1Dalla fine degli anni Novanta dello scorso secolo, le organizzazioni criminali di origine nigeriana hanno suscitato l’attenzione sia degli studiosi che delle maggiori agenzie investigative nazionali (Williams, 2014). Ne è prova, in tal senso il rilievo dato ad esse dal Federal Bureau Investigation e dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo che da tempo ha costituito al proprio interno sezioni dedicate alla criminalità organizzata di origine straniera (FBI, 2023; Becucci, 2006). Al riguardo, il libro di Jude Roys Oboh, Cocaine Hoppers. Nigerian International Cocaine Trafficking del 2021 (Lanham, Lexington Books), fornisce un contributo conoscitivo di rilievo sulla criminalità nigeriana transnazionale, tanto più rilevante in ragione del fatto che la letteratura specialistica sull’argomento è relativamente scarsa. Ad esempio, se prendiamo in considerazione le ricerche svolte in Italia, da alcuni decenni l’attenzione degli studiosi si è concentrata sullo sfruttamento sessuale di giovani donne connazionali ad opera di maman, mentre l’analisi dei gruppi criminali nigeriani è rimasta perlopiù inesplorata (Monzini, 2002; Unicri, 2004; Maragnani, Aikpitany, 2007; Carchedi, Orfano, 2007; Morniroli, 2003; Mancuso, 2013; Cabras, 2015; Carchedi, 2016; Morniroli, Castellaccio, 2019). Ma vediamo nello specifico quali sono gli aspetti più significativi del libro.
2Innanzitutto, gli interrogati di ricerca: qual è il ruolo dei gruppi criminali nigeriani nel commercio internazionale di cocaina? Quali elementi possono aver favorito la loro posizione preminente nel mercato mondiale della cocaina? Ed ancora, quale ruolo svolgono i trafficanti nigeriani all’interno dei paesi esportatori e in quelli di destinazione? Per dare risposta a queste domande, l’autore ha fatto ricorso a varie fonti di informazioni. Oltre ai report istituzionali e alla letteratura specialistica sull’argomento, dal 2013 al 2020 ha intervistato 250 persone. Fra questi: detenuti, conoscenti e parenti di trafficanti di droga in Nigeria e in paesi all’estero, dove vi sono comunità di connazionali. Inoltre, in qualità di consulente sulla criminalità nigeriana per conto del Criminal Justice Service olandese, ha avuto modo di incontrare rappresentanti delle agenzie di law enforcement e mediatori culturali nigeriani che lavorano presso i tribunali. I paesi dove sono state svolte le interviste sono stati: Olanda, Italia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Brasile, Malesia, Hong Kong e Cina.
3Le prime forme di commercio internazionale di droga risalgono agli anni Ottanta dello scorso secolo, grazie a gruppi di ufficiali della marina militare nigeriana di stanza in India che organizzarono i primi trasferimenti di droga verso il proprio paese. All’epoca, tuttavia, i trafficanti nigeriani ricoprivano ancora un ruolo del tutto marginale nel mercato internazionale di droga. Nel decennio successivo, invece, trafficanti nigeriani presenti in Pakistan e Libano collaboravano stabilmente con esponenti locali della criminalità nel trasporto internazionale di eroina. La tecnica per far giungere la droga in Nigeria consisteva nell’assoldare connazionali che viaggiavano in aereo celando all’interno del loro corpo ovuli di eroina. Una volta arrivata in Nigeria, la droga veniva rispedita, sempre con lo stesso sistema, in Europa e negli Stati Uniti. È infatti nel corso degli anni Novanta che i trafficanti nigeriani assumono un ruolo crescente nel commercio internazionale. Una prova in tal senso è data dal numero di nigeriani coinvolti in reati di droga. Secondo il ministero nigeriano della Giustizia alla fine degli anni Ottanta i condannati per droga all’estero erano alcune migliaia, mentre nel 1991 raggiunsero la consistente quota di 15.000 persone, per la gran parte corrieri intercettati negli aeroporti dalle forze dell’ordine dei paesi di destinazione. Da allora in poi, la Nigeria e i paesi limitrofi dell’Africa Occidentale divengono il principale snodo di transito fra paesi di provenienza e di destinazione del mercato mondiale di droga. Ricordiamo, a questo proposito, che la Nigeria non è mai stato un paese di produzione di sostanze stupefacenti, diversamente ad esempio dalla Columbia per la cocaina e dall’Afghanistan per l’oppio. Non solo, i trafficanti nigeriani sono stati in grado, grazie ai contatti stabiliti con i loro referenti nei paesi produttori, di spostare le rotte del commercio internazionale di stupefacenti verso il loro paese, dal quale poi partono nuove direttrici verso i paesi occidentali. Quindi, per ritornare alle domande iniziali, come tutto ciò è potuto accadere?
4Una serie di fattori sia interni che esterni al paese hanno favorito il commercio internazionale di droga dei trafficanti nigeriani. Fra i primi, uno stato centrale debole (ricordiamo che la Nigeria è una federazione di 36 stati con circa 210 milioni di abitanti), incapace di far rispettare la legge e contrassegnato da fenomeni endemici di corruzione che coinvolgono in particolar modo la pubblica amministrazione e le forze di polizia. Secondo una ricerca condotta nel 2014, il 72% degli intervistati riteneva che negli ultimi due anni la corruzione fosse aumentata, mentre il 92% considerava le forze dell’ordine corrotte e ben il 75% ammetteva di aver dovuto pagare una tangente ai poliziotti negli ultimi 12 mesi. In più, i gruppi della criminalità organizzata operanti nel paese godono di stretti collegamenti con l’establishment politico-economico, che garantisce loro, sulla base di accordi reciprocamente vantaggiosi, forme di sostanziale impunità. Ed ancora, il “sogno nigeriano” che nel corso dei decenni ha soppiantato, via globalizzazione, i modelli tradizionali di vita del passato, ha dato luogo a quei processi anomici descritti a suo tempo da Robert Merton per la società statunitense, secondo i quali il successo economico è il valore dominante a prescindere dall’importanza attribuita ai mezzi leciti per conseguirlo. La predominanza di valori acquisitivi si combina con seri problemi di sicurezza personale. Così una giovane donna, corriere della droga, giustifica la sua scelta: “In questo paese la vita è già insopportabile. È un paese dove in qualsiasi momento puoi perdere la vita e nessuno vi bada. Qui in Lagos, non hai mai visto dei morti per strada abbandonati a loro stessi? Per me è meglio essere un corriere, così posso guadagnare dei soldi per emigrare all’estero” (p. 125). Si tratta di un contesto nazionale disfunzionale che l’autore non esita a definire criminogeno.
5Fra i fattori esterni, ricordiamo l’inserimento dei trafficanti nigeriani entro la più ampia diaspora migratoria di connazionali. Questo vale sia per San Paolo (Brasile) che Gaungzhon, nella provincia del Guangdong (Cina), le due città dove viene svolta la ricerca sul campo e dove vivono alcune decine di migliaia di connazionali. I legami culturali fra Nigeria e Brasile risalgono al periodo della schiavitù, quando i colonialisti portoghesi commerciavano in schiavi con le Americhe, mentre è dagli anni Ottanta dello scorso secolo che la Nigeria ha stabilito relazioni economiche privilegiate con la Cina. Per un verso, i trafficanti nigeriani all’estero stabiliscono relazioni fiduciarie fra connazionali nella gestione operativa dei traffici, per l’altro, fanno affari con i gruppi criminali locali che controllano la produzione e la vendita di coca. Questo vale in particolar modo per San Paolo e il Brasile, secondo paese al mondo per produzione di cocaina dopo la Colombia, mentre la Cina è luogo di arrivo di sostanze stupefacenti destinate al mercato locale. Un aspetto comune che contraddistingue i trafficanti nigeriani all’estero è dato dal fatto che essi riconoscono l’egemonia criminale dei gruppi locali, come ad esempio il cartello messicano di Sinaloa operante a San Paolo. Essi adottano un basso profilo, ritagliandosi un proprio spazio di autonomia e facendo attenzione ad evitare di contrapporsi ai gruppi criminali locali.
6Quattro differenti categorie di trafficanti operano sia in Nigeria che all’estero. Gli Oga, che in Pidgin (misto fra dialetto locale e broken English) significa big boss, sono coloro che trattano grosse spedizioni di cocaina, nell’ordine di quintali, dal Brasile verso la Nigeria. Il sistema consiste nell’occultare la droga in mercantili utilizzati per la propria attività legale di import-export di merce. Seguono i trafficanti di medio livello, che trattano alcune decine di chili alla volta. Questi fanno ricorso a corrieri che ingeriscono alcune decine di ovuli trasportando in ogni viaggio aereo da uno a due chili di cocaina. In ordine decrescente di importanza vi sono i reclutatori di corrieri, detti striker, i quali possono agire in proprio o più spesso forniscono i loro servizi ai i trafficanti di medio livello, mettendo a disposizione di questi ultimi i corrieri. Infine, vi sono singoli trafficanti che non hanno una vera e propria organizzazione alle spalle, i quali reclutano personalmente i corrieri, oppure sono essi stessi corrieri autonomi, acquistando in anticipo la droga per poi rivenderla nel paese di destinazione attraverso i loro contatti. Indipendentemente dall’agire in proprio o meno, i corrieri si fanno carico dei rischi maggiori. Quando svolgono questo servizio per conto di altri, il corrispettivo monetario che ricevono è nell’ordine di 3000 euro a viaggio, mentre per la Cina e altri paesi asiatici come Malesia e Indonesia le somme possono essere più alte, arrivando fino a 6000 dollari. Per quanto più consistenti, si tratta sempre di somme irrisorie a fronte dei rischi ai quali un corriere va incontro, soprattutto considerando che in questi paesi asiatici le leggi nazionali prevedono lunghe pene detentive o addirittura la pena di morte per coloro che sono trovati in possesso di quantitativi di cocaina e eroina superiori a poche decine di grammi.
7Nel complesso, il commercio internazionale di cocaina è gestito da gruppi criminali di ridotte dimensioni, ben inseriti nel contesto nazionale nigeriano, entro il quale essi godono di ampie protezioni. A loro volta, questi gruppi hanno referenti nei paesi occidentali di smercio finale. Anche gli Ogo, i boss della droga contraddistinti dalla capacità di trattarne ingenti quantità, non presentano al loro interno una struttura gerarchica sul modello delle mafie autoctone italiane. Nell’insieme, i tratti qualificanti dei trafficanti nigeriani sono due: fra gli appartenenti al gruppo criminale prevalgono relazioni relativamente simmetriche piuttosto che gerarchiche, mentre i legami interni al gruppo criminale sono dettati da logiche di profitto anziché di appartenenza. Detto in altri termini, alleanze e partnership fra sodali possono agevolmente mutare qualora venga meno, col mutare delle circostanze, la convenienza economica a vantaggio di ciascun attore criminale.
8Detto ciò, potremmo infine porci alcune domande sull’Italia, tenendo tuttavia presente che il nostro paese non costituisce nell’economia complessiva del volume specifico argomento di interesse. A proposito dei trafficanti nigeriani di droga, quali analogie possiamo rilevare fra il quadro conoscitivo descritto finora e il contesto italiano? E quali sono le caratteristiche dei gruppi criminali nigeriani operanti in Italia?
9Dall’analisi di una serie di indagini giudiziarie condotte in questo ultimo decennio da alcune Direzioni Distrettuali Antimafia, il principale sistema per far giungere in Italia la droga si basa sul ricorso a corrieri che viaggiano in aereo nascondendo all’interno del loro corpo o nei bagagli al seguito quantità di droga che oscillano fra pochi chili per i primi e alcune centinaia per i secondi (Tribunale Palermo, 2014, 2016, 2017; Tribunale Torino, 2017, 2018). Si tratta di sistemi ingegnosi: assieme a viaggiatori che trasportano nei propri bagagli la droga, vi sono corrieri ovulatori, i quali intervengono attirando l’attenzione delle forze dell’ordine se vedono che i passeggeri coi bagagli possono essere sottoposti a controlli più accurati. I primi sanno che possono essere sacrificati dall’organizzazione criminale qualora venga messo a rischio il carico di droga più consistente. In cambio avranno garantita l’assistenza legale, un compenso di alcune decine di migliaia di euro durante la loro permanenza in carcere e il sostegno economico delle loro famiglie in Nigeria. I secondi, invece, spesso sono persone anziane con serissimi problemi di salute e proprio in ragione della loro condizione difficilmente potranno essere sottoposti a lunghe pene detentive. In cambio queste persone ricevono dall’organizzazione criminale un compenso che va da 20.000 a 30.000 euro, oltre alla possibilità di essere curati in Italia. Se, al contrario, l’importazione di cocaina ha successo, i corrieri ricevono circa 3000 euro a testa o, in alternativa, vengono pagati lasciando a loro disposizione parte della droga che hanno trasportato. Ed ancora, la cocaina proveniente dai paesi del Sud America giunge presso i porti nigeriani e dei paesi limitrofi nascosta all’interno di container. In linea con quanto già riferito in precedenza, si tratta di grosse spedizioni nell’ordine di centinaia di chili. I trafficanti nigeriani scelgono i porti africani di arrivo nei quali dispongono di contatti con ufficiali compiacenti addetti al controllo, disponibili a garantire il veloce sdoganamento della merce (Tribunale Torino, 2018). Quindi le modalità consuete di gestione su scala internazionale del traffico di droga con destinazione l’Italia seguono quelle già evidenziate da volume di Jude Roys: grandi quantitativi che giungono in Nigeria e successiva frammentazione attraverso corrieri che viaggiano in aereo con destinazione finale i paesi occidentali. Inoltre, i gruppi nigeriani operanti in Italia riconoscono l’egemonia criminale delle ben più potenti organizzazioni mafiose autoctone. Ma le analogie col contesto italiano si fermano qui.
10In Italia operano organizzazioni criminali nigeriane comunemente definite nella letteratura specialistica secret cult, per i loro riti di affiliazione segreti ed esoterici, che richiamano la cultura religiosa animistica degli stati del sud della Nigeria (Rotimi, 2005; Oyemwinmina, 2015; Ifra, 2019). Queste organizzazioni, come ad esempio i Black Axe, Maphite e Eiye, si caratterizzano per una precisa organizzazione gerarchica al loro interno, con ruoli e linee di comando che dal vertice discendono verso la base, riti di affiliazione e vincoli cogenti di appartenenza per i loro appartenenti. Gli Ogo, di cui parla l’autore, possono corrispondere ai vertici di queste organizzazioni criminali che operano fra la Nigeria e i paesi europei di destinazione, dove sono presenti i referenti di ciascun secret cult. Per contro, è vero che Jude Roys rileva l’esistenza di alcuni secret cult, come Black Axe e Eiye sia a San Paolo che a Guangzhon, ma queste evidenze non trovano poi adeguato approfondimento nel corso del volume. Per quale motivo? Forse perché gli interlocutori intervistati – dai diretti interessati compresi nelle quattro categorie di trafficanti enunciate in precedenza ai testimoni privilegiati come i rappresentanti delle forze dell’ordine – sono stati in grado di riferire un quadro parziale di conoscenze? O forse perché l’autore ha scelto di seguire una differente linea teorico-interpretativa? Detto in altri termini, rilevando prima, e ponendo l’accento poi, sull’esistenza di gruppi criminali scarsamente strutturati, business oriented e contraddistinti da alleanze ad hoc. Rispetto alla tipica configurazione gerarchica delle mafie autoctone italiane, le caratteristiche menzionate sono ritenute più congeniali ai gruppi criminali che operano sullo scenario globale. In conclusione, il libro di Jude Roys Cocaine Hoppers risponde, per un verso, in modo convincente agli interrogativi iniziali – con particolare riferimento ai fattori interni che hanno favorito fenomeni criminali di ampia portata – mentre, per l’altro, sollecita ulteriori approfondimenti a proposito delle modalità organizzative dei trafficanti nigeriani di droga. Sotto questo profilo, il contrasto fra i vari casi studio all’estero esaminati nel volume e il contesto italiano è evidente. E tuttavia, è proprio attraverso la comparazione fra paesi che possiamo acquisire nuove conoscenze su modalità operative, legami e forme organizzative dei gruppi criminali nigeriani transnazionali.