1Negli ultimi anni, nell’ambito delle geografie della montagna, diversi autori hanno analizzato le forme di governance territoriale che caratterizzano le aree montane italiane, evidenziando l’importanza delle tradizionali modalità di organizzazione fondiaria collettiva ai fini dello sviluppo locale e del mantenimento di delicati equilibri socioecologici (Nervi, 1993, 1999, 2014; Ciuffetti, 2015; Bassi, 2016; Bassi e Carestiato, 2016; Daici, 2021; Dalla Torre et al., 2019, 2021, 2022).
2Gli assetti fondiari collettivi, descritti da Grossi (2008, p. 2) come manifestazioni di un costume primordiale, […] un prius rispetto allo Stato, emanazioni genuine di una società che spontaneamente si auto-ordina al fine di garantirsi una migliore sopravvivenza quotidiana, rappresentano peculiari modalità di organizzazione territoriale legate alla presenza di comunità che da secoli autogestiscono collettivamente porzioni di terre agro-silvo-pastorali (Grossi, 1977). L’autogestione collettiva di una serie di beni comuni di cui tutta la collettività residente può fruire si sostanzia nell’implementazione di una governance socioambientale diretta e democratica, costruita su fondazioni socio-antropologiche, pratiche e consuetudini antiche ispirate ad un modello di società comunitaristico e reicentrico.
3Formalmente riconosciuti dallo Stato italiano attraverso la legge n. 168 del 2017 recante norme in materia di “domini collettivi”, tali sistemi territoriali costituiscono un altro modo di possedere, un'altra legislazione, un altro ordine sociale che inosservato discese da remotissimi secoli fino a noi (Cattaneo, 1851, p. 5). I domini collettivi, infatti, territorializzano un altro ordine sociale mediante il ricorso ad un altro modo di possedere (Grossi, 1977), ovvero la strutturazione di rapporti di proprietà collettiva tra i membri della comunità in riferimento ad una serie di beni comuni.
4A partire dalla combinazione delle multiple relazioni che hanno luogo nei sistemi di risorse collettive (Ostrom, 1990), orientate dalle norme autoprodotte dalle comunità, è possibile valutare i processi di produzione relazionale del territorio (Brighenti, 2006, 2010; Raffestin, 2022) e di produzione sociale dell’ambiente montano (Zinzani, 2023). Infatti, l’obiettivo centrale del contributo è investigare le territorialità della proprietà collettiva, mettendo in dialogo i property studies (Blomley, 2003, 2010, 2016), i commons come relazionalità sociali positive (Exner et al., 2021) e il concetto di conservazione conviviale (Büscher e Fletcher, 2019; Iordăchescu, 2022). Così, le domande di ricerca attorno a cui si articola il contributo sono le seguenti: che tipo di relazioni hanno luogo nei sistemi di risorse collettive? Quali processi di produzione territoriale derivano da tali relazioni? Quali implicazioni conseguono a tali processi?
5In particolare, l’analisi si propone di analizzare le forme relazionali che caratterizzano le terre collettive, i processi di produzione territoriale da esse derivanti, e infine le implicazioni – in termini di governance socioambientale – conseguenti a tali processi. L’ipotesi di fondo è che la combinazione dei rapporti in essere nell’ambito delle terre collettive determini la produzione di territorialità generative, nel quadro di una convergenza tra conservazione ambientale, aggregazione sociale e democraticità della governance territoriale. Infatti, le relazioni socioambientali caratterizzanti le proprietà collettive tendono a territorializzare un’organizzazione comunitaria ecosistemica, ovvero un rapporto tra comunità e territorio reciprocamente virtuoso poiché orientato da regole condivise di preservazione e tutela, che di fatto rappresenta una possibile soluzione alle problematiche eco-climatiche che investono i futuri ambientali (Zinzani, 2023) delle aree montane, e oltre.
6Inoltre, sebbene il presente testo esplori temi già popolari nell’ambito delle geografie della montagna e non solo, come i commons e le proprietà collettive, la dimensione innovativa e originale del contributo è da ricercarsi nel ricorso a frameworks concettuali attraverso cui tali temi non sono stati ancora approfonditi, come la conservazione conviviale e gli studi sulla proprietà. In tal modo, si auspica di promuovere sia nuove connessioni inter- e multi-disciplinari che nuovi dibattiti, ad esempio circa le potenzialità dei sistemi di proprietà collettiva di creare nuovi immaginari, metodi e strumenti per affrontare le sfide socioecologiche attuali.
7La metodologia utilizzata al fine di rispondere ai quesiti si basa, da un lato, su un’analisi bibliografica della letteratura rilevante e, dall’altro, su un’etnografia mobile ispirata a seguire le impronte nel tempo-mondo (Ingold, 2021, p. 205).
8L’analisi bibliografica è associata ad una letteratura piuttosto ampia e variegata, inserita nella cornice delle geografie della montagna. In prima istanza, la letteratura rilevante presa in considerazione in relazione al quadro concettuale di riferimento si concentra su tre aspetti principali, ovvero la dimensione relazionale del concetto di territorio (Brighenti, 2006, 2010; Raffestin, 2022) e poi di quello di common (Harvey, 2012; Exner et al., 2021), gli studi sulla proprietà di matrice anglo-americana (Rose, 1994; Blomley, 2003, 2010, 2016) e il concetto di conservazione conviviale (Büscher e Fletcher, 2019; Iordăchescu, 2022). In secondo luogo, l’analisi prosegue con l’approfondimento della letteratura italiana sugli assetti fondiari collettivi della penisola più in generale e dell’Umbria nello specifico. Tale vasta letteratura, che ad eccezione del testo del 1977 di Grossi va dagli anni Novanta del secolo scorso ad oggi, comprende contributi elaborati a partire da prospettive teoriche diverse, quali i development studies, conservation studies, studi giuridici, storici, economici e sociologici. Attraverso la lettura analitica di libri e articoli accademici è stato possibile da un lato acquisire informazioni eterogenee sugli assetti fondiari collettivi italiani. Dall’altro, è stato possibile costruire una riflessione teorica ed empirica che facesse dialogare i filoni teorici e i concetti appena elencati.
9La fase di ricerca sul campo si è svolta nel corso di un viaggio itinerante tra le Comunanze Agrarie di Massa Martana (PG) e Colpetrazzo (PG), quale etnografia mobile durante cui ho potuto attraversare fisicamente il territorio, incontrare e conversare con gli abitanti (sia attraverso chiacchierate informali che mediante l’organizzazione di interviste semi-strutturate), e partecipare a molteplici attività legate alle istituzioni collettive. La graduale immersione nella vita quotidiana delle comunità che abitano tali territori ha quindi permesso l’acquisizione di informazioni specifiche legate ai contesti locali di studio, la cui raccolta è stata possibile principalmente grazie alla condivisione e sperimentazione dello stesso tempo-mondo in continuo divenire, quale intreccio di storie, apprendimenti e relazioni (Ingold, 2021). Ad esempio, la partecipazione a variegati momenti collettivi quali feste di paese, interventi selvicolturali, assemblee, escursioni e così via, ha permesso di identificare e approfondire la complessa rete di relazioni (sociali, ambientali, ma anche politiche, giuridiche ed economiche) attraverso cui si articola non solo la gestione dei patrimoni collettivi comunitari, ma anche lo spazio e la vita quotidiana degli utenti che ne sperimentano le implicazioni.
10Tali Comunanze Agrarie, quali domini collettivi largamente diffusi nelle montagne umbro-marchigiane (Istituto Policattedra di Geografia dell’Università di Perugia, 1983), rappresentano degli elementi fondamentali per le comunità locali in relazione sia ad aspetti come la gestione diretta del territorio a salvaguardia dell’ambiente, il mantenimento di buoni livelli di socialità comunitaria, l’integrazione economica per le famiglie residenti (seppur con minor enfasi rispetto al passato), ma anche su piani simbolico-affettivi (Nervi, 1993, 1999).
11Nella prima sezione sarà brevemente discusso il quadro concettuale della ricerca in relazione al tema di riferimento. La seconda sezione è divisa in due parti. La prima fornirà un inquadramento generale dei domini collettivi, in dialogo con la letteratura richiamata nell’introduzione. In particolare, i territori della proprietà privata individuale (Blomley, 2016) e i territori della proprietà collettiva saranno messi a confronto, e così le relative implicazioni. Nella seconda parte saranno illustrate le osservazioni empiriche emergenti dall’analisi dei casi studio delle Comunanze Agrarie di Massa Martana e Colpetrazzo. Nella sezione conclusiva i domini collettivi saranno concettualizzati come spazi del possibile, ovvero modalità alternative di organizzazione territoriale da cui avviare potenziali processi di co-costruzione di futuri possibili ed inediti.
12Secondo Raffestin (2022), lo spazio di per sé è qualcosa di anteriore, di dato, con il quale gli attori si relazionano e nel quale le relazioni, elementi chiave nella teoria della produzione sociale del territorio, in generale hanno luogo. A partire dallo spazio come luogo di possibilità, ogni azione relazionale condotta da un attore in esso genera un processo di socializzazione spaziale, di trasformazione di spazio in territorio, detto territorializzazione. L’articolazione delle molteplici e multilaterali relazioni tra gli attori nello spazio si traduce in un fenomeno di produzione sociale del territorio. In tal senso, specifiche configurazioni territoriali, implementate nell’ambito del sistema territoriale, stabilizzano specifici patterns di relazioni (Brighenti, 2006).
13Nell’ambito della geografia della montagna – ultimamente concentrata sia sui processi di spopolamento, marginalità e valorizzazione turistica che sulle politiche e governances ambientali (Debarbieux e Price, 2008; Perlik, 2019; Varotto, 2020) – risulta fondamentale evidenziare i processi di produzione sociale dei territori montani, riverberantisi sui futuri ambientali degli stessi (Zinzani, 2023). Dinanzi alla crisi eco-climatica che sta mettendo a rischio la tenuta degli equilibri socioecologici montani è oggi dirimente identificare quei processi sociali generativi capaci di riequilibrare i rapporti socioambientali. Ad esempio, la costruzione di modalità di governance collettive e dirette, ambientalmente armoniche e socialmente orientate, come quelle che sorreggono i beni comuni (commons), di cui la geografia della montagna si è ampiamente occupata anche in relazione alle forme di proprietà collettiva disseminate per l’Italia (Bassi, 2016; Bassi e Carestiato, 2016; Daici, 2021; Dalla Torre et al., 2019, 2021, 2022).
14Secondo Exner e colleghi (2021), i beni comuni sono sostanzialmente cose, idee e spazi che le persone (co)producono, mantengono e gestiscono insieme. Come per il territorio, quindi, anche in questo caso la dimensione relazionale è centrale. La definizione di Harvey (2012, p.73) sottolinea proprio tale aspetto, concettualizzando i beni comuni come social relation[s] between a particular self-defined social group and those aspects of its actually existing or yet-to-be-created social and/or physical environment deemed crucial to its life and livelihood. Tali relazioni che sostanziano l’idea di bene comune sono (ri)prodotte attraverso la pratica sociale collettiva del commoning, ovvero il fare e lo stare assieme creando comunanza (Exner et al., 2021). Dunque, i commons possono essere definiti come un insieme di persone che creano relazioni attraverso un elemento terzo, sia esso una cosa, un’idea o uno spazio. In particolare, le qualità di tale relazionalità generativa sono da ricercarsi nella promozione di valori e (inter)azioni gravitanti attorno a forme di tutela tanto sociale quanto ambientale. Così, l’esistenza di beni comuni e delle relative qualità relazionali apre a nuove possibilità nell’ambito delle politiche di conservazione. Se da un lato l’avvento del neoliberismo ha sussunto, a partire dagli anni Novanta, anche i processi di conservazione dell’ambiente considerato naturale al fine di sostenere l’accumulazione di capitale e i derivanti profitti, dall’altro troviamo la riemersione di pratiche neo-protezionistiche fortemente dicotomiche ed esclusive. Pertanto, come suggeriscono Büscher e Fletcher (2020), occorre oggi una rivoluzione della conservazione. Tale rivoluzione si lega all’idea di conservazione conviviale, proposta dagli stessi due autori e strettamente connessa al rinvigorimento dei beni comuni per la sua concretizzazione (Büscher e Fletcher, 2019). Anzitutto, l’intersezione tra l’approccio della conservazione conviviale e il filone delle geografie della montagna va rintracciata nella condivisa volontà di indagare le dinamiche di conservazione ambientale che caratterizzano i territori montani. In particolare, l’indagine delle politiche e delle governances ambientali fornisce informazioni utili per comprendere e analizzare i processi conservativi in atto, mentre l’approccio della conservazione conviviale propone in questo senso nuove idee e nuovi strumenti per affrontare le attuali sfide ambientali. Ad esempio, gli studi sulle politiche di valorizzazione turistica delle aree protette (Citarella, 2020; Pagliara e Gaglione, 2023) mostrano l’insistenza di visioni neoliberali circa la conservazione, che spettacolarizzano l’ambiente al fine di richiamare un turismo voyeurista nelle aree naturali. Altrettanto problematico è l’approccio neo-protezionistico (im)posto da alcune organizzazioni internazionali, come l’Unione Europea (EU) e l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN), il quale si basa sull’istituzione arbitraria di aree protette fondate su meccanismi di esclusione d’accesso e d’uso, a danno delle comunità locali che hanno da sempre interagito con il proprio ambiente circostante.
Al fine di superare questi limiti negli approcci alla conservazione, l’idea di conservazione conviviale sostiene la creazione di governance democratiche locali, basate su principi di giustizia socioambientale, che promuovano processi di gestione territoriale diretta e collettiva, piuttosto che forme di conservazione sovraimposte dall’alto. Gli elementi necessari per realizzare forme di conservazione conviviale sono la presenza di un forte legame tra la comunità e il territorio che abita, l’esistenza di meccanismi democratici di governance connessi alla gestione territoriale, e la predisposizione di tali meccanismi alla preservazione delle risorse attraverso un uso non dissipatorio delle stesse (Iordăchescu, 2022). In altre parole, la conservazione conviviale ruota attorno ad una convergenza tra conservazione ambientale, aggregazione sociale e democraticità della governance territoriale. Ecco che appare piuttosto marcata la connessione tra conservazione conviviale, beni comuni e gestione collettiva delle risorse. In particolare, la gestione collettiva di risorse comuni (beni comuni), organizzata attraverso l’implementazione di rapporti di proprietà collettiva, si pone come una nuova frontiera nella conservazione della biodiversità (Bassi, 2016). Graziani (2011), nella sua analisi comparativa tra aree protette e proprietà collettive, già evidenziava come le seconde si configurino sostanzialmente come aree protette, pur non essendolo formalmente: si tratta di una distinzione tra aree protette legate ad un’arbitraria classificazione (inter)nazionale e aree conservate de facto. Infatti, se le aree protette risultano tali in quanto designate da un’autorità pubblica che attribuisce in maniera impositiva forme di restrizione all’uso delle risorse territoriali, le proprietà collettive invece assolvono alla funzione di conservazione del patrimonio ambientale attraverso l’operato delle comunità allo scopo di trasmetterlo alle generazioni future (Bassi, 2016). Pertanto, il rapporto tra aree protette e comunità locali diviene problematico nel momento in cui le restrizioni imposte dall’alto dalle prime precludono l’accesso e l’uso delle risorse naturali per le seconde (ibidem). Di conseguenza, risulta cruciale riconoscere il ruolo di tali comunità nell’ambito della preservazione ambientale, sostanziato mediante forme consuetudinarie di gestione, espresse in quadri normativi tali da costituire forme compiute di governance locale del patrimonio ambientale.
15I domini collettivi costituiscono un insieme di istituzioni comunitarie, prestatuali, rappresentative di un peculiare assetto proprietario: una comproprietà solidale intergenerazionale di un patrimonio collettivo a perpetua destinazione agro-silvo-pastorale, inalienabile e indivisibile, preservato dalle comunità locali mediante forme di gestione collettiva (Grossi, 1990). Si tratta di progettuali e solidaristiche comunioni di persone, legate da reti di relazioni sociali, vincoli reciproci, obbligazioni e valori condivisi, che hanno in comproprietà un insieme di terre e beni – generalmente boschi e pascoli, ma anche coltivi, fabbricati, corpi idrici, strade, etc. – di cui tutta la collettività facente parte dell’istituzione collettiva locale può usufruire, nel rispetto delle norme approvate dall’assemblea (Gobbi, 2005). Nel contesto italiano, tali esperienze di organizzazione territoriale risultano prevalentemente ubicate in aree montuose, poco attrattive per l’agricoltura meccanica ed intensiva, zone in cui il mutuo sostegno è indispensabile per affrontare le difficoltà della sopravvivenza. Infatti, la proprietà collettiva delle terre, in quanto istituto proprietario, risponde ai caratteri della vita montana, in cui la dimensione comunitaria assume una posizione di preminenza tale per cui i beni collettivi non rispondono agli interessi esclusivi del titolare della proprietà, ma sono piuttosto concettualizzati come elementi imprescindibili per la vita comunitaria attuale e futura (Costato, 2001). In particolare, l’idea di proprietà collettiva si rifà ad un paradigma proprietario in cui l’appartenenza dei beni è imputata a una comunità ininterrottamente vivente nel tempo: affinché la relazione comunità-territorio si traduca in proprietà collettiva è condizione necessaria l’incorporazione di scelte giuridiche volte ad implementare un assetto comunitario che si fa espressione di una visione strettamente funzionale dei rapporti coi beni, lontana da indulgenze egoistiche e potestative (Grossi, 1990). Tale soluzione proprietaria diverge dalle forme individuali/stiche poiché rispondente a diverse fondazioni antropologiche (Grossi, 1990, p. 507). Se la proprietà privata individuale rappresenta una antropologia individualistica (Grossi, 2012, p. 6), dal cui soggettivismo estremo si irraggiano gli illimitati poteri dell’individuo proprietario, la proprietà collettiva invece costituisce un’antropologia collettivistica, costantemente perseguitata in ragione della sua intrinseca opposizione al soggetto razionale atomizzato. Nell’ambito di questa altra antropologia, il soggetto è presente insieme alle sue relazioni, ai suoi ideali, ai suoi valori e alla sua vita quotidiana, ma la sua individualità è attenuata in relazione alla comunità e alla terra, pilastri portanti della costruzione collettiva (Grossi, 2012). Infatti, tali assetti fondiari sono organizzati attorno a due principi fondamentali, costitutivi del loro proprio ordine sociale: comunitarismo e reicentrismo (Grossi, 2020). Il primo si riferisce al primato della comunità sul singolo e vede quest’ultima come un elemento che integra il soggetto individuale, conferendogli una posizione rafforzata nella collettività. Il secondo è il primato della terra, considerata benefica in quanto fonte di vita per la collettività. A ciò consegue la strutturazione, oltre che di relazioni di proprietà collettiva della terra, di rapporti socioambientali ispirati a questi due principi. Dunque, non si tratta solo di una differenza giuridica tra forme proprietarie, ma piuttosto di un confronto fra mondi in azione, le cui fondazioni risultano diverse poiché diversi sono i valori portanti (Grossi, 2020).
Quindi, quali sono le implicazioni relazionali derivanti da queste due soluzioni proprietarie contrapposte?
16Anzitutto occorre specificare alcuni aspetti della nozione di proprietà. Essa non è qualcosa di statico e predeterminato, ma è piuttosto continuamente (ri)prodotta attraverso discorsi persuasivi e rivendicazioni comunicative, ma anche mediante modalità materiali e corporali che si relazionano con spazi e persone. Lo spazio proprietario, quindi, risulta essere una performance attraverso cui disciplinare la gamma di interazioni possibili in esso (Rose, 1994) e il varo della proprietà privata della terra costituisce un atto regolatorio delle attività nello spazio della vita sociale, la cui accettabilità si collega al dove esse hanno luogo (Blomley, 2003). In sostanza, i territori della proprietà costituiscono forme di relazione e di disposizione geografica acquisite e socializzate, che orientano i comportamenti degli individui (Blomley, 2016).
17Secondo Soja (1971), la proprietà privata (individuale) rappresenta uno degli esempi più evidenti di territorialità occidentale, la quale, lungi dall’essere una semplice relazione col territorio, costituisce un rapporto triangolare che media i rapporti anche tra gli esseri umani. Infatti, essa sacralizza il soggetto proprietario, spazializzandone un Sé presuntamente separato dalla relazionalità sociale, un Sé guardiano del proprio spazio confinato, autonomo, distinto e protetto dagli altri proprio grazie alla garanzia dei diritti di proprietà (Blomley, 2010). In tal senso, i territori di proprietà privata individuale tendono a socializzare gli individui secondo disposizioni relazionali basate su idee quali la (presunta) libertà da condizionamenti esterni e la ricerca di un’autonomia raggiungibile solo attraverso la separatezza e l’indipendenza che la proprietà privata individuale conferisce. Ciò favorisce un allontanamento da valori come la solidarietà, la reciprocità, la corresponsabilità e la relazionalità – un processo che ha delle importanti implicazioni in termini di etica, impegno relazionale, socializzazione e formazione delle soggettività. Inoltre, la potestà assoluta conferita al soggetto proprietario, al quale è riservata la facoltà di disporre liberamente e senza vincolo alcuno dei beni posseduti, facilita dinamiche di estrazione e sfruttamento per scopi individuali, in quanto l’assenza di vincoli reciproci posti all’agire economico individuale favorisce tendenze di sfruttamento eccessivo delle risorse.
18Diversamente, attraverso la configurazione di rapporti di proprietà collettiva emerge la territorializzazione di un altro ordine sociale. Gli assetti fondiari collettivi si differenziano dalla proprietà privata individuale nella duplice centralità della comunità e della terra, costituendosi come peculiari modalità di gestione territoriale declinate nel diritto e dovere della collettività di salvaguardare e tutelare gli interessi collettivi in ottica intergenerazionale e solidale. In tal senso, essi si basano sulla preminenza di valori, obbligazioni e obiettivi condivisi a livello comunitario, i quali regolano armonicamente le relazioni socioambientali, promuovendo comportamenti virtuosi in termini di tutela ecologica, aggregazione sociale e costruzione di forme di governance dal basso, democratiche e dirette. Dunque, i territori di proprietà collettiva, quali spazi di inclusività sociale, si caratterizzano per il riconoscimento reciproco e la responsabilità condivisa nell’accesso e nella gestione dei beni collettivi (Exner et al., 2021).
19Per riassumere, quindi, gli spazi di proprietà privata individuale territorializzano confini di isolamento ed esclusione, di separatezza ed evitamento, mentre i territori di proprietà collettiva promuovono spazi di socialità, coesione, inclusione, aggregazione. Si nota una contrapposizione fondamentale tra spazi relazionali di interdipendenza e fusione col mondo e spazi costruiti sulla potestà dell’individuo proprietario slegata da ogni forma di reciprocità. Se la territorializzazione di qualunque assetto proprietario costituisce un progetto in divenire legato a specifici valori (Blomley, 2016), la differenza tra queste due tipologie di territorialità sta nella promozione di diversi valori attraverso cui spazi e persone sono socializzati.
20Le Comunanze Agrarie costituiscono una specifica denominazione delle istituzioni di proprietà collettiva (domini collettivi), tipica della zona umbro-marchigiana, il cui prerequisito necessario per diventare utente è dato dall’appartenenza fisica al territorio (Bettoni et al., 2012). Per il presente saggio, l’analisi verte sulle Comunanze Agrarie umbre di Colpetrazzo e Massa Martana, localizzate nel Comune di Massa Martana (PG). Entrambe le istituzioni collettive, pur attive già dal periodo medievale nel regolare la fruizione comunitaria delle risorse silvo-pastorali sui territori appresi come associazioni agrarie informalmente esistenti, vengono formalmente riconosciute con l’emanazione della legge n.397/1894, insistente sui domini dell’ex Stato Pontificio (Ridolfi e Filippucci, 2021). È così che nel 1914 e nel 1921 si costituiscono rispettivamente le attuali Comunanze Agrarie di Colpetrazzo e Massa Martana. Ad oggi, ciascuna è titolare di circa 700 ettari fra boschi, pascoli e altri terreni, i quali vengono collettivamente gestiti da rispettivamente 150 e 400 utenti circa (interviste sul campo, 2023).
- 1 Ritengo si tratti di zone definibili come “montane” non solo in relazione al fatto che i Monti Mart (...)
- 2 La parte di ricerca sul campo è cominciata nel marzo 2023 attraverso alcuni sopralluoghi, da cui si (...)
21La selezione dei due casi studio è dovuta, da un lato, al fatto che essi costituiscono oggetti di studio privilegiati in relazione agli obiettivi preposti poiché si tratta di casi studio montani aventi forme di proprietà collettiva.1 Dall’altro, alla reciproca conoscenza maturata con gli abitanti del territorio, all’entusiasmo da essi mostrato circa l’interesse di studiare le rispettive Comunanze e alla vitalità che contraddistingue tali istituzioni. Tale costruzione di relazioni umane ha permesso un’integrazione, graduale e quotidiana, all’interno dei contesti di riferimento, mediante un soggiorno continuativo e dinamico sul territorio. Così, l’esperienza sul campo si è articolata attraverso una continua costituzione del terreno nel passaggio da un luogo all’altro, in storie di movimento e orizzonti che mutano lungo la strada (Ingold, 2021, 227), grazie al coinvolgimento e all’interazione con numerosi soggetti.2 Durante questa fase è stato quindi possibile conoscere, osservare e attraversare il territorio, conoscere e osservare le attività e le pratiche legate alle Comunanze di studio, e infine identificare empiricamente i processi di territorializzazione della proprietà collettiva e le relative implicazioni, mediante l’osservazione delle relazioni in essere nelle terre collettive.
22Anzitutto, le relazioni di proprietà si contraddistinguono per il carattere collettivo. Se le relazioni di proprietà privata individuale agiscono come forme di classificazione spaziale che preassegnano possesso individuale sulle cose contenute nei confini di proprietà (Blomley, 2016) – e quindi potestà assoluta di disporne senza obbligazione o reciprocità alcuna – le relazioni di proprietà collettiva, al contrario, presuppongono interdipendenza e mutuo riconoscimento nella fruizione e nella gestione dei beni comuni. In questo senso, tale forma di territorialità genera relazioni basate su reciprocità e corresponsabilità: vengono così a territorializzarsi il primato della comunità sul singolo e del bene comune sul soggetto, espressi attraverso la solidarietà socioambientale ed intergenerazionale. Pertanto, la relazionalità della proprietà collettiva si pone in controtendenza rispetto alle forme proprietarie che socializzano l’individuo come un corpo separato dagli altri e dalla terra.
- 3 Nei casi studio che ho potuto approfondire le Comunanze hanno spesso agito in sostituzione degli en (...)
23Al carattere collettivo dei rapporti proprietari si aggiungono relazioni economiche che rispecchiano una concezione patrimoniale di lungo termine e l’idea del trasferimento inter-generazionale delle risorse, insieme a vincoli di solidarietà all’interno della comunità di riferimento, tali da costruire una gestione che si fonda su modalità diverse da quelle che caratterizzano la logica ordinaria del profitto su base personale o d’impresa (Bassi, 2016, p. 10). Ciò è testimoniato dal divieto statutario di divisione degli utili, riferito al ruolo pubblico di sviluppo locale delle piccole comunità frazionali storicamente svolto dalle Comunanze analizzate.3 Infatti, nessuna Comunanza, così come nessun dominio collettivo in generale, può avere finalità di profitto, e ogni entrata economica deve essere reinvestita a beneficio della collettività locale, mediante le proposte elaborate dal consiglio d’amministrazione e poi approvate dall’assemblea degli utenti. Pertanto, siamo in presenza di forme democratiche di governance territoriale nelle quali gli interventi sui territori vengono decisi dalle comunità che li abitano, in maniera indipendente da speculazioni economiche volte all’accumulazione di profitti.
24Le relazioni sociali intracomunitarie, tanto osservate sul campo quanto descritte durante le varie interviste, risultano essere prevalentemente di tipo solidale, collaborativo e aggregativo. Un valore cardine che testimonia tale relazionalità positiva è rappresentato dall’idea, spesso citata dagli utenti di queste Comunanze durante le interviste, di aiutarella, ovvero l’aiuto reciproco donato nelle situazioni di bisogno. Naturalmente, ciò non toglie che, talvolta, tali relazioni assumano connotazioni di tipo negoziale, rivale, utilitaristico o addirittura conflittuale. Eppure, la corresponsabilità che interconnette tutti gli utenti nella gestione di un patrimonio comune e collettivo suscita disposizioni relazionali orientate da reciprocità, collaborazione e solidarietà. La promozione di una simile relazionalità sociale si sostanzia non solo attraverso la proposta di molteplici eventi comunitari organizzati dalle Comunanze di riferimento, quali sagre, cene, feste popolari, escursioni collettive, lavori di manutenzione e attività d’uso civico svolte collettivamente, oppure mediante la costruzione di svariati luoghi d’aggregazione come circoli, edifici per i momenti collettivi, aree ricreative attrezzate e rifugi nei boschi. Tale relazionalità positiva deriva anche dal senso stesso della proprietà collettiva, ovvero la necessità di stare, decidere e fare assieme: la quasi totalità delle attività delle Comunanze studiate presuppone lo svolgimento di pratiche collettive che a loro volta rinforzano l’aggregazione comunitaria, come ad esempio l’esercizio dei diritti d’uso civico e la gestione forestale.
25Ciò si lega alla funzione educativa svolta da tali Comunanze, rilevante in relazione alla territorializzazione di determinati valori attraverso cui le persone sono socializzate. Anch’essa è svolta non solo mediante la messa a disposizione di archivi e mostre, l’erogazione di corsi professionalizzanti, l’organizzazione di iniziative culturali e la conservazione di usi e consuetudini del passato, ma anche attraverso la relazionalità stessa della proprietà collettiva: la necessaria reciprocità e dialogicità fra gli utenti nell’accesso e nell’utilizzo di risorse comuni inevitabilmente promuove un processo formativo degli stessi, quotidianamente confrontati con le relazioni di proprietà collettiva. Da ciò consegue l’acquisizione di quei principi basali che danno senso e guidano il funzionamento di tale forma proprietaria, quali la solidarietà intracomunitaria e intergenerazionale, il primato della comunità sul singolo e della terra sul soggetto umano. Quindi, parallelamente agli sforzi delle Comunanze di riferimento di promuovere sia conoscenza sul tema degli assetti fondiari collettivi che un’educazione ambientale coerente coi principi che li guidano tramite attività didattico-divulgative, è proprio la territorializzazione di questo altro ordine sociale che socializza gli abitanti delle terre collettive secondo principi comunitaristici e reicentrici.
26Le relazioni ambientali sono caratterizzate da un profondo legame con la montagna, i boschi, gli animali e il paesaggio, il quale si traduce in un’organizzazione territoriale ecosistemica, ovvero un rapporto interattivo con il territorio circostante orientato da regole condivise di preservazione e tutela.
L’intima interrelazione che si stabilisce tra territorio e comunità locale determina così l’espletamento della funzione di protezione ambientale, la quale è implicita nelle modalità di governance del territorio implementate dalle comunità locali (Bassi, 2016). Infatti, le Comunanze di studio svolgono tale funzione fondamentale attraverso le quotidiane pratiche di gestione forestale, eseguite collettivamente, le quali determinano un presidio quanto più capillare possibile sulla montagna. La gestione forestale comunitaria, da un lato, funge da deterrente in relazione a comportamenti incompatibili con la tutela ecologica e, dall’altro, permette di mettere in atto azioni selvicolturali volte al miglioramento del patrimonio collettivo. Ciò si collega ai risultati dello studio condotto da Sheil e colleghi (2015) su tre villaggi della Nuova Guinea Indonesiana. In sostanza, gli autori introducono il concetto di tragedy of the unseen sentinels, in sostituzione del più fortunato tragedy of the commons di Hardin, descrivendo le comunità locali come sentinelle rispetto all’uso sostenibile delle risorse e al mantenimento della biodiversità. I risultati suggeriscono che il monitoraggio svolto dalle comunità di villaggio, determinante importanti misure di protezione ambientale, è più efficiente di quello effettuato in molte aree protette ufficiali. Dunque, la tragedia non consiste nella gestione collettiva del territorio, come sostenne Hardin, ma piuttosto si verifica laddove le forme locali e collettive di tutela vengono compromesse in seguito a politiche pubbliche. Inoltre, la competenza decisionale delle Comunanze in riferimento ai propri territori di riferimento costituisce un baluardo nei confronti di eventuali progetti invasivi esterni – siano essi statali o privati – in quanto ogni intervento sul territorio deve essere approvato dall’assemblea degli utenti. Un caso rilevante proviene dalla Comunanza di Massa Martana, la cui assemblea degli utenti bloccò un progetto di costruzione di un villaggio turistico sul monte Castro, nella catena dei monti Martani, esprimendosi contrariamente.
27Da questa breve panoramica si evince che pratiche e relazioni connesse alla territorialità dei domini collettivi risultano allineate alla convergenza tra tutela ecologica, aggregazione sociale e democraticità della governance territoriale, alla base del concetto di conservazione conviviale. Infatti, la partecipazione collettiva e diretta alla gestione dei beni comuni, orientata alla tutela ecologica intergenerazionale e realizzata mediante la strutturazione di specifiche forme relazionali che favoriscono l’aggregazione sociale, determina la produzione di territorialità generative e la socializzazione degli individui secondo valori comunitari condivisi.
28Il presente articolo, inserito nel quadro delle geografie della montagna, propone un’analisi critica della proprietà collettiva, come esempio virtuoso di governance territoriale, mettendo a dialogo alcuni filoni e concetti teorici.
29A partire dall’importanza attribuita all’evidenziare i processi di produzione sociale dei territori montani, in quanto influenti sui futuri ambientali degli stessi (Zinzani, 2023), è stato in primo luogo fornito un inquadramento dei concetti di territorio e di bene comune, seconda una prospettiva relazionale di analisi. Se il territorio è stato definito come l’esito dell’articolazione delle molteplici relazioni che nello spazio hanno luogo, ne consegue che specifiche configurazioni territoriali, saldamente mantenute nel tempo, stabilizzano specifici patterns di relazioni (Brighenti, 2006).
Le varie forme di organizzazione fondiaria collettiva italiane, esistenti e attive da secoli nella penisola, strutturano una serie di relazioni sociali basate su obblighi reciproci e valori condivisi tra i membri della comunità, nell’ambito di una partecipazione attiva alla gestione territoriale promossa dalla condizione di proprietà condivisa della terra. Il protrarsi nel tempo di tale pattern relazionale permette il mantenimento di territorialità generative, nel quadro di una convergenza tra conservazione ambientale, aggregazione sociale e democraticità della governance territoriale. In particolare, definendo i commons come insiemi di persone che creano relazioni attraverso un elemento terzo, si nota come il funzionamento dei domini collettivi implichi la creazione di spazi e beni comuni da attraversare, usufruire, gestire e mantenere insieme. Pertanto, gli assetti fondiari collettivi italiani rappresentano peculiari beni comuni, creati e sostenuti dai patterns di relazioni implementati storicamente dalle collettività locali, la cui persistenza temporale a sua volta stabilizza tali modalità relazionali d’azione.
- 4 Trattasi di una considerazione, supportata dalla letteratura citata, derivante dalle osservazioni e (...)
30In secondo luogo, sono state analizzate nel dettaglio le implicazioni derivanti dalla territorializzazione di diversi rapporti di proprietà – individuali e collettivi – da cui è rintracciabile una contrapposizione di fondo tra spazi di interdipendenza collettivi e relazionali e spazi in cui la potestà proprietaria separa l’individuo da ogni forma di reciprocità. In particolare, la differenza tra queste due tipologie di territorialità sta nella promozione di diversi valori attraverso cui spazi e persone sono socializzati, favorendo così comportamenti socioambientali radicalmente differenti. Se da un lato la proprietà privata individuale favorisce contemporaneamente fenomeni di sfruttamento incontrollato delle risorse e atteggiamenti individualistici, dall’altro la proprietà collettiva promuove fenomeni di aggregazione sociale e tutela ecologica, in altre parole processi di conservazione conviviale.4
I risultati emergenti dall’analisi dei casi studio delle Comunanze Agrarie umbre di Massa Martana e Colpetrazzo suggeriscono che la relazionalità positiva della proprietà collettiva permette il mantenimento di spazi e beni comuni, i quali non solo promuovono benefici sociali e ambientali per le comunità, ma sono inoltre alla base dell’implementazione di una governance territoriale diretta e democratica, possibilmente capace di contrastare le attuali sfide socioambientali. Dunque, se ogni trama territoriale è espressione di un preciso progetto sociale (Raffestin (2022), nel caso delle Comunanze Agrarie qui esaminate le relative trame territoriali mostrano un progetto sociale, connesso tanto alle comunità umane quanto a quelle non-umane, incentrato su forme di relazionalità simmetriche e generative. In relazione a ciò, ritengo possa essere interessante mettere in connessione tali forme di organizzazione territoriale collettiva con l’idea di produzione di spazi del possibile, intesi come configurazioni di condizioni adatte a innescare processi potenziali e affermativi di divenire, tuttora in attesa di concretizzazione.
31Se dinanzi alla crisi socioecologica globale che contrassegna l’attuale periodo storico diviene necessario elaborare nuove sensibilità, narrazioni ed immaginari (Armiero et al., 2021) che supportino il pluriverso di potenziali esperienze di alternative allo sviluppo (Khotari et al., 2019), così come quelle economie di comunità ambientalmente armoniche e socialmente orientate (Gibson-Graham 2006, p. 79), i domini collettivi sembrano rappresentare una, tra le tante, possibili soluzioni organizzative in linea con tali ambizioni. Essi territorializzano un paradigma comunitario e reicentrico costruito in chiave collettiva, condivisa e mutuale, che potrebbe rappresentare una valida alternativa alle contemporanee modalità di organizzazione territoriale e di sviluppo, colpevoli di aver innescato quei processi distruttivi a cui oggi imputiamo le responsabilità delle crisi della nostra epoca. La valorizzazione di tali forme di governance comunitaria, a cui si legano i relativi processi di conservazione conviviale – e la speranzosa espansione di queste – può essere una chiave per mitigare e fronteggiare i futuri (socio)ambientali delle aree montane, e oltre.