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Les hommes et les écoles

Fra Croce e Gentile : il caso di Luigi Russo

Emanuele Cutinelli-Rendina
p. 185-204

Résumés

Dans les décennies centrales du XXe siècle – des années trente aux années soixante – Luigi Russo fut l’un des historiens et des critiques de la littérature italienne les plus influents et écoutés, dans les universités comme dans les lycées. On le considérait généralement comme le principal représentant des méthodes inspirées par l’esthétique du philosophe Benedetto Croce – et il se présentait d’ailleurs lui-même comme tel. Russo eut en effet avec Croce un échange intellectuel et une familiarité qui durèrent toute leur vie et dont témoigne aussi leur correspondance récemment publiée. Cet essai veut néanmoins montrer que si du côté de Russo l’influence de l’esthétique crocéenne, et la syntonie sur les thèmes civils et politiques, avait été très forte, notamment dans les années de triomphe du fascisme, il cultiva pendant toute sa vie un lien plus discret, mais aussi profond, avec l’autre grand philosophe de l’époque, et le plus grand idéologue du fascisme, Giovanni Gentile. Russo ne se tourna pas vers lui uniquement dans les phases cruciales de sa carrière académique, en en recevant encouragements et protection, mais aussi pour trouver une source d’inspiration pour son travail critique. De Gentile il tira les suggestions qui lui permirent de venir à bout de certaines insatisfactions qu’il ressentait à l’égard de l’esthétique crocéenne et de réorienter de manière sensible les critères de son propre travail critique. Les vicissitudes politiques du deuxième après-guerre ont en bonne partie effacé les contours réels de cette relation intellectuelle complexe et même ambiguë.

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Texte intégral

1Quello di Luigi Russo è un caso che ben permette di valutare la consistenza effettiva e la tenuta di un giudizio vulgato di assai larga circolazione dalla metà degli anni Quaranta fino a tutti gli anni Ottanta ; un giudizio secondo il quale la cultura italiana e la critica letteraria in ispecie sarebbero state dominate – egemonizzate, come con non casuale lessico gramsciano si diceva – dal pensiero, dall’opera, dall’esempio di Benedetto Croce, che quel dominio o egemonia avrebbe esercitato deliberatamente e consapevolmente, con decisione e anche con violenza (intellettuale, s’intende, ma pur sempre violenza, com’era implicito nella fraseologia di marca ecclesiastico-religiosa che non di rado si usava per caratterizzare tale presenza culturale, parlando di Croce come di un « papa laico », di una sua « censura » o « scomunica » nei confronti di quanto non rientrava nell’orizzonte delle proprie predilezioni intellettuali, di una scolastica sorta nel nome del suo verbo, ecc.). Un’azione culturale, quella di Croce, condotta – si disse – sfruttando a fondo e con sagacia il prestigio internazionale che venne acquisendo e gli strumenti che seppe forgiarsi, primi fra tutti la rivista bimestrale La Critica, con la quale identificò il ritmo della sua presenza sulla scena culturale e che diresse per quasi mezzo secolo, e quella sempre più complessa e articolata realtà, che non aveva avuto fin lì l’uguale nella cultura italiana, che fu la casa editrice Laterza. Un’azione peraltro – si soleva aggiungere da parte comunista già durante le ultime fasi della guerra – per condurre la quale Croce avrebbe stretto col fascismo e il suo capo un tacito patto in cui ciascuno trovava il suo conto : il fascismo una vigorosa e mai intermessa polemica teorica contro il marxismo e il comunismo, e il filosofo una relativa e comunque quasi unica libertà d’azione culturale e di movimenti personali.

2Ora i giudizi vulgati, i luoghi comuni, i clichés, hanno le loro ragioni d’essere, e quasi mai, soprattutto quando resistono a lungo, sono senza una qualche fondata ragione che ne abbia consentita la nascita. Ma rimangono tuttavia tali, e cioè luoghi comuni e clichés, perché quel motivo di vero o di verisimile che pure racchiudono o che comunque ne giustificò la genesi, lo irrigidiscono e lo assolutizzano, e in conclusione lo deformano, quando addirittura – e fu il caso del rapporto tra Croce e la cultura italiana – piuttosto che farne un motivo di comprensione critica e storica del proprio oggetto, lo trasformano in un’arma ideologica, in uno strumento per le battaglie politiche del presente. In questo senso la parabola intellettuale e la stessa opera critica di Luigi Russo, senza dubbio tra le eminentissime per la critica letteraria italiana nei decenni centrali del Novecento, può servire da reagente per sondare quel che merita di essere confermato in un discorso storicamente controllato quando si parla di ‘egemonia’ crociana, di canoni della critica idealistica, di scuola o di tradizione crociana, e di altre analoghe categorie interpretative e di ricostruzione storiografica ; ma anche quel che merita di essere respinto con forza poiché impedisce di cogliere la specificità e, dove vi siano, il rilievo individuale, il travaglio di una ricerca autonoma, le sfumature e le mezze tinte nei risultati, che certo vi furono nella lunga vicenda di adesioni, di ripulse, di appropriazioni e di applicazioni più o meno personali, di « riforme » e di « superamenti » a cui le teorie di Croce e il suo stesso magistero andarono incontro nel corso di mezzo secolo.

  • 1 B. Croce, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoriae storia, Milano, Sa (...)

3Dunque, la realtà della presenza di Croce nella cultura italiana della prima metà del Novecento è un dato di fatto difficilmente contestabile, come difficilmente contestabile è l’influenza e l’entità stessa delle discussioni e delle reazioni che fin dal suo apparire suscitarono, soprattutto nelle nuove generazioni, le teorie crociane, e tra queste l’estetica in primo luogo. Quella che aveva tale titolo, l’Estetica appunto1, per varie e complesse ragioni apparve come un’opera di rottura e portatrice di autentica novità in seno alla cultura italiana – sebbene a rigore si trattasse di un pensiero estetico i cui motivi essenziali avevano tutti avuto larga circolazione nella filosofia europea tra XVIII e XIX secolo.

  • 2 Le relazioni di Croce con il Giornale storico e la tradizione che incarnava costituiscono una quest (...)

4Né appare contestabile che gli effetti di tale influenza furono potenziati dal concreto lavoro a cui Croce si consacrò subito, parallelamente alla riflessione teoretica, nel campo della storiografia, della polemica civile, e in primo luogo – quando appunto si guardi all’efficacia degli effetti – della critica letteraria. Senza il diretto esercizio critico, senza l’esempio inedito di una critica militante ma non giornalistica sui contemporanei e i viventi, l’efficacia della riflessione estetica crociana probabilmente non sarebbe stata la medesima. Quell’aura di novità e di rottura con cui nei primi anni del secolo, e grossomodo fino alla prima guerra mondiale, fu percepita l’estetica crociana, non sarebbe in realtà comprensibile senza le caratteristiche e i modi del critico letterario, e i campi che prese a indagare. Ma se tutto ciò è innegabile, alquanto discutibile in sede storiografica e critica, e comunque bisognoso di discussione e di accertamento, è invece quel giudizio di incontrastato dominio, o di un’egemonia pressoché assoluta, che Croce e il suo idealismo avrebbero esercitato per quasi un mezzo secolo in seno alla cultura italiana. Si tratta di un giudizio o un pregiudizio il cui torto storiografico non consiste tanto nel disconoscere la presenza di consistenti aree della cultura italiana in cui l’influenza crociana fu direttamente avversata, o comunque non giunse. Basti pensare in tal senso alla cultura cattolica in generale, sempre viva e vivace, e che anzi, passata la crisi modernista, giunse a dotarsi con Agostino Gemelli e la sua Università Cattolica di un potente strumento di penetrazione nella società italiana ; ma poi, nel più specifico campo degli studi letterari, si può pensare alla tradizione della scuola storica, che si riconosceva nel Giornale storico della letteratura italiana e che rimase ben radicata nelle università2, o ancora quella degli studi di letteratura comparata, che ebbe importanti continuatori e cultori nonostante lo sfavore esplicito con cui Croce investì la disciplina. E l’esemplificazione degli ambiti in cui la resistenza o l’impermeabilità al crocianesimo fu prevalente potrebbe continuare a lungo. Ma il punto è che il torto storiografico maggiore del giudizio sull’egemonia crociana non consiste tanto o solamente in una approssimativa perimetrazione dell’area crociana, quanto piuttosto nel porre sotto un unico denominatore comune, all’insegna di una omogenea e piuttosto scolorita tinta, quella cultura che nell’idealismo crociano si riconobbe. Ed è questa la questione fondamentale.

  • 3 Nel dire così, e nella più generale impostazione di questo intervento, sento il dovere di dichiarar (...)

5L’aetas crociana fu in effetti una realtà complessa che è tempo – sedate e ormai remote nelle loro radici ideologiche avversioni e adesioni che non possono più essere le nostre – di guardare da vicino, con un atteggiamento storiografico sereno e paziente, senza alcuna intenzione apologetica ma neppure denigratoria, determinando e distinguendo i modi concreti in cui essa si affermò, si sviluppò, entrò in crisi e infine decadde. Occorre quindi considerare, quando ovviamente ne valga la pena, i singoli deuteragonisti, coloro cioè che in concreto dettero sostanza umana e culturale, nell’università e fuori di essa, al crocianesimo3.

  • 4 Nel 1948 uscì presso Einaudi Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce con il quale (...)
  • 5 Quanto ai documenti, naturalmente alludo, restringendomi ai soli carteggi crociani, ai molti volumi (...)

6Il percorso intellettuale di Luigi Russo costituisce un’ottima occasione per considerare più da vicino quella scuola idealistica o crociana la cui realtà storica non è un presupposto acquisito quando si debba valutare la cultura italiana della prima metà del Novecento, ma è essa stessa un elemento del problema da verificare. Ed è un problema storico e critico per avviare a soluzione il quale siamo oggi in condizioni assai migliori di quanto non si fosse solo pochi anni fa, poiché, al di là del mutato clima culturale, disponiamo di una serie di documenti prima non accessibili o non pubblicati : carteggi, cataloghi e storie di case editrici, una storiografia politica e civile più larga e più libera, che in sostanza ha determinato il tramonto di quell’impostazione gramsciana nella valutazione della storia culturale e politica italiana che, per evidenti ragioni ideologiche, aveva avuto bisogno di forgiarsi il mito dell’egemonia crociana per potergliene opporre una nuova, la propria (non è infatti un caso che Gramsci avesse indicato nell’« antiCroce » il compito a cui doveva applicarsi la intellighenzia italiana che si era messa sotto la guida del PCI, e neppure è un caso che Palmiro Togliatti avesse scelto di inaugurare proprio con il volume che raccoglieva le pagine consacrate a Croce la sua edizione, quanto mai sua invero, dei gramsciani Quaderni del carcere)4. Che da un ventennio a questa parte tali documenti siano infine e in gran numero stati ricercati, studiati e pubblicati, è a un tempo causa ma anche effetto di tale cambiamento di clima culturale ed è comunque la testimonianza che ormai ci si dirige, anche per ragioni generazionali, verso una più serena considerazione di questa ormai trapassata stagione della cultura italiana5.

7Perché prendere in considerazione proprio Luigi Russo per quello che si potrebbe definire un esercizio di storia della storiografia letteraria, o di storia della critica letteraria italiana negli anni del fascismo ? Va detto anzitutto che nel ventennio fascista Russo svolse la parte maggiore e più personale della sua attività di critico e di storico della letteratura, affermandosi come uno dei più autorevoli e seguiti dai giovani. Del fatto di essere state scritte proprio durante il ventennio fascista le opere di Russo recano evidenti tracce, soprattutto nel modo in cui ebbe ad affrontare alcuni degli autori prediletti dalla retorica fascista, che furono anche i suoi prediletti : è sufficiente pensare a Machiavelli, Alfieri e Foscolo, ma anche in misura minore alla memorialistica risorgimentale e a Francesco De Sanctis.

8Per cominciare si potrebbe osservare che, soggettivamente, Russo non ebbe mai alcuna difficoltà a rivendicare il proprio crocianesimo, anche quando, cambiati i tempi e avendo egli stesso sperimentato una dolorosa rottura personale col maestro, che non gli aveva perdonata la candidatura al Senato nelle liste del partito comunista nella primavera del 1948, gli sarebbe tornato comodo attenuare quella sua discendenza. Anche allora dunque, nell’atmosfera di montante anticrocianesimo che caratterizzò la cultura italiana degli anni Cinquanta, Russo continuò a proclamarsi un discepolo di Croce ; inquieto e ribelle sì, ma sostanzialmente fedele alle grandi linee di quello che riteneva essere stato l’insegnamento del maestro napoletano. Così come per altro verso, assai presto e in epoca non sospetta, egli aveva dato prova di autonomia critica, e anzi aveva levato la voce contro la scolastica crociana, quella dei ripetitori meccanici e inerti, che ritenevano di poter rinunciare alla larghezza di esperienze di lettura e al lavoro storico, archivistico e filologico che invece in Croce, anche quando non venivano esibiti, erano sempre impliciti. E in questo senso fin dagli anni Venti per Russo la nuova critica « estetica » non poteva andar disgiunta dall’eredità filologica e positiva della scuola storica, di cui a suo modo lo stesso Croce era stato nei suoi anni giovanili un importante esponente. E infatti, per fare un solo esempio e neppure dei più precoci, in una sede internazionale particolarmente solenne, al congresso sulla storiografia letteraria di Budapest nel 1931, Russo sentiva di dover fare appello a una alleanza tra lo spirito della nuova critica estetica, e cioè crociana, e l’attitudine filologica dei grandi maestri della scuola storica ; alleanza che, osservava,

  • 6 Questo testo, comparso dapprima negli atti del convegno di Budapest del 1931, fu infine rifuso in L (...)

può servire moltissimo per uscire da un certo stagnante genericismo, che comincia ad essere il peso morto della nostra critica letteraria attraverso l’opera sbrigativa di alcuni scolastici del crocianesimo6.

9Per poi aggiungere con estrema chiarezza e durezza che

  • 7 Ibid., p. 81.

la distinzione di poesia e non poesia in altri seguaci di Croce si è come chiusa e rattrappita in sé stessa : essa è stata esercitata spesso non per pregnante senso dei problemi, ma per estrema povertà di cultura e di interessi, mascherata da una superbia giudiziaria tutta estrinseca e sterile7.

  • 8 La celebre polemica « tra filosofi amici » comparve dapprima proprio nella Voce tra la fine del 191 (...)

10Per situare con una distinzione che è cronologica e genarazionale, ma anche culturale, il critico siciliano nella grande area del crocianesimo, va detto che egli appartenne alla seconda generazione crociana, la prima essendo quella dei quasi coetanei del filosofo napoletano, o di lui poco più giovani, di coloro cioè che fin dai primi anni del secolo poterono assistere alla genesi della filosofia crociana e alle sue prime prove nel campo della critica letteraria ; e quindi, personalmente attratti dai modi affabili e antiaccademici dell’uomo, furono presto coinvolti nel gorgo potente delle sue iniziative culturali ed editoriali. Si può pensare, per esempio, ad Antonio Gargiulo e a Giuseppe Prezzolini, a Emilio Cecchi e a Giovanni Papini, ad Adriano Tilgher e a Giuseppe Antonio Borgese, per fare qualche nome illustre. Altrettanti intellettuali cioè che nei primi passi della loro carriera subirono in pieno tanto il fascino per il nuovo idealismo quanto la straordinaria vis di organizzatore e suscitatore di cultura dell’uomo, facendosi in un modo o nell’altro strumenti di quel progetto di rinnovamento della cultura italiana che in effetti Croce perseguiva. Per cui, per esempio e per rimanere ai nomi citati, nella sola collana dei « Filosofi moderni » avviata da Croce presso Laterza, Gargiulo nel 1906 tradusse la kantiana Critica del giudizio, Papini tradusse Berkeley e Cecchi Leibniz nel 1909, Prezzolini Hume nel 1910, Tilgher Fichte nello stesso anno e poi Cartesio nel 1912. Si trattò di una prima generazione crociana che per lo più, com’è noto, assai presto fornì le leve per il più virulento anticrocianesimo, che fu un fenomeno già ben presente nella cultura italiana prima della grande guerra. È sufficiente in questo senso indicare le prime polemiche e i « superamenti » di Borgese, che datano al 1911, le importanti polemiche estetiche di Gargiulo con il suo insistere sui « mezzi espressivi », le significative perplessità di Renato Serra sull’impresa degli « Scrittori d’Italia », o ancora una rivista come La Voce, della quale Croce era bensì finanziatore e anche, di tanto in tanto, collaboratore, ma sulla quale presto si espressero voci di netta polemica nei suoi confronti, tra le quali per la prima volta nel 1913 quella di colui che doveva divenire un forte antagonista del crocianesimo, sul piano filosofico e intellettuale in un primo tempo, su quello politico e civile poi : ossia Giovanni Gentile8.

  • 9 Le Edizioni Adelphi hanno ristampato, con un notevole successo di pubblico, una ventina di titoli c (...)

11Ci fu invero anche una terza generazione crociana, di coloro che, formatisi grossomodo a cavallo della seconda guerra mondiale, continuarono ad alimentare un certo crocianesimo soprattutto negli studi filosofici e in una minoritaria tradizione politica liberale : fu questo certo un crocianesimo ormai di retroguardia, spesso con un fondo anche localistico o regionalistico, come rivendicazione di una tradizione culturale napoletana, che ha trovato una delle sue maggiori espressioni nella Rivista di studi crociani, diretta dal musicologo Alfredo Parente. Con il passaggio della pubblicazione delle opere crociane all’editore milanese Adelphi, nel 1989, e con l’avvio di un’edizione nazionale delle opere nel 1991, ha avuto inizio una nuova stagione di studi crociani ormai del tutto scissa dalle vicende, compiutamente esauste, del crocianesimo e dell’anticrocianesimo novecentesco9.

  • 10 L. Russo, B. Croce, Carteggio 1912-1948 [2006], E. Cutinelli-Rendina (ed.), Pisa, Edizioni della Sc (...)

12Dunque Luigi Russo si colloca pienamente in quella seconda generazione crociana che forse in maniera più netta ha potuto far pensare, soprattutto nel campo degli studi letterari, a una organica e compatta scuola crociana e idealistica. Fu la generazione di coloro che, nati tra il penultimo e l’ultimo decennio del XIX secolo, fecero le loro prime significative prove intellettuali durante o subito dopo la prima guerra mondiale. È a costoro che oggi più si pensa quando ancora si parla di scuola crociana, o cumunque di critici letterari di ispirazione crociana. Chi scrive ha scelto di parlare di Luigi Russo, che comunque fu fra i maggiori e dei più interessanti, certo anche per ragioni contingenti, per essersi trovato di recente a leggerne sistematicamente la vasta opera critica, e la non meno abbondante pubblicistica politica e civile, dovendo infatti pubblicare e commentare la grande corrispondenza che egli scambiò per quasi quarant’anni con Benedetto Croce10. Si sarebbe naturalmente potuto scegliere qualcun altro dei maggiori, ossia di coloro che furono e si dissero ‘crociani’ e i cui testi possiamo continuare a leggere con profitto, perché, oltre a essere testimonianza di un gusto e di metodi critici largamente vigenti in una certa fase della storia culturale italiana, costituiscono ancora contributi non eludibili o comunque importanti intorno a certi autori o a certe problematiche letterarie. Si può pensare, per esempio, a Mario Fubini, alcune pagine del quale sullo stile di Guicciardini o sulla prosa di Vico conservano intatta la loro validità ; o anche a Francesco Flora, i cui contributi sulla letteratura novecentesca hanno in certi casi la freschezza e la penetrazione delle reazioni di un autentico contemporaneo.

13Per confermare il rilievo di Russo, del Russo storico e critico della letteratura italiana, è sufficiente indicare i contributi su Machiavelli – un autore che peraltro Croce, a parte la Mandragola, non considerò mai nella sua specifica qualità di scrittore. Sono contributi senza i quali non avremmo forse avute le idee che sorreggono le indagini di due insigni machiavellisti del secondo Novecento, Fredi Chiappelli e Mario Martelli, i quali sono bensì pervenuti a risultati assai lontani da quelli di Russo, nonché l’uno dall’altro, ma entrambi hanno in qualche modo, nei loro primi passi machiavelliani, contratto un debito, riconoscibile e comunque riconosciuto, con gli scritti di Russo.

  • 11 L’osservazione, certo paradossale ma non ingiustificata, di non essere stato mai crociano, Croce eb (...)

14È chiaro che scegliendo tra i maggiori – che sia Russo o Fubini o Flora – si escludono dal quadro quegli studiosi che poterono giustificare il giudizio di una scuola che fu anche una scolastica, di studiosi cioè che si applicarono all’esercizio, in cui facevano consistere l’essenza stessa della loro adesione a Croce, del distinguere la « poesia » dalla « non poesia », e che quindi legittimarono allora e poi le impazienze di chi ammoniva – talvolta Croce, che non fu mai crociano, e ci tenne a ribadirlo, era tra questi – che per quella strada non c’era autentica compresione della poesia e neppure storiografia letteraria11. Se per dovere di compiutezza e concretezza storico-culturale (e venendo meno a quella pietas che pur si deve ai trapassati della vita e della storia) si dovesse esemplificare con un solo nome di tali puristi del crocianesimo, si potrebbe fare quello di Giuseppe Citanna, studioso oggi non ingiustamente scomparso dalle bibliografie specialistiche degli autori e dei temi di cui si occupò.

  • 12 Su Cesare De Lollis in questa prospettiva, cfr. soprattutto G. Sasso, Variazioni sulla storia di un (...)

15Ma avendo scelto di trattare di Russo rimangono fuori dal quadro quegli studiosi e quei critici che provenivano da altre formazioni ed esperienze, e pur subirono il contraccolpo dell’estetica crociana senza però avere nei confronti di essa l’adesione entusiastica dei giovani della generazione di Russo, Fubini o Flora. In questo senso si mossero un critico come Eugenio Donadoni, autore di fini studi su Tasso e Foscolo, o uno storico della letteratura per più versi inclassificabile nella sua impostazione generale come Attilio Momigliano, o anche uno studioso geniale come Cesare De Lollis, che, allievo di maestri quali Girolamo Vitelli, Domenico Comparetti e Francesco D’Ovidio – e cioè di quanto di meglio poteva offrire la tradizione filologica italiana di fine ’800 – visse in profondità l’esperienza dell’estetica crociana, per innestarla su un’assai personale esperienza culturale e sensibilità di lettore, gettando con ciò le basi di quella che sarebbe poi stata chiamata in Italia la « critica stilistica »12.

  • 13 Discussa il 14 luglio 1914 con Francesco Flamini, la tesi fu poi pubblicata in volume : L. Russo, P (...)
  • 14 L. Russo, B. Croce, Carteggio…, vol. I, p. 3-4.

16Russo si formò in uno dei templi della cultura positivista, la Scuola Normale Superiore di Pisa, dove discusse nel 1914 una tesi di laurea su Metastasio, subito onorata dalla stampa13. La tesi era stata diretta da uno dei maggiori studiosi della cosiddetta scuola storica, Francesco Flamini. Tuttavia, già nel corso degli anni universitari, mentre redigeva la sua tesi, Russo cercò il contatto personale con Croce : di sua iniziativa il giovane normalista siciliano nell’agosto del 1912 prendeva la penna e scriveva al già illustre studioso e senatore del Regno per esprimergli la « letizia intellettuale » che lo aveva còlto alla lettura dell’Estetica, donde era poi passato a divorare i saggi raccolti nel volume Problemi di estetica e quindi le annate della Critica14. Si avviava così una corrispondenza e un rapporto umano e intellettuale quanto mai intenso pur nell’inevitabile dislivello – che allora si era usi a non mai sorpassare – dell’età e dell’autorevolezza, e che sarebbe durato fino a che le cose della politica non lo avrebbero dolorosamente e piuttosto clamorosamente spezzato.

  • 15 Si veda L. Russo, G. Gentile, Carteggio 1913-1943, R. Pertici, L. Resta (ed.), Pisa, Edizioni della (...)

17A pochi mesi di distanza dalla prima lettera a Croce, il primo maggio 1913, Russo, anche questa volta da perfetto sconosciuto, scriveva a Giovanni Gentile. Ma il contenuto era tutt’altro : si trattava di sollecitare un intervento dell’autorevole professore, alla cui comune sicilianità Russo si appellava, per una borsa di studio. Anche nel caso di Gentile la corrispondenza e la relazione personale andranno avanti per decenni, fin quasi alla morte di Gentile : gli ultimi scambi concernono proprio il passaggio di consegne tra Gentile e Russo, ormai autorevole critico e professore universitario, nella direzione della Scuola Normale di Pisa15.

18Già i cenni agli esordi epistolari di Russo con i due dioscuri dell’idealismo italiano permettono di osservare alcune dinamiche dei rapporti che egli intrattenne con loro – e va precisato che qui Russo può ben valere come campione di altri intellettuali e studiosi della sua generazione. Anche quando si sarà consumata la rottura tra Croce e Gentile, in seguito all’adesione di quest’ultimo al fascismo, Russo, che pure esperirà alcuni tentativi di mediazione del dissidio tra i due, continuerà a tessere la trama dei suoi rapporti personali con entrambi, non potendo rinunciare a nessuno di quei suoi due ‘protettori’, che erano tuttavia anche due autentici maestri, per lui come per molti altri, nella vita e nella scienza.

19Con Croce è la trama della discussione intellettuale, sui temi della storiografia letteraria e della metodologia della critica, quella che prevale nella conversazione epistolare, ma anche il concreto lavoro editoriale e filologico soprattutto da quando, a partire dai primi anni Trenta, Croce affidò a Russo la direzione della maggiore collezione della Laterza, gli « Scrittori d’Italia », che ebbe così un nuovo impulso. Con Gentile, al centro della corrispondenza sono in primo luogo, seppur non esclusivamente, le questioni relative alla politica accademica e alla propria carriera, e quindi quelle relative alla rivista Il Leonardo che Russo dirigeva per incarico di Gentile, e poi l’intensa collaborazione con la casa editrice della famiglia Gentile, la Sansoni, che ben più della Laterza godeva di un largo mercato scolastico.

  • 16 Cfr. B. Croce, Il Caso Gentile e la disonestà nella vita universitaria italiana, Bari, Laterza, 190 (...)

20A tale proposito è opportuno formulare un’osservazione generale, per la quale la carriera di Russo offre la migliore testimonianza. Al contrario di quanto si è spesso sentito dire, Croce non fu mai qualcosa come il gran manovratore della vita accademica italiana, e la sua influenza sulle carriere universitarie non fu né poca né molta : semplicemente non ci fu. E se in un caso celebre egli pensò di intervenire – fu la pubblica polemica che condusse nel 1909 contro la bocciatura di Gentile in un concorso universitario per una cattedra di storia della filosofia – ciò accadde proprio perché per allora quella vicenda si era comunque conclusa con una sconfitta, né in sostanza gli era concessa altra forma di intervento che quella16. La pressoché nulla influenza di Croce sull’università è dimostrata tra l’altro dalle carriere accademiche, lente e tarde, di due crociani come Fubini e Flora (e non solo le loro, sebbene le loro fossero anche più intralciate di quelle di altri). Lo dimostra la stessa carriera di Russo, che fu bensì anch’essa variamente intralciata, ma non così lenta, perché egli seppe, non senza una qualche ambiguità, mantenere un rapporto di equivicinanza con Croce e con Gentile anche dopo la loro rottura, e quindi mettere ben a frutto, negli anni del fascismo trionfante, l’influenza di quest’ultimo e dell’ambiente dell’attualismo accademico.

  • 17 Anche per tale specifico aspetto direi che la valutazione della vicenda dell’Enciclopedia italiana (...)

21Si potrebbe dunque chiosare questa situazione con una battutta di larga circolazione, secondo la quale ai giovani della generazione di Russo Croce offriva il pane dello spirito mentre Gentile quello del corpo. Il che per molti versi non è affatto falso, e anche Russo, oltre alle varie collaborazioni editoriali di cui si è detto, prese parte al gran cantiere dell’Enciclopedia italiana, con il quale in effetti Gentile dette lavoro a non pochi giovani studiosi, e pure a qualche non giovane che aveva dovuto lasciare la cattedra universitaria per non giurare fedeltà al regime17. E nondimeno anche in questo caso le cose stanno in maniera alquanto più sfumata e complessa. In effetti il contatto di Russo con l’attualismo gentiliano fu più profondo e intrinseco di quanto in genere non si pensi, e di quanto il suo stesso crocianesimo proclamato, il suo atteggiamento nicodemitico sotto il fascismo, e la ricostruzione che più volte egli dette del proprio svolgimento intellettuale, non lascino credere.

  • 18 L. Russo, Problemi di metodo critico, Bari, Laterza, 1929.
  • 19 Varie notizie di queste vicende in L. Russo, B. Croce, Carteggio…, passim.

22È opportuno ora svolgere alcune considerazioni in tal senso, e cominciare con l’osservare che Russo partecipa con autentico entusiasmo al rinnovamento della scuola italiana che Gentile avvia sul piano teorico nei primi anni Dieci, coronandolo poi alla metà degli anni Venti da Ministro della Pubblica istruzione con una riforma radicale del sistema nazionale. Ne viene ricompensato con una costante attenzione umana e professionale da parte di Gentile, che in effetti si rivela decisiva per la sua sistemazione accademica, prima con la chiamata come incaricato all’Istituto Superiore di Magistero di Firenze, nel 1923, e poi, nel 1927, con lo sdoppiamento della cattedra di Michele Barbi, che consente il definitivo accesso di Russo all’ordinariato, sempre al Magistero di Firenze. Questa sistemazione era stata resa possibile da un lato dalla benevola disponibilità di Barbi a farsi affiancare dal più giovane collega (il quale in segno di gratitudine gli dedicò il tutto idealistico e crociano volume di Problemi di metodo critico)18 ; e dall’altro da un intervento diretto di Mussolini che appunto aveva disposto la dispensa di Barbi dall’insegnamento perché potesse interamente consacrarsi alle Edizioni nazionali di Dante e di Manzoni. Più tardi fu ancora Mussolini in persona che intervenne in un passaggio cruciale della carriera accademica di Russo. Nel 1937, ormai da alcuni anni passato a Pisa, Russo aveva ottenuto dalla facoltà di lettere della « Sapienza » un voto unanime che lo chiamava alla successione di Vittorio Rossi sulla cattedra di letteratura italiana (e Gentile era ovviamente dietro questo voto). Tuttavia su suggerimento del ministro Bottai, il quale raccoglieva le varie ostilità che nei confronti di Russo si erano formate negli ambienti del fascismo fiorentino, Mussolini, che pure in un primo momento era stato incline a firmare il decreto di nomina, cassò il voto della facoltà, lasciando che andasse in cattedra il secondo della terna, l’allora crociano e poi marxista Natalino Sapegno, alquanto più prudente e fin incolore sul piano politico. A nulla valsero nel dopoguerra le azioni legali e i ricorsi amministrativi di Russo per cercare di far valere il voto della facoltà e recuperare la chiamata. A Roma rimase, e fece scuola, Natalino Sapegno19. Sono cose che mi sembra opportuno richiamare per mostrare la complessità e fin la tortuosità delle relazioni umane, culturali e accademiche che pur si instaurarono tra campi diversi e divisi.

23Ma per Russo Gentile non fu solo l’indispensabile referente accademico che negli anni del fascismo trionfante gli consentì quell’ascesa su una cattedra universitaria che Croce mai avrebbe potuto consertirgli, e che gli permise altresì (almeno fino a un certo momento) un largo campo d’azione in riviste sovvenzionate pubblicamente, e poi nell’editoria scolastica, che era una discreta forma di integrazione economica, allora, per un insegnante (tutti i celebri classici commentati di Russo, che per decenni sono stati in adozione nei licei italiani, erano pubblicati dalla gentiliana Sansoni). Gentile non costituì dunque solamente questo appoggio pratico per Russo : fu anche un maestro autentico e decisivo per la sua formazione e nel suo svolgimento intellettuale. Lo fu per quella più larga formazione civile che gli uomini della sua generazione cercavano fuori dell’università ; ma poi anche, per quanto possa sembrare paradossale, proprio nel campo della critica e della storiografia letteraria.

24Per meglio determinare i modi concreti in cui Russo intrecciò e venne poi metabolizzando nella sua attività critica le suggestioni e gli insegnamenti che gli venivano da Croce e da Gentile, va considerato qualche elemento del primo intensissimo quindicennio della sua attività, a partire dalla metà degli anni ’10. E vedremo che, proprio sul piano concreto dell’esercizio critico, tali insegnamenti, quelli cioè provenienti da Croce e quelli provenienti da Gentile, pur nel comune sfondo idealistico, erano avvertiti come tali che proponevano e davano esiti divergenti nella prassi critica e storiografica.

  • 20 Vita e disciplina militare, uscita in prima edizione presso un editore di cose militari (Marino, Ca (...)
  • 21 Anche a sé stesso Russo si riferiva allorché qualche anno più tardi avrebbe scritto : « Ma invero d (...)

25A parte dunque la sua tesi di laurea su Metastasio, per soggetto e metodo evidente omaggio ai suoi maestri universitari, sul punto di congedarsene per sempre, tutto gentiliano è quel singolare libretto che ha titolo di Vita e disciplina militare, e che ancora oggi costituisce un’importante chiave per comprendere gli umori e i sentimenti della gioventù italiana che si gettò nella fornace della guerra : una gioventù che per questo verso fu tutta gentiliana e interventista, piuttosto che crociana e neutralista20. Gentiliano è in effetti il filo conduttore di questo manualetto di ‘etica militare’ che Russo poté scrivere alla Scuola militare di Caserta, quando nel 1917 vi fu chiamato avendo usufruito di un provvedimento che riportava nelle retrovie il terzo fratello quando gli altri due fossero già caduti in combattimento. Dal filosofo dell’atto puro Russo riprendeva e faceva propria con fervore la convinzione che quella che si stava combattendo fosse la guerra di compimento del Risorgimento, e soprattutto la prova che finalmente avrebbe dato conto – all’interno prima ancora che all’esterno – della intrinseca coesione, della vitalità e, in una parola, del diritto a esistere nella nazione italiana. Donde, quel tratto singolare e fin paradossale che già aveva segnato gli scritti interventisti di Gentile, ossia la sostanziale assenza di una questione del nemico, che anche per Russo come per Gentile semplicimente non si poneva : la guerra andava fatta perché andava fatta, che poi la si facesse al fianco o contro gli imperi centrali era questione del tutto secondaria. Il bisogno di tradurre le convinzioni etiche in impegno civile, il gusto stesso per l’azione ai giovani della sua generazione proveniva – riconoscerà Russo francamente qualche anno dopo – da Gentile piuttosto che da Croce21.

  • 22 L. Russo, Giovanni Verga, Napoli, Ricciardi, 1920, e Salvatore Di Giacomo, Napoli, Ricciardi, 1921.

26Se poi si guarda ai primi più impegnativi lavori propriamente letterari che Russo elabora negli anni della guerra, parallelamente al manuale di etica militare, e pubblica nell’immediato dopoguerra, cioè gli studi su Verga e Di Giacomo22, si noterà che certo del tutto crociano era il taglio monografico, frutto di quella che Russo chiamava « la tendenza individualizzante della nuova critica », e ancor più crociana e antiaccademica sul piano del gusto era la scelta di due contemporanei, viventi e, almeno per Di Giacomo, ancora attivi (Di Giacomo era peraltro autore che proprio il filosofo napoletano aveva imposto all’attenzione nazionale). Crociana anche, senza dubbio, la collocazione editoriale di queste due pubblicazioni, poiché comparvero a Napoli per i tipi di Riccardo Ricciardi, un amico di Croce fattosi editore (mentre Laterza era un editore divenuto amico) ; un editore, il Ricciardi, presso il quale Croce era solito collocarvi lavori e testi che giudicava meno adatti alla linea di alta e austera cultura che voleva imprimere alla Laterza.

  • 23 Più tardi, scrivendo a ridosso della morte del filosofo, Russo mostrerà chiara coscienza che già a (...)
  • 24 L. Russo, Prolegomeni a Machiavelli, Firenze, Le Monnier, 1931 (e quindi nello stesso anno e presso (...)
  • 25 Ibid., p. 37-38. Cfr. in generale M. Ciliberto, « Appunti per una storia della fortuna di Machiavel (...)
  • 26 Cfr. ibid., p. 34, dove si parla della « poesia della tecnica politica in sé e per sé ».
  • 27 Peraltro, non è difficile scorgere nel saggio machiavelliano di Russo qualche schietta movenza gent (...)

27Se tuttavia si guarda più da vicino la tessitura delle monografie russiane, e si segue anche la sua produzione minore di quegli anni, come, per esempio, un’importante recensione ai Nuovi saggi di estetica di Croce, non per nulla pubblicata nella nuova rivista di Gentile, il Giornale critico della filosofia italiana – ecco, se si considera con attenzione tutto ciò, si noterà che i motivi di non piena soddisfazione per l’estetica e il metodo critico crociano non mancavano certo. Già si faceva avvertire in quelle giovanili pagine di Russo la necessità di non recidere del tutto il giudizio critico sull’opera – il crociano riconoscimento della poesia – da una più larga indagine sulla biografia e sul contesto storico e culturale dell’autore e del suo mondo ideale. Era operante insomma il bisogno di dar corso a un’indagine che certo la rigida dicotomia crociana poesia / non poesia non ammetteva23. È un bisogno e un’insoddisfazione che va in qualche modo precisandosi anche negli scritti di carattere teorico e metodologico che Russo compone lungo gli anni Venti, e che confluiscono nel già ricordato volume dedicato a Michele Barbi. Diviene più largamente operativa soprattutto nella monografia machiavelliana, i Prolegomeni a Machiavelli, preparata nella seconda metà degli anni Venti e pubblicata quindi nel 1931, anche come introduzione a un’edizione del Principe nella collana di classici diretta da Barbi24. In questa importante monografia – importante per la novità che rappresentò negli studi machiavelliani della prima metà del secolo, e importante anche nello svolgimento intellettuale del suo autore – di crociano c’è sicuramente la tesi di fondo, affermata e ribadita a chiare lettere, di un Machiavelli scopritore dell’autonomia e della necessità della politica25. Ma a guardar bene non è certo nell’adesione a questa celebre tesi che consiste quel che di più caratteristico ha la lettura russiana di Machiavelli : la specificità di questa lettura è piuttosto nel contatto ricercato tra opera e biografia, alla ricerca di un’unità sostanziale che circola da un testo all’altro e che costituisce la cifra dell’opera machiavelliana e la sua intrinseca ‘poeticità’. Donde la ricorrente evocazione del temperamento dell’uomo per meglio comprendere l’opera e il pensiero ; oppure, con direzione simmetrica e inversa ma con uguale intenzione critica, la citazione di un passo del Principe per comprendere l’uomo. La stessa formula sintetica e definitoria in cui Russo racchiuse la propria esegesi (Machiavelli « artista eroe della tecnica politica »)26, procede a ben vedere da questa particolare posizione che se non è anticrociana, non è certo crociana27.

  • 28 Si tratta del già citato La critica letteraria contemporanea (cfr. qui dietro, nota 5), che in prim (...)
  • 29 Croce reagì subito in privato a un giudizio di cui ben comprendeva la funzione che avrebbe avuta ne (...)

28In quegli stessi anni, Russo andava concependo secondo un disegno sostanzialmente unitario un largo panorama della contemporanea critica letteraria italiana, che fu poi in effetti il titolo che dette ai tre volumi in cui tra il 1942 e il 1943 raccolse gli scritti che erano venuto nel frattempo pubblicando28. Al centro del quadro delineato da Russo c’era ovviamente Croce, ma un’attenzione non minore nell’economia dell’opera riceveva con una certa dose di paradossalità Giovanni Gentile, al quale erano consacrati due ampi capitoli che erano poi l’unica parte inedita e non prima anticipata del lavoro. Si trattava di un’attenzione che certo poteva sorprendere, e di fatto sorprese molti, e anzi in Croce con la sorpresa fu tale che provocò in lui una forte irritazione nei confronti di quella che gli sembrava una flagrante e gratuita sopravvalutazione del Gentile critico e storico della letteratura italiana29.

29Ma perché Russo aveva sentito di dover conferire un tale rilievo a Gentile, la cui opera di critico e storico della letteratura italiana aveva un raggio infinitamente più ristretto rispetto a quella crociana, e nel panorama della critica letteraria italiana, per non dire europea, aveva avuta una eco di tanto inferiore ? A leggere con attenzione, considerando la struttura talvolta poco armoniosa e l’andamento un po’ faticoso di quelle pagine russiane, si comprende perché.

  • 30 Cfr. L. Russo, La critica letteraria contemporanea, vol. I, p. 275-276.
  • 31 Ibid.
  • 32 Ibid., p. 202.

30In realtà qualche indizio era già presente nelle stesse pagine consacrate a Croce. Già in quelle pagine, ricostruendo la genesi e seguendo le implicazioni dell’estetica crociana, Russo aveva avuto modo di indicare un rischio che era immanente al metodo crociano ; un rischio al quale il filosofo nel suo concreto esercizio critico si era per lo più sottratto in virtù del profondo senso storico di cui era fornito30, ma in cui altri poteva facilmente incorrere per lo spirito stesso di quelle dottrine. Il rischio era in sostanza quello di dar luogo a una « storia atomistica », ossia a una storiografia letteraria che non era « storia di personalità – scriveva Russo – ma storia di frammenti di cosmi poetici »31. Per suo conto, nelle stesse pagine, il critico siciliano chiedeva che la caratterizzazione dell’opera, che pur crocianamente riconosceva come l’autentico compito del critico, non si risolvesse, come invece accadeva presso molti crociani, in formule definitorie, ma fosse « storia della poesia e insieme della poetica »32. Che cosa poi intendesse con ciò, e soprattutto con ciò che chiamava « poetica », bisogna appunto attendere i capitoli gentiliani per comprenderlo meglio.

31Ora Russo, che pure non volle mai dare un’esplicita sistemazione teorica alla propria concezione della critica e della storiografia letteraria, proprio nelle pagine consacrate a Gentile discute a fondo la propria insoddisfazione non solo nei confronti degli scolastici del crocianesimo, ma della stessa estetica crociana, e tesse così la trama in positivo di quella che per lui era una possibile, e anzi necessaria, storiografia letteraria degna di questo nome. Crocianamente per Russo della poesia non si dà storia ; essa è risultato espressivo compiuto, cifra di un’individualità irripetibile, e per ciò stesso insuscettibile di svolgimento o di progresso. E tuttavia c’è qualcosa di altrettanto importante per Russo, che non è poesia, ma pure è ciò su cui storicamente la poesia sorge e si rende intellegibile. E di ciò, che Russo definisce la « poetica », di cui invece si può, e si deve, fare la storia :

  • 33 Ibid., p. 279.

C’è dunque qualche cosa – scriveva Russo – per cui un poeta si lega ad un altro, e questo non avviene per la nota lirica individuale che rimane inconfondibile, ma per la sua non poesia, per quella che noi chiamiamo la sua poetica, che vaga al fondo di ogni espressione lirica e in essa si invola33.

  • 34 Ibid., p. 285.

32Dunque la « poetica » di un poeta è costituita, osservava Russo, non tanto dalle sue idee estetiche, strettamente intese, ma dalle idee estetiche e dai « miti passionali, morali, politici che costituiscono la humus da cui nasce la sua poesia »34. Attraverso tale poetica, aggiungeva dunque il critico siciliano,

  • 35 Ibid.

i raccordi con la generale storia della letteratura sono infiniti, e sta al fiuto, alla discrezione e alla sobrietà dello storico di accennare a quelli che sono soltanto necessari, comandati dai testi35.

  • 36 Ibid., p. 283.

33Con ciò Russo giungeva a definire nella maniera più compiuta la sua concezione di una teoria della storia letteraria, che per lui era possibile, per Croce no. In tal senso, la lezione di Gentile (lo riconosceva explicitis verbis) gli era stata decisiva, e poteva del tutto legittimamente e veritieramente affermare di aver « sempre tenuto presente la ‘lezione’ del Gentile »36.

34All’interno del capitolo gentiliano Russo scriveva dunque alcune tra le sue più impegnate e personali considerazioni di metodologia critica, perché dalla lezione e dall’esempio del filosofo siciliano riconosceva che gli erano provenuti gli stimoli per ciò che definiva « un rinnovabile sociologismo storico », ossia quel più concreto senso del contesto storico di cui l’analisi critica di un autore non poteva andare esente. Si spiega così il giudizio assai positivo, in queste pagine, sulle ricerche che Gentile aveva consacrate al mondo ideale e culturale di Jacopone da Todi e di Giacomo Leopardi.

35Quindi non è un caso che proprio nel capitolo gentiliano Russo offra la più analitica dichiarazione delle proprie convinzioni intorno alla storiografia letteraria, stilando con ciò anche il vero bilancio del suo rapporto intellettuale con Croce, ossia di quel che la sua attività di critico e di storico della letteratura doveva al filosofo napoletano, ma anche di quello che invece non gli doveva, e che in qualche modo finiva con il cambiare il senso e l’utilizzazione di quel che pure gli doveva.

36Tornando alla questione da cui si è partiti, la lunga fortuna della formula gramsciana intorno all’« egemonia crociana » – che certo aveva un senso ben preciso nel quadro polemico e ideologico che era il suo – ha finito con il sovraddimensionare la portata e l’incidenza effettiva di quella che fu la lezione di Croce. Il caso di Russo mostra bene come anche presso chi fu ritenuto e si ritenne ‘crociano’, tale lezione in realtà fu ricevuta con considerevoli oscillazioni e resistenze, e non senza una discreta permebilità a lezioni diverse.

37Per concludere, rimane di Luigi Russo il profilo di uno dei critici più interessanti della prima metà del Novecento, che, certo, non sarebbe comprensibile senza Croce, ma che pure sarebbe quanto mai riduttivo leggere all’insegna di una generica scuola o peggio scolastica crociana.

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Notes

1 B. Croce, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoriae storia, Milano, Sandron, 1902.

2 Le relazioni di Croce con il Giornale storico e la tradizione che incarnava costituiscono una questione complessa, sulla quale non è qui possibile soffermarsi : per un buon quadro d’insieme si veda comunque M. Pozzi, « Croce e il Giornale storico », in Croce in Piemonte (Atti del Convegno di studi, Torino-Biella, 8-10 maggio 2003), C. Allasia (dir.), Napoli, Editoriale scientifica, 2006, p. 255-305.

3 Nel dire così, e nella più generale impostazione di questo intervento, sento il dovere di dichiarare una volta per tutte il mio debito nei confronti della vastissima opera esegetica e critica che da più decenni viene conducendo sull’idealismo italiano e la sua tradizione Gennaro Sasso, del quale, tra le numerose opere, si potranno particolarmente tenere presenti i cinque ponderosi volumi di Filosofia e idealismo, Napoli, Bibliopolis, 1994-2007.

4 Nel 1948 uscì presso Einaudi Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce con il quale fu avviata l’edizione ‘tematica’ voluta da Palmiro Togliatti dei Quaderni del carcere. Su questa vicenda si può ora vedere l’informato studio di C. Daniele, Togliatti editore di Gramsci, Roma, Carocci, 2005.

5 Quanto ai documenti, naturalmente alludo, restringendomi ai soli carteggi crociani, ai molti volumi di corrispondenze crociane pubblicate dall’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli (più comunemente noto come « Istituto Croce »), ma anche in altre sedi. La collana dell’Istituto fu inaugurata nel 1967 con un volume di proprie lettere, a sfondo politico e civile, preparato dallo stesso Croce, ed è poi proseguita intensificando nel corso degli anni le pubblicazioni, pervenendo così, in questo momento, a ventitre titoli. Ma non sono pochi i carteggi apparsi in altre collane, presso altri editori, a cominciare da quello, fondamentale, con Giovanni Gentile, ed altri importantissimi come quelli con Vossler, con Prezzolini, con Russo stesso…). L’interesse e l’importanza dei carteggi del primo Novecento valica comunque il caso di Benedetto Croce. E qui basti la menzione, per la prossimità a vario titolo con quelli crociani, dei diversi carteggi che da oltre un trentennio si vengono pubblicando presso le romane « Edizioni di storia e letteratura ».

6 Questo testo, comparso dapprima negli atti del convegno di Budapest del 1931, fu infine rifuso in L. Russo, La critica letteraria contemporanea, vol. I, Dal Carducci al Croce [1942], Firenze, Sansoni, 1977, p. 80.

7 Ibid., p. 81.

8 La celebre polemica « tra filosofi amici » comparve dapprima proprio nella Voce tra la fine del 1913 e i primi del 1914 ; la ho di fronte nell’antologia della Voce, A. Romanò (dir.), Torino, Einaudi, 1975, p. 595-624. Il rapporto di Croce con Gentile, e di Gentile con Croce, tanto sul piano intellettuale quanto su quello civile e politico, è questione di grande complessità e delicatezza tanto in sé quanto nelle conseguenze che ebbe nella cultura italiana, e richiederebbe uno studio specifico.

9 Le Edizioni Adelphi hanno ristampato, con un notevole successo di pubblico, una ventina di titoli crociani, alcuni dei quali hanno avuto svariate ristampe. L’ambizioso progetto dell’edizione nazionale ha finora visto l’uscita di diciannove titoli in edizione critica con apparati critici e testuali.

10 L. Russo, B. Croce, Carteggio 1912-1948 [2006], E. Cutinelli-Rendina (ed.), Pisa, Edizioni della Scuola Normale Superiore, 2007. È certo ben significativo che una pubblicazione di questo genere, che solo alcuni anni fa non avrebbe suscitato che l’interesse degli specialisti, abbia invece avuta larga eco sulla stampa quotidiana nazionale, e se ne sia dovuta fare una seconda edizione a pochi mesi di distanza dalla prima.

11 L’osservazione, certo paradossale ma non ingiustificata, di non essere stato mai crociano, Croce ebbe modo di farla più volte : per esempio, in maniera implicita in un’« annotazione » che si legge ne La poesia : « È certamente penoso per chi ha posto certe definizioni e certi concetti, e segnato le correlative metodiche, vedere le formole, di cui conosce con la forza, i limiti, e che vuol serbare vive e plastiche, in continuo sviluppo di ulteriori determinazioni, vederle irrigidite in mano a gente che le adopera come se fossero mazze, picconi, accette, e simili grossi e pesanti strumenti da stroncare ed abbattere. S’intende allora il moto di fastidio di un Marx, che, in un congresso, all’udire il continuo superstizioso richiamo ai principi del ‘marxismo’, cominciò il suo discorso col dichiarare sorridendo : ‘Moi, je ne suis pas marxiste’ » (B. Croce, La poesia [1934], G. Galasso [ed.], Milano, Adelphi, 1994, p. 310). Ma già molti anni prima, in una lettera dell’11 settembre 1911 a Emilio Cecchi, esplicitamente e con grande nettezza aveva scritto : « Io sono il meno crociano di tutti i crociani, come Marx dichiarava di non essere marxista » (E. Cecchi, Ricordi crociani, Napoli, Ricciardi, 1966, p. 79). Si tratta di una lettera che è tutta da tenere presente per questo modo mobile e inquieto di porsi di fronte al proprio stesso ‘sistema’. – Sebbene non sempre ne condivida le conclusioni, per una larga indagine sulla presenza di Croce nella cultura e nella politica italiana tra fascismo e postfascismo, rinvio a Y. Gousbier, « La maison de sable ». Histoire et politique en Italie de Benedetto Croce à Renzo De Felice, Roma, École française de Rome, 2007.

12 Su Cesare De Lollis in questa prospettiva, cfr. soprattutto G. Sasso, Variazioni sulla storia di una rivista italiana : La Cultura (1882-1935), Bologna, Il Mulino, 1992, p. 59-89.

13 Discussa il 14 luglio 1914 con Francesco Flamini, la tesi fu poi pubblicata in volume : L. Russo, Pietro Metastasio, Pisa, Nistri, 1915 (estratto degli Annali della R. Scuola Normale Superiore di Pisa. Filosofia e filologia, XXVII, 1915, p. 1-260, ora in ristampa anastatica, Bologna, Forni, 1989). Cfr. in generale P. Floriani, « I primi anni pisani di Luigi Russo », Belfagor, XLI, 1994, p. 208-219.

14 L. Russo, B. Croce, Carteggio…, vol. I, p. 3-4.

15 Si veda L. Russo, G. Gentile, Carteggio 1913-1943, R. Pertici, L. Resta (ed.), Pisa, Edizioni della Scuola Normale Superiore, 1997.

16 Cfr. B. Croce, Il Caso Gentile e la disonestà nella vita universitaria italiana, Bari, Laterza, 1909.

17 Anche per tale specifico aspetto direi che la valutazione della vicenda dell’Enciclopedia italiana vada sfumata ma non capovolta pur dopo l’analitico studio di G. Turi, Il mecenate, il filosofo e il gesuita. L’Enciclopedia italiana specchio della nazione, Bologna, Il Mulino, 2002.

18 L. Russo, Problemi di metodo critico, Bari, Laterza, 1929.

19 Varie notizie di queste vicende in L. Russo, B. Croce, Carteggio…, passim.

20 Vita e disciplina militare, uscita in prima edizione presso un editore di cose militari (Marino, Caserta, 1917), è stata molte volte ristampata : da ultimo, a cura del figlio Carlo Ferdinando Russo, Milano, Il Saggiatore, 1992. Non per nulla Gentile si affrettava a esprimere a Russo tutto il suo consenso in un articolo ne Il Nuovo giornale del 29 gennaio 1918, che poi Russo volle comparisse come prefazione nella terza edizione del manualetto militare. L’articolo di Gentile lo si può ora leggere in G. Gentile, Opere complete, vol. XLIII, Guerra e fede, H.A. Cavallera (ed.), Firenze, Le Lettere, 1989, p. 261-64.

21 Anche a sé stesso Russo si riferiva allorché qualche anno più tardi avrebbe scritto : « Ma invero di un certo gusto dell’azione, anche in senso avverso o almeno soltanto analogo a quello voluto dal Gentile, bisogna riconoscere che molti giovani nel dopoguerra si ritennero debitori verso il pensiero o l’esempio suo, più che verso il pensiero o l’esempio di Croce : escubitore questi, mirabile, di ingegni letterari e scientifici, ma scarso incitatore di movimenti e atti pratici, di cui i giovani erano bramosi dopo la dura esperienza dell’altra guerra mondiale » (L. Russo, La critica letteraria contemporanea, vol. II, Dal Gentile agli ultimi Romantici, Bari, Laterza, 1942, p. 270-271).

22 L. Russo, Giovanni Verga, Napoli, Ricciardi, 1920, e Salvatore Di Giacomo, Napoli, Ricciardi, 1921.

23 Più tardi, scrivendo a ridosso della morte del filosofo, Russo mostrerà chiara coscienza che già a quelle sue prime prove critiche e soprattutto al Di Giacomo risaliva la propria insoddisfazione nei confronti di Croce, e non solo di una possibile utilizzazione delle teorie crociane : « oggi io scrivo queste pagine di ricordi – osservava in una pagina quanto mai tipica del suo stile e che conviene citare integralmente – perché non sarei capace di redigere un saggio critico vero e proprio sul Croce : non si recita l’elogio funebre davanti alla bara del proprio padre. Certo io mi sono allontanato dal Croce e non dal 1949, e nemmeno per esclusive ragioni politiche. Io ero entrato in crisi fin dagli anni prima del ’22 ; e lui lo sapeva ; col saggio sul Di Giacomo io battevo altra strada, per quella assidua interpretazione genetica che io facevo della poesia del napoletano : che era metodo antitetico al suo. Tanto che sentii il bisogno di riscrivere il Verga, per liberarlo da tutte le ingenuità scolastiche e dai sillogismi della prima redazione del ’19. Tra il ’24 e il ’27 poi preparai Francesco De Sanctis e la cultura napoletana ; e già da allora, allargando il quadro della mia esperienza, io mi sentivo fuori di ogni crocianesimo ortodosso : tornavo ai miei amori col De Sanctis, rafforzatomi intanto dallo studio che io facevo del Machiavelli e del Manzoni » (L. Russo, Il dialogo dei popoli [1953], Firenze, Parenti, 1955, p. 341). Per quanto tale rappresentazione del proprio svolgimento intellettuale e del suo ‘distacco’ da Croce sia sostanzialmente esatta, non si deve tuttavia credere che quel che gli era così chiaro nel 1952, quando scriveva queste linee, altrettanto lo fosse negli anni Venti. Ma pur nella non piena consapevolezza è indubitabile che assai presto Russo si mise alla ricerca di una propria strada, sulla quale, come vedremo, avrebbe reincontrato proprio Gentile. Va anche detto che queste pagine commemorative del 1952-53 su Croce, piuttosto divaganti e anche un po’ petulanti, non contengono il meglio di quanto Russo scrisse sul filosofo napoletano, che andrà piuttosto cercato nelle molte pagine della Critica letteraria contemporanea.

24 L. Russo, Prolegomeni a Machiavelli, Firenze, Le Monnier, 1931 (e quindi nello stesso anno e presso lo stesso editore, l’edizione commentata). Ma ho di fronte l’edizione in cui sono raccolti tutti i suoi scritti machiavelliani : Machiavelli, Bari, Laterza, 1974.

25 Ibid., p. 37-38. Cfr. in generale M. Ciliberto, « Appunti per una storia della fortuna di Machiavelli : Francesco Ercole e Luigi Russo », Studi storici, X, 1969, p. 799-832.

26 Cfr. ibid., p. 34, dove si parla della « poesia della tecnica politica in sé e per sé ».

27 Peraltro, non è difficile scorgere nel saggio machiavelliano di Russo qualche schietta movenza gentiliana, come lì dove è tentata una conciliazione – invero piuttosto estrinseca – tra il Principe e i Discorsi : « Da ciò l’apparente contraddizione delle due opere, ché, in verità, nel problema dell’autorità è implicito quello della libertà, e nel motivo della libertà quello dell’autorità » (ibid., p. 55).

28 Si tratta del già citato La critica letteraria contemporanea (cfr. qui dietro, nota 5), che in prima edizione comparve presso Laterza tra la fine del 1942 e i primi del 1943.

29 Croce reagì subito in privato a un giudizio di cui ben comprendeva la funzione che avrebbe avuta nel definire presso un largo pubblico il quadro della critica letteraria italiana nel primo quarantennio del secolo : « Ho letto con molto piacere il vostro terzo volume, e vi ho trovato giudizi assai acuti e giusti sui critici recenti, Momigliano, Gargiulo, De Robertis e gli altri […]. Vi confesso che mi pare un’aberrazione di visuale la grossa parte dedicata al G.[entile], che non sa niente di poesia e mai ha scritto la critica di una poesia, e anche in pura teoria estetica non ha fatto niente che valga, salvoché negare la realtà dell’arte » (lettera del 23 gennaio 1943, in L. Russo, B. Croce, Carteggio…, p. 540). E qualche giorno dopo rincarava la dose : « Quando vi ho fatto quell’osservazione sulla parte a lui assegnata nella critica letteraria italiana, sono stato mosso da un sentimento di verità, perché con la poesia e la letteratura hanno da fare, quale che sia il loro valore, Gargiulo, Cecchi, De Robertis (per non dire di Flora e di Momigliano), ma lui no. È entrato in quelle questioni per prepotenza o per retorica; ma non ne intende e non ne sa nulla. Mi pare che col collocarlo come una delle forme dell’estetica e della critica letteraria odierna, si faccia quasi, involontariamente, il suo giuoco, ma si commetta un errore storico o, in ogni caso, di prospettiva storica » (ibid., p. 547-48).

30 Cfr. L. Russo, La critica letteraria contemporanea, vol. I, p. 275-276.

31 Ibid.

32 Ibid., p. 202.

33 Ibid., p. 279.

34 Ibid., p. 285.

35 Ibid.

36 Ibid., p. 283.

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Pour citer cet article

Référence papier

Emanuele Cutinelli-Rendina, « Fra Croce e Gentile : il caso di Luigi Russo »Transalpina, 12 | 2009, 185-204.

Référence électronique

Emanuele Cutinelli-Rendina, « Fra Croce e Gentile : il caso di Luigi Russo »Transalpina [En ligne], 12 | 2009, mis en ligne le 05 mai 2022, consulté le 17 mai 2025. URL : http://journals.openedition.org/transalpina/2854 ; DOI : https://doi.org/10.4000/transalpina.2854

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