1Siamo grati a Michel P. Schmitt che, periodicamente, miete per gli aficionados – e non solo – il campo fertile del fondo Doucet che sembra essere immenso, per regalarci un nuovo libro di Henri Calet. “Raccolto” tanto più sorprendente perché riguarda gli interventi radiofonici e le interviste apparse sui giornali e sulle riviste dell’epoca, spesso dimenticate quando si parla dell’opera dello scrittore di La belle Lurette. Eppure, queste possono offrire ai “filo-caletiani” elementi importanti per meglio comprendere l’autore dalle proprie confidenze sussurrate davanti a un microfono e poi trascritte. Il volume è abilmente strutturato perché prima di ogni trascrizione il curatore ci dà, da una parte, alcuni elementi storici e culturali per meglio situare l’anno in cui si è svolta l’intervista e, dall’altra, nuovi elementi che questa volta riguardano piuttosto la biografia dello scrittore, affinché il lettore possa carpire più informazioni possibili nel considerare l’argomento dal quale nasce l’intervista, anche rispetto alla vita e all’opera di Calet. In tal modo, possiamo seguire l’autore lungo il suo percorso umano e letterario sin dall’inizio della sua carriera di scrittore. Gli anni vengono così raggruppati: 1935-1944 (sono gli anni dei primi successi, e delle problematiche legate alla sua biografia), 1945-1949 (risolti i problemi con la giustizia, finalmente può affrontare anche il pubblico), 1950-1956 (sono gli ultimi anni della sua breve esistenza tormentati dalla malattia al cuore e dalle difficoltà economiche). I tre percorsi: quello dell’uomo pubblico, poi dell’uomo segreto e infine dell’uomo semplicemente inserito nel vortice della storia, si mescolano tra di loro e ci permettono una maggiore conoscenza dell’opera e soprattutto della complessa personalità dello scrittore. Ecco che Calet sembra volersi confidare (tra verità, menzogne multiple, alcuni non detti, tutti elementi ricamati, intrecciati, come se si trattasse di una vasta tappezzeria del xv secolo), con gli intervistatori in modo spontaneo e sincero. Alcuni di questi sono noti, come Paul Guth o Marc Bernard, altri meno celebri o dimenticati, un po’ come le radio d’epoca. Il volume si chiude con una serie d’“inventari” (alfabetico, testi anthumes, raccolte postume) che consentono al lettore di non smarrirsi nell’insieme di un’opera, comprensiva delle interviste radiofoniche e non, che a volte sembra labirintica, fino ad apparire caotica proprio per i numerosi giornali con i quali Calet ha collaborato. Nell’attesa di un “vero” romanzo che non vedrà mai la luce, Calet confessa alla giornalista e scrittrice Dominique Arban, negli anni Cinquanta: «quando si sono scritti questi trattati di abdicazione che sono i miei libri, si ha voglia di scrivere il contrario. Ma io so scrivere solo la mia vita». Henri Calet era un uomo all’apparenza semplice che, a causa degli avvenimenti e delle circostanze della propria esistenza, si è ritrovato, spesso, in situazioni poco chiare e misteriose, ma questo, stranamente, lo rendeva ancora più seducente, soprattutto agli occhi del pubblico femminile. Egli ha scritto un’opera variegata e affascinante e questo volume ci offre un altro aspetto dello scrittore chiarendo alcune zone d’ombra. Con il tono abituale, a mezza voce, senza strepiti, racconta sé stesso ai molti microfoni e se la sua vita è stata la fonte di tante opere, gliene siamo grati, qualunque cosa egli ne potesse pensare.