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Usages de la tradition littéraire et institutions culturelles

Cultura fascista e usi pubblici della storia

Massimo Baioni
p. 51-68

Résumés

Le fascisme a fondé une partie importante de son entreprise de légitimation politique et culturelle sur la mise en évidence de son lien avec le passé proche, en particulier avec le Risorgimento et la Grande Guerre. Aux côtés des usages ouvertement instrumentaux de l’histoire, typiques de tous les régimes totalitaires, l’attitude à l’égard du passé se révèle être un observatoire précieux afin de saisir la nature éclectique de l’idéologie et de la culture du fascisme : sur le terrain de la confrontation et de l’affrontement avec la tradition nationale se mit en place une relation significative et complexe entre la production “élevée” et la culture diffuse, qui donna lieu à des positions contrastées à propos de la signification du fascisme dans l’histoire de l’Italie et de son rôle dans la redéfinition de l’identité nationale.

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Notes de l’auteur

Il presente contributo è stato realizzato nell’ambito della ricerca Progetto Alfieri « Piemonte risorgimentale : storia e memoria », in collaborazione tra il Comitato di Torino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano e la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino.

Texte intégral

Passato e presente nella cultura fascista

  • 2 Vedi in particolare P.G. Zunino, L’ideologia del fascismo. Miti, credenze e valori nella stabilizza (...)
  • 3 Vedi E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Rom (...)
  • 4 L’elenco sarebbe lungo : si veda, per la produzione fino ai primi anni Novanta, la rassegna di Gabr (...)
  • 5 Tesi sostenuta autorevolmente, come è noto, in primo luogo da N. Bobbio, « La cultura e il fascismo (...)
  • 6 Il contributo più recente è quello di A. Tarquini, Il Gentile dei fascisti. Gentiliani e antigentil (...)
  • 7 Vedi R. Ben-Ghiat, La cultura fascista, Bologna, Il Mulino, 2000 ; Making and Remaking Italy. The C (...)

1È noto che il fascismo – al pari di tutti i regimi che si autoproclamano rivoluzionari – attribuì grande importanza al controllo e alla gestione del tempo storico, alla costruzione di un calendario che fosse capace di dettare ritmi e gerarchie nella costruzione di una nuova identità nazionale : un’identità che, eliminando dal suo seno tutte le forze di opposizione, liquidate come espressione dell’‘antinazione’, doveva fondarsi sulla postulata equivalenza tra Italia e fascismo. Si trattava di un passaggio che non poteva essere aggirato. Il confronto con il passato, specialmente dopo il 1925, era inevitabile sia nella prospettiva di una legittimazione del ruolo del fascismo nel solco della storia nazionale, sia ai fini di una nazionalizzazione delle masse che affidava alla riscrittura della storia, piegata alle esigenze del presente, un posto centrale nella definizione dell’identità del regime2. Definendo e nobilitando se stesso anche sul piano simbolico, il fascismo traduceva nella vita quotidiana degli italiani l’obiettivo di una vera e propria rigenerazione antropologica (« l’italiano nuovo » del tempo di Mussolini)3. Limitandosi a calcare l’accento sugli aspetti di deformazione e manipolazione propagandistica, per lungo tempo la storiografia si è accontentata di svelare soltanto il lato più appariscente del fenomeno, rinunciando a entrare nelle pieghe della cultura fascista e del suo rapporto complesso con la tradizione nazionale. Ai molti studi innovativi usciti a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, dedicati all’ideologia del fascismo, alla sua politica culturale, al ruolo degli intellettuali4, si deve il superamento della tesi che negava l’esistenza stessa di una cultura fascista5. Le ricerche che si sono mosse sulla scia di quella produzione hanno ulteriormente ampliato lo sguardo, mostrando inoltre l’impossibilità di definire una cultura fascista monolitica, senza sfumature interne6. I contributi provenienti dalla storiografia americana, in gran parte ispirati al filone dei cultural studies, confermano il ventennio fascista e in modo particolare le vicende della cultura italiana di quegli anni come uno degli assi tematici maggiormente frequentati dagli studiosi stranieri7.

  • 8 Vedi E. Irace, Itale glorie, Bologna, Il Mulino, 2003.
  • 9 Per una rassegna storiografica su questi temi rinvio a M. Baioni, « Identità nazionale e miti del R (...)

2Nell’ambito del rapporto con il passato prossimo, il Risorgimento e la Grande Guerra erano i due momenti della storia nazionale che richiedevano la maggiore attenzione. Nei confronti del Risorgimento, in particolare, il regime fascista doveva misurarsi con una folta e sedimentata serie di interpretazioni e di rappresentazioni. Discussioni in campo storiografico, fondazione di istituzioni dedicate alla conservazione e pubblicazione dei documenti, uso capillare di ‘glorie italiche’8, musei impegnati a narrare la storia patria attraverso il linguaggio ‘sentimentale’ delle immagini e dei cimeli, una ininterrotta serie di eventi commemorativi, scanditi dai numerosi anniversari delle battaglie e degli eroi del Risorgimento : nei primi sessant’anni anni di vita del regno d’Italia, il panorama delle rappresentazioni risorgimentali, quelle ufficiali così come quelle di opposizione, era stato molto ricco e articolato e aveva alimentato una incessante contesa di memorie9.

3Credo sia necessario tenere presente questo punto di partenza per comprendere tempi e modalità che spingevano il regime a inscriversi nel solco della tradizione patriottica. Secondo questa chiave di lettura, il fascismo si proponeva quale inveramento di una lunga storia nazionale, artefice della ripresa degli ideali di grandezza del Risorgimento che erano stati ‘traditi’ dalla politica parlamentare e dalla rinuncia dei governi liberali a una politica di espansione. Infatti, la rivendicazione della visione ‘continuista’ della storia fu avallata da prestigiosi intellettuali, in primis Giovanni Gentile e Gioacchino Volpe, ed ebbe largo corso nella produzione storico-letteraria, nella pubblicistica e nei testi scolastici. In questa visione, la Grande Guerra si collocava come il punto di saldatura fondamentale : essa era l’epilogo delle lotte per l’indipendenza, il completamento dell’unità territoriale (Trento e Trieste), ma al tempo stesso anche l’atto di nascita della nuova Italia, che aveva ricevuto il suo battesimo nel fuoco delle trincee.

4Per quanto capace di imporsi a vari livelli, come vedremo, una tale interpretazione non esaurisce tuttavia l’atteggiamento della cultura fascista. Nel suo seno agivano altre spinte, che esprimevano l’esigenza di smarcarsi dal passato, di evidenziare il significato di rottura e di esperimento nuovo e originale che il fascismo ambiva a ricoprire nella storia del Novecento. La complessità dell’esperienza fascista va colta anche in questa varietà di letture del passato e del presente, che rispecchiano l’eclettismo dell’ideologia e della cultura del regime.

  • 10 Tra gli altri si possono ricordare J.T. Schnapp, 18BL. Mussolini e l’opera d’arte di massa, Milano, (...)
  • 11 Vedi J.T. Schnapp, Anno X. La Mostra della Rivoluzione fascista del 1932, Pisa – Roma, Istituti edi (...)

5La precisazione non è forse superflua, se si osserva l’insistenza pressoché univoca sulla dimensione modernist della cultura fascista che è dato incontrare in numerosi studi della più recente stagione di ricerca. Mi riferisco ai lavori, molti dei quali senza dubbio importanti e raffinati, che fanno luce sui dispositivi retorici, sul rapporto arte-politica, sull’uso di nuovi media e sull’estetizzazione politica10. Non è casuale il grande interesse destato dalla Mostra della Rivoluzione fascista, un evento di grande impatto mediatico e di impianto prevalentemente modernista11. Allestita nel 1932 al Palazzo delle Esposizioni di Roma per celebrare il decennale della marcia su Roma, visitata in due anni da circa quattro milioni di persone, la mostra fu effettivamente la più eclatante mise en scène del regime. Essa si offre pertanto come uno straordinario campo di osservazione per esplorare – dall’interno – l’universo ideologico del fascismo e le dinamiche che hanno ritmato il suo rapporto con il passato. In effetti, il percorso espositivo della Mostra proponeva un legame tra fascismo e storia d’Italia la cui rappresentazione era interamente schiacciata sugli anni 1914-1922. L’Ottocento, il Risorgimento, l’Italia liberale scomparivano dall’allestimento e dall’itinerario cronologico e tematico. La scena era dominata dalla guerra, dal suo significato di rottura nella storia italiana, dal ruolo demiurgico di Mussolini. Alla guerra, al « popolo delle trincee » si ricollegavano la nascita e l’affermazione del fascismo. Nelle sale della mostra, realizzate dai più affermati artisti del tempo, Mussolini e il fascismo erano presentati come i soli e autentici eredi dell’esperienza del conflitto : a loro spettava il merito di aver difeso la nazione dal disordine politico e sociale del dopoguerra e dagli attacchi dei nemici interni, gli ex « disfattisti » presentati ora nelle sembianze mostruose del bolscevismo, la « bestia ritornante ».

  • 12 M. Sarfatti, « Architettura, arte e simbolo alla mostra del fascismo », Architettura, no 1, 1933, c (...)

6Il valore simbolico della MRF è tanto più palese se si mette a confronto la manifestazione fascista con la coeva Mostra garibaldina. Quest’ultima, organizzata per commemorare il cinquantesimo anniversario della morte di Garibaldi (1807-1882), era stata anch’essa ospitata nei mesi precedenti nel Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale : la facciata neoclassica dell’edificio fu poi completamente travestita in chiave futurista in occasione della mostra fascista, sulla base del progetto dell’architetto Adalberto Libera. La rappresentazione fascista della storia, secondo Margherita Sarfatti, si fondava sul felice e innovativo connubio di arte, scultura e architettura : al contrario, la mostra garibaldina le era sembrata ancorata a un impianto tradizionale e ‘freddo’, ottocentesco appunto. Con i suoi « chilometri e chilometri di documenti, allineati l’uno vicino all’altro, nella uguale sfilata di caselle, bacheche e pareti », essa lasciava « un’impressione di stordimento e di malinconia », a confronto con la capacità della mostra fascista di portare un fatto storico recente « nel clima ardente delle affermazioni e manifestazioni religiose »12.

  • 13 Così si esprimeva l’etruscologo Massimo Pallottino, citato in E. Gentile, Fascismo di pietra, Roma (...)

7Detto ciò, non credo tuttavia che si possa generalizzare l’interpretazione modernista e caricare la MRF di una valenza paradigmatica dell’intera parabola ventennale del fascismo. Anzi, a ben vedere, la visione per molti aspetti iconoclasta della storia recente, quale usciva dalle sale della mostra, non riuscì a imporsi come modello dominante, neppure sul versante della rappresentazione museale. Chi ha studiato le successive edizioni della Mostra fascista, quelle del 1937 e del 1942, ha notato lo scivolamento dell’autorappresentazione fascista verso modelli improntati al monumentalismo classico e alla rivisitazione moderna del mito di Roma, nel segno del « sentimento della continuità e della grandezza della nostra stirpe »13. È significativo che nel 1937 la seconda edizione della Mostra della Rivoluzione fascista fosse inaugurata unitamente alla grande Mostra Augustea della Romanità, allestita nel bimillenario della nascita dell’imperatore, che respirava l’atmosfera di euforia imperiale collegata alla recente guerra coloniale in Africa.

  • 14 Un invito recente a restituire alla categoria di clerico-fascismo una « qualche dignità interpretat (...)
  • 15 Vedi L. Mangoni, L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, Roma – Bari, (...)
  • 16 Vedi E. Gentile, La Grande Italia. Il mito della nazione nel ventesimo secolo, Roma – Bari, Laterza (...)

8I motivi che suggeriscono di non enfatizzare l’impatto della visione modernista sono vari : in primo luogo, come dicevo, molte altre furono le influenze che condizionarono l’identità del regime, riempiendo di contenuti e significati diversi l’idea stessa di « rivoluzione fascista ». Ignorare o sottovalutare il peso, per esempio, di anime più tradizionaliste come il clerico-fascismo14, il fascismo strapaesano e ruralista, il fascismo monarchico, rischia di condurre a vere e proprie distorsioni interpretative. La forza e insieme la debolezza del fascismo furono proprio la coesistenza e l’intreccio tra le diverse componenti della sua cultura, le cui origini vanno ricercate nel clima irrequieto del primo quindicennio del secolo15. Fu allora, nella temperie culturale antigiolittiana, che molti intellettuali, spinti dall’insofferenza verso l’oleografia dominante, cominciarono a guardare il Risorgimento con un atteggiamento nuovo e a farne il banco di prova per l’esame di coscienza della nazione : la riflessione critica sulle origini dello stato unitario, poi accelerata dal conflitto europeo e al suo interno da eventi traumatici come Caporetto, apparve un passaggio obbligato per rispondere al malessere morale e politico che aleggiava sul presente16.

  • 17 Sui diversi orientamenti storiografici relativi al ruolo degli storici durante il fascismo, si veda (...)

9Una volta riconosciuto il panorama eclettico di posizioni, il problema storiografico diventa quello di capire quale sia stato il peso dei singoli filoni, attraverso quali strumenti e canali essi cercarono di imporre la loro egemonia, quali intrecci si stabilirono tra le varie forme dell’uso pubblico della storia : e infine quali sedimentazioni quei filoni abbiano lasciato in termini di eredità nel medio e nel lungo periodo17.

  • 18 L’uso pubblico della storia, N. Gallerano (dir.), Milano, Angeli, 1990. Sempre valide molte indicaz (...)

10La concentrazione dello sguardo su alcune grandi manifestazioni o sull’itinerario di singoli intellettuali, se consente di illuminare aspetti importanti del rapporto politica-cultura nel contesto specifico dello stato totalitario, non dovrebbe essere spinta fino al punto di oscurare il quadro più generale. In questo senso, un approccio utile a riportare la discussione nei binari di un’interpretazione più equilibrata dovrebbe tenere in maggiore considerazione alcune componenti, che furono molto importanti anche nella prospettiva del rapporto instaurato dal fascismo con il passato e della sua trasmissione verso la società. Mi riferisco da un lato alla fitta rete di istituzioni culturali controllate dal regime e alla loro attività multiforme ; dall’altro alla opportunità di spostare lo sguardo alla cultura diffusa, al discorso pubblico che si affermò tramite i più disparati canali di trasmissione della conoscenza storica : dalla scuola all’editoria popolare ai nuovi mass media, la cui esplosione fece dell’entre-deux-guerres una momento decisivo di accelerazione dell’uso pubblico della storia18.

Istituti culturali

  • 19 Vedi G. Turi, Lo Stato educatore. Politica e intellettuali nell’Italia fascista, Roma – Bari, Later (...)
  • 20 Vedi G. Longo, L’Istituto nazionale fascista di cultura. Da Giovanni Gentile a Camillo Pellizzi (19 (...)

11L’organizzazione istituzionale fu parte rilevante dell’ambiziosa operazione di revisione della storia e della tradizione nazionale. All’indomani della svolta autoritaria e dei provvedimenti liberticidi, il regime, regista Giovanni Gentile, cominciò ad affrontare con più attenzione il tema della cultura e delle istituzioni culturali. Da una parte vi fu un intervento capillare sulle istituzioni preesistenti, dalle università alle accademie alle deputazioni di storia patria, con l’intento di procedere alla loro progressiva fascistizzazione. Ma si fece strada la necessità di creare istituzioni nuove, capaci di dare un segnale più diretto all’obiettivo di plasmare un’Italia fascista e di canalizzare temi, linguaggi, interpretazioni del passato recente19. Anche in questo caso l’attenzione andrebbe calibrata con più frequenza sui tanti organismi che fiorirono a livello periferico : penso, tra gli altri, alle sezioni provinciali dell’Istituto fascista di cultura20 o ai numerosi enti fondati a sostegno della politica culturale fascista, che con la loro attività svolsero un ruolo di raccordo importante tra centro e periferia, si proposero quali spazi nuovi di coinvolgimento degli intellettuali, dando loro visibilità e riconoscimento pubblico.

  • 21 Vedi L. La Rovere, L’eredità del fascismo. Gli intellettuali, i giovani e la transizione al postfas (...)

12Un momento di svolta si ebbe all’inizio degli anni Trenta. Concluso nel 1929 l’accordo con la Chiesa e avviandosi a celebrare il primo decennio di governo, il regime promosse una politica più decisa nel campo dell’organizzazione degli studi e istituti culturali. Nel valutare la natura e l’impatto di questa politica interventista, si è registrata un’oscillazione tra chi ha enfatizzato le adesioni di tipo nazionalistico e chi, all’opposto, ridimensionando l’influenza del fascismo e del suo apparato organizzativo, ha riproposto di fatto l’immagine di una cultura impermeabile agli agenti esterni e capace di attraversare indenne il Ventennio. La trama di relazioni che emerge intrecciando la storia delle istituzioni con la loro attività di ricerca, di promozione culturale e di formazione del discorso pubblico spinge invece a uscire da letture troppo lineari o da drastiche separazioni tra politica e cultura. Certo, la produzione maturata nella cornice delle istituzioni va analizzata distinguendo il valore dei singoli interventi, evitando di annegarla in un’adesione indistinta ai dettami correnti della cultura nazionalfascista. Ma è ancora molto diffusa la tendenza a trasferire tout court nel giudizio storiografico le rappresentazioni autobiografiche – solitamente di tipo difensivo o improntate alla categoria del nicodemismo – costruite dopo la caduta del regime : testimonianze di grande valore, va da sé, laddove anche il silenzio, la rimozione o il ritocco del proprio passato diventano componenti integranti per fare luce sulla storia e sugli itinerari dei singoli intellettuali. Resta il fatto che lo studio delle caratteristiche dell’organizzazione messa in piedi dal regime fascista, il numero e la qualità degli studiosi coinvolti al suo interno, il livello di adesione ad alcuni paradigmi interpretativi, ribaditi fino a guerra mondiale inoltrata, mettono spesso in luce la fragilità di certa documentazione autobiografica elaborata ex post21.

  • 22 Sull’Ispi si veda il contributo di Valeria Galimi, al quale si rinvia per le ulteriori indicazioni (...)
  • 23 Per approfondimenti rinvio al mio Risorgimento in camicia nera. Studi, istituzioni, musei nell’Ital (...)
  • 24 Ibid., p. 221. Per i rapporti De Vecchi-Cian vedi anche A. Pedio, « Cesare Maria De Vecchi. Il ‘qua (...)

13In realtà, la vita culturale del Ventennio fu la risultante di un intreccio di esperienze che non si presta a valutazioni semplicistiche : vi si mescolavano impulsi organizzativi dall’alto, orientamenti storiografici preesistenti, itinerari di studio personali, partecipazione ai progetti delle istituzioni culturali, impatto della situazione politica. Il totalitarismo fascista non esercitò il suo peso invasivo mediante una politica esplicita di censure e di imposizioni, come accadeva negli stessi anni nell’Unione sovietica e nella Germania nazista : il condizionamento fu più sottile, poté appoggiarsi al retaggio nazionalista di molti intellettuali e passò prevalentemente attraverso il filtro di canali tematici e di categorie interpretative vistosamente declinati in chiave nazionalista. Lavorare dentro le istituzioni create e controllate dal regime, collaborare alle riviste principali e ad alcuni grandi progetti di ricerca (si pensi a quello promosso dall’Istituto per la scienza politica internazionale – Ispi – sulla storia delle relazioni internazionali e la politica estera dell’Italia)22 significò accettare di studiare quei temi e quei problemi che meglio si adattavano all’ambizione del fascismo di presentarsi, all’interno e all’estero, con i tratti dello stato forte, autorevole, dinamico. Dunque, politica estera, rapporti diplomatici, espansione coloniale, ricostruzione di una genealogia autoctona nel campo della storia patria e della tradizione letteraria. Questa influenza fu molto forte nell’ambito degli studi storici, grazie al ruolo di enti quali l’Istituto per la storia moderna e contemporanea, l’Istituto per la storia del Risorgimento, l’Ispi, tutti coordinati dalla Giunta centrale per gli sudi storici. Qui fecero i loro primi passi i più promettenti giovani studiosi dell’epoca, sotto la guida autorevole di Volpe, di Gentile, ma anche di un politico-militare prestato all’organizzazione culturale quale Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon : già quadrumviro della marcia su Roma, fascista cattolico e monarchico, presidente della Giunta centrale, De Vecchi si impegnò soprattutto nel controllo degli studi e delle istituzioni risorgimentali, campo nel quale intese ridurre l’influenza gentiliana e volpiana. Obiettivo di De Vecchi era infatti la diffusione di un’interpretazione sabaudo-fascista che, eliminando ogni riferimento alla Rivoluzione francese o all’influenza straniera, accentuava le origini esclusivamente piemontesi del Risorgimento fino a farle risalire con evidenti forzature agli inizi del Settecento. Il fascismo, in questa prospettiva, diventava l’approdo naturale dell’esaltazione dello Stato, della forza militare, della disciplina, ereditati prima dal modello della Roma imperiale e poi dallo stato sabaudo23. Non sorprendono i legami stretti con le tesi di studiosi quali Vittorio Cian, il quale, non a caso, fu colui che promosse il conferimento a De Vecchi della libera docenza in Storia del Risorgimento nella facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Torino24.

  • 25 Sul quale vedi G. Calvi, « Rinascimento e fascismo a Firenze », Storica, no 19, 2001, p. 7-73.

14Un aspetto che meriterebbe di essere approfondito è quello del rapporto tra la Giunta centrale per gli studi storici e l’attività periferica delle varie istituzioni culturali. Nel 1940 De Vecchi, in veste di presidente, deplorava che la nascita di alcuni centri culturali fosse avvenuta al di fuori del parere della Giunta, alla quale la legge attribuiva poteri di coordinamento di tutti gli istituti storici. Le istituzioni in questione erano il Centro studi sul Rinascimento di Firenze25, il Centro di studi manzoniani a Milano, il Centro di studi leopardiani a Recanati e il Centro di studi alfierani ad Asti : i quali, dediti prevalentemente agli studi letterari, erano stati infatti agganciati al Consiglio nazionale delle accademie.

15Come si intuisce da questi brevi cenni, le istituzioni culturali definivano un campo interno di tensioni molto delicato, che toccava sfere di influenza e di controllo su cui gli appetiti erano molteplici. Non sorprende perciò che numerosi fossero i conflitti di competenze. Ne esce, anche in questo caso, una complessità di piani di lettura, che mostra come l’ambizione del coordinamento centralistico dovesse fare i conti con oggettive difficoltà di applicazione e con i diversi poli di nazionalismo storiografico che si confrontavano all’interno della cultura fascista.

Il fascismo come epifania dell’italianità : alla ricerca dei precursori

16Se osservata dal versante del discorso pubblico, l’immagine di una cultura protesa senza esitazioni alla modernità e votata perciò a esaltare la cesura netta tra fascismo e storia d’Italia occupa uno spazio tutto sommato modesto. Né il dato deve sorprendere, solo che si pensi al profilo della società italiana cui il fascismo doveva commisurare il proprio sforzo di pedagogia totalitaria. In effetti, quella strada appariva la meno praticabile, scontrandosi con la necessità di calarsi nelle pieghe di una società ancora tradizionalista, molto frammentata e imperniata sul paradigma storicista del culto del passato. Impegnato a rivendicare la propria originalità, il fascismo doveva tuttavia inseguire l’obiettivo senza rinunciare a presentarsi come il punto d’arrivo di una gloriosa storia millenaria, l’incarnazione suprema dell’italianità e del sentimento patriottico.

17Gli agganci con il passato, lontanissimo e recente (dall’antica Roma al Risorgimento), si fecero non a caso incessanti negli anni Trenta, quando l’aggressiva politica estera del fascismo e la costante mobilitazione bellica decretarono la crescente militarizzazione della cultura. Le scelte del presente diventarono così lo sbocco ineluttabile di un ‘destino’ inscritto nella vita della nazione, mentre i richiami al passato servivano a dare legittimazione, forza e risonanza simbolica alla politica imperialistica.

  • 26 A. Pedio, « Le collane editoriali di storia. Da “I Prefascisti” a “I grandi italiani” », Storiograf (...)

18Una conferma di quanto fosse centrale nella strategia del fascismo il confronto passato / presente è leggibile nel successo enorme che arrise alla tematica dei cosiddetti ‘precursori’. Il fenomeno si impose a vari livelli, ma le sue ricadute sono ben visibili soprattutto nel campo della produzione divulgativa, dove la scelta delle biografie esemplari poteva appoggiarsi a una solida tradizione. Ne è testimonianza efficace la struttura di alcune collane storiche, sulle quali si è soffermata di recente Alessia Pedio : per esempio, I prefascisti, diretta da Valentino Piccoli per la casa editrice Augustea di Franco Ciarlantini, La Centuria di ferro edita da Oberdan Zucchi, I Grandi italiani, diretta da Luigi Federzoni per la Utet, emergono come un osservatorio di notevole interesse per scomporre l’ipertrofia del richiamo fascista al passato26.

  • 27 Cfr. P.G. Zunino, L’ideologia del fascismo… ; M. Isnenghi, L’Italia del fascio, Firenze, Giunti, 19 (...)

19Sarebbe riduttivo, oltre che sterile sul piano storiografico, liquidare tanta parte della produzione storica del Ventennio alla stregua di mera propaganda o trarne il pretesto per riproporre l’immagine dell’antitesi fascismo-cultura : accontentarsi cioè di denunciare la palese appropriazione strumentale del passato, l’uso di momenti e di figure in funzione della legittimazione del ruolo del regime nella storia nazionale. Non è dunque in questione, rispetto alle domande che ci siamo posti, il livello modesto delle tantissime pubblicazioni votate a sradicare dal loro tempo condottieri, artisti, letterati, politici, che finirono arruolati in veste di fascisti ante litteram o di anticipatori del rinnovamento nazionale di cui il regime si dichiarava artefice. Credo sia più proficuo, nel caso delle collane, degli interventi giornalistici, delle antologie scolastiche, ricondurre i fili sparsi del discorso storico fascista intorno a un nucleo concettuale di idee, indagare l’aspirazione a modificare il reticolo di immagini e di percezioni del tempo e dello spazio che il fascismo assumeva come connotato della sua azione27.

  • 28 G. Santomassimo, « Saggio introduttivo », in M. Baioni, Il fascismo e Alfredo Oriani. Il mito del p (...)
  • 29 Si vedano, tra gli altri, i lavori di M. Ridolfi : Il partito della Repubblica. I repubblicani in R (...)

20In sostanza, ciò che più conta, ai fini del nostro discorso, è il senso ultimo di un’operazione che fu « uno degli elementi centrali dell’autocoscienza mitica del fascismo »28 e della sua politica della memoria. Anche in questo caso il regime non interveniva su un terreno completamente inesplorato : esempi precedenti non mancavano, come mostra l’analisi delle culture politiche del mondo democratico e socialista29. Ma indubbiamente il fascismo impresse una forte accelerazione all’operazione : il controllo capillare delle istituzioni educative e culturali permise di fissare un’interpretazione del passato, lontano e recente, in cui la categoria dell’italianità, virata in chiave di genio nazionale e di eroismo guerriero, fungeva da cemento ideologico dei vari interventi.

  • 30 Oltre ad A. Pedio, « Le collane editoriali di storia… », si veda ora soprattutto S. Lanfranchi, La (...)
  • 31 Vedi M. Carrattieri, « Le riviste di divulgazione storica e l’esperienza di Popoli (1941-1942) », S (...)
  • 32 Fenomeno bene evidenziato in M. Galfré, Il regime degli editori. Libri, scuola e fascismo, Roma – B (...)
  • 33 Cfr. anche G. Pedullà, « Gli anni del fascismo : imprenditoria privata e intervento statale », in S (...)

21Il fenomeno dei precursori, benché imponente per dimensioni, per molto tempo non ha ricevuto un’attenzione adeguata in sede storiografica. Alcuni studi recenti hanno evidenziato le molteplici implicazioni del tema, che spaziano dalla sfera della circolazione scientifica a quella della cultura diffusa30. L’importanza di uno studio sistematico, soprattutto nella direzione della divulgazione storico-letteraria31, si giustifica anche in rapporto agli intrecci numerosi con il funzionamento del mercato editoriale, che viveva una fase decisiva di trasformazione delle sue dinamiche32. Ne deriva anche la possibilità tracciare una sorta di geografia degli editori, grandi e piccoli, impegnati nel settore della divulgazione, i vantaggi economici che collane simili potevano garantire, gli equilibri e gli interessi che entravano in gioco, gli autori maggiormente coinvolti, specialmente se si trattava di libri che avevano nella scuola il principale referente33.

  • 34 Vedi in particolare P.G. Zunino, L’ideologia del fascismo

22Dall’altro lato, passando al versante dei contenuti e tenendo conto dell’impatto che era assegnato al ‘racconto’ storico nel quadro della costruzione dell’italiano nuovo, le collane offrono materiale prezioso per esplorare l’universo della cultura fascista, il rapporto con il passato, la collocazione del fascismo nel solco della storia italiana : seguendo un percorso parallelo all’analisi che è stata fatta nel campo delle riviste culturali, affiora un campionario paradigmatico dei caratteri del senso comune storico che si voleva trasmettere all’italiano del tempo fascista34.

  • 35 V. Cian, I precursori del fascismo, in La civiltà fascista illustrata nella dottrina e nelle opere, (...)

23Non furono soltanto eruditi di provincia o modesti intellettuali funzionari di provincia ad alimentare la ricca produzione di testi in materia di precursori. Uno dei più influenti studiosi e accademici italiani, il letterato nazionalista Vittorio Cian, affrontò direttamente l’argomento, con un saggio pubblicato in un’opera collettanea che, sin dal titolo (La civiltà italiana illustrata nella dottrina e nelle opere), si candidava a ‘documento-monumento’ del regime. Sebbene deciso a sottrarre il tema alle derive anacronistiche cui spesso finiva per scadere, Cian non andava oltre la proposta di una revisione che, avallando di fatto il fenomeno, distingueva i precursori in base alla loro distanza temporale dal presente : i « remoti », i « vicini o prossimi », gli « immediati e necessari ». I primi, nei quali erano raggruppati i sostenitori della missione di civiltà italiana (l’elenco comprendeva, tra gli altri, Virgilio, Dante Alighieri, Machiavelli, Vico, Alfieri, Cuoco, Foscolo) appartenevano alla « preistoria del fascismo » ; i secondi (Mazzini, Garibaldi, Gioberti, Balbo) erano coloro « che non intuiscono e annunziano soltanto, ma anche preparano, segnando il solco nel quale si affonderà poi il vomero lucido della volontà e della passione eroica degli italiani ». Infine, tra gli « immediati e necessari » emergevano « i propugnatori e i combattenti della grande guerra, gli artefici dell’una e dell’altra Vittoria » : tra loro, i fondatori del nazionalismo primo novecentesco (su tutti Enrico Corradini e Luigi Federzoni), che avevano dato una fisionomia operativa alla lezione di nazionalisti « avanti lettera » come Carducci e Oriani, collocati da Cian (unitamente a Crispi) come cinghia di trasmissione tra la seconda e la terza categoria di precursori35.

  • 36 V. Cian, L’ora della Romagna, Bologna, Zanichelli, 1928.

24Nello stesso 1928 Cian dava alle stampe per Zanichelli L’ora della Romagna : era una sorta di omaggio alla terra di Mussolini, il risultato di uno sforzo, talora bizzarro, di fissare questo lembo di terra tra Appennino e mare Adriatico quale epicentro dei destini della nazione. Il volume era dedicato alla memoria del romagnolo Alfredo Oriani (1852-1909), al quale Cian ribadiva la sua ammirazione quale « annunziatore e precursore glorioso della grande ora d’Italia »36.

Perché Alfredo Oriani

  • 37 Una riflessione approfondita dell’Oriani romanziere è in M. Debenedetti, Alfredo Oriani. Romanzi e (...)
  • 38 Vedi V. Pesante, Il problema Oriani. Il pensiero storico-politico. Le interpretazioni storiografich (...)

25Tra i numerosi personaggi del passato coinvolti nel fenomeno del precursorismo, Oriani fu probabilmente il caso più eclatante, alla luce delle dimensioni eccezionali che l’operazione assunse all’interno della politica culturale del fascismo. Il livello dell’appropriazione è all’origine, almeno in parte, del netto ridimensionamento che la figura e l’opera di Oriani hanno subito all’indomani della seconda guerra mondiale : al punto che oggi, nel centenario della morte, la sua notorietà può dirsi confinata dentro la cerchia ristretta degli addetti ai lavori37. Ma per circa mezzo secolo, nella prima metà del Novecento, Oriani è stato un intellettuale tra i più presenti nei circuiti del discorso pubblico nazionale. I suoi libri (in particolare La lotta politica in Italia, 1892, e La rivolta ideale, 1908) furono oggetto di un’attenzione controversa, suscitarono discussioni animate, che riflettevano il bisogno di interrogarsi su alcuni dei principali nodi della storia italiana : il Risorgimento, il nazionalismo, il colonialismo38.

  • 39 A. Crivellucci, « A. Oriani, La lotta politica in Italia », Studi storici, no I, 1892/2, p. 286.

26In vita Oriani fu osteggiato a lungo dalla cultura positivista ed erudita la quale, non accettando il suo agire al di fuori del metodo e delle fonti d’archivio, bocciò drasticamente la sua pretesa di farsi storico dell’Italia contemporanea. Emblematica fu la stroncatura di Amedeo Crivellucci, che nella rivista Studi storici chiudeva con parole inequivocabili la sua recensione a La lotta politica in Italia, il libro storico-politico più ambizioso di Oriani : « Dicono che l’autore abbia mostrato della capacità nello scriver romanzi. Se è vero, noi lo consigliamo di tornare a quel genere letterario. Non sappiamo se ci guadagnerà il romanzo : certo non ci perderà nulla la storia »39.

27La rivalutazione cominciò ad affacciarsi proprio alla vigilia della morte, quando il nome e l’opera di Oriani incrociarono sensibilità politiche, culturali e storiografiche venate di insoddisfazione verso il presente, percorse da inquietudini e fremiti di rinnovamento. Un ampio saggio di Benedetto Croce, pubblicato nella Critica all’inizio del 1909 (Oriani sarebbe morto di lì a poco, il 18 ottobre), diede avvio all’operazione di scoperta dello scrittore romagnolo, che fu reclutato tra i rappresentanti della battaglia contro il positivismo. Era una fortuna destinata col tempo ad assumere proporzioni che travalicavano gli intenti dello stesso Croce : al punto che questi, durante il ventennio fascista, avrebbe poi cercato di ridimensionare la fama di uno scrittore nel frattempo venerato come nazionalista e fascista ante litteram.

  • 40 G.A. Borgese, « Il ritorno di Oriani », Il Corriere della Sera, 28 agosto 1913.
  • 41 D. Petrini, « Risposta a Battaglia », Civiltà moderna, no 4, 1929, p. 715.

28All’origine dell’entusiasmo di buona parte della cultura antigiolittiana verso Oriani – il 1913, scrisse Giuseppe Antonio Borgese, fu « l’anno di Oriani »40 – stavano due punti generali della sua lettura della storia italiana. Da un lato l’idea che il Risorgimento fosse stato il risultato del compromesso di due « impotenze », quella rivoluzionaria e quella monarchica : in secondo luogo, l’indicazione in chiave populista di una missione di grandezza che spettava all’Italia come completamento di un’opera rimasta incompiuta. L’orianesimo fu in quegli anni, a destra così come a sinistra, una specie di « scarlattina storiografica », secondo l’icastica definizione del crociano Domenico Petrini41 : una miscela singolare di insoddisfazione sia verso i confini angusti dell’erudizione filologica, sia verso la tradizionale immagine oleografica e levigata del Risorgimento, che non dava risposte ai troppi nodi irrisolti in cui il paese si dibatteva, ancora a distanza di decenni dal compimento dell’unità.

  • 42 A. Gramsci, Quaderni del carcere, V. Gerratana (ed.), Torino, Einaudi, 1975, vol. II, p. 1040.

29Questo spiega perché Oriani fu assunto da molti come base di partenza per una revisione critica della storia italiana contemporanea, nella quale si innestavano prospettive politiche e culturali alternative. Si pensi al famoso tema della « conquista regia », ripreso e sviluppato non a caso anche da Gobetti e da Gramsci. Il quale, in una nota dal carcere del 1931-32, non risparmiò critiche all’astrattismo, al provincialismo e alla gonfia retorica di Oriani, bollò come « imbalsamazione funeraria » il culto orianiano costruito dal fascismo ; ma coniò anche la celebre definizione di Oriani quale « rappresentante più onesto e appassionato per la grandezza nazionale-popolare italiana fra gli intellettuali italiani della vecchia generazione »42.

  • 43 Vedi Da Oriani a Corradini. Bilancio critico del primo nazionalismo italiano, R.H. Rainero (dir.), (...)

30L’orianesimo storiografico non fu tuttavia il versante più appariscente della fortuna di Oriani. In quegli anni si formarono e crebbero soprattutto le ragioni della sua fama sul piano politico e ideologico, che finì per monopolizzare il dibattito e per soffocare i primi tentativi di accostamento critico. Da questo punto di vista, Luigi Federzoni, Enrico Corradini, Giovanni Borelli, per citare alcuni esponenti del « vario nazionalismo » dell’anteguerra, rivendicarono esplicitamente Oriani quale guida spirituale del movimento, trovando nei suoi scritti la giustificazione storica e ideale dei programmi di grandezza nazionale e di espansione coloniale43.

  • 44 Vedi M. Baioni, Il fascismo e Alfredo Oriani

31Su questa lettura, sedimentatasi nel corso degli anni ’10, il fascismo intervenne con un’operazione massiccia di appropriazione ideologica, che gli consentì di elevare Oriani al rango di massimo « precursore » e di costruire intorno al suo nome un culto dalle manifestazioni capillari44.

32La centralità di Oriani deriva anzitutto dal fatto che fu Mussolini in persona a sostenerla, avviando il culto di Oriani con due atti di grande rilevanza, politica e simbolica. Da un lato, nel 1923, Mussolini si fece promotore dell’edizione governativa dell’Opera omnia, che giunse a compimento nel 1933, editore Licinio Cappelli di Bologna. Certamente più eclatante, sotto il profilo della ritualità politica del regime, fu la cosiddetta « marcia al Cardello » del 27 aprile 1924, quando Mussolini capitanò il pellegrinaggio di alcune migliaia di camicie nere alla dimora di Oriani nella collina romagnola. In quell’occasione il capo del fascismo celebrò Oriani quale « esaltatore di tutte le energie della razza » e « Poeta della Patria » : ricordò La lotta politica come una storia che, lungi dall’apparire « misteriosa e paradossale », offriva alle nuove generazioni il senso di una « logica formidabile ». Il discorso di Mussolini fu poi inserito come prefazione a La rivolta ideale, il libro di Oriani più citato e saccheggiato dalla stampa fascista. Era qui infatti che Oriani aveva distillato nel modo più ‘visionario’ immagini e concetti del suo credo politico e sociale : quei principi che avrebbero poi incoraggiato la sua assunzione a vate della nuova Italia, profeta dell’imperialismo italiano in Africa, spregiatore del positivismo e del materialismo, scrittore antisocialista e antidemocratico, assertore dell’« aristocrazia spirituale » e dell’« uomo nuovo ».

  • 45 Sull’Ente Casa di Oriani si veda il saggio di E. Dirani in I Quaderni del Cardello, no 1, 1990.
  • 46 Vedi J. Charnitzky, Fascismo e scuola. La politica scolastica del regime (1922-1943), Firenze, La N (...)

33Anche l’esempio della fortuna fascista di Oriani conferma l’utilità di un approccio che sappia intrecciare l’operazione politico-culturale alla sua dimensione organizzativa. Nel 1927 fu fondato a Ravenna l’Ente « Casa di Oriani » (oggi Fondazione Oriani), che ebbe come suo primo direttore Ugo Oriani, il figlio dello scrittore45. L’Ente « Casa di Oriani », un tipico esempio di istituzione culturale creata ex novo dal regime, indirizzò la propria attività lungo un doppio binario : da un lato promosse la formazione di una biblioteca (la « Mussolini ») che, collocata simbolicamente nella Zona Dantesca, proprio a fianco della Tomba del poeta, si specializzò nella storia del fascismo e del pensiero politico contemporaneo. Dall’altro lato organizzò una serie di iniziative, scientifiche e popolari, che miravano a far conoscere Oriani nella varietà della sua attività di scrittore e intellettuale : dunque non soltanto l’opera storico-politica, ma anche il giornalismo, il teatro, la poesia, la narrativa. Uno degli assilli principali di Ugo Oriani fu il riconoscimento scolastico dell’opera paterna : in effetti, all’inizio degli anni Trenta, ministro dell’educazione Balbino Giuliano, Oriani entrava nei programmi scolastici delle scuole medie inferiori tra gli autori a scelta, in compagnia autorevole di Monti, Cuoco, Mazzini, Berchet, Cesare Balbo, Giusti, Nievo, Gioberti, Tommaseo, De Sanctis, Verga. Ciò avveniva in linea con una tendenza della politica culturale e scolastica del regime volta ad allungare verso la contemporaneità la riflessione sulla storia e la letteratura, al fine di presentare il fascismo come lo sbocco fatale di una lunga tradizione nazionale46.

  • 47 Vedi G. Parlato, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, Bologna, Il Mulino, 2000 ; L. (...)
  • 48 Il manoscritto, inedito, è conservato in Archivio della Fondazione Oriani, Ravenna.

34Il carattere di per sé controverso della produzione orianesca e l’eclettismo della cultura fascista contribuivano peraltro a situare il recupero di Oriani dentro un quadro interpretativo non uniforme. Accanto alla lettura ufficiale, di marca prevalentemente nazionalista, si fece presto strada un’interpretazione dagli accenti più radicali : ne furono protagonisti correnti del fascismo di sinistra e dell’universo giovanile, che guardavano con insofferenza alle interpretazioni accademiche47. Oriani era soprattutto il campione della purezza, della moralità elevata a ragione di vita, della solitudine come tratto distintivo di un animo incorrotto, il vaticinatore di un’Italia che pensa e agisce in grande, fuori dalle regole diplomatiche e dai compromessi. A ben vedere, su questa lunghezza d’onda si sintonizzava lo stesso Ugo Oriani, fascista della prima ora e durante il Ventennio custode intransigente dell’immagine del precursore. Il suo atteggiamento è ben sintetizzato nella reazione alla conferenza di Gioacchino Volpe, che nel 1934 inaugurò a Ravenna il ciclo delle celebrazioni per il venticinquesimo anniversario della morte di Oriani. Ugo annotò nel suo diario un commento acido : Volpe, colpevole di aver insistito troppo sui difetti di Oriani storico, aveva fatto un discorso « pedante e pesante ». La particolare forma mentis di storico accademico impediva a Volpe di intendere appieno Oriani : per farlo, sosteneva Ugo, occorreva « temperamento lirico : sentirlo col cuore prima di approfondirlo colla mente »48. Rigettando ogni lettura ispirata a rigore ed equilibrio, Ugo Oriani si trovava così in compagnia di quanti invocavano un’interpretazione radicale di Oriani come uomo e scrittore integrale, il ‘Giovanni Battista’ della Rivoluzione fascista.

35Di fatto, Oriani si rivelò per la cultura fascista un passaggio cruciale nella lettura del passato recente della nazione, l’anello di congiunzione tra la tradizione del Risorgimento e la sua rivisitazione in una chiave che potremmo definire di radicalismo nazionale più ancora che di nazionalismo tout court. Il mito dell’Oriani solitario, inascoltato, deluso e deriso dai contemporanei per le sue derive scabrose in letteratura e per i giudizi perentori e corrosivi in ambito storiografico, estraneo ai canoni dell’erudizione, era congeniale all’operazione fascista di condanna del parlamentarismo e della classe dirigente liberale. Associato spesso al nome di Francesco Crispi in termini di suo alter ego storiografico, Oriani era una delle figure del passato recente che meglio di altre permetteva al fascismo di trovare il punto di equilibrio tra le opposte tensioni verso il passato che si dibattevano nel suo seno.

  • 49 Vedi il volume Oriani, G. Spadolini (dir.), Faenza, Lega, 1960.

36Il crollo del regime segnò per molti versi anche l’eclisse di Oriani. Non mancarono in realtà gli sforzi per rovesciare l’interpretazione, fino a presentare Oriani come erede della tradizione democratica del Risorgimento e precursore della nuova Repubblica nata il 2 giugno 194649. Ma nonostante qualche rilancio d’interesse e saltuarie polemiche, l’orianesimo non ha più occupato un posto rilevante nel racconto e nell’uso pubblico della storia. Testimonianza ulteriore, a ben vedere, di come le vicende del Ventennio abbiano inciso a fondo sulla fortuna critica e politica di alcune figure della storia e della letteratura italiane, lasciando altresì una traccia pesante sui percorsi di ridefinizione della memoria pubblica nazionale.

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Notes

2 Vedi in particolare P.G. Zunino, L’ideologia del fascismo. Miti, credenze e valori nella stabilizzazione del regime, Bologna, Il Mulino, 1985, specialmente le p. 89-129.

3 Vedi E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Roma – Bari, Laterza, 1993.

4 L’elenco sarebbe lungo : si veda, per la produzione fino ai primi anni Novanta, la rassegna di Gabriele Turi, « Fascismo e cultura ieri e oggi », in Il regime fascista. Storia e storiografia, A. Del Boca, M. Legnani, M.G. Rossi (dir.), Roma – Bari, Laterza, 1995, p. 529-550.

5 Tesi sostenuta autorevolmente, come è noto, in primo luogo da N. Bobbio, « La cultura e il fascismo », in Fascismo e società italiana, G. Quazza (dir.), Torino, Einaudi, 1973, p. 209-246.

6 Il contributo più recente è quello di A. Tarquini, Il Gentile dei fascisti. Gentiliani e antigentiliani nel regime fascista, Bologna, Il Mulino, 2009.

7 Vedi R. Ben-Ghiat, La cultura fascista, Bologna, Il Mulino, 2000 ; Making and Remaking Italy. The Cultivation of National Identity around the Risorgimento, A.R. Ascoli, K. von Henneberg (dir.), Oxford – New York, Berg, 2001.

8 Vedi E. Irace, Itale glorie, Bologna, Il Mulino, 2003.

9 Per una rassegna storiografica su questi temi rinvio a M. Baioni, « Identità nazionale e miti del Risorgimento nell’Italia liberale. Problemi e direzioni di ricerca », Storia e problemi contemporanei, no 22, 1998, p. 17-40.

10 Tra gli altri si possono ricordare J.T. Schnapp, 18BL. Mussolini e l’opera d’arte di massa, Milano, Garzanti, 1996 ; M. Berezin, Making the Fascist Self. The Political Culture of Interwar Italy, Ithaca – London, Cornell University Press, 1997 ; S. Falasca Zamponi, Fascist Spectacle. The Aesthetics of Power in Mussolini’s Italy, Berkeley – Los Angeles – London, University of California Press, 1997 ; M.S. Stone, The Patron State. Culture & Politics in Fascist Italy, Princeton, Princeton University Press, 1998 ; Donatello among the Blackshirts. History and Modernity in the Visual Culture of Fascist Italy, C. Lazzaro, R.J. Crum (dir.), Ithaca – London, Cornell University Press, 2005. Una rassegna critica è in S. Luzzatto, « La cultura politica dell’Italia fascista », Storica, no 12, 1998, p. 57-80.

11 Vedi J.T. Schnapp, Anno X. La Mostra della Rivoluzione fascista del 1932, Pisa – Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2003.

12 M. Sarfatti, « Architettura, arte e simbolo alla mostra del fascismo », Architettura, no 1, 1933, cit. in J.T. Schnapp, Anno X…, p. 69-72.

13 Così si esprimeva l’etruscologo Massimo Pallottino, citato in E. Gentile, Fascismo di pietra, Roma – Bari, Laterza, 2007, p. 207. Sull’edizione del 1937 della MRF vedi P. Salvatori, « La seconda Mostra della Rivoluzione Fascista », Clio, no XXXIX, 2003/3, p. 439-459.

14 Un invito recente a restituire alla categoria di clerico-fascismo una « qualche dignità interpretativa » è in S. Luzzatto, Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento, Torino, Einaudi, 2007, p. 15.

15 Vedi L. Mangoni, L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, Roma – Bari, Laterza, 1974 ; R. Vivarelli, Fascismo e storia d’Italia, Bologna, Il Mulino, 2008.

16 Vedi E. Gentile, La Grande Italia. Il mito della nazione nel ventesimo secolo, Roma – Bari, Laterza, 2006 ; G. Belardelli, Il mito della « Nuova Italia ». Gioacchino Volpe tra guerra e fascismo, Roma, Edizioni Lavoro, 1988 ; B. Bracco, Memorie e identità dell’Italia della Grande Guerra. L’Ufficio Storiografico della mobilitazione (1916-1926), Milano, Unicopli, 2002.

17 Sui diversi orientamenti storiografici relativi al ruolo degli storici durante il fascismo, si vedano almeno G. Turi, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, Bologna, Il Mulino, 1980 ; A. Casali, Storici italiani fra le due guerre. La « Nuova Rivista Storica » (1917-1943), Napoli, Guida, 1980 ; R. De Felice, « Gli storici italiani nel periodo fascista », in Federico Chabod e la « nuova storiografia italiana » dal primo al secondo dopoguerra (1919-1950), B. Vigezzi (dir.), Milano, Jaka Book, 1984, p. 559-618 ; E. Di Rienzo, Un dopoguerra storiografico. Storici italiani tra guerra civile e Repubblica, Firenze, Le Lettere, 2005.

18 L’uso pubblico della storia, N. Gallerano (dir.), Milano, Angeli, 1990. Sempre valide molte indicazioni di ricerca suggerite da M. Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Torino, Einaudi, 1979.

19 Vedi G. Turi, Lo Stato educatore. Politica e intellettuali nell’Italia fascista, Roma – Bari, Laterza, 2002.

20 Vedi G. Longo, L’Istituto nazionale fascista di cultura. Da Giovanni Gentile a Camillo Pellizzi (1925-1943). Gli intellettuali tra partito e regime, Roma, Pellicani, 2000.

21 Vedi L. La Rovere, L’eredità del fascismo. Gli intellettuali, i giovani e la transizione al postfascismo 1943-1948, Torino, Bollati Boringhieri, 2008 ; P.G. Zunino, La Repubblica e il suo passato. Il fascismo dopo il fascismo, il comunismo, la democrazia : le origini dell’Italia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2003 ; Italian Fascism. History, Memory and Representation, R.J.B. Bosworth, P. Dogliani (dir.), London – New York, Mc Millan, 1999.

22 Sull’Ispi si veda il contributo di Valeria Galimi, al quale si rinvia per le ulteriori indicazioni bibliografiche sui lavori (di Angelo Montenegro, Enrico Decleva, Brunello Vigezzi) dedicati in passato al tema : « Culture fasciste et droite à la guerre. L’Istituto per gli studi di politica internazionale dan les années trente », Mil neuf cent, no 23, 2005, p. 167-182.

23 Per approfondimenti rinvio al mio Risorgimento in camicia nera. Studi, istituzioni, musei nell’Italia fascista, Torino – Roma, Comitato di Torino dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano-Carocci, 2006.

24 Ibid., p. 221. Per i rapporti De Vecchi-Cian vedi anche A. Pedio, « Cesare Maria De Vecchi. Il ‘quadrumviro scomodo’ tra Risorgimento ed educazione nazionale », Giornale critico della filosofia italiana, s. 6, no 22, 2002/3, p. 449-485. In generale A. D’Orsi, La cultura a Torino tra le due guerre, Torino, Einaudi, 2000.

25 Sul quale vedi G. Calvi, « Rinascimento e fascismo a Firenze », Storica, no 19, 2001, p. 7-73.

26 A. Pedio, « Le collane editoriali di storia. Da “I Prefascisti” a “I grandi italiani” », Storiografia, no 9, 2005, p. 175-207.

27 Cfr. P.G. Zunino, L’ideologia del fascismo… ; M. Isnenghi, L’Italia del fascio, Firenze, Giunti, 1996 ; C. Fogu, The Historic Imaginary. Politics of History in Fascist Italy, Toronto – Buffalo – London, Toronto University Press, 2003.

28 G. Santomassimo, « Saggio introduttivo », in M. Baioni, Il fascismo e Alfredo Oriani. Il mito del precursore, Ravenna, Longo, 1988, p. 22.

29 Si vedano, tra gli altri, i lavori di M. Ridolfi : Il partito della Repubblica. I repubblicani in Romagna e le origini del Pri nell’Italia liberale (1872-1895), Milano, Angeli, 1989 ; Il Psi e la nascita del partito di massa 1892-1922, Roma – Bari, Laterza, 1992.

30 Oltre ad A. Pedio, « Le collane editoriali di storia… », si veda ora soprattutto S. Lanfranchi, La recherche des précurseurs. Lectures critiques et scolaires de Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo et Giacomo Leopardi dans l’Italie fasciste, Tesi di Dottorato in studi storici, Université Paris 8, Università di Firenze, 29 novembre 2008 (dactyl.).

31 Vedi M. Carrattieri, « Le riviste di divulgazione storica e l’esperienza di Popoli (1941-1942) », Storiografia, no 9, 2005, p. 209-266. Della rivista di storia e geografia diretta da Federico Chabod e Carlo Morandi si era occupato anni fa A. Montenegro, « Popoli : un’esperienza di divulgazione », Italia contemporanea, no 145, 1981, p. 3-37. Dello stesso Montenegro vedi anche « Temi e indirizzi di storia del Risorgimento in una collana di studi del periodo fascista », in Studi e ricerche, Firenze, Istituto di storia dell’Università di Firenze, All’insegna del Giglio, 1981, vol. I, p. 447-482.

32 Fenomeno bene evidenziato in M. Galfré, Il regime degli editori. Libri, scuola e fascismo, Roma – Bari, Laterza, 2005.

33 Cfr. anche G. Pedullà, « Gli anni del fascismo : imprenditoria privata e intervento statale », in Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, G. Turi (dir.), Firenze, Giunti, 1997, p. 341-382 ; A. Scotto di Luzio, L’appropriazione imperfetta. Editori, biblioteche e libri per ragazzi durante il fascismo, Bologna, Il Mulino, 1996.

34 Vedi in particolare P.G. Zunino, L’ideologia del fascismo

35 V. Cian, I precursori del fascismo, in La civiltà fascista illustrata nella dottrina e nelle opere, G.L. Pomba (dir.), B. Mussolini (intr.), Torino, Utet, 1928, p. 119-141. Su Cian vedi G. Parlato, « Vittorio Cian : un intellettuale nazionalista durante il fascismo », Storia contemporanea, no XV, 1983/4-5, p. 603-648.

36 V. Cian, L’ora della Romagna, Bologna, Zanichelli, 1928.

37 Una riflessione approfondita dell’Oriani romanziere è in M. Debenedetti, Alfredo Oriani. Romanzi e teatro, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2008, con un saggio introduttivo di Marino Biondi.

38 Vedi V. Pesante, Il problema Oriani. Il pensiero storico-politico. Le interpretazioni storiografiche, Milano, Angeli, 1996 ; Alfredo Oriani e la cultura del suo tempo, E. Dirani (dir.), Ravenna, Longo, 1985.

39 A. Crivellucci, « A. Oriani, La lotta politica in Italia », Studi storici, no I, 1892/2, p. 286.

40 G.A. Borgese, « Il ritorno di Oriani », Il Corriere della Sera, 28 agosto 1913.

41 D. Petrini, « Risposta a Battaglia », Civiltà moderna, no 4, 1929, p. 715.

42 A. Gramsci, Quaderni del carcere, V. Gerratana (ed.), Torino, Einaudi, 1975, vol. II, p. 1040.

43 Vedi Da Oriani a Corradini. Bilancio critico del primo nazionalismo italiano, R.H. Rainero (dir.), Milano, Angeli, 2003.

44 Vedi M. Baioni, Il fascismo e Alfredo Oriani

45 Sull’Ente Casa di Oriani si veda il saggio di E. Dirani in I Quaderni del Cardello, no 1, 1990.

46 Vedi J. Charnitzky, Fascismo e scuola. La politica scolastica del regime (1922-1943), Firenze, La Nuova Italia, 1996 ; M. Galfré, Una riforma alla prova. La scuola media di Gentile e il fascismo, Milano, Angeli, 2000.

47 Vedi G. Parlato, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, Bologna, Il Mulino, 2000 ; L. La Rovere, Storia dei GUF. Organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria fascista 1919-1943, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.

48 Il manoscritto, inedito, è conservato in Archivio della Fondazione Oriani, Ravenna.

49 Vedi il volume Oriani, G. Spadolini (dir.), Faenza, Lega, 1960.

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Pour citer cet article

Référence papier

Massimo Baioni, « Cultura fascista e usi pubblici della storia »Transalpina, 12 | 2009, 51-68.

Référence électronique

Massimo Baioni, « Cultura fascista e usi pubblici della storia »Transalpina [En ligne], 12 | 2009, mis en ligne le 05 mai 2022, consulté le 20 mai 2025. URL : http://journals.openedition.org/transalpina/2799 ; DOI : https://doi.org/10.4000/transalpina.2799

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