino a quello più disciplinare della Innovation Economy – avevano ampiamente mostrato, con casi di studio e indagini longitudinali, le reti e i flussi di feedback continui che connettevano tra loro un’ampia varietà di attori, tra cui scienziati accademici e industriali, amministratori di enti di ricerca, dirigenti d’azienda, politici e consumatori, che davano conto delle direzioni di sviluppo delle linee di ricerca e di sviluppo tecnologico più originali e innovative6. L’immagine risultante, complessa e lontana dal descrivere un modello unico e lineare – push o pull –del modo in cui interagiscono conoscenza e sue applicazioni, restituiva invariabilmente il successo dell’innovazione tecnoscientifica come esito di una rete di connessioni e flussi comunicativi tra produttori e utilizzatori di conoscenza.

  • 7 Si veda, emblematicamente, il Rapporto a cura del Gruppo di lavoro, nominato dallo ERC, di cui face (...)

17Se da tempo le politiche della ricerca, in particolare quelle elaborate a livello europeo, sono state sollecitate (e hanno provato) a inglobare i risultati di tali ambiti di indagine nei Programmi Quadro all’interno dei quali vengono definite le linee di ricerca finanziabili e i criteri per la selezione dei progetti che partecipano ai bandi7, gli studi sulle stesse politiche mettono in evidenza quanto le scelte effettuate risultino spesso fondate su conoscenze che è difficile definire robuste e producano effetti a volte altamente controintuitivi. La distribuzione delle risorse investite nei diversi ambiti della ricerca biomedica, per esempio, è inversamente proporzionale a quella della distribuzione degli ambiti in cui si manifestano i problemi di salute nella popolazione mondiale (Bozeman, Sarewitz, 2005; Garfinkel et al., 2006); se alla pandemia da Covid-19 si è risposto con un picco di investimenti in risorse e un veloce ri-orientamento delle ricerche, con innegabile successo nella rapidità di formulazione dei vaccini che ne hanno consentito il contenimento, le politiche attraverso cui vengono distribuite le risorse per la ricerca biomedica (e sanitaria) non hanno subìto modifiche significative.

18Solo per inciso, va osservato che anche le politiche che producono la regolazione della distribuzione delle risorse tra i Corsi di studio universitari – e anche in questo caso il riferimento non è solo all’Italia – non sembrano far uso della conoscenza prodotta dalla ricerca, per esempio sulla essenziale complementarità tra discipline presenti in ambito universitario e quindi l’esigenza di mantenere anche insegnamenti poco frequentati. È recente l’allarme secondo cui corsi di laurea universitari di primo livello vengano chiusi in alcuni campus americani nonostante l’interesse per la disciplina da parte degli studenti sia in crescita. Poiché solo in pochi la scelgono come disciplina principale (major), tanto vale non investirvi risorse8. Peccato che tra le conseguenze alla lunga potrebbe esserci quella di vedere a tutti i livelli della formazione compresi i più elevati, una data disciplina insegnata da chi non l’ha mai davvero approfondita o praticata (ad es. la fisica insegnata a ingegneri, informatici, chirurghi robotici, ecc. da non-fisici; la storia, la sociologia, l’antropologia ‘raccontate’ da chi non ha mai realizzato una ricerca sul campo o in archivio, come oggi accade perlopiù nelle aule scolastiche), con conseguenze potenzialmente disastrose non solo per la disciplina stessa.

  • 9 Per un’analisi riferita al contesto italiano, si veda il numero monografico dedicato dalla «Rassegn (...)

19Quanto ai problemi connessi alla valutazione del cosiddetto public engagement, la letteratura è ormai sterminata9. Il punto che qui si vorrebbe rimarcare è che le modalità prevalenti di valutazione fanno saltare il presupposto secondo cui quando la ricerca scientifica è svolta nella e dalla Università – intesa come istituzione e distinta dai singoli Atenei che ne interpretano le funzioni – essa diventa istituzionalmente parte di una complessa e inestricabile interconnessione con la trasmissione del sapere prodotto e con il contributo complessivo che questo dà alla autocomprensione ed alla proiezione futura della società e dell’ambiente complessivo di cui è parte. La qualifica ‘accademica’ designava la coesistenza di ricerca, didattica e diffusione della conoscenza come dimensioni di un’unica forma istituzionale di professione di quella conoscenza. È questa forma istituzionale che sembra essere saltata nel processo di de-istituzionalizzazione dell’Università europea, processo cui la valutazione che è stata realizzata ha dato un contributo preminente.

  • 10 Sul tema della crescita della conoscenza, nello specifico ambito disciplinare della sociologia, una (...)

20Le Associazioni scientifiche non sono indenni dai processi di mutamento che abbiamo appena delineato: se per esse la crescita della conoscenza disciplinare è obiettivo istituzionale primario, i modi del suo perseguimento non sono indipendenti dai contesti sociali in cui prendono forma. Le condizioni di raggiungibilità di quell’obiettivo lo rendono intrinsecamente connesso ad altri, quali il prestigio e la legittimazione sociale della disciplina stessa, la sua posizione relativa nella gerarchia dei saperi, il peso assegnatole nella costruzione di competenze e ruoli professionali di prestigio; al punto da ridefinirne i criteri di riconoscibilità. Veniamo dunque al caso di studio dell’area sociologica10.

  • 11 Tracce di quel dibattito sono rimaste nel blog Per la Sociologia – di fatto chiuso in concomitanza (...)

21Il caso è interessante perché l’introduzione della VQR e della ASN – le due procedure che hanno segnato un cambiamento drastico nella regolazione del campo universitario – è stata accompagnata in tale ambito da un aspro dibattito interno che ha coinvolto e diviso ulteriormente i sociologi accademici, producendo fratture che si sono innestate e intersecate con quelle preesistenti, attraversando e dividendo coorti, generazioni e settori disciplinari11. Qui sintetizziamo solo quanto accaduto in relazione ai diversi esercizi della VQR.

22La prima edizione della VQR (2004-2010) aveva visto i sociologi dei diversi SSD contendersi tra loro il primato dell’eccellenza e della qualità scientifica, nonostante il dato macroscopicamente più evidente, nei risultati ottenuti, fosse lo scarto tra la distribuzione dei punteggi all’interno dell’Area 14, tra le Scienze politiche, da una parte, e le Scienze sociali, dall’altra.

23Il risultato del processo già lungo e sofferto che aveva accompagnato la riforma, con quel dibattito cui si faceva sopra riferimento, fu la divisione e la fuoriuscita dall’Associazione Italiana di Sociologia – unica associazione accademica dell’area, nata nel 1982 – di una parte di colleghi che riteneva di poter rivendicare e difendere, così, un esito relativamente migliore, per il loro SSD – quello della Sociologia dei processi economici, del lavoro e dell’organizzazione (SPS/09) – rispetto a quello degli altri SSD sociologici.

24I risultati della VQR 2014-2019 segnalano che quel progetto, almeno in relazione a tale obiettivo, non ha prodotto il risultato sperato. Con ancora maggiore evidenza che nelle due VQR precedenti, i risultati segnalano, entro l’Area 14, lo scarto tra i settori politologici (SPS/01-SPS/06, SPS/13 e SPS/14), da una parte, dove i prodotti cui è riconosciuta eccellenza e rilevanza (A) superano sempre il 20% del totale, e quelli sociologici, dall’altra (SPS/07-SPS/12), dove invece quelle caratteristiche sono riconosciute a una percentuale che stenta a raggiungere il 10% dei prodotti sottomessi a valutazione e, in alcuni casi, ne è molto lontana. Guardando ai punteggi medi, è interessante notare che, ad esempio, quelli ottenuti dai prodotti di SPS/04 (Scienza politica) non si discostano molto da quelli ottenuti dai prodotti di SPS/07, SPS/08 e SPS/09: è la loro distribuzione che fa la differenza, segnalando la difficoltà dei prodotti sociologici ad ottenere il riconoscimento che garantisca loro la posizione più elevata nel ranking.

25Se inoltre confrontiamo la distribuzione tra i SSD dei prodotti riconosciuti eccellenti e rilevanti (A), nella VQR 2015-2019, con quella che era stata l’analoga distribuzione nella VQR precedente (2011-2014), notiamo che mentre l’Area delle Scienze politiche è riuscita a ridurre, nel passaggio dalla seconda alla terza VQR la variabilità degli esiti tra i propri SSD, con un allineamento verso l’alto nelle percentuali di prodotti cui è attribuita la valutazione massima, nell’area delle Scienze sociali si è riusciti soltanto ad acuire il divario che separa tra loro i settori dei due sub-GEV. E il SSD che nella prima edizione performava un po’ meglio, rispetto agli altri – e che aveva provato a rafforzare tale posizione costituendosi in Associazione scientifica a sé stante – ha visto diminuire dal 9% al 5% i prodotti valutati nella categoria più elevata.

26I dati VQR, per gli usi che ne vengono fatti nella distribuzione delle risorse alle strutture, sia a livello nazionale che a livello locale, generano direttamente e indirettamente esiti sulla presenza delle discipline nel sistema accademico.

27È quanto mostra un’analisi sulle dotazioni di personale ed in particolare di quello nelle posizioni apicali della gerarchia accademica.

28Sullo sfondo di quanto accaduto, dal 2008 al 2020, nell’Università italiana nel suo complesso e in Area 14, osserviamo la variazione che si è avuta nei settori disciplinari di area sociologica, nello stesso arco di tempo, in termini di personale e di professori di prima fascia.

29Il totale docenti e ricercatori italiani è passato dai 63.730 del 2008 ai 56.245 del 2020, con un calo di quasi il 12%. Gli ordinari sono passati dai 18.934 del 2008 ai 14.158, con una perdita netta del 25%. È noto che questo effetto è dovuto prevalentemente ai pensionamenti ed alle politiche restrittive che hanno fatto sì che le immissioni in ruolo e le progressioni di carriera non reintegrassero il restringersi dell’organico; ma gli effetti non sono stati omogenei per tutte le Aree e tutti i Settori disciplinari.

30In questo scenario complessivo, Area 14 ha perso circa il 4% del suo personale, ma ben il 28% degli ordinari.

  • 12 Il testo tra virgolette è tratto dal sito della Società Scientifica Italiana Sociologia Cultura Com (...)

31Nel 2008 gli ordinari di Sociologia erano 285. Nel 2020 si erano ridotti a 195, con una perdita pari a circa il 32%, a fronte del 28% della complessiva perdita di Area 14 e del 25% di quanto accaduto nel complesso dell’Università italiana. A destare maggiore preoccupazione erano, in particolare, proprio i dati relativi a SPS/09, che perdeva più del 50% degli ordinari e di SPS/11 che ne perdeva circa il 43%. A oggi (dati Cineca al 17/9/24) solo due settori tra quelli sociologici hanno un numero di professori di prima fascia superiore a quello che avevano nel 2008, mentre il settore che ha costituito una Società scientifica separata è cresciuto nella sua dotazione di ordinari ma senza raggiungere i livelli del 2008 e rimanendo ben distante dal tasso di crescita del principale settore di area politologica. Il settore sociologico che ha visto aumentare di più la propria dotazione di ordinari – quello della Sociologia dei Processi culturali (SPS/08) – ha seguito una strada parzialmente diversa da quella della separazione dalla originaria Associazione accademica di area sociologica (unica sino al 2015, anno in cui inizia il processo di costituzione della Società Italiana di Sociologia economica – SISEC, con l’uscita della Sezione di Economia Lavoro e Organizzazione dall’AIS). Gli ordinari del settore SPS/08 hanno costituito, nel 2017, una nuova Società scientifica, che programmaticamente si proponeva «come soggetto in grado di interloquire con il MIUR e le istituzioni della valutazione universitaria, con gli enti e le organizzazioni di ricerca a livello nazionale ed internazionale, con il mondo dell’informazione e l’opinione pubblica italiana», facendo leva sulla delibera n. 92 del 16/09/2014 dell’ANVUR, che riconosceva le Società Scientifiche che vedessero la partecipazione «di almeno il 45% dei professori e ricercatori universitari in servizio appartenenti a un determinato SSD o in subordine dei soli professori ordinari se nello statuto della società ad essi soli è riservata l’iscrizione»12.

32La doppia presenza in AIS e nella nuova Associazione consentiva ai professori di prima fascia del settore di mantenere il contatto nella Sezione di riferimento AIS con i professori di seconda fascia e i ricercatori e, al tempo stesso, di usufruire di uno spazio dove costruire negoziazioni, consenso, strategie comuni oltre che cercare, come da programma, «tutte le forme di confronto e di collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e con le istituzioni della valutazione universitaria per l’avanzamento degli studi e la promozione del ruolo della sociologia dei processi culturali e comunicativi»13. Dal punto di vista della crescita numerica della componente di prima fascia del SSD questa strategia sembra aver pagato più delle altre. Ma non altrettanto può dirsi in relazione all’obiettivo, pur esso programmaticamente enunciato in sede istitutiva, dell’avanzamento degli studi e della promozione del ruolo «delle discipline sociologiche e delle scienze sociali in ambito accademico» nonché della «valorizzazione dell’istituzione universitaria come pilastro essenziale della crescita sociale e culturale del nostro Paese»14.

33In termini generali, è indubbio che le risorse messe in circolazione dal PNRR – e dagli interventi sulla ricerca e sull’Università cui ha dato impulso – hanno contribuito a far aumentare significativamente i finanziamenti per la ricerca nell’ultimo biennio; ma altrettanto indubbio è che tali risorse sono arrivate in maniera diseguale e che se qualche Dipartimento di area sociologica è riuscito, grazie alla premialità accordata ai Dipartimenti di eccellenza, a fare reclutamento più di altri e a bandire posti di prima fascia per gli abilitati, nel suo insieme l’area disciplinare ha visto allargarsi, per responsabilità da imputare con chiara evidenza all’area stessa, i divari interni ai suoi ambiti disciplinari e nella copertura degli insegnamenti che ad essi afferiscono, tra Atenei e aree del Paese.

  • 15 Nel testo, come in tab. 1, i nomi e le sigle dei settori scientifico-disciplinari sono quelli in vi (...)

Tab. 1. Professori ordinari in Area 1415

Tab. 1. Professori ordinari in Area 1415

Fonti: Un-Rest e Cineca

  • 16 Le aree che sono state valutate peggio hanno prodotto prevalentemente ricerca di scarso valore o so (...)

34Al di là delle differenti diagnosi sugli esiti16, qualche riflessione più approfondita di quella che questa breve nota può stimolare andrebbe proposta a sé e ai valutatori da parte delle Società scientifiche che sono state le infrastrutture portanti della più recente VQR e che lo saranno di quella ormai prossima.

35Occorrerebbe un’assunzione di responsabilità collettiva, nelle scelte di cui si sarà corresponsabili, nei Dipartimenti e negli Atenei, dove è palese il rischio di reiterare i criteri e la frammentazione attraverso cui si produce il deteriorarsi del posizionamento complessivo dell’area disciplinare negli esercizi di valutazione periodica.

36Alla vigilia di un nuovo esercizio di valutazione, si prospetta un’occasione ulteriore per interrogarsi – apertamente e senza ulteriori rinvii – sulle divisioni interne all’area. Non ci si riferisce qui tanto a quelle che possono essere considerare un residuo del passato – che sarebbe perverso mantenere in piedi per coprire nuove fratture e contingenti alleanze, siano queste tra singoli o tra Dipartimenti – ma a quelle attuali, che frammentano la disciplina impedendo la condivisione di riferimenti teorici, criteri di rilevanza, standard di qualità tra – ed entro – i settori disciplinari sociologici e riducono le occasioni di confronto aperto, necessario alla costruzione di conoscenza intersoggettivamente condivisibile.

37La de-strutturazione delle istituzioni in cui non ci si riconosce più non può e non deve frenare la nostra immaginazione sociologica e la capacità di costruire nuove forme, pratiche e strutture sociali che ci consentano di recuperare senso alla dimensione accademica del nostro operare.

  • 17 In un importante saggio pubblicato nel 1979 sui «Quaderni di Sociologia», Luciano Gallino elencava (...)

38È tempo di assumersi collettivamente la responsabilità di valorizzare tutto il lavoro che negli ultimi anni è stato fatto, di maturazione e crescita di nuove coorti di sociologhe e sociologi, che tuttavia hanno aspettative di senso e di sviluppo, nei confronti della disciplina, che solo un campo sociologico riorganizzato potrà riuscire a non eludere, frenando quelli che sinora sono stati gli effetti dissociativi dei nuovi processi associativi17.

39Occorre dedicare attenzione non solo al modo in cui si rappresenta la questione della valutazione – il suo funzionamento, i risultati ottenuti dalle singole strutture e dai singoli ricercatori, ma – esercitando responsabilmente la riflessività che nell’area scientifica sociologica dovrebbero essere pratica collettiva condivisa (Stirling, 2006) – anche al modo in cui le caratteristiche della comunità stessa e la sua articolazione interna contribuiscono a costituire quella rappresentazione e a loro volta a ricostituire l’identità delle Associazioni implicate. Il proseguimento del percorso di collaborazione tra le diverse Associazioni sociologiche – iniziato proficuamente negli anni più recenti – non potrà prescindere da tale riflessività se si intenderà dare una nuova agency alle Associazioni scientifiche come stakeholder proattive nella valutazione dell’istituzione universitaria e nella sua trasformazione.

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Bibliografia

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Note

1 Le vicende della VQR mostrano quanto diversificato sia il modo in cui le diverse associazioni scientifiche delle Aree CUN abbiano esercitato il potere che avrebbero avuto e quanto più o meno profondi siano stati i conflitti sulla direzione nella quale orientare la valutazione stessa: i conflitti accesisi in area 13 (l’Area economica) sono un caso di studio altrettanto interessante di quello qui analizzato.

2 Tra le specificità della situazione italiana, vi è la vicarietà che il sistema della valutazione ha assunto rispetto a vere politiche dell’Università e della ricerca. Un insieme di condizioni ha fatto sì che l’università fosse la prima istituzione pubblica per la quale si siano introdotte procedure di valutazione formali (affidate inizialmente ai Nuclei di valutazione degli Atenei) e per la quale poi, in assenza di una politica universitaria vera e propria, si sia consegnata, alla valutazione, la legittimazione delle decisioni del MEF sull’entità – un de-finanziamento, di fatto – e la distribuzione delle risorse pubbliche per l’Università.

3 Tra tali fattori vanno sicuramente considerati le difficoltà dei bilanci pubblici ed il venir meno dell’ottimismo associato al progresso scientifico come condizione sufficiente del progresso economico e sociale.

4 La relativa autonomizzazione di queste funzioni, che le modalità di istituzionalizzazione della valutazione hanno rafforzato, può essere considerata parte del processo di de-istituzionalizzazione del carattere ‘accademico’ dell’Università, di cui si dirà più avanti nel testo.

5 La valutazione economico-finanziaria della gestione dei progetti di ricerca si riduce tuttavia solo a obblighi burocratico-amministrativi di rendicontazione finanziaria e al calcolo di alcuni indicatori applicati all’utilizzo dei Fondi di funzionamento, oltre che ai vincoli di rendicontazione specifici dei progetti il cui finanziamento deriva da bandi europei o internazionali. Per la valutazione ex post di didattica e terza missione sono utilizzati indicatori standardizzati, che, in termini di metodologia valutativa, fanno riferimento soprattutto agli output piuttosto che agli outcome.

6 Una sintesi recente del corpus degli Studi sociali sulla scienza e la tecnologia si trova nel recente volume a cura di Magaudda, Neresini (2022); l’interesse al sistema universitario nelle politiche dell’innovazione trova una interessante ricostruzione storica nel già citato volume di Hart (1998) e nel successivo Hart (2003).

7 Si veda, emblematicamente, il Rapporto a cura del Gruppo di lavoro, nominato dallo ERC, di cui facevano parte eminenti studiosi provenienti dall’ambito degli STS: European Commission, Directorate-General for Research and Innovation (2007).

8 https://www.aps.org/apsnews/2024/08/universities-shuttering-departments.

9 Per un’analisi riferita al contesto italiano, si veda il numero monografico dedicato dalla «Rassegna italiana di valutazione», XXIII, 74, 2019.

10 Sul tema della crescita della conoscenza, nello specifico ambito disciplinare della sociologia, una riflessione interessante è proposta in Campbell (2019).

11 Tracce di quel dibattito sono rimaste nel blog Per la Sociologia – di fatto chiuso in concomitanza con la istituzionalizzazione del processo di valutazione dell’Università, https://perlasociologia.blogspot.com/.

12 Il testo tra virgolette è tratto dal sito della Società Scientifica Italiana Sociologia Cultura Comunicazione (SISCC): https://ssi-scc.it/.

13 https://ssi-scc.it/chi-siamo/.

14 Ibidem.

15 Nel testo, come in tab. 1, i nomi e le sigle dei settori scientifico-disciplinari sono quelli in vigore sino all’introduzione delle nuove denominazioni con il D.M. n. 639/2024.

16 Le aree che sono state valutate peggio hanno prodotto prevalentemente ricerca di scarso valore o sono state penalizzate dalla scarsa attenzione nella scelta dei prodotti da esporre a valutazione da parte dei diversi Atenei e Dipartimenti o, al contrario, dall’effetto avverso del privilegiamento dei settori ritenuti più forti (effetto San Matteo o, visto dal punto di vista opposto, effetto underdog)?

17 In un importante saggio pubblicato nel 1979 sui «Quaderni di Sociologia», Luciano Gallino elencava alcuni tra i principali effetti dissociativi dei processi associativi in una società altamente differenziata: la difficoltà che gli attori collettivi, e gli individui, incontrano per formulare e attuare piani di medio e lungo periodo; la sincronia stabilitasi tra eccesso di normazione e la de-normazione selvaggia; la qualità distruttiva della protesta contro le associazioni; la «dissociazione» individuale, ovvero la propensione a svolgere il proprio ruolo in una data associazione avendo sempre altre associazioni, e mai quella medesima, come gruppo di riferimento.

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Indice delle illustrazioni

Titolo Tab. 1. Professori ordinari in Area 1415
Credits Fonti: Un-Rest e Cineca
URL http://journals.openedition.org/qds/docannexe/image/7131/img-1.jpg
File image/jpeg, 285k
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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Maria Carmela Agodi, «Il paradosso dell’area sociologica: effetti dissociativi dei processi associativi all’epoca della VQR?»Quaderni di Sociologia, 95 - LXVIII | 2024, 199-211.

Notizia bibliografica digitale

Maria Carmela Agodi, «Il paradosso dell’area sociologica: effetti dissociativi dei processi associativi all’epoca della VQR?»Quaderni di Sociologia [Online], 95 - LXVIII | 2024, online dal 01 mars 2025, consultato il 17 mai 2025. URL: http://journals.openedition.org/qds/7131; DOI: https://doi.org/10.4000/13k0m

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Autore

Maria Carmela Agodi

Dipartimento di Scienze Politiche – Università di Napoli “Federico II”

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